scolarizzazione
La difficile battaglia per garantire l’istruzione a tutti
La scolarizzazione è l’insieme degli interventi tesi a elevare il livello di istruzione dei cittadini. Nei paesi meno sviluppati la scolarizzazione è ancora rivolta a promuovere l’alfabetizzazione, mentre in quelli più sviluppati, dove l’istruzione di base è ormai garantita a tutti, si cerca di potenziare il sistema nei livelli scolastici superiori. In Italia la scolarizzazione è passata attraverso traguardi progressivi, tra i quali è stata decisiva l’istituzione della scuola media unica, nel 1962, che ha consentito alla gran parte dei ragazzi
Nei paesi con un basso livello di sviluppo la scolarizzazione è orientata soprattutto a promuovere l’alfabetizzazione. Infatti, in vaste aree dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina gran parte della popolazione è ancora analfabeta: non sa, cioè, né leggere né scrivere.
Nei paesi sviluppati, invece, l’istruzione di base è ormai ampiamente garantita: la scolarizzazione è quindi volta a rendere più efficiente il sistema formativo e ad accrescere il numero di coloro che accedono ai livelli più alti della formazione.
Quasi un miliardo e mezzo di giovani (circa un quinto della popolazione mondiale) è attualmente inserito in un percorso formativo, ma la percentuale di studenti è molto più elevata nei paesi economicamente avanzati: qui in media giunge all’università circa il 45% dei giovani, mentre nell’America Latina meno del 30%, in Asia meno del 15% e nell’Africa subsahariana meno del 10%.
L’inizio della scolarizzazione nell’Italia unita. Nel nostro paese il processo di scolarizzazione volto a ridurre l’analfabetismo fu avviato subito dopo l’unificazione. Con la legge Casati (1859, estesa a tutto il Regno dopo l’unità), che costituisce il primo ordinamento organico del sistema scolastico, l’istruzione elementare, per i primi due anni, fu resa gratuita e obbligatoria per tutti. Il primo censimento della popolazione (1861) rivelò che quasi l’80% dei cittadini era completamente analfabeta, ma in realtà tale quota era molto più elevata: in base ai criteri adottati nel censimento era infatti considerato alfabeta chiunque fosse in grado anche solo di apporre la propria firma.
Tramite i dati emersi da ulteriori indagini si constatò poi che quasi il 98% degli Italiani parlava esclusivamente il dialetto. Affinché i cittadini potessero meglio comunicare tra loro e partecipare alla vita pubblica era invece necessario che utilizzassero una lingua comune, cioè l’italiano, anche nella forma scritta. Occorreva perciò che tutti frequentassero la scuola per un tempo adeguato, al fine di apprendere l’italiano e imparare a leggere e a scrivere. Ci si prodigò quindi per applicare ovunque la legge e, con provvedimenti successivi, si innalzò l’obbligo scolastico fino alla quarta classe (legge Coppino, 1877), poi alla quinta (1888) e poi alla sesta (1904): tuttavia per lungo tempo l’evasione dall’obbligo rimase elevata, soprattutto nel Sud e nelle zone rurali. Nel 1911 la legge Daneo-Credaro rese l’istruzione elementare completamente gestita dallo Stato.
La crescita graduale dell’alfabetismo. Il tasso di alfabetismo ebbe un incremento molto lento e graduale fino agli anni Venti. Nel censimento del 1921 la quota di analfabeti (circa il 36%) risultava più che dimezzata rispetto a quella registrata sessanta anni prima, ma occorre anche considerare che in questo arco di tempo la popolazione del Regno era quasi raddoppiata (da 22 milioni a 39 milioni di abitanti).
Durante il ventennio fascista, soprattutto in seguito alla riforma della scuola attuata da Giovanni Gentile nel 1923, l’istruzione primaria ebbe un notevole incremento e la quota di analfabeti diminuì drasticamente, scendendo al 21% nel 1931 e ulteriormente nel periodo successivo, fino allo scoppio della guerra (nel 1941 il censimento della popolazione non venne effettuato a causa degli eventi bellici).
La crescita della domanda d’istruzione. È dovuto trascorrere circa un secolo dall’unità d’Italia perché l’obiettivo di un’alfabetizzazione diffusa fosse raggiunto e lo Stato potesse garantire a tutti i cittadini in età l’istruzione di base e, a quote sempre maggiori di giovani, quella superiore. Le conquiste più rilevanti su questo fronte riguardano il periodo compreso tra la fondazione della Repubblica e i nostri giorni. L’art. 34 della Costituzione prevede che l’istruzione sia impartita a tutti per almeno otto anni e che i «capaci e meritevoli», anche se privi di mezzi, ricevano sussidi da parte dello Stato per poter accedere fino ai più alti livelli degli studi.
Fu negli anni Sessanta del Novecento che la diffusione di un maggiore benessere e la concentrazione nelle aree urbane permisero a una percentuale molto più elevata di bambini di frequentare la scuola sino al completamento dell’obbligo.
Nel 1962 la scuola media inferiore, in precedenza divisa in due tronconi distinti (uno che consentiva l’accesso alla scuola superiore, l’altro che avviava a un lavoro di tipo manuale), fu unificata e quindi resa uguale per tutti. A seguito di questa riforma, nel corso degli anni Sessanta e Settanta si è verificato, in Italia, il fenomeno della scolarizzazione di massa.
I problemi della scolarizzazione di massa. La popolazione studentesca arrivò a triplicarsi: ciò provocò notevoli problemi nell’organizzazione della scuola. Gli edifici scolastici e il personale docente divennero insufficienti: così, per esempio, numerose scuole dovevano effettuare ‘doppi turni’ e molti studenti recarsi a scuola il pomeriggio o la sera, in classi spesso molto affollate.
Il sistema scolastico ha compiuto sforzi notevoli per riorganizzarsi in modo da rispondere alla accresciuta domanda di istruzione: ci sono voluti però molti anni perché le scuole tornassero di nuovo a funzionare in modo pienamente efficiente.
Dalla fine degli anni Ottanta del Novecento si è verificato anche un incremento massiccio dell’accesso agli studi universitari (cosicché si parla anche di ‘università di massa’); da allora a oggi il numero degli studenti immatricolati è pressoché raddoppiato. Oggi nel nostro paese oltre la metà dei giovani prosegue gli studi fino all’università e i tre quarti conseguono un diploma.
Attualmente è il continente africano l’area del globo nella quale il processo di scolarizzazione registra i livelli più arretrati, a causa della carenza di condizioni efficaci per lo sviluppo economico e sociale. Le strutture scolastiche e l’organizzazione dell’insegnamento, nella maggioranza dei paesi africani e soprattutto in quelli subsahariani, sono rimaste quasi identiche a quelle del periodo coloniale, durante il quale l’istruzione era riservata a élite molto ristrette. Tale situazione si riscontra persino nelle nazioni che hanno conseguito l’indipendenza da oltre trent’anni. Pochissimi paesi africani, quindi, sono oggi in grado di garantire a tutti i bambini l’istruzione primaria: in quelli più arretrati, questa raggiunge meno di un quarto di loro. Quanto all’istruzione secondaria e a quella universitaria, esse sono offerte, rispettivamente, al 4÷5% e a meno dell’1% dei giovani.
La lotta contro l’analfabetismo, quindi, accanto a quella contro le epidemie e le carestie, rappresenta una sfida decisiva che i paesi africani devono affrontare per uscire dal sottosviluppo economico, creando così condizioni di vita migliori per tutta la popolazione. L’educazione, infatti, rappresenta un fattore determinante per lo sviluppo, in quanto un processo efficace di industrializzazione e di organizzazione dei servizi è possibile non soltanto in virtù del possesso di risorse materiali, ma anche di risorse umane e professionali, cioè di cittadini che possiedono conoscenze e competenze adeguate, acquisite e rinnovate attraverso percorsi efficaci di istruzione e formazione.