ALFONSO X, el Sabio, re di Castiglia e di León
Nacque a Toledo il 23 novembre 1221, morì a Siviglia il 4 aprile 1284. Figlio di Ferdinando il Santo e di Beatrice di Svevia, successe al padre sul trono di Castiglia e León (i giugno 1252). Nessuno dei principi del suo tempo lo uguagliò nell'amore dèlle lettere e nel culto della scienza; nessuno, nelle amarezze che gli costò una politica condotta senza fermezza e volta a tutte le grandezze senza la possibilità di risultati duraturi. Abbandonata l'idea di una spedizione contro il Marocco, che doveva segnare gl'inizî del suo regno, A., con la collaborazione di Muḥammad I Ibn al-Aḥmar, emiro di Granata, condusse con felice successo alcune campagne militari nel bacino inferiore del Guadalquivir, le quali, con la presa di Niebla (1257), gli schiusero le vie dell'Algarve. Il matrimonio di Beatrice, sua figlia naturale, con Alfonso III di Portogallo segna l'abbandono dei territorî di questa regione, conquistati e da conquistare, riserbandosi A. una sovranità puramente nominale; come il precedente matrimonio di sua sorella Eleonora con Edoardo d'Inghilterra (1254) aveva consacrato la rinunzia a ogni diritto della corona di Castiglia sull'Aquitania. I maneggi di Ibn al-Ạhmar provocarono un'insurrezione dei Musulmani sparsi nel regno di A., da Murcia a Xerez; ma la pronta azione militare del re e la ribellione all'emiro di Granata dei governatori di Comares, di Malaga e di Cadice favorirono la riconquista dell'Andalusia occidentale (1265), mentre Giacomo I d'Aragona rioccupava il regno di Murcia (1266), affidato poi a un principe musulmano di nomina castigliana.
Le preoccupazioni militari non avevano trattenuto A. dal presentare la sua candidatura al trono di Germania come successore di Guglielmo d'Olanda; ma Riccardo di Cornovaglia, pur avendo raccolto meno suffragi di lui, fu consacrato imperatore (1257). A. difese il suo diritto; assunse il titolo di rex-electus Romanorum, che Pisa gli aveva già decretato; intrigò presso i principi di Germania; protestò presso parecchi papi, da Alessandro IV a Gregorio X, ma sempre invano: troppo lontano era dalla Germania per metter ordine all'anarchia che vi dominava; troppo lontano dall'Italia per sostenere il papato. Assassinato Riccardo di Cornovaglia (1271), papa Gregorio X favorì l'elezione di Rodolfo d'Asburgo (1273). Non ostante l'esito negativo che ebbero le trattative condotte direttamente col pontefice a Beaucaire, A. persisté a nominarsi re dei Romani, finché le minacce di censure spirituali lo indussero a rinunziare a un titolo vano (1275). Il suo sogno imperiale tramontava, mentre nell'interno del regno l'ambizione dei ricoshombres, non infrenata con la necessaria energia, aveva sminuito l'autorità della corona. A. credette di tenerseli ligi facendo loro ampie concessioni; ma, quando in favore del Portogallo rinunziò a ogni diritto sull'Algarve (1259), i nobili, con a capo Nuño de Lara e con l'appoggio dell'Infante Filippo, protestarono in nome dell'interesse pubblico e, armati, alle Cortes di Burgos (1272) richiesero al re nuove concessioni. A un suo rifiuto si ritirarono, saccheggiando e devastando la Castiglia, presso l'emiro di Granata. Alla morte dell'emiro (1273), la pace conclusa dal suo successore Muḥammad II col re di Castiglia parve sedare le dissensioni interne; se non che divamparono esse più veementi quando Muḥammad II, con l'aiuto del sultano del Marocco, assalì l'Andalusia. A. era al colloquio di Beaucaire; l'erede al trono, Ferdinando de la Cerda, moriva a Ciudad-Real (25 luglio 1275); il secondogenito Sancio, corso alla frontiera, riusciva a vincere il nemico, obbligandolo a chiedere una tregua (gennaio 1276). Su proposta del re, che cedeva alla popolarità di Sancio, questi veniva dichiarato, alle Cortes di Segovia, successore al trono a preferenza degl'Infanti de la Cerda. La politica di A. si muove ormai nel groviglio delle difficoltà che si è venuto creando. La guerra contro i Mori procede con esito incerto; per continuarla, il re ottiene dalle Cortes di Siviglia di alterare il valore della moneta (1281): nuovo grave motivo di malcontento tra i sudditi. Il re di Francia, Filippo l'Ardito, mosso in difesa de' suoi nipoti, gl'Infanti de la Cerda, s'accorda con A. perché al primogenito di essi venga dato il regno di Jaén sotto la sovranità di Castiglia; ma Sancio, alle Cortes di Siviglia, si oppone energicamente al padre e, dopo avergli fatto ribellare i sudditi, si proclama principe ereditario e reggente. Le Cortes di Valladolid dichiarano deposto A.; il quale a Siviglia proclama ribelle e contumace il figlio Sancio (1282). Invano Martino IV lanciava l'anatema contro Sancio e i suoi seguaci; il vecchio re, solo, senza aiuti, impetrava il soccorso del sultano del Marocco (1283) e designava suoi successori gl'Infanti de la Cerda e, in mancanza di essi, il re di Francia. La sua fibra s'era consunta nella lotta infeconda. Quando la pietà, più che non avessero potuto le censure ecclesiastiche, riuscì a piegare gli animi verso di lui, sopraggiunse la morte, il 4 aprile 1284.
Il re, che scontò in vita i danni della sua politica dubbiosa e ambiziosa, passa alla storia col soprannome di Sabio per quanto seppe fare a vantaggio delle lettere e delle scienze. Il suo regno caratterizza, per efficacia, per larghezza di comprengione, per virtù assimilatrice, un momento culminante di quella funzione di mediatrice che nel Medioevo esercitò la Spagna tra l'elemento scientifico orientale, arabo ed ebraico, e la cultura moderna europea. Se prive di fondamento sono le asserzioni spesso ripetute ch'egli facesse tradurre il Corano, il Talmūd e la Cabbala ebraica, e che a Toledo riunisse intorno a sé una specie di congresso od accademia d'astronomi giudei ed arabi (di quaicuno si fa addirittura il nome con i più grossolani anacronismi), è pur vero che per ordine suo furono tradotte in castigliano notevolissime opere arabe astronomiche, astrologiche ed anche letterarie; fra queste ultime è il celebre libro Kalīlah wa Dimnah (v.). Sotto il titolo di Libros del saber de astronomía, M. Rico y Sinobas pubblicò a Madrid (1836-1867) in 5 enormi volumi (in-fol.) una raccolta di libri astronomici fatti tradurre dall'arabo o fatti redigere essenzialmente su fonti arabe; ma non s'intende perché l'editore abbia escluso da questo corpus i trattati astronomici od astrologici di Albatenio (v.), di Abenragel od Albohazen (v.), di Ali Abenrodan (commento al Tetrabiblo di Tolomeo), che pure il re aveva fatto tradurre. Dei Libros del Saber de astronomía fanno parte le Tavole Alfonsine, fatte calcolare per il meridiano di Toledo da due astronomi ebrei, in base alle note tavole toledane di az-Zarqālī (Azarquiel del testo spagnuolo), ma con le emendazioni risultanti da un anno di osservazioni celesti fatte a Toledo dai due suddetti astronomi con istrumenti appositamente costruiti d'ordine del re; queste tavole, poi tradotte in latino, godettero di grandissima fama in tutta Europa sino a tutto il sec. XVl. È da notare che a molte delle traduzioni e composizioni suddette partecipò lo stesso re, sia dando consigli ai traduttori e compilatori, sia emendando e correggendo dal punto di vista linguistico il loro barbaro castigliano.
Non meno importante fu l'opera legislativa di Alfonso. Con il Libro del Espéculo o Espejo de todos los derech0s (1255), gettò le basi di quella riforma unificatrice del diritto già ideata da Ferdinando III, per eliminare le incongruenze, le disarmonie e le antinomie derivanti dall'applicazione dei vecchi fueros municipales, delle cartés forales, del Fuero viejo de Castilla e del Fuero de los Fijosdalgo, non più rispondenti ai bisogni del tempo. A. non abolì del tutto l'antica legislazione, poiché nel Septenario raccolse in forma didattica il meglio dei Fueros di Castiglia e León, e nel Fuero-Real (1265), applicato a limitate città, adunò le disposizioni legislative del Fuero Juzgo e dei cuadernos municipales più aderenti allo svolgimento storico della Spagna medievale. Ma nelle sette parti del Libro de las leyes (Las siete partidas) il diritto romano e il diritto canonico, le Decretali e il Digesto, il Codice giustinianeo e il Fuero Juzgo sono messi a profitto, formando un complesso di scritti etici, didattici e legislativi in cui traluce costante il senso storico e giuridico della commissione che lo compilò (1256-1263), rappresentata singolarmente da Jácome Ruiz él de las leyes, da maestro Roldan e da Fernando Martínez. Un siffatto ritorno all'universalità del diritto romano, primo avviamento verso la lontana rinascenza, trova riscontro nello sforzo che contemporaneamente si viene compiendo dalla storiografia spagnola per inquadrare la storia di Spagna, di là dal periodo visigoto, nella storia greca e romana e nella preistoria. L'impulso è dato da A., sotto la cui direzione si va compilando la prima parte della Crónica general, dai Greci all'ultimo re goto, e la Grande e general Estoria. La corte del re Sabio, che era stato educato sotto gli auspici di D. Berenguela e che aveva trascorso la sua giovinezza in Galizia, fu ospitale ritrovo di poeti; e lì convennero gli ultimi cantori di Provenza, tra i quali basta ricordare Guiraut Riquier, insieme coi loro fratelli di Galizia e d'Italia; vi fu a lungo Bonifazio Calvo, vi capitò Brunetto Latini. In questo ambiente nacquero le Cantigas a la Virgen. Per tradizione letteraria A., che aveva dichiarato il castigliano lingua ufficiale, le scrisse in gallego, e la loro metrica rivela le varie influenze d'arte che si facevano allora sentire; ché la più parte di esse sembrano attenersi alla forma strofica del zagial (o zéjel, come scrivono gli studiosi spagnuoli) degli Arabi dell'Andalusia, altre s'ispirano alla tradizione popolare galiziana e qualcuna alla provenzale. Liriche e narrative, animate da un ingenuo sentimento che s'effonde e si appaga delle forme che viene spontaneamente creando, le Cantigas chiudono un vasto ciclo di tradizioni mariane, sia di carattere cosmopolitico, sia di argomenti locali (di Spagna, di Francia e d'Italia), e le fonti sono nelle raccolte latine di Gualtiero di Cluny, di Vincenzo di Beauvais e nella collezione di Gautier de Coincy.
Comunque la si consideri, l'opera scientifica e letteraria di A. el Sabio ha una spiccata impronta di universalità e resta documento insigne di quella saggezza, cioè di quell'amore per la sapienza che nelle scuole di Siviglia, di Murcia e di Toledo accomunava uomini di varie patrie, di varie lingue, di varie religioni tutti volti ad attingere, in un nobile sforzo, le ultime vette del sapere.
Bibl.: Per la parte storica v. B. Sánchez Alonso, Fuentes de la historia española é hispanoamericana, 2ª ed., Madrid 1927, nn. 4, 1272, 1307-1346; sempre fondamentale è l'opera del marchese de Mondéjar, Memorias históricas del Rey D. Alfonso el Sabio y observaciones a su Chrónica, Madrid 1777. - Sulla corte del re e sui collaboratori suoi per la parte scientifica, cfr. Libros del Saber de Astronomia, ed. M. Rico y Sinbas, Madrid 1863-67, I, p. xcii; A. Ballesteros, Sevilla en el siglo XIII, Madrid 1913, pp. cccxi segg., 155 segg. - Per l'opera legislativa, Las siete Partidas, ed. R. Acad. de la Historia, Madrid 1807; Opúsculos legales, ed. R. Acad. de la Historia, Madrid 1835, cfr. Marina, Ensayo histórico-crítico sobre la legislación, Madrid 1845. - Per la storiografia, Crónica general, ed. R. Menéndez Pidal, in Nueva Bibl. Aut. Españ., V, cfr. R. Menéndez Pidal, Discurso en la R. Acad. de la Historia, Madrid 1916, e Crónicas generales de España, 3ª ed., Madrid 1918. - Per le Cantigas, cfr. la prefaz. del M. de Valmar all'ed. della R. Acad. Españ., Madrid 1889, e il suggestivo lavoro di J. Ribera, La música de las Cantigas, Madrid 1922 (che la riannoda alla musica araba).