ALGERIA (A. T., 112)
L'Algeria è il settore medio dell'Atlante, di cui la Tunisia rappresenta il settore orientale e il Marocco il settore occidentale. Quindi i caratteri generali della sua struttura fisica si troveranno sotto la voce atlante.
L'Algeria è tra le regioni africane una di quelle di cui si posseggono migliori rappresentazioni cartografiche, grazie ai lavori compiuti dal Service géographique de l'Armée. Per tutta la parte settentrionale marittima, coltivabile e colonizzata (chiamata il Tell), esistono carte a 1 : 50.000, eccellenti, moderne, superiori alle vecchie 1 : 80.000 francesi. Per il sud, si hanno carte a 1 : 200.000, che sono abbastanza buone ma che tuttavia saranno sostituite da una raccolta ora in preparazione a 1 : 100.000.
L'Algeria fa parte a sé, in quanto essa è evidentemente una colonia francese, e una colonia nel vero senso della parola, colonia di popolamento, già centenaria, dove il numero e l'influsso degli immigranti hanno ormai trasformato radicalmente lo status quo.
Una delle sue caratteristiche più manifeste, quella che per l'appunto ha reso possibile l'intensità del fenomeno coloniale, è lo sminuzzamento del paese in provincie nettamente distinte, in contrasto tra loro e anche profondamente ostili l'una all'altra. Per dare dunque un'idea dell'Algeria, è opportuno procedere senz'altro alla sua descrizione regionale.
L'originalità dell'Algeria, di fronte alle due regioni vicine, la Tunisia e il Marocco, è costituita dall'esistenza di un'estesa zona di altipiani elevati stepposi, popolati da nomadi, la quale è frapposta tra la zona costiera, stretta e allungata (il Tell), con clima mediterraneo, e il deserto del Sahara. Tale genere di struttura, che ha presieduto a tutta l'evoluzione dell'Algeria, dev'essere esaminato prima d'ogni altra cosa.
Gli altipiani stepposi. - Gli altipiani hanno confini nettamente segnati da importanti gruppi montuosi. Al S. giungono all'Atlante Sahariano, ch'essi comprendono sotto il punto di vista climatico e antropico. Al N. e al NE. mettono capo ad una grande catena, che attraversa obliquamente l'Algeria, da Tlemcen a Biscra. Tale catena ha una profonda unità orografica, formando essa il coronamento montuoso al limite dell'antico penepiano (l'Horst algerino), che costituisce lo zoccolo degli altipiani (v. atlante). Pertanto questo coronamento è composto d'elementi disparati: l'Aurès, il Bellesma, il Bou Thaleb, il Maadid, il Dira, il Djebel Lakhdar, l'Ouarsenis, i monti di Tiaret, le causses di Saïda e di Tlemcen. Non v'è ancora un nome collettivo universalmente ammesso; e ciò è assurdo, non esistendo in tutta l'Algeria un tipo di struttura che abbia altrettanta importanza umana. Cosicché è stato proposto di adottarne uno; potrebbe dirsi la catena del limes, seguendo essa, presso a poco, il limes dell'impero romano, il cui tracciato è stato ricostruito con grande precisione.
Ad O. gli altipiani algerini continuano uguali nel Marocco orientale, fino alla valle della Muluia media e ai primi pendii del Medio Atlante. È questo un punto dove la storia ha preso in qualche modo il sopravvento sulla geografia.
Dentro questi confini così ben delineati, lo zoccolo degli altipiani va innalzandosi lentamente e progressivamente dall'E. all'O., dal bacino dell'Hodna (da 4 a 500 m.) alla frontiera del Marocco (da 1000 a 1200 m.); al di là della frontiera, lo zoccolo s'innalza fino a 1400 m. Nel punto più basso, bacino dell'Hodna, la continuità dell'Atlante Sahariano subisce grandi interruzioni tra la catena dei Biban e l'Aurès. L'Hodna e il Sahara sono in comunicazione sullo stesso piano; è quella la porta di Biscra, la strada delle invasioni, punto di grande importanza storica.
Racchiusi nella loro cerchia di monti, gli altipiani, attraverso alle epoche geologiche, hanno sempre sofferto d'aridità, e la cerchia montuosa, nell'insieme, non è stata molto intaccata dall'erosione. Sotto l'aspetto idrografico, gli altipiani elevati sono una serie di bacini chiusi, al basso di ciascuno dei quali v'è un lago salato: l'Hodna, che è il più grande di tutti, i Zahrez, i laghi Chergui e Gharbi. Tuttavia in un punto dentro i confini dell'Algeria, l'erosione regressiva di un uadi mediterraneo ha catturato un uadi degli altipiani elevati, e ne è risultato il Chéliff, che è uno dei fiumi più lunghi e più importanti del paese. Gli altri uidian (plur. di ued, uadi) degli altipiani sono brevi corsi d'acqua, che scendono dalla montagna al lago salato più vicino; fa eccezione l'ued Djedi, il quale nasce al S. di Dielfa, passa a Laghouat e va a finire presso Biscra, nel grande bacino chiuso dei laghi di Costantina e di Tunisi (Chott Melghir). La sua valle, con buoni pascoli, è notevole per la lunghezza e per la direzione. Costeggiando la base meridionale dell'Atlante Sahariano, essa è stata storicamente quasi un fossato di confine tra gli altipiani elevati e il Sahara, e costituisce una via di comunicazione battuta dai nomadi, tra Laghouat e Biscra.
Gli uidian degli altipiani sono fiumi di steppa, per lo più asciutti, che, dopo un uragano, convogliano enormi quantità d'acque, cariche di ciottoli e di limo, e che, quando sono giunti nella zona della loro espansione, seguono un corso capriccioso, precludendosi da sé stessi il cammino con la massa delle alluvioni accumulate. Essi hanno operato in tal guisa attraverso le età geologiche, ed hanno incrostato della loro colmatura tutta la superficie degli altipiani elevati, creando così un paesaggio di pianura, dove la linea dell'orizzonte è spesso regolare quasi quanto quella del mare.
Sugli altipiani, come del resto nell'Atlante Sahariano, la media annua delle piogge generalmente è inferiore a 300 mm.; troppo bassa perché sia resa possibile l'agricoltura, qualora si eccettuino certi punti privilegiati dell'estremità settentrionale, come la regione di Tiaret ed il Sersou, oggetto di millenarie lotte militari ed economiche tra nomadi e sedentarî,
Nelle parti dell'Atlante sahariano più elevate e meglio favorite dalla natura del terreno, vale a dire negli Oulad Naïl (Djelfa), nel Diebel Amour (Aflou), si sono conservati alcuni tratti di foreste: querce verdi, ma principalmente le specie più resistenti alla siccità, juniperus, tuia. Ma, nel loro insieme, gli altipiani elevati sono una steppa ininterrotta d'alfa e d'artemisia.
Per quanto tali condizioni possano apparirci svantaggiose, non dobbiamo dimenticare ch'esse sono assai migliori di quelle del Sahara. Al S. dell'Atlante sahariano le precipitazioni scendono subito al di sotto di 100 mm., e scompare la vegetazione in ogni parte, salvo in certi punti privilegiati, che sono assai rari.
Ad altezze che di poco s'allontanano dai mille metri vi sono notevoli oscillazioni di temperatura, in un'aria estremamente secca: estati torride, ma inverni freddi con frequenti nevicate. Come cosa assolutamente eccezionale, una volta o due si è verificato il caso di un piccolo drappello di soldati sorpreso e distrutto da una violenta tempesta di neve. Tali condizioni climatiche richiedono in Africa l'uomo mediterraneo di razza bianca, e lo allenano alla tolleranza e all'energia. Gli altipiani sembrano destinati ad alimentare grandi tribù nomadi, "queste belle bestie feroci" come dice Ibn Khaldūn.
Nella più remota antichità storica, che noi intravediamo soltanto per mezzo dei monumenti funebri, gli altipiani elevati appaiono già nettamente distinti dal rimanente. Essi sono ricoperti di tombe in pessimo stato, modesti cumuli di pietre, che si presentano sempre isolati o in piccolissimi gruppi. A N. della catena di confine le tombe sono assai più accurate, spesso affatto diverse (dolmen) e sempre raggruppate in cimiteri, che talvolta hanno una grande estensione. L'Atlante Sahariano è la sola regione dell'Algeria dove si trovino iscrizioni rupestri. I pochi selvaggi che riposano sotto i cumuli di pietre (se pure non sono quelli stessi che hanno inciso le pietre con iscrizioni), molto probabilmente erano i Getuli, di cui l'impero romano non si diede alcun pensiero, essendo essi fuori del confine, nonostante qualche tardiva velleità di portare più avanti il confine stesso.
Si deve tener presente che la popolazione era distribuita assai diversamente da oggi. Gli altipiani erano quasi disabitati, come attesta la presenza di mandre di elefanti selvaggi, mercé le quali Cartagine poteva rifornire i proprî eserciti. I Getuli non avevano alcuna importanza, poiché non disponevano del cammello. I Berberi erano nella impossibilità di varcare le immense zone desertiche, e tutto il Sahara algerino al S. dell'Oued Djedi era dominio etiopico, vale a dire negro. L'introduzione dell'allevamento del cammello, cominciando da Settimio Severo, fu uno dei benefizî recati dall'amministrazione romana, ma fu un benefizio funesto al benefattore, poiché a poco a poco si vennero formando le grandi tribù dei nomadi cammellieri, che invasero il Sahara, e in nessun luogo divennero così prosperose, come sugli altipiani algerini. I primi a trarre vantaggio dal cammello furono i Berberi, che gli storici arabi chiamano col nome di Zenātah; questi, dal sec. XI in poi, furono rafforzati dall'invasione dei beduini arabi Hilāliani, di cui adottarono tardivamente la lingua (non prima del sec. XIV), fondendosi alla fine interamente con essi.
A quelle grandi tribù di nomadi cammellieri, che ora parlano l'arabo e che sono i soli abitanti degli altipiani, è da attribuirsi l'evoluzione algerina; poiché esse per l'appunto hanno impedito che sorgesse, non solo una nazione, ma perfino uno stato di qualche durata, come se ne sono costituiti, qualunque sia il loro valore, in Tunisia e nel Marocco; hanno impedito il formarsi di grandi città indigene, quali Fez e Tunisi; ed hanno ridotto il paese in uno stato di decomposizione, che ha allettato i conquistatori stranieri, dapprima i Turchi, poscia i Francesi.
Il dannoso potere di questi nomadi non è venuto meno, per quanto dopo l'annientamento di Abd el-Kader, che fu sultano degli altipiani, ossia dopo il 1848, il prestigio militare della Francia si sia affermato del tutto; ma in questo lungo periodo di pacifico dominio lo sviluppo economico non ha progredito com'era da aspettarsi e com'è avvenuto in altre parti dell'Algeria. Eppure è stato fatto tutto ciò che occorreva: vi sono le ferrovie da Orano a Colomb-Béchar e Méchéria, da Algeri a Djelfa, da Costantina a Biscra e a Tuggurt; funzionano i servizî automobilistici, che prolungano e completano la rete ferroviaria. Al confine settentrionale, dove il clima l'ha permesso, la colonizzazione europea ha prodigato le sue cure alla terra (Tiaret, il Sersou); ma la steppa, nel suo insieme, non può essere che il paese della pecora. L'amministrazione ha organizzato rifornimenti d'acqua, ha perforato pozzi, ha studiato gl'incroci e la tosatura: i risultati non hanno corrisposto ai suoi sforzi. Qui, come altrove, i grandi progressi saranno possibili soltanto mercé l'iniziativa privata europea; interessanti tentativi fatti a tale scopo non hanno avuto successo. In Algeria, dove i coloni sono tanto cresciuti di numero da giungere quasi al milione, non v'è ancora un solo squatter. Tutto l'allevamento è sempre in mano dei nomadi indigeni, e si fa con metodi primitivi. In tutto ciò si deve ravvisare uno scacco, che si può ritenere momentaneo, specialmente di fronte ai bisogni di lana nazionale, determinati dalla nuova fisionomia del mercato mondiale in seguito alla guerra.
Gli altipiani di Costantina. - Spesso gli altipiani di Costantina sono stati compresi tra gli altipiani stepposi, dai quali sono tuttavia nettamente distinti.
Ad E. di Biscra e dell'Hodna non vi sono più altipiani nel significato geologico della parola; gli ultimi tratti della catena meridionale (Atlante Sahariano) vengono a raggiungere gli ultimi tratti della catena settentrionale (Atlante Telliano). Il carattere montuoso è assai accentuato; e quivi sorge il massiccio più pittoresco e più elevato dell'Algeria, l'Aurès, il quale, cosa rara, ha conservato il suo nome latino: Aurasius mons (altezza: 2329 metri). Sebbene la colmata dei bacini chiusi abbia sommerso non poco la catena, attraverso le alluvioni degli altipiani, per quanto queste siano spianate, si vedono sempre sporgere nelle vicinanze sollevamenti montuosi che hanno grande importanza rispetto all'uomo. Nella carta delle piogge, che dà implicazioni esatte, si rilevano condizioni assai più favorevoli che negli altipiani stepposi propriamente detti; ed anche in fondo ai bacini la media annua è di molto superiore a 350 millimetri. La parte più estesa della regione riceve oltre 400 millimetri, e vaste zone, come per esempio l'Aurès, ricevono oltre 500 millimetri.
L'Aurès ha veri torrenti di montagna, dove l'acqua scorre perennemente; e tutta la parte settentrionale degli altipiani si riallaccia al sistema idrografico mediterraneo: Oued el-Kebir, Seybouse, Megerda. Soltanto al centro esiste una striscia di piccoli laghi salati (Chott el-Beïda, Tarf). La bella carta fito-geografica del Maire (Algeri 1925) mostra come la zona dell'alfa e dell'artemisia sia divenuta meno densa e meno vasta, a vantaggio delle formazioni forestali e dell'associazione con lo zizyphus lotus. Si tratta d'una regione intermedia tra la vera steppa e il Tell perfettamente coltivabile; essa ha infatti un passato e un presente tutti suoi proprî. Ai tempi di Cartagine costituiva la Numidia, paese dei nomadi per eccellenza. In quel periodo anteriore al cammello il nomadismo dei cavalieri numidi era quivi attirato dalle migliori condizioni dei pascoli e dalla vicinanza di Cartagine; e quivi si sono rinvenute le più belle tombe monumentali dei re numidi: il Medracen a NE. di Batna, la tomba di Massinissa al Kroub, a S. di Costantina.
La pace romana eliminò del tutto i Numidi, di cui non conservò se non il nome. La Numidia romana fu un paese di grandi proprietà rurali, esportatore d'olio d'oliva e con numerose città, delle quali Timgad è la meglio restaurata: Lambesis, guarnigione della III legione, Theveste, oggi Tebessa, Madaura, patria di Apuleio, oggi Mdaourouch, ecc. Di tali città sono rimaste le rovine in perfetto stato di conservazione, perché esse furono incendiate e saccheggiate, ma non furono giammai ricostruite. La vita urbana e la vita agricola non sopravvissero alla pace romana.
Si ricostituì il nomadismo, ma non fu più il gran nomadismo militare e sovrano dei Numidi. L'introduzione del cammello aveva modificato le condizioni generali di vita ed allargato l'orizzonte del nomade. Soltanto più ad ovest, sugli altipiani stepposi, il gran nomade cammelliere trovò le condizioni più favorevoli per la propria esistenza; e là i discendenti degli antichi Numidi ebbero un posto predominante.
Essi si chiamano Chaouïa (Shāwiyah), cioè "mandriani di pecore"; ciò che non significa ch'essi siano i grandi produttori algerini di lana, ma semplicemente che la pecora, animale da povera gente, costituisce il loro unico bestiame; e invero non posseggono né cammelli né cavalli, che sono animali nobili. Mentre la mancanza di bestie da soma sarebbe sufficiente a impedir loro le grandi escursioni lontane d'intere tribù, che costituiscono la base del grande nomadismo, le escursioni stesse non sono richieste dalla natura del paese. Gli Chaouïa sono nomadi dai brevi percorsi, che, secondo le stagioni, si spostano dalla pianura alla montagna sempre vicina. Sebbene siano provvisti di tende, hanno anche villaggi, la cui costruzione, sotto un certo aspetto, è caratteristica. Ciascun villaggio ha la sua guelaa (qal‛ah), magazzino in comune, in cui ogni famiglia racchiude le sue povere provviste; tale magazzino non solo è fortificato, ma è altresì situato in una posizione quasi inaccessibile, cosicché non ha bisogno di uomini che lo difendano; circostanza questa che dà un'idea della vita chaouïa: per mesi interi il villaggio rimane senza abitanti, ma la popolazione non commette mai l'imprudenza d'allontanarsi tanto, che le comuni riserve restino affidate alla sola custodia d'un magazzino ben chiuso.
Le caratteristiche della montagna si riscontrano principalmente nell'Aurès. Le alte valli dell'Oued Abdi e dell'Oued el Abiod costituiscono un mondo assolutamente isolato, ch'è in comunicazione coll'esterno solo per lo stretto passo di Tiratimin. Ma gli Chaouïa si estendono a N. fino alle porte di Costantina e di Souk-Ahras, e giungono a E. fino in vicinanza della frontiera tunisina. Essi hanno conservato il dialetto berbero.
In tutte le parti del Maghreb, dove ha prevalso la piccola transumanza (ad esempio, presso i Berāber del Marocco), lo sminuzzamento della vita pubblica in piccolissimi gruppi impotenti, accoppiato all'energia individuale dell'uomo, ha dato origine a un grado di barbarie più accentuato, a un isolamento in mezzo alla vita generale, che, attraverso l'età di mezzo, è durato fino al presente. Questo carattere si osserva soprattutto nell'Aurès; il fatto che quivi il passato è più vivo che mai richiama su di esso la curiosità dei turisti e l'attenzione degli scienziati.
Finora la Francia è rappresentata nell'Aurès dai suoi amministratori e da strade camionabili di costruzione assai recente. In compenso, le alte pianure al N. dell'Aurès sono solcate da una rete di linee ferroviarie. La grande linea Costantina-Biscra per Batna le attraversa dal N. al S. in tutta la loro larghezza. Tebessa è congiunta al Tell da altre due linee: Tebessa-Costantina e Tebessa-Souk-Ahras. Khenchela (l'antica Mascula) è servita da una diramazione. Lungo le ferrovie certi nomi di villaggi, come Canrobert, Auguste Comte, ecc. rivelano la colonizzazione ufficiale; ma si ha l'impressione che in questi luoghi essa non abbia ancora ottenuto i risultati ottenuti altrove. Molto resta ancora da fare per poter restituire alla regione Chaouïa la floridezza economica della Numidia romana.
Il Tell. - Tutto ciò che rimane, tolti gli altipiani stepposi e gli altipiani di Costantina, appartiene al Tell. Ciò che caratterizza il Tell sotto l'aspetto fisico è il fatto ch'esso ha ricevuto dai fiumi mediterranei una modellatura normale d'erosione, la quale è in contrasto con quella di colmatura in bacini chiusi, che domina al sud. Sotto l'aspetto climatico, esso riceve una quantità sufficiente di piogge. È la zona dei contadini sedentarî, la base della potenza economica algerina, la regione colonizzata.
Il Tell è altresì la costa, per quanto sia una costa che esercita un influsso minimo sul retroterra. Essa è tagliata a picco, e si abbassa d'un tratto a grandi profondità, senza uno zoccolo continentale che offra un'ampia zona di sfruttamento ai pescatori. Ed è, per soprappiù, una costa d'emersione continentale, al contrario della costa tunisina, dove la sommersione ha dato origine a un certo numero di promontorî (Biserta). La costa algerina ha parecchie grandi baie falcate, molto aperte, di tipo uniforme (Orano, Algeri, Bugia, Bona), nelle quali la città marittima sorge invariabilmente lungo la concavità occidentale, dove è abbastanza difesa dalle più violente tempeste, pur rimanendo esposta ai colpi di vento del N. e del NE. Mare saevum, litus importuosum, diceva Sallustio. La vita marittima indigena non si è per nulla sviluppata. I marinai del Maghreb sono sempre stati stranieri, dal tempo dei Cartaginesi a quello dei Turchi d'Algeri. I porti francesi sono artificiali. Quest'isolamento dal mare ha certo contribuito a far sì che, nel mondo mediterraneo, le popolazioni del Maghreb fossero costantemente alla retroguardia della civiltà dei Berberi (etimologia probabile: la parola latina barbari).
Il Tell è una striscia di terra racchiusa tra il mare e la steppa, striscia lunga un migliaio di chilometri e larga appena un centinaio; e fu spesso osservato come tale conformazione sfavorevole ostacolasse il formarsi d'uno stato con un unico centro. Deve aggiungersi inoltre che questo territorio, che nell'insieme è assai montuoso, è suddiviso in settori nettamente distinti tra loro.
La Cabilia. - Bisogna anzitutto prendere in esame separatamente il settore della Cabilia, che è la parte più montuosa del Tell, e dove sorge, nel Djurdjura, la vetta più elevata, che tocca i 2308 metri. Ma quivi i monti sono, più che altro, massicci. I paesaggi più famosi sono alcune gole (gorges) scavate profondamente nello zoccolo (Palestro, Porte di Ferro, Gole di Kerrata). La massa montuosa costeggia immediatamente il mare (rinomata cornice seguita dalla strada tra Bugia e Djidjelli), e non è interrotta da pianure interne; tra le zone piane, la più importante è la valle del Soummam. che termina a Bugia, ma essa è angusta e dominata da alte montagne: i Turchi di Bugia non hanno mai potuto utilizzare il Soummam come via di accesso.
Il massiccio della Cabilia attira le piogge, e nell'insieme è chiuso nella curva di 800 millimetri, sebbene buona parte di esso ne riceva più di un metro. Una stazione ha dato come media decennale 1357 mm. Le maggiori foreste dell'Algeria sono nella Cabilia, specialmente sulle arenarie del flysch (diverse specie di querce verdi; grandi estensioni coperte di sugheri).
Gli abitanti della Cabilia rappresentano ciò che il paese ha di più caratteristico.
Non si deve dimenticare che una tribù di Cabili, quella dei Ketāmah, fondò la dinastia Fāṭimida, e che sotto i Fāṭimidi e sotto gli emiri Ṣanhāgiah, dal sec. X al XII, i Cabili dominarono tutto il Maghreb ad E. della Muluia. Nessun'altra tribù algerina ha un passato simile; ed anche presentemente i Cabili conservano una specie di primato. All'estremità orientale della Cabilia (ad est dei Babors, tra Sétif e Djidjelli), vale a dire nell'antico territorio dei Ketāmah, gl'indigeni parlano un arabo speciale, che pare risalga alla grande epoca fāṭimida; ma altrove i Cabili parlano il berbero, e in generale non parlano l'arabo; sono però assai diversi dai loro vicini, gli Chaouïa, parlanti anch'essi il berbero, contadini sedentarî, soprattutto arboricultori, assai gelosi della proprietà individuale e dei loro terreni. I Cabili vivono raggruppati in grossi villaggi, che hanno sempre amministrato da sé, e che, fino alla conquista francese, non avevano mai obbedito ad un padrone straniero. Essi hanno destato un vivo interesse nei dotti, e sono stati da questi studiati come nessun altro gruppo d'indigeni.
La densità della popolazione è assai più forte che in tutti gli altri gruppi indigeni: raggiunge infatti oltre 100 abitanti per chilometro quadrato. Questa razza montanara, povera, energica e prolifica, emigra a sciami. Dal 1830 i Cabili tendono ad allontanare gli altri indigeni dalla città d'Algeri. I contrabbandieri cabili s'incontrano dappertutto. L'immigrazione d'Algerini indigeni in Francia, aumentata dopo la guerra, è in massima parte di Cabili (quasi 100.000 individui). Tale emigrazione, che è temporanea, restituisce alla Cabilia uomini che si sono resa familiare la lingua francese e che hanno aperta la mente a nuovi orizzonti.
La Cabilia è l'unica parte del Tell che abbia opposto alla penetrazione dei coloni una resistenza economica; il che già avveniva ai tempi dell'impero romano: invero sono ben poche le rovine romane rintracciate dagli archeologi nella regione.
La strada romana, che congiungeva la Mauretania Sitifiana alla Mauretania Cesariana, ossia la regione di Sétif a quella d'Algeri, non passava attraverso la Cabilia, ma ne contornava il lembo meridionale (Auzia, Rapidi; oggi: Aumale, Berrouaghia). In questo la Francia non ha seguito Roma. Alla via delle creste, cara agli indigeni, l'ingegnere moderno, non volendo allontanarsi dalla costa, preferisce sempre la via delle valli. Così la ferrovia attraversa la Cabilia per la valle dell'Isser e per quella del Soummam, con diramazioni verso i centri urbani: Tizi-Ouzou, Bugia. In nessun altro luogo i treni passano in mezzo a un paesaggio così grandioso; qui essi si addentrano in magnifiche gole (Palestro, Porte di Ferro). Tizi-Ouzou, capitale della Grande Cabilia, in un anfiteatro di picchi granitici, ciascuno dei quali ha sulla vetta un villaggio di Cabili, con l'orizzonte chiuso al S. dalle creste calcari e dentate del Djurdjura, è un mirabile centro d'escursioni. Una strada camionabile compie il circuito, congiungendo Tizi-Ouzou a Bugia, attraverso magnifiche foreste. Gli interessi del turismo sono adunque ben serviti; ma lo sono meno quelli della colonizzazione.
Sull'antica strada romana, attorno ad Aumale, la mancanza di linee ferroviarie ha ostacolato ogni progresso. Lungo la ferrovia, nel cuore delle montagne, gli si è opposta la resistenza economica dei Cabili, che vivono del loro lavoro, e nutrono un vivo amore per la terra. Bugia, ch'è il porto naturale meno cattivo dell'Algeria, non è diventato un grande porto commerciale, al pari di Algeri, Orano o Bona. Il viaggiatore che si reca in treno da Algeri a Costantina, entrando nella Cabilia non vede più il susseguirsi ininterrotto delle vigne e dei campi; tale spettacolo egli ritroverà soltanto fuori della Cabilia, nelle vicinanze di Sétif. La Cabilia è frapposta tra le due parti profondamente colonizzate del Tell, l'occidentale e l'orientale.
I dipartimenti. - Fuori della Cabilia, l'Atlante Telliano non ha più un carattere così uniformemente montuoso, ma è cosparso di pianure sublitoranee, specialmente sviluppate ad O.: Mitidja, pianura del Chélif, pianure d'Orano, e che, al di là della Cabilia, ricompaiono anche ad E.: pianura di Bona. Queste pianure, dall'humus profondo, sono state il punto d'appoggio e il centro d'irradiamento della colonizzazione.
L'Algeria, trattata come un prolungamento della metropoli, è stata divisa amministrativamente in tre dipartimenti, simili ai dipartimenti francesi, sebbene assai più grandi: dipartimenti d'Algeri, d'Orano e di Costantina. Tale suddivisione in dipartimenti comprende tutta l'Algeria, e le frontiere dei dipartimenti stessi, tracciate affrettatamente, senza la collaborazione del tempo, fuori del Tell, non corrispondono sempre a confini naturali. Nel Tell stesso una frontiera amministrativa divide in due parti la Cabilia; la sotto-prefettura di Tizi-Ouzou dipende da Algeri, e quella di Bugia dipende da Costantina. Ma nel Tell colonizzato la divisione in dipartimenti non è così artificiale; essa è la sola che risponda alla condizione attuale delle cose. La vita indigena anteriore, disgregata da una potente colonizzazione oramai non è più se non un ricordo erudito.
Dipartimento d'Algeri. - Il cuore del dipartimento d'Algeri è la grande pianura della Mitidja, che possiede tutte le condizioni necessarie alla prosperità agricola. Vi cadono da 700 a 800 millimetri di pioggia. Sulle montagne (Atlante di Blida) il perdurare della neve sul suolo permette un certo sviluppo degli sport invernali.
Grazie a tali condizioni climatiche, si è potuto mettete in valore una terra mirabilmente fertile. Bisogna tuttavia tener presente la situazione centrale, in vicinanza d'un confine naturale tra due settori del Tell assai diversi, i monti della Cabilia ad est, tra i quali la Mitidia è mezzo incuneata, e, ad O., la catena delle pianure sublitoranee, che s'estende fin oltre la frontiera del Marocco e di cui la Mitidja è il primo anello. Non a caso il territorio della Mitidja è stato, attraverso i secoli, sede di grandi capitali. La Caesarea romana (la Cherchell francese) è un'antenata d'Algeri (il Tombeau de la Chrétienne, sepolcro dei re di Cherchell, si scorge da Algeri). Sul meridiano d'Algeri, al confine meridionale del Tell, presso Boghari, Achir fu un'altra grande capitale, quella degli emiri Ṣanhāgiah.
Una strada storica, che corrisponde presso a poco al percorso attuale della ferrovia, collegava Achir-Boghari alla costa. Essa era fiancheggiata da Médéa e da Miliana, due città (oggi sotto-prefetture) che furono sempre strettamente legate alla sorte d'Algeri. Al tempo dei Turchi, Médéa era un governatorato sottoposto a quello d'Algeri. Nei primi anni della conquista francese il vettovagliamento di Médéa e di Miliana fu sempre l'argomento preponderante di tutte le discussioni riferentisi alla guarnigione d'Algeri. Attualmente Médéa e Miliana, pur essendo rinomate per i loro vini eccellenti, sono in grande decadenza; specialmente Miliana, che una volta era situata proprio sulla strada delle creste, ora è annidata alle falde della montagna, molte centinaia di metri al disopra della sua stazione.
La vera capitale della Mitidja è Blida, la città degli aranci, la quale è sede anch'essa di sottoprefettura; ma, al pari di tutte le altre, è soverchiata da Algeri.
La Mitidja e le colline del Sahel, che la separano dal mare, costituiscono forse la parte dell'Algeria dove l'eliminazione dell'indigeno, dovuta al progresso economico, è giunta al più alto grado. Al loro giungere, i Francesi trovarono il Sahel ricoperto di palme nane e di lentischi, e la Mitidja cosparsa di pantani e di fitti boschi, dove Bonbonnel poteva ancora andare a caccia della pantera. Al presente, non v'è più un palmo di terreno incolto. Nel 1913 l'ettaro aveva un valore minimo d'una decina di migliaia di franchi, per non parlare delle cifre odierne, che sono addirittura favolose. Apprendiamo dagli storici che, sotto Luigi Filippo, nella Mitidia v'erano cavalieri Hadjoutes, che diedero molto filo da torcere ai soldati francesi; adesso è impossibile immaginare quello che siano potuti divenire i loro discendenti. Tutte le tribù sono disperse, e gl'indigeni rimasti si sono adattati alla vita comune nei villaggi europei. Secondo il censimento del 1921, nella città d'Algeri, su una popolazione totale di 195.635 ab., vi erano soltanto 47.669 indigeni.
Dipartimento d'Orano. - Nel dipartimento d'Orano la colonizzazione ha un carattere meno unitario; vi sono centri che conservano un'individualità propria.
Il più notevole di essi è senza dubbio Tlemcen, città diversa da tutte le altre dell'Algeria. È situata presso la frontiera del Marocco, all'estremità orientale del famoso corridoio di Taza, la cui estremità occidentale è custodita da Fez. Fu la più umile rivale di Fez e la capitale storica dei nomadi algerini Zenātah. È un gioiello d'architettura ispano-moresca, ed è la sola città dell'Algeria che nel Medioevo sia sfuggita alla distruzione. Essa è altresì la sola città algerina nella quale la Francia abbia trovato un importante nucleo borghese, residuo di quella cultura musulmana, che, se pure già era in decadenza, fu sopraffatta dal progresso della colonizzazione.
Posta ai piedi di un altopiano calcareo, una vera causse, tutta rivestita di pini d'Aleppo, Tlemcen è alimentata dalle sue copiose sorgenti, ed ha sotto di sé la ricca valle della Tafna, già ben colonizzata. Qui le condizioni climatiche sono più favorevoli che nel resto del dipartimento. Sulla causse le precipitazioni raggiungono i 700 mm., di cui la maggior parte sotto forma di neve. Tlemcen è la sentinella avanzata verso occidente dei coloni oranesi, i quali con ardore hanno preso ad invadere il Marocco. Nel 1921 aveva 40.775 ab., dei quali 29.628 indigeni, percentuale enorme, trattandosi d'una città algerina.
Anche Tiaret è caratteristica. Situata al limite degli altipiani stepposi, a grande altezza (1200 m.), ha inverni assai rigidi. Chi giunga sugli altipiani stepposi provenendo da E., trova a Tiaret, dopo Boghari, la prima grande via d'accesso per discendere nelle pianure oranesi, attraverso l'Atlante dell'Ouarsenis. È questa l'apertura della Mina, seguita dalla ferrovia, e l'altipiano di Mendez, seguito dalla strada delle creste. La regione di Tiaret è stata un importante centro politico. Una dinastia berbera, contemporanea della dominazione bizantina, ha lasciato curiosi monumenti funebri, i Geddār. La dinastia Rustemide, la quale ebbe una potenza notevole nel sec. X, aveva per capitale Tiaret. Dell'antica città nulla rimane; la moderna è il piccolo centro urbano di un'estesa regione agricola, dove il dry farming ha operato meraviglie. A N., l'altipiano di Mendez; a E., il Sersou.
Sono pure da menzionare Sidi-Bel-Abbès, centro della Legione straniera, e Mascara, patria di Abd-el-Kader, su una distesa di pianure intermedie, tra gli altipiani stepposi e le pianure oranesi. Sidi-Bel-Abbès, poi, favorita da un terreno reso fertile dalla vicinanza di depositi di fosfati, ha riportato i maggiori trionfi della colonizzazione oranese, col ripristinare quei metodi d'avvicendamento delle colture, vecchi come Cartagine, ai quali si è poi dato il nome di dry farming. Nella regione di Mascara, nelle ampie valli che si stendono tra i dirupi della causse, i successi del dry farming giungono fino a Saïda.
La pianura dello Chélif, che si prolunga nelle pianure oranesi, ha un'estensione immensa; il suolo vi è molto fertile, sebbene talvoha sia necessario rompere la crosta calcarea (il caliche degli Americani); ma le condizioni climatiche sono molto meno buone che nella Mitidja, sebbene i monti che la recingono (Zakkar a N., Ouarsenis a S.) ricevano una notevole quantità di piogge. Nell'Ouarsenis (Teniet-el-Hâd) è la più bella foresta di cedri di tutta l'Algeria. Nella pianura, invece, la quantità di piogge in certe località si abbassa fino al disotto di 400 mm. Tutto l'Oranese, riparato dai venti piovosi grazie alla barriera montuosa del Marocco, soffre più o meno di siccità; inoltre esso è stato invaso, attraverso i secoli, dai nomadi degli altipiani stepposi, Zenātah ed Arabi; e contrapponendosi a questi, la colonizzazione ha riconquistato il suolo. Al contrario dei Cabili, i nomadi, fuori delle loro steppe, sono incapaci di una forte resistenza economica; e il viaggiatore che attraversa in treno le pianure dello Chélif e dell'Oranese ha costantemente sotto gli occhi lo scacchiere dei campi coltivati all'europea. Per aumentare la quantità d'acqua disponibile, si moltiplicano le chiuse allo sbocco dei torrenti di montagna; e i notevoli risultati ottenuti nella coltura del cotone dànno buone speranze per l'avvenire.
Orléansville, sullo Chélif, dipendente amministrativamente da Algeri, fa già parte del quadro economico dell'Oranese. Altre piccole città del basso Oranese, i porti di Mostaganem e d'Arzew, non hanno alcun valore. Orano sola predomina; essa non ha, al pari di Algeri, pretese di capitale, ma non è perciò meno importante. Il censimento del 1921 dava 138.212 ab., di cui 20.059 indigeni. Comunemente si suole indicare col nome d'Oranese tutta la giurisdizione di Orano, ossia il dipartimento.
Dipartimento di Costantina. - Nel dipartimento di Costantina la situazione è diversa, poiché vi si nota un evidente dualismo. Una parte di esso corrisponde alla Mitidja e alle pianure oranesi: la pianura di Bona. Questa è bene irrigata; anzi, sotto un certo aspetto, si potrebbe affermare che lo è fin troppo (immenso pantano del lago Fetzara, malaria terribile). Nei monti circostanti, al Capo Bougaraun, si trova la stazione meteorologica, la quale, per la media delle piogge, segna la cifra più elevata dell'Algeria (1809 millimetri, poco meno di 2 metri). Alla frontiera della Tunisia, nei monti di Souk-Ahras, esistono foreste, anche più belle di quelle della Cabilia, nelle quali vive una specie di cervo africano. Bona e Guelma sono città antiche (Hippo e Calama): Sant'Agostino e Procopio parlano di tutta la pianura e dei monti circostanti non ancora liberati dall'influsso di Cartagine. In questa provincia, dove si parla l'arabo, la lingua semitica è in uso da 2000 anni.
La colonizzazione ha avuto un forte sviluppo; dopo la guerra i coloni di Bona si sono dati alla coltivazione del cotone con un notevole spirito d'iniziativa.
Ma la pianura di Bona non comprende tutto il dipartimento; un altro centro importante e distinto di colonizzazione è costituito da Costantina. Quivi il Tell si prolunga al. S. negli altipiani, la cui estremità settentrionale, al N. dei laghi salati, offre ottime condizioni per la coltura dei cereali: humus profondo, da 500 a 600 mm. di precipitazioni, che cadono d'inverno sotto forma di neve. Dall'O. all'E., si succedono la Medjana (Bordj-bou-Arréridj), gli altipiani di Sétif (Mauretania Sitifiana dei Romani) e gli altipiani di Costantina. La linea ferroviaria Algeri-Tunisi, all'uscire dalla Cabilia, costeggia questi fertili altipiani; Bona è servita soltanto da una diramazione di essa. La linea di confine fra il Tell e la regione alta, cioè tra l'agricoltura e la pastorizia, è in ogni parte una zona occupata da città (nell'O. Tiaret, Tlemcen); ma qui si tratta d'una vera provincia.
Costantina, l'antica Cirta, è sempre stata capitale; tale era al tempo dei Turchi, e tale rimane ufficialmente; ma è ben lungi dall'occupare nel dipartimento il posto predominante d'Algeri e d'Orano (73.116 ab.). Cinta dalle famose gole del Rummel, essa fu già una fortezza militare; in tempo di pace, è soprattutto un mirabile centro turistico; il suo porto, Philippeville, è mediocre. Ma la città nella quale più ferve la vita è Bona (41.777 ab., di cui 13.681 indigeni). Il dipartimento di Costantina rimane così effettivamente diviso in due zone separate e distinte.
Economia e popolazione. - Nel corso di duemila anni, nonostante l'indole bellicosa della popolazione, l'Algeria non si è mai governata da sé, ma ha appartenuto successivamente a conquistatori stranieri: Cartagine, Roma, Vandali, Bisanzio, Arabi, Turchi e Francesi. Le sue grandi città, Algeri, Orano, Costantina, Bona, sono straniere. Nel suo territorio non esistono grandi città indigene, quali Tunisi e Fez, centri di civiltà musulmana; e non vi sono quindi borghesie indigene organizzate. L'Algeria indigena è rurale per eccellenza. Tutte queste circostanze hanno una grande importanza.
Tale situazione straordinaria ha cause profonde: geografiche, politiche ed anche economiche. Allungantesi al margine del deserto, l'Algeria non ha nessuna di quelle condizioni di colture varie, che costituiscono la prosperità individuale del contadino. Essa ha grandi prodotti agricoli: l'olio di oliva, il vino, gli agrumi, le primizie, il sughero, il crine vegetale, l'alfa e la lana; ma, per esser messi in valore, questi prodotti richiedono la coltura e l'organizzazione su larga scala per l'esportazione, cioè forti capitali e uno sbocco in mercati stranieri.
Lo studio delle ricchezze minerarie porta alle stesse conclusioni. Mancano il carbon fossile (miniera quasi improduttiva di Kénatsa) e il petrolio (gli assaggi dell'Oranese hanno dato esito negativo); gli uidian sono troppo irregolari per poter essere utilizzati come sorgenti d'energia. Mancano adunque le basi per una vera vita industriale. Esistono, tuttavia, notevoli prodotti minerali. L'Africa del Nord ha i più ricchi giacimenti di fosfati del mondo e l'Algeria ne contiene una buona parte, specialmente nella regione di Tebessa (il Kouif, il Djebel-Ong), ma non ne ha ricavato lo stesso profitto dei paesi vicini, la Tunisia e il Marocco, non essendo favorita dalla legislazione mineraria, ch'è quella stessa della metropoli. Possiede pure considerevoli giacimenti di ferro (Moctael-Hadid, Beni Saf, l'Ouenza) e importanti miniere di piombo e di zinco (Bou-Thaleb, Guergour, ecc.). L'industria delle miniere si è sviluppata soprattutto nel dipartimento di Costantina, o perché il sottosuolo è forse più ricco di minerali, o perché i prospecteurs istituiti in Tunisia, con una recente legge mineraria, hanno passato la frontiera. Comunque, tali ricchezze non possono essere utilizzate finché rimangono in Algeria; bisogna che il minerale greggio sia inviato ai centri industriali europei. I prospecteurs hanno trovato le gallerie delle miniere romane, quali Roma le aveva lasciate; da quei tempi non era più stato dato un colpo di piccone.
L'Algeria ha goduto d'una grande prosperità tutte le volte ch'essa ha fatto parte d'un complesso politico ed economico oltrepassante le frontiere dell'Africa settentrionale; così fu sotto l'impero romano. così è ora sotto il dominio francese.
La colonia ha un bilancio di 834 milioni.
Nel 1925 la bilancia commerciale si presentava così: importazioni 3 miliardi e 275 milioni, di cui 2 miliardi e 702 milioni dalla metropoli; esportazioni 2 miliardi e 404 milioni, di cui 1 miliardo e 726 milioni alla metropoli.
L'Algeria è la base della dominazione francese nell'Africa del Nord, perché ha una popolazione europea di 872.431 ab. (censimento del 1926). Tale successo deve senza dubbio attribuirsi alla colonizzazione ufficiale, che è stata fatta sistematicamente. Tutte le critiche mosse alla colonizzazione ufficiale, su questioni particolari, sono ingiustificate: lo stato ha mostrato anche là le sue solite deficienze inevitabili; ma in paese musulmano nulla si sarebbe potuto fare senza la colonizzazione ufficiale, che ha reso le terre suscettibili d'adattamento. I coloni, pur non rimanendo là dove li aveva posti l'amministrazione, non sono usciti dal paese, vi hanno creato la ricchezza e sono aumentati di numero.
La colonizzazione ufficiale e il regime politico conferiscono la preminenza all'elemento francese. Sono numerosi i coloni italiani e anche più gli spagnoli; ma la vita africana, così diversa da quella europea, ben presto fa sì che questi elementi, qualunque sia la loro origine, si fondano in un comune sentimento algerino. Gli Italiani sono numerosi; se ne contano 15.500 nel dipartimento di Costantina, 11.000 in quello di Algeri, 10.000 circa in quello di Orano; raggruppati soprattutto nelle città, sono commercianti, impiegati, imprenditori di lavori, addetti alle piccole industrie o esercitanti mestieri varî. Numerosi sono i muratori, e più ancora i pescatori, quasi tutti dell'Italia meridionale. L'Algeria, nonostante la sua divisione in dipartimenti, ha un parlamento locale: le Delegazioni finanziarie.
Tra gli indigeni, gli Israeliti sono i soli che abbiano accettato in tutto e per tutto la vita europea. Gli altri, ossia i Musulmani, sono in numero di 5.147.385.
La distinzione tra quelli che parlano il berbero e quelli che parlano l'arabo è assai profonda, costituendo una differenza radicale, non solo di lingua, ma anche di modo di vita. Un detto indigeno, nato dopo la grande guerra, paragona i Berberi e gli Arabi ai Francesi e ai Tedeschi. Anche altre suddivisioni concorrono al disgregamento: i Mzabiti, ad esempio, rappresentano un elemento importante e nettamente distinto (v. sahara). Certi Musulmani, molto meno numerosi degli Israeliti, giungono a conquistare ricchezze, un posto in seno alla borghesia e una cultura europea. In Algeria, i Musulmani tendono alla naturalizzazione francese; ma sono impacciati dal loro "statuto individuale", ossia dalle diversità giuridiche esistenti tra la legislazione islamica e il codice civile. Il fatto che gli Europei, rappresentanti appena un quinto della popolazione, occupino un posto politicamente e socialmente privilegiato in un aggruppamento musulmano appare nell'Islām un fenomeno unico, le cui conseguenze sono sensibilissime. Il contatto quotidiano nella scuola, nelle vie, negli affari (non però tra le pareti domestiche), a lungo andare produce una lenta metamorfosi, che si avverte quando, uscendo dall'Algeria, si passa in altri paesi dell'Islām, anche se vicini. Gli indigeni del Marocco chiamano quelli dell'Algeria nuṣṣ msĕlmīn "mezzi-musulmani".
Algeri è stata conquistata nel 1830; ma lo spirito della colonizzazione s'è destato molto più tardi, vale a dire nel 1872, allorché il flagello della fillossera piombava sui vigneti francesi. È notevole il fatto che in Algeria, come altrove, l'istituzione dell'impero coloniale della Francia sia dovuta specialmente alla Terza Repubblica.
L'Africa Australe inglese è, con l'Algeria, l'unica parte del continente nero dove l'Europeo abbia messo radice. La Città del Capo è stata fondata nel 1650, ossia due secoli prima di Algeri. Ora, mentre nell'Africa Australe la popolazione europea odierna è di 1.521.635 ab. (Boeri e Inglesi), in Algeria essa è giunta a superare il milione, con le immigrazioni dal Marocco e dalla Tunisia. Giustamente qualcuno ha richiamato l'attenzione sul fatto che la colonia europea dell'Africa Australe è stata fondata e può sostenersi senza alcun aiuto militare da parte della metropoli; non è certamente questo il caso dell'Algeria; ma resta a vedere se ciò costituisca un danno o un vantaggio.
Delle scuole primarie, 663 sono riservate agli indigeni musulmani e 110 sono miste. L'università (Algeri) è formata di 4 facoltà.
Bibl.: J. Carcopino, Le "limes" de Numidie, in Syria, 1925; Edm. Doutté e E. F. Gautier, Enquête sur la dispersion de la langue berbère en Algérie, Algeri 1913; G. B. M. Flamand, Les pierres écrites (Hadjrat-Mektoubah). Gravures rupestres du Nord africain, Parigi 1921; L. F. Frobenius, Der kleinafrikanische Grabbau, in Praehistorische Zeitschr., 1916; E. F. Gautier, Les premiers résultats de la mission Frobenius, in Revue africaine, 1921, p. 47; id., Histoire du Maghreb, Parigi 1926; id., Cavernes du Dir. Les petits nomades, in Hespéris, 1925; Atlas archéologique d'Algérie, Parigi 1904 segg.; S. Gsell, Le Sahara au II siècle, in Mémoires de l'Acad. des inscriptions, XLIII; id., Monuments antiques de l'Algérie, Parigi 1901; Hanoteau, La Kabylie et les coutumes Kabyles, 2ª ed., Parigi 1893; E. Masquerray, Formation des cités chez les populations sédentaires d'Algerie, Parigi 1886; A. Peyerimhoff, Enquête sur les résultats de la colonisation officielle, Parigi 1906.
Etnografia. - Gli indigeni. - L'Algeria, individualità politica, non ha caratteri etnici che la differenzino dai paesi vicini, ma ha su alcuni di questi il vantaggio di essere assai bene conosciuta. La preistoria mostra per il Paleolitico inferiore gli stessi stadî europei. Il paese ha, nell'Atlante sahariano, anche antiche incisioni rupestri, molto meno belle però e più recenti delle incisioni magdaleniane della Dordogna. Nel nord vi sono molti dolmen, più a sud invece si trova una forma di sepoltura originale, il regem: allo stato rozzo, è un mucchio di sassi sotto il quale si trova lo scheletro rannicchiato, col mento sui ginocchi; forme sempre più stilizzate conducono a strani monumenti funerarî storici, il medracen cartaginese, la tomba detta "della cristiana" attribuita a Giuba re di Cesarea, ed i Geddār dell'epoca bizantina. L'età della pietra deve essersi prolungata qui più che altrove, mentre deve essere quasi mancata l'età del bronzo; utensili neolitici, misti ad utensili ed armi di ferro, si trovano nei regem insieme con monete cartaginesi e anche romane. I dolmen portano talora sulle lastre di pietra iscrizioni latine. È probabile che si debbano a manomissioni secondarie; ma l'algerino, come il magrebino in genere, ha conosciuto molto tardi la civiltà, è sempre stato ed è ancora un ritardatario.
L'Algeria cartaginese era certamente poco popolata, poiché grandi mandre di elefanti selvatici vi vivevano in pace. Il paese si popolò in seguito all'amministrazione romana, ma non pare che la razza sia molto cambiata dall'inizio della storia, cioè in questi ultimi 2000 anni. Per essa gli Algerini, come tutti i Magrebini, appartengono alla cerchia dei popoli mediterranei; i Negri si trovano solo nelle oasi sahariane dell'estremo sud. Ma essi non presentano un tipo ben determinato e costante. Tutt'al più va notato che il clima e la vita dura imprimono un temperamento comune, già notato da Sallustio: "velox, patiens laborum.... plerosque senectus dissolvit". Il solo grande principio unitario è la comunanza della religione e della civiltà musulmana. Nel paese di S. Agostino, il cristianesimo, prima dominante, è improvvisamente sparito sotto la conquista araba, senza lasciare traccia alcuna. Pure nel regno di Bugia, nel sec. X e XI, un vescovo cattolico era ancora tollerato dai sovrani musulmani, e villaggi cristiani (qṣūr nṣārā) in rovina esistono nel sud dell'Algeria (Oued Saoura); questi ultimi vestigi del cristianesimo furono annientati durante la procella che seguì l'espulsione dei Mori andalusi dalla Spagna. La sola religione non musulmana giunta attraverso i secoli sino a noi è l'ebraica, che qui, come del resto altrove, è rappresentata da piccole comunità chiuse in ghetti (mellāḥ).
Questo principio d'unità non impedisce però una profonda diversità etnica interna. Essa si manifesta nel bilinguismo. La maggior parte degli algerini parla arabo, o per meglio dire l'arabo magrebino, differente assai dall'arabo egiziano o siriano; ma accanto agli algerini arabofoni una forte minoranza è rimasta fedele al berbero, che certamente è una derivazione dall'antico libico, la lingua di Giugurta e di Massinissa. Durante l'ultimo censimento (1913), sulla popolazione indigena totale di 4.447.149 abitanti, vi erano 1.305.730 berberofoni, cioè un terzo circa, e di questi 726.543 assolutamente ignoranti della lingua araba. È facile vedere come sia raggruppata questa importante minoranza; i due grandi centri sono le montagne della Cabilia e l'Aurès: si può dire, all'ingrosso, che i monti sono berberofoni e le pianure arabofone.
La differenza di lingua, che da sola sarebbe sufficiente a rompere l'unità, si associa a profonde differenze nel genere di vita, sopra ricordate. Essenzialmente vi sono dei nomadi arabofoni e dei montanari cabili berberofoni. I Cabili sono agricoltori e giardinieri, hanno il senso della proprietà privata, vivono in case di pietra con tetti di tegole o di paglia; le loro abitazioni sono raggruppate in villaggi inerpicati sulle vette e facili a difendersi; hanno un'organizzazione democratica; il potere appartiene a piccoli parlamenti municipali (gemā‛ah); le consuetudini giuridiche non appartengono al Corano, e portano il nome di qānūn (probabilmente derivato etimologicamente dai canoni della Chiesa); la donna cabila circola liberamente senza velo.
I nomadi sono pastori di cammelli, cavalli e pecore; conoscono solo la proprietà collettiva; hanno un'organizzazione aristocratica con proprî capi; la maggior parte della loro vita trascorre sotto la tenda; nelle oasi, l'architettura è speciale; le case sono a terrazza, fatto legato alla clausura delle donne, cui è vietato circolare per le strade; anche le più piccole borgate di 200 ab., costruite di mota compressa, hanno un aspetto urbano con case a più piani, passaggi coperti, panche, latrine, luoghi di piacere. Il gentiluomo nomade, quando arriva all'oasi, dopo aver passato mesi sotto la tenda, vuol trovare la comodità ed il lusso di una città. E per questa ragione che Tlemcen, antica capitale dei nomadi, è il gioiello architettonico dell'Algeria, mentre invece Costantina, antica capitale cabila, ha la rozza architettura di un grosso villaggio. Queste differenze architettoniche incorniciano le profonde differenze dei costumi.
Questa divisione fondamentale in due popoli eternamente nemici è complicata da suddivisioni. Gli Shāwiyah (franc. Chaouïa) dell'Aurès berberofoni, differiscono molto non solo dai grandi nomadi arabi, ma anche dai cabili. Gli Chaouïa non posseggono né cammelli né cavalli; non ne hanno bisogno perché il loro nomadismo si svolge su piccole distanze, dalla pianura ai vicini monti. Oltre alle tende, hanno villaggi di tipo cabilo, i quali però restano vuoti e non protetti per tre quarti dell'anno. La caratteristica del villaggio Chaouïa è perciò il magazzino comunale (guelaa, [qal‛ah]) fortificato in modo da poter essere difeso da una piccolissima guarnigione, e nel quale ogni famiglia ha una stanza chiusa a chiave, per custodirvi le sue misere ricchezze. Altro gruppo peculiare è quello dei Mzābiti, l'origine dei quali risale al regno di Tiaret (Tihāret sec. X), fondato da eresiarchi Khārigiti (setta Ibāḍita). Dopo lo sfacelo, gli ultimi Ibāḍiti si rifugiarono nel Sahara, nell'oasi di Mzāb, dalla quale proviene il loro nome. Un millennio di matrimonî consanguinei e di fedeltà feroce alla loro eresia ha fatto di essi quasi una razza a parte; per lo meno essi hanno un odio inflessibile per tutto ciò che è fuori di loro. Le oasi di Mzāb sono soltanto il loro luogo d'incontro, perché essi, in qualità di commercianti e di usurai, sono sparsi per tutta l'Algeria: un equivalente algerino degli Armeni, dei Parsi o degli Ebrei, vinti rifugiatisi nella loro religione e nel culto e nel sentimento del denaro. Una qualità etnica dell'Algeria è la scarsezza dell'elemento indigeno cittadino e borghese. Se si eccettui Tlemcen, piccola città di confine, l'Algeria non ha niente da poter paragonare alle città di Tunisi e Fez; una caratteristica del paese è di essere essenzialmente rurale e pastorale.
La cultura. - Questi gruppi umani si riconoscono a prima vista per particolarità di costume impossibili a definirsi minutamente. Vi è però un abito comune a tutti, specialità della regione algero-tunisina, cioè il burnus, una gran cappa con cappuccio che ricopre ogni cosa. Lo scambio di prodotti, naturalmente molto grande fra sedentarî e nomadi, e anche le frequenti lotte, hanno creato attraverso ai secoli uno stato comune di civiltà generale. L'alimentazione si basa su grano duro, gallette cotte sotto la cenere, cusscuss di semola, burro e olio d'oliva. Gli algerini usano l'aratro e sanno perciò attaccare le bestie; hanno inoltre sempre conosciuto la ruota. Ma strade e ponti non esistevano prima del 1830: andavano a cavallo piuttosto che su veicoli, e il cammello aveva una grande importanza; e anche andavano a piedi, essendo l'algerino un marciatore infaticabile. Con la lana ed il pelo dei cammelli tessono le tende ed i burnus; sanno conciare e lavorare il cuoio, facendone selle, stivali (o meglio una specie di calza) e scarpe. Fanno dei tappeti bellissimi, e possedevano una volta colori vegetali superiori molto a quelli d'anilina. Queste sono per eccellenza industrie nomadi; i montanari sanno cuocere le tegole, sono vasai. L'Algerino delle città e delle oasi possiede tradizioni di sapiente irrigazione. A sud di Biscra, nelle oasi dell'Oued Rir, una corporazione di scavapozzi negroidi sapeva ancora, nel 1830, scavare pozzi artesiani. Queste antiche tradizioni venute dall'oriente sono ora in grande decadenza. Il regresso è notevole anche nei lavori minerarî; nelle antiche miniere romane di piombo non è stata aperta una sola galleria dopo la caduta dell'impero (v. sopra).
L'Algerino non è artista; nelle città le canzoni che si sentono nei caffè mauri sono andaluse. I nomadi, con la loro organizzazione aristocratica, son più dotati che i montanari; hanno le loro canzoni, di una certa bellezza, che accompagnano sul flauto di canna (guesba [qaṣbah]). Nella tribù degli Ouled Nayl, le ragazze sono depositarie di danze antiche, belle e ieratiche; e le danzatrici Ouled Nayl sono il pernio delle feste e delle orge nelle contrade meridionali. L'Algerino, montanaro o nomade, è per eccellenza soldato; la sola differenza è che il montanaro è fante e il nomade cavaliere. Attraverso i secoli, da Annibale ad Abd el-Kader, i loro grandi uomini sono stati generali; tutta la loro storia di eterni massacri li ha consacrati alla virtù militare. Sono meno dotati per la pace. Il nomade ha orrore del lavoro; il cabilo, lavoratore, avido di guadagno, attaccato alla terra, si difende meglio nel campo rurale ed è apprezzato pure come operaio. Gli emigranti temporanei cabili esercitano volentieri anche il piccolo commercio ambulante; ma cabili e nomadi abbandonano commercio e denaro nelle mani degli specialisti ebrei e mzābiti. Né gli uni né gli altri, al contrario degli Ebrei, e fatta qualche onorevole eccezione, hanno finora mostrato alcun desiderio di profittare delle scuole messe a loro disposizione dai francesi. Influenza dell'Islām probabilmente, delle diversità interne e della inesistenza di una borghesia indigena. Pure la forte proporzione di Europei dà all'Algeria una situazione etnografica speciale. Il gruppo israelita è il solo che si sia francamente europeizzato, mentre la massa musulmana, qui come altrove, oppone una resistenza passiva. Ma il contatto giornaliero, durante un secolo, con un sì gran numero di europei, ha certamente avuto effetti, anche se difficili a misurarsi. Una profonda metamorfosi è, probabilmente, in atto, della quale sarà interessante seguire lo sviluppo (v. anche le voci Africa e Berberi).
Bibl.: Oltre ai già citati scritti di S. Gsell, E. F. Gautier, G. B. M. Flamand, E. Masqueray, A. Hanoteau, E. Doutté e E. F. Gautier, cfr., per la preistoria: P. Pallary, Instruction pour les recherches préhistoriques dans le Nord-Ouest de l'Afrique, Algeri 1909 (ormai invecchiato dopo le scoperte di Reygasse, ancora quasi inedite); L. Frobenius, Hadschra-Maktouba, urzeitliche Felsbilder Kleinafrikas, Monaco 1925; e, per la materia più propriamente etnografica, E. Daumas, Moeurs et coutumes de l'Algérie, 4ª ed., Parigi 1864; id., La vie arabe et la société musulmane, Parigi 1869; W. e G. Marçais, Les monuments arabes de Tlemcen, Parigi 1903; A. Bernard e N. Lacroix, L'évolution du nomadisme en Algérie, Parigi 1906; A. Van Gennep, Études d'ethnographie aigérienne, Parigi 1912; F. Stuhlmann, Ein Kulturgeschichtlicher Ausflug in den Aurés, Amburgo 1912; A. Bernard, Enquête sur l'habitation rurale des indigènes de l'Algérie, Algeri 1921; E. F. Gautier, Les siècles obscurs du Maghreb, Parigi 1927.
Antichità libiche. - Il fondo etnico primitivo delle regioni corrispondenti all'attuale Algeria era composto di Berberi; e a tale ceppo appartenevano le popolazioni che, attraverso le fonti classiche, appariscono ivi dimoranti, cioè Numidi, Mauri e Getuli e che poi, a mano a mano che le cognizioni geografiche si estendono, sono meglio conosciute nelle loro suddivisioni: Massyli o Massylii, Masaesyli o Masaesylii, Nacmusii, Machurebi, Baniuri, Nabathrae, Misulani, ecc. Elementi di conoscenza di tali popolazioni in epoca storica sono essenzialmente i documenti epigrafici, i disegni rupestri, varî tipi di costruzione, notizie degli scrittori classici sullo stato sociale, sulla religione, ecc. Gli antichi Berberi ebbero una loro scrittura, d'origine non accertata, diffusa in tutta l'Africa del Nord, perpetuatasi fino ai nostri giorni, pur con modificazioni nella forma e nel valore di alcuni segni, nei caratteri detti tifīnagh (v.) dei Tuāreg. Tale scrittura non risulta essere stata usata per opere o lunghe composizioni, ma solo per epigrafi che in maggioranza sono funerarie, brevi e di forma rozza, e in parte, come quelle trovate a Dugga in Tunisia, con carattere monumentale e di una certa lunghezza. La loro interpretazione è finora poco progredita. Un gran numero di epigrafi di tipo tombale sono state rinvenute in Algeria, e principalmente nel dipartimento di Costantina. Esse contengono per lo più il nome del defunto seguito da un W significante "figlio", e quindi dal nome del padre; in parecchie seguono altre parole che indicano verosimilmente il luogo o la tribù d'origine e forse la professione. Alcuni di tali nomi proprî si ritrovano nell'uso attuale dei Berberi o si spiegano con radice berbera; qualcuno si raffronta con nomi di personaggi libici citati da scrittori classici, come ad es. quelli di "Mskrd' figlio di Dbr" dell'iscrizione 107 dell'edizione di J. Halévy, che corrispondono ai nomi citati da Sallustio "Dabar, Massugradae filius, ex gente Masinissae" (De bello Iug., CVIII), corrispondenza che potrebbe non esser solo di onomastica, ma anche di persone, nel senso che si tratti, in Sallustio, di un Dabar figlio di Masukrada e nipote di Dabar (anche presso i Berberi odierni vi è l'uso di far risorgere, come essi dicono, i nomi dei parenti defunti).
Non v'ha dubbio che le antiche iscrizioni libiche che rimontano, almeno per quanto può trarsi da quelle sicuramente databili, ad epoca romana, siano redatte in berbero; e negli odierni linguaggi berberi debbono cercarsi gli elementi per la loro interpretazione, che una volta completata fornirà notizie non solo sull'onomastica e toponomastica nord-africane, ma anche su personaggi storici e sulla civiltà indigena.
In fatto di costruzioni, non sempre si può distinguere ciò che è propriamente berbero da opere eventualmente appartenenti ad altre stirpi, o dovute all'influenza di altre civiltà; così non sempre si può distinguere ciò che appartiene ad epoca storica da quel che ad epoche preistoriche. Sono da ricordare i monumenti megalitici del tipo dei dolmen, che servivano come tombe e che in varie località dell'Algeria (Dielfa, Guyotville, Sigus, ecc.) sono riuniti insieme in gran numero, in modo da formare delle vere necropoli. Essi sono attribuiti in parte ad epoca storica e vicina all'èra cristiana o anche posteriore ad essa. Frequenti sono anche in Algeria i monumenti del tipo cromlech, formati di un recinto circolare di pietre fitte, o di due o tre recinti concentrici, e che probabilmente servivano come tombe. I menhir si trovano in gran numero nella pianura della Medjana. Dell'altro tipo di monumento funerario detto tumulo, che presenta varietà di forme, si trovano pure esemplari nei dintorni di Mascara, di Frenda, ecc. Nello Aurès e nel Ḥoḍna è frequente la shūshah (ciuffo), costruzione a foggia di torre cilindrica, alta poco più di 2 m. e con circa 5 m. di diametro; e i recinti di pietre concentrici o ellissoidali salienti a gradini, detti bazīna. Accanto a questi monumenti di foggia primitiva sono da ricordare altri due che presentano carattere artistico, dovuto forse, sebbene non se ne scorgano chiaramente gli elementi, ad influenze di altre civiltà; cioé il Madghāsen (Medracen) fra Batna e Costantina, grande mausoleo formato di una base cilindrica, ornata all'esterno di colonne e sormontata da una costruzione conica a gradini (fig. p. 452), probabilmente tomba di qualche re o famiglia reale indigena. Un altro monumento consimile, detto tomba della Cristiana, si trova fra Castiglione e Tipaza, ed è ricordato da Pomponio Mela come sepolcro di una famiglia reale; la sua costruzione è stata da qualcuno attribuita al re Giuba II. Come per i mausolei a "ciuffo", si tratta verosimilmente di forme indigene di tomba a cui le civiltà sopravvenute nell'Africa del nord diedero carattere artistico.
Dei graffiti rupestri, che si trovano in varî luoghi dell'Algeria, si distinguono due serie, una preistorica, come appare anche dalle rappresentazioni di animali in seguito scomparsi da quelle regioni; ed un'altra, che viene attribuita al periodo libico-berbero, tra le cui figurazioni è frequente il cammello. Spesso vi appariscono dei caratteri tifīnagh. Tali disegni si trovano in grande abbondanza nel Sud Oranese e nel Sahara. - Dalle fonti classiche si traggono notizie sullo stato sociale delle popolazioni libiche. La famiglia era patriarcale, con residui di matriarcato, di cui qualcuno si è perpetuato fino ad epoche recenti ed anche fino ai nostri giorni. I Libî erano, come i loro discendenti odierni, in parte sedentarî, in parte nomadi. Dall'unione di varie tribù si formarono anche nell'antichità degli stati di tipo monarchico, come quelli della Numidia e della Mauretania. La religione di queste popolazioni era essenzialmente animistica: montagne, grotte, alberi, fiumi, stagni, ecc. erano oggetto di culto; del pari alcuni corpi celesti. Indizî di zoolatria si trovano in varî luoghi. Le pratiche magiche erano assai diffuse (v. anche le voci Berberi, Numidia).
Bibl.: S. Gsell, Histoire ancienne de l'Afrique du Nord, Parigi 1913-1928 (8 voll.); Ch. Tissot, Géographie comparée de la province romaine d'Afrique, Parigi 1884-1888; Recherches des antiquités dans le Nord de l'Afrique, Parigi 1891; P. Ricard, Pour comprendre l'art musulman dans l'Afrique du nord et en Espagne, Parigi 1924; J. Halévy, Essai d'épigraphie libyque, in Journal asiatique, febbraio-marzo e ottobre-novembre 1874; J. B. Chabot, Punica, in Journal asiatique, 1918, pp. 259-302.
Storia dell'età musulmana. - Il movimento espansionistico dei Musulmani, che poco dopo la morte di Maometto aveva portato a rapide conquiste nell'Asia anteriore e in Egitto, doveva naturalmente sboccare nelle regioni dell'Africa del nord possedute più o meno nominalmente dal debole impero bizantino. Già durante il califfato di ‛Omar (634-644), gli Arabi fecero due spedizioni, la prima in Cirenaica, la seconda fino a Tripoli e a Sabratha, con punte nel Fezzān; al tempo di ‛Othmān (644-656), una terza spedizione giunse nei territorî dell'odierna Tunisia e vi conseguì successi, riportandone bottino, ma senza impiantarvi uno stabile dominio. Salito al trono califfale nel 661 Mo‛āwiyah I, che fondò la dinastia omayyade, le spedizioni in Barberia furono riprese e poi spinte a mano a mano più ad ovest, nei territorî dell'odierna Algeria e del Marocco. In esse ebbero parte notevole Dīnār Abū 'l-Muhāgir e il famoso generale ‛Oqbah ibn Nāfi‛, figura di ardente guerriero musulmano, in parte ingrandita dalla leggenda, che fondò Kairuan (al-Qairawān) come base stabile di operazioni per i Musulmani, e compì rapide corse vittoriose fino all'Atlantico, finché tornando verso l'est perì con tutti i suoi in un agguato tesogli a Tehūdhā, a nord-est di Biscra, da uno dei capi berberi, Coseila (Kusailah). Ritiratisi i Musulmani, Coseila poté costituire un suo regno berbero che comprendeva parte dell'Algeria orientale e della Tunisia, regno contro cui si concentrarono gli sforzi degli Arabi tornati alla riscossa; essi, sconfitto e ucciso Coseila, ebbero in seguito a lottare contro i Bizantini e ancor più contro la famosa regina dell'Aurès, detta al-Kāhinah, nella cui figura la leggenda personificò la resistenza dei Berberi ai conquistatori arabi. Questi, superato tale ostacolo, poterono nei primi anni del sec. VIII stabilire il loro dominio in Tunisia e in Algeria, islamizzare in parte i Berberi e condurli, con la mira del bottino, alla conquista della Spagna, iniziata nel 711; conquista per la quale i Berberi fornirono la maggior parte delle truppe. Tuttavia il dominio arabo delle regioni nord-africane non doveva durare a lungo pacificamente. Lo spirito d'indipendenza dei Berberi, le vessazioni e l'alterigia dei dominatori, che costituivano in mezzo ad essi la classe privilegiata, e la diffusione, avvenuta in molte regioni della Barberia, delle dottrine eterodosse dei Khārigiti provocarono rivolte e poi una sollevazione generale, che, scoppiata verso il 740, causò gravi sconfitte agli Arabi, e annullò per qualche tempo il loro dominio. Riuscirono tuttavia, attraverso lunghe lotte, a ristabilirlo nella Barberia orientale, ma in Algeria e al Marocco si formarono, nella seconda metà del secolo VIII, degli stati indipendenti dal califfato ‛abbāside, come quello ibāḍita dei Rustemidi che ebbe il suo centro a Tihāret (Tiaret, nel dipartimento di Orano), e quello ṣufrita dei Banū Ifren, che ebbe il suo centro a Tilimsān (Tlemcen), poi occupata da Idrīs ibn ‛Abd Allāh, fondatore dello stato degli Idrīsiti nel Marocco. Il secolo successivo vide l'affermarsi della dinastia aghlabita, che, avendo il suo centro in Tunisia, estendeva il suo dominio anche nell'Algeria orientale, pur essendo esposta a frequenti rivolte. Intanto, verso la fine del sec. IX e nei primi annï del sec. X, si diffondevano, specialmente presso i Berberi Ketāmah (nella provincia di Costantina), le dottrine sciite le quali preparavano l'avvento di una nuova dinastia, quella dei Fāṭimiti, che verso il 909 pose fine al regno aghlabita e a quello dei Rustemidi. L'autorità dei Fāṭimiti si affermò così su buona parte della Barberia, ebbe l'appoggio del grande gruppo berbero dei Ṣanhāgiah algerini; fu presso a soccombere per la grave rivolta Khārigita, capitanata da Abū Yazīd, che alla fine fu soffocata per l'intervento del capo Ṣanhāgiah Zīrī ibn Mannād. Ma i Fāṭimiti tendevano già da tempo a trasportare il loro dominio in Oriente e ad imporvi le dottrine sciite; conquistato l'Egitto, nel 973 vi fissarono il centro del loro impero, abbandonando la Barberia che vide così sparire il dominio degli Arabi, il cui enorme sforzo di conquista si era esaurito, pur avendo avuto effetti notevoli sulla storia e sulla civiltà di quelle regioni che erano state ormai islamizzate e quindi attratte nell'orbita del mondo orientale. Restarono nell'Ifrīqiyah, come amministratori e rappresentanti dei Fāṭimiti, i principi Zīrīti; nel Maghreb centrale, favorito dagli stessi Zīrīti, si formò lo stato degli Ḥammāditi, che ebbe il suo centro alla Qal‛at Banī Ḥammād e poi a Bugia, e in qualche periodo fu abbastanza fiorente. Queste due dinastie rappresentano l'epoca del dominio dei Berberi Ṣanhāgiah nell'Algeria, che poco dopo la metà del secolo successivo fu esposta, al pari di altre regioni dell'Africa del nord, alla terribile invasione Hilāliana (v. benī hilāl), che diede un grave colpo alla floridezza del paese, introdusse in molte regioni il nomadismo e vi accentuò l'arabizzamento. Pur in mezzo al disordine causato dall'introduzione di questo nuovo elemento etnico nella compagine berbera, si preparavano al Marocco avvenimenti che portarono alla fondazione di due grandi imperi berberi, quello degli Almoravidi (v.), che dominò per qualche tempo anche l'Algeria occidentale; e successivamente quello degli Almohadi (v.), che estese il suo dominio dall'Atlantico alla Sirtica e diede vita a notevoli opere di civiltà. Sotto i successori del grande sovrano almohade ‛Abd al-Mu'min, la Barberia fu però turbata per un lungo periodo dalle gravi rivolte dei Banū Ghāniyah. Nel corso del sec. XIII, decadendo e poi sfasciandosi l'impero almohade, vennero a costituirsi tre nuovi stati, quello dei Ḥafṣidi (discendenti di Abū Ḥafṣ, uno dei compagni di Ibn Tūmart, il Mahdī degli Almohadi), con centro a Tunisi; quello degli ‛Abd al-Wāditi (v.), Berberi Zenātah, nell'Algeria occidentale, con centro a Tlemcen; e quello dei Merīnidi, pure Berberi Zenātah, al Marocco (si vedano queste voci); stati che ebbero qualche elemento di civiltà e di splendore, ma che spesero, per oltre due secoli, la più gran parte della loro attività in sterili lotte di supremazia, tra perenni rivolte e torbidi.
L'Algeria, come altre regioni vicine, ne usciva completamente prostrata. Nel sec. XVI vi si effettuano quindi conquiste spagnuole e poi vi si impianta l'autorità turca, che ne fece uno dei più temuti stati barbareschi, il quale fino alla conquista francese turbò gravemente la vita delle popolazioni mediterranee. Gli Spagnuoli, seguendo il vigoroso impulso che li aveva portati alla cacciata dei Mori dalla loro penisola e per eliminare la pirateria, occuparono molti punti del litorale dal Marocco a Tripoli: Melilla, Mers el-Kebir, Orano, Bugia caddero ben presto nelle loro mani; Algeri, Ténès, Tlemcen e altre città fecero loro atto di sottomissione; nel porto di Algeri presero possesso di un isolotto e vi costruirono la fortezza del "Peñon", che era garanzia contro la città e contro i corsari. Ove il generoso sforzo degli Ispano-Portoghesi nell'Africa del nord fosse stato validamente secondato dall'intervento di tutti gli stati cristiani, probabilmente le regioni dalla Cirenaica al Marocco, pur islamizzate, sarebbero state ricondotte nell'orbita della civiltà occidentale, evitandosi il lungo e nefasto periodo di vita degli stati barbareschi. Sul dominio spagnuolo pendeva però la minaccia dell'altra potenza che, affermatasi nel vicino Oriente, tendeva ad espandersi in Europa e nel Mediterraneo: cioè i Turchi Ottomani. Lavoravano per essi delle torme di audaci e sanguinarî corsari, accozzaglia di turchi e rinnegati greci e di altre stirpi, condotti da abili capi, che cercavano di occupare le regioni dell'Africa del nord profittando dell'anarchia che vi regnava fra i capi berberi, e della reazione delle popolazioni musulmane contro l'occupazione cristiana; finirono per costituirvi degli stati sotto la protezione della Porta, che rappresentava per essi un appoggio morale e, quando occorreva, li riforniva di forze. Famosi sono rimasti in tali imprese i due fratelli ‛Arūǵ e Khair ad-dīn, detti in Europa "i fratelli Barbarossa". Il primo nel 1516 s'impadronì di Shershāl (Cherchell) e di Algeri; poi di Ténès e di Tlemcen. Assediato dagli Spagnuoli in questa ultima città, fu costretto a fuggire, raggiunto e ucciso. Il fratello Khair ad-dīn, minacciato da rivolte, offrì la sovranità dei territori conquistati al sultano turco Selīm I, che gli conferì il titolo di pascià e di beylerbey e gli inviò dei rinforzi. A malgrado degli sforzi degli Spagnuoli, tra cui è da ricordare la grande spedizione condotta da Carlo V nel 1541 e finita in un disastro per la tempesta che distrusse la flotta, lo stato barbaresco di Algeri si mantenne, e scacciati successivamente gli Spagnuoli dai paesi occupati (eccetto che da Orano, ove restarono fino al 1708 e che poi rioccuparono dal 1732 al 1792), si rafforzò e s'ingrandì. La sua storia fino all'occupazione francese del 1830 è tutta un seguito di imprese piratesche che seminarono di stragi e di lutti il Mediterraneo, di lotte con l'altro stato barbaresco di Tunisi e coi sultani marocchini, di vani tentativi delle potenze cristiane per distruggere quei covi di briganti, e di rivolgimenti interni a base di massacri e di orribili delitti.
La corsa era il principale mezzo di sussistenza dello stato e di ricchezza per molti privati, ed era sapientemente organizzata come una vera industria. Infierì specialmente nel sec. XVII; si attenuò alquanto nel XVIII per la resistenza o le trattative di alcuni stati cristiani; rincrudì durante il periodo napoleonico. L'occupazione di Algeri, compiuta dalla Francia nel 1830, pose fine alla dominazione turca; ma, eliminata questa, i nuovi conquistatori si trovarono poco dopo di fronte la resistenza indigena che fu assai più difficile a debellarsi. La fase più importante di essa è rappresentata dalla lunga e perigliosa lotta che si svolse nell'Algeria occidentale contro il famoso emiro Abd el-Kader (v.), lotta a cui presero parte fra gli altri il maresciallo Bugeaud, il duca d'Auṃale e il generale Lamoricière, e che diede luogo a notevoli fatti d'arme e finì nel 1847 con la resa dell'emiro (v. sotto). Nel 1857, sottomessa la Cabilia del Giurgiura (Djurdjura), si completava la conquista. Ma non molto dopo, e cioè nel 1871, una grande rivolta insanguinò tutta la zona della Grande e Piccola Cabilia e la parte meridionale della provincia di Costantina; rivolta che si attribuisce comunemente a errori di governo, sebbene nei paesi nord-africani le dominazioni straniere che vi si sono impiantate siano andate soggette più e più volte a difficoltà consimili, quando ebbero a trovarsi impegnate altrove o in qualche maniera indebolite o prostrate; sì da potersi riscontrare in tali avvenimenti una specie di legge storica ricca di ammonimenti. La disfatta della Francia in Europa ebbe appunto il suo contraccolpo nella rivolta dell'Algeria orientale, che fu a grande stento domata. Dalla regione costiera (il Tell) l'occupazione francese si è estesa a mano a mano alla seconda zona (gli altipiani) e poi alla terza, cioè al deserto, attraverso imprese militari, abili azioni politiche e preparazione culturale, di cui si sono visti i frutti durante la guerra mondiale quando, nonostante che la Francia fosse profondamente impegnata e in grave pericolo in Europa, la colonia algerina, facendo una notevole eccezione alla millenaria storia nord-africana, è rimasta tranquilla ed ha fornito anzi contributi alla vittoria della madre patria.
Bibl.: E. Mercier, Histoire de l'Afrique septentr., II, III, Parigi 1888-1891; S. Gsell, G. Marçais, G. Yver, Histoire d'Algérie, Parigi 1927.
Conquista dell'Algeria (1830-47). - Cause della spedizione francese. - Le cause remote (v. sopra) vanno ricercate nei secolari dissidî tra la Francia e il dey di Algeri in conseguenza degli atti di pirateria da questo per lungo tempo esercitati ai danni dei navigli francesi, dissidî che indussero la Francia ad una spedizione armata contro Algeri. Già l'impresa era stata progettata da Napoleone, che aveva peraltro dovuto rinunziarvi a causa della situazione europea. Alla pace del 1815 le relazioni fra il governo francese e il dey furono riprese, ma, dopo varie vicende, nel 1827 furono nuovamente rotte in seguito a un insulto fatto dal dey (27 aprile) al console di Francia. Dopo un inutile e costoso blocco marittimo durato tre anni e vani tentativi di negoziati nel 1828 e nel 1829, il governo francese, non avendo ottenuto l'intervento contro Algeri del pascià di Egitto Moḥammed ‛Alī per l'opposizione del sultano di Costantinopoli, decise di intervenire esso stesso, organizzando una spedizione per occupare Algeri (31 gennaio 1830).
Occupazione di Algeri. - Nonostante il palese malcontento dell'Inghilterra, che pretendeva una dichiarazione di rinuncia da parte della Francia ad ogni occupazione territoriale, ottenuto l'assenso delle altre potenze e la neutralità del bey di Tunisi e del sultano del Marocco, la spedizione venne celermente apprestata a Tolone, e fu così composta:
Forze terrestri (circa 37.000 uomini e 4000 cavalli).
Comandante: ten. gen. De Bourmont, ministro della guerra;
3 divisioni di fanteria su 3 brigate di 2 reggimenti (2 batt. di 8 compagnie) (30.000 uomini);
i reggimento di cavalleria su 3 squadroni di cacciatori (500 uomini);
4 batterie di artiglieria da campagna, 1 batteria da montagna e 80 pezzi d'assedio;
8 compagnie del genio (1300 uomini);
Servizî varî (circa 2000 uomini);
Una 4ª divisione di riserva (8000 uomini, 4 batt., 2 compagnie genio) fu organizzata in Provenza.
Forze navali (676 bastimenti con 27.000 marinai).
Comandante: ammiraglio Duperré;
104 navi da guerra (di cui 7 a vapore);
572 trasporti.
Il 25 maggio 1830 la spedizione salpò da Tolone e il 31 era in vista della costa africana, ma per le condizioni del mare dovette rifugiarsi alle Baleari; solo il 13 giugno le navi da guerra, lasciato il convoglio a Palma, ricomparvero davanti ad Algeri, e il 14 incominciò lo sbarco, 20 km. a O. della città, sulla penisola di Sidi Ferruch ove, fra il 14 e il 18, fu costituita una forte base. Le forze della reggenza, circa 45.000 fra indigeni e giannizzeri, si erano frattanto raccolte nella piana di Staoueli e il 19 attaccarono i Francesi cercando avvolgerli alle ali e rigettarli in mare, ma furono respinte e costrette a ritirarsi. Il 24 ricomparvero e, fra il 25 e il 28, ebbero luogo sanguinosi scontri a Sidi Calef e a Deli Brahim, ma senza risultato; il 29 finalmente, giunto l'atteso materiale di assedio, i Francesi mossero su tre colonne verso Algeri, che raggiunsero la sera stessa ponendovi l'assedio nei giorni seguenti, mentre la flotta bombardava la città, furono fatti i preparativi per l'attacco di viva forza, che avvenne il 4 luglio, preceduto da violento bombardamento dei forti; la sera stessa il dey si arrese e il 5 i Francesi presero possesso della città e del tesoro pubblico. I bey di Titeri e di Orano si sottomisero, almeno in apparenza; quello di Costantina non si pronunciò; in effetto l'autorità francese rimase limitata alla città di Algeri; infatti una colonna diretta il 23 luglio a Médéa venne arrestata a Blida dalla resistenza degli indigeni e costretta a rientrare il 25; due distaccamenti furono inviati a occupare Bona e Orano, ma, essendo intanto caduto in Francia Carlo X, quei presidî vennero ritirati e il De Bourmont sostituito col gen. Clauzel.
Ben presto apparve che le popolazioni dell'interno erano del tutto ostili, tanto che Algeri rimase come bloccata; d'altra parte il governo francese, non avendo un programma ben definito ed essendo stretto da difficoltà di politica interna e internazionale, non seppe venire a una ferma decisione: estendere l'occupazione o sgombrare. Con grande scapito del prestigio francese presso gli indigeni che, interpretando l'indecisione come debolezza, divennero sempre più aggressivi.
Il gen. Clauzel, benché senza chiare istruzioni e del tutto ignaro del paese, comprese la situazione e cercò, coi pochi mezzi a disposizione, di migliorarla.
Nel novembre occupò Médéa cacciandone l'infido bey di Titeri, destituì il bey di Costantina e nel gennaio 1831 fece occupare definitivamente Orano. Ma il governo non approvò il suo operato e lo sostituì col gen. Berthezène; parte delle truppe furono rimpatriate e in Algeria rimase una sola divisione. Médéa venne sgombrata (luglio 1831) e un tentativo di rioccupare Bona fallì. L'insurrezione divenne generale e si estese fino alle porte di Algeri e di Orano. Il generale Savary, successo al Berthezène nel dicembre 1831, riorganizzò le truppe e l'amministrazione, ma il suo estremo rigore non fece che aggravare la insurrezione, tanto che, nel marzo 1833, in seguito ad un'inchiesta venne sostituito dal gen. Voirol. Questi, più moderato, riuscì in parte a calmare gli spiriti e poté effettuare la rioccupazione di Bona e la presa di Bugia (settembre 1833); ma, mentre si apprestava ad una spedizione in Costantina, nel luglio 1834 fu anch'egli sostituito, avendo il governo francese deciso di conservare l'Algeria come colonia, e avendovi destinato un governatore generale, nella persona del vecchio Drouet d'Erlon. In questo tempo era apparsa, nella provincia di Orano, la figura di Abdel-Kader (v.), che nel 1832, giovane di 25 anni, fattosi proclamare emiro, si era insediato a Mascara costituendovi un piccolo esercito regolare col quale sottomise le tribù circostanti. Riuscito con la scaltrezza ad accattivarsi la fiducia del gen. Desmichels, comandante del presidio di Orano, ne ottenne aiuti di ogni sorta, gli fece anche firmare un trattato (26 febbraio 1834) col quale la Francia riconosceva ad Abd el-Kader la qualità di emiro, il possesso del territorio di Orano, meno questa città e quella di Arzew, la concessione di procurarsi armi per via di mare, ecc.; in sostanza la facoltà di formarsi uno stato. L'intraprendente e ardito sovrano non tardò ad attirare l'attenzione e le simpatie di tutte le popolazioni dell'Algeria e a maturare ben più ambiziosi piani.
Prima fase della lotta contro Abd el-Kader. - Infatti egli cominciò ben presto a razziare fuori del territorio assegnatogli, occupò Médéa e Miliana, e quando il gen. Trézel, succeduto al Desmichels, lo richiamò ai patti, egli rispose arrogantemente e, nella primavera del 1835, si ribellò apertamente e marciò contro Orano. Il Trézel gli mosse incontro con 2500 uomini e 6 pezzi, ma dopo un sanguinoso scontro, sostenuto il 26 giugno, dovette ripiegare verso Arzew e il 28, sorpreso ed accerchiato in una gola della Macta, venne completamente battuto e si ritirò con pochi superstiti in Arzew. In seguito al disastro, il governatore Drouet D'Erlon fu sostituito dal gen. Clauzel che, nell'intento di prendere una rivincita, progettò una spedizione contro Mascara, capitale dell'emiro.
Partito nel novembre con 11.000 uomini da Orano, batté il 3 dicembre nelle gole dell'Habra l'emiro, che si ritirò senza difendere la sua capitale. Mascara fu presa ed incendiata, e il corpo di spedizione tornò ad Orano.
Nel gennaio 1836 una seconda spedizione occupò Tlemcen, lasciandovi un presidio; poco dopo una colonna (gen. d'Arlanges), sbarcò alla foce della Tafna per costituirvi una base di approvvigionamenti per Tlemcen, ma rimase bloccata da Abd el-Kader e, in un tentativo di rompere il blocco, a Sidi Yagoub, subì forti perdite (25 aprile); rimasta a corto di viveri, si sarebbe trovata a mal partito se una brigata giunta in rinforzo dalla Francia, al comando del gen. Bugeaud (v.), non avesse costretto l'emiro a togliere il blocco. Il gen. Bugeaud mosse quindi con una colonna di approvvigionamento in soccorso di Tlemcen e, costretto con abile manovra l'emiro a una battaglia, lo sconfisse (6 luglio 1836), infliggendogli gravi perdite (1600 uomini), e liberò la città. Il successo fu creduto decisivo e, ritenendo Abd el-Kader ormai fuori causa, il governatore Clauzel pensò giunto il momento di assalire il ribelle bey di Costantina.
Prima spedizione di Costantina. - Nonostante la disapprovazione del governo e il rifiuto di rinforzi, il gen. Clauzel, raccolti 8000 uomini, tratti dai presidî di Orano e Algeri, e 14 pezzi con pochi viveri e munizioni, mosse il 13 novembre da Bona; dopo penosissima marcia sotto la pioggia e la neve, giunse il 22 davanti a Costantina che, contrariamente alle previsioni, fu trovata in perfetto stato di difesa. Mancando di pezzi da assedio, dopo un vano tentativo di assalto, il 24 il gen. Clauzel dovette ordinare la ritirata che, con gli Arabi alle calcagna, divenne disastrosa; il 10 dicembre la spedizione rientrò a Bona in condizioni pietose, dopo aver perduto oltre 1000 uomini. Il Clauzel fu richiamato e gli successe il gen. Damrémont, il quale con lo scopo di aver le mani libere contro il bey di Costantina, cercò di assicurare la pace nelle altre zone ed incaricò il gen. Bugeaud di venire ad accordi con Abd el-Kader; l'emiro, che non chiedeva di meglio dopo lo scacco subito, aderì al trattato della Tafna (30 maggio 1837), col quale la Francia gli riconobbe ufficialmente il dominio delle provincie di Orano, Algeri e Titeri, meno le città di Orano, Mostaganem, Algeri e gli immediati dintorni; il trattato fu, in sostanza, peggiore per la Francia di quello firmato dal Desmichels, tanto più che il Bugeaud, che si mostrò veramente troppo accomodante, trascurò di fissare le frontiere orientali dell'emirato, lasciando la porta aperta alle ambizioni di Abd el-Kader proprio verso quella provincia di Costantina che i Francesi si apprestavano a conquistare.
Seconda spedizione di Costantina. - Ottenuta pertanto una pace fittizia, il gen. Damrémont concentrò a Guelma, a metà strada fra Bona e Costantina, 13.000 uomini con 16 cannoni da campagna, 17 pezzi da assedio e un largo approvvigionamento (più di venti giorni di viveri).
La spedizione mosse da Guelma il 1° ottobre e giunse il 6 davanti a Costantina, che fu regolarmente assediata; il 12 una breccia era già aperta nelle mura, ma il gen. Damrémont, avvicinatosi per riconoscerla da presso, rimase ucciso. Il gen. Valée, assunto il comando, decise l'attacco pel giorno 13. Tre colonne (Combes, Lamoricière e Corbin) si lanciarono all'assalto e penetrarono in Costantina, che fu conquistata casa per casa; i difensori, piuttosto che arrendersi, si precipitarono dalle mura nel profondo burrone del Rummel ove perirono quasi tutti; il bey Ahmed riuscì a fuggire e a rifugiarsi nei monti dell'Aurès.
La presa di Costantina portò alla sottomissione di quasi tutta la provincia, e il gen. Valée, nominato governatore, si diede alacremente a riorganizzare le forze e l'amministrazione della colonia.
Intanto Abd el-Kader, approfittando della tregua, era riuscito a rafforzare enormemente la sua posizione materiale e morale sottomettendo con l'aiuto della Francia le tribù a lui recalcitranti e costituendo un vero e proprio stato bene organizzato, con un esercito regolare di 12.000 uomini (istruiti all'europea da disertori) e 20 pezzi d'artiglieria.
Due anni dopo la firma del trattato della Tafna, egli era in grado di ricominciare le ostilità.
Seconda fase della lotta contro Abd el-Kader. - Abd el-Kader, interpretando a suo vantaggio il trattato della Tafna, contestava ai Francesi il diritto di spingersi all'est della Mitidja e quindi di comunicare per via di terra fra Algeri e Costantina.
E quando il maresciallo Valée, noncurante di queste pretese, eseguì con 6000 uomini una grande marcia militare da Philippeville ad Algeri per Costantina, Sétif, el-Biban e la Mitidja, Abd el-Kader, denunciando il trattato, dichiarò guerra alla Francia (20 novembre) e senz'altro invase e devastò la Mitidja e i dintorni di Algeri, proclamando la guerra santa.
Il governatore, preso alla sprovvista, temporeggiò, limitandosi ad operazioni parziali (presa di Médéa, Miliana e Cherchell) senz'altro risultato tangibile che gravi perdite e qualche episodio di valore (difesa eroica del fortino di Masaghan). Finalmente il governo di Luigi Filippo decise di agire energicamente e, sostituito il maresciallo Valée col gen. Bugeaud (dicembre 1840). nonostante il precedente del trattato della Tafna, aumentò le truppe dell'Algeria fino a 100.000 uomini.
Il Bugeaud comprese l'inutilità di una guerra consistente nell'approvvigionare troppo numerosi presidî, e concepì il disegno di agire con colonne mobili appoggiantisi a poche ma forti e ben provviste basi, e di forza tale da essere sempre in grado, non solo di resistere in ogni circostanza, ma di riportare dovunque dei successi tangibili.
Non più quindi dispersione di forze, non più piccoli posti, piccole colonne e pesanti convogli. Valendosi abilmente dei mezzi largamente fornitigli, incurante delle tradizioni, instaurò nuovi procedimenti di guerra, suggeritigli dalla personale esperienza e dal suo innato senso pratico, non trascurando d'infondere nei dipendenti la convinzione della bontà dei suoi metodi, in modo che ognuno sapesse in ogni operazione quello che si voleva ottenere e quello che si doveva fare. Nel 1841-42 furono distrutte le piazze forti costruite da Abd el-Kader (Tasa, Boghari, Sebdou, Tagdemt), ed occupate Mascara e Tlemcen, donde irradiarono le divisioni Lamoricière e Bedeau. Abd el-Kader dovette ritirarsi nei monti dell'Ouarsenis, dove si destreggiò a lungo per evitare una battaglia decisiva. Finalmente nel 1843 il Bugeaud riuscì ad accerchiare il pianoro dell'Ouarsenis da N. ad E., occupando il corso dell'Oued Chélif, sulla cui riva sinistra fondò i campi trincerati di Orléansville e Boghari; ad O. Sidi Bel-Abbès, a S. Tiaret. Durante queste operazioni si ebbero numerosissimi combattimenti, in seguito ai quali Abd el-Kader perdette successivamente gran parte delle sue forze regolari e tutti i suoi magazzini ed arsenali che costituivano la sua potenza materiale. Sul punto d'essere catturato, egli abbandonò l'Ouarsenis coi suoi seguaci, costituenti una massa di 60.000 persone, di cui 5000 combattenti, e si diede alla campagna; le operazioni assunsero allora un carattere di estrema mobilità e obbligarono le truppe francesi a quella caccia all'uomo, nella quale esse perfezionarono l'attitudine ai rapidi movimenti necessarî per questo genere di guerra. Nella primavera del 1843 si seppe che la smālah (accampamento mobile) di Abd el-Kader campeggiava sugli altipiani fra Tiaret e Boghar; la divisione Lamoricière da Tiaret e la brigata del duca d'Aumale da Boghar mossero alla sua ricerca; il 16 maggio l'avanguardia di quest'ultima, composta di 500 cavalli, riuscì a sorprendere il campo arabo catturando 3000 prigionieri e il bestiame; ma il grosso, compresa la famiglia di Abd el-Kader, riuscì a sfuggire. Si diede a questo episodio troppa importanza e si ritenne l'emiro ormai perduto, ma questi invece continuò a battere la campagna arruolando nuovi combattenti; alla fine, battuto seriamente in nuovi numerosi combattimenti, sul punto di essere accerchiato, egli si rifugiò in territorio marocchino, chiedendo ed ottenendo la protezione del sultano ‛Abd er-Raḥmān.
La guerra contro il Marocco. - Abd el-Kader si diede tosto a sollevare le tribù marocchine, provocando incursioni di queste in territorio algerino, e però il Bugeaud ordinò al gen. Lamoricière di costituire un campo a Lalla-Maghnia, su un affluente di sinistra della Tafna.
I Marocchini, che consideravano come confine il corso della Tafna, il 30 maggio 1844 attaccarono il campo di Lalla-Maghnia, ma furono respinti. Il gen. Bugeaud raccolse allora in quella località tutte le forze disponibili ed il 15 giugno, mentre si svolgevano negoziati coi Marocchini, avendo costoro attaccato, usì dal campo, respinse gli aggressori ed avanzò fino a Oudjda, che occupò il 17 giugno.
Il 3 luglio, dopo un nuovo scontro, i Francesi ripiegarono a Maghnia; le forze marocchine, ammontanti a circa 25.000 cavalli, 10.000 fanti e 11 pezzi, si raccolsero allora, al comando del figlio del sultano, a Koudat, a una trentina di km. dal campo dei Francesi. I quali soltanto alla metà di agosto (il 5 era avvenuto il bombardamento di Tangeri) ripresero l'offensiva con 19 battaglioni (9500 uomini), 19 squadroni (1600 cavalli), 400 indigeni e 16 pezzi. Il mattino del 14 agosto il corpo francese avanzò su tre colonne verso il campo marocchino, situato sulle alture di riva destra dell'Oued Isli, e, passato il fiume a guado, si schierò a losanga, formazione prediletta dal Bugeaud nelle battaglie africane, e iniziò l'attacco conquistando ben presto le prime alture. La numerosa cavalleria marocchina cercò allora di accerchiare i Francesi, ma questi, respintine i disordinati attacchi, fecero a loro volta uscire dalla losanga la loro cavalleria, che, caricate e disperse le orde avversarie, già scosse dal fuoco della fanteria, occupò il campo dei Marocchini; questi si ritirarono inseguiti dal fuoco dell'artiglieria, lasciando sul campo 800 morti; i Francesi ebbero circa 130 uomini fuori combattimento.
Il 16 agosto la squadra francese bombardava e occupava Mogador, e il 10 settembre il sultano firmava il trattato di pace di Tangeri, impegnandosi a cacciare Abd el-Kader dal suo territorio e ad impedire incursioni dei suoi in territorio algerino, considerata frontiera quella esistente all'epoca del dominio turco.
Nonostante ciò, Abd el-Kader continuò a soggiornare in territorio marocchino facendo frequenti incursioni in Algeria. Nella primavera del 1845, poi, un suo emulo e rivale, certo Bū Masa, sollevò alcune tribù della provincia di Orano; i ribelli vennero accerchiati da due colonne francesi nei monti dell'Ouarsenis e 500 di essi, sorpresi nelle grotte di Dahra, vennero bruciati vivi. L'atto di ferocia aggravò l'insurrezione e Abd el-Kader ne approfittò per raccogliere attorno a sé gl'insorti, fra cui lo stesso Bū Masa, passando alla loro testa la Tafna e rientrando in Algeria (autunno 1845). Una colonna di 500 uomini, uscita di propria iniziativa, contrariamente agli ordini del Bugeaud, dal posto di Giamaa Ghazouat (oggi Nemours), si scontrò il mattino del 23 settembre con le genti di Abd el-Kader presso il Marabutto di Sidi Brahim e venne annientata. Il 27, un distaccamento di 200 uomini di rinforzo al posto di Ain Temouscent, incontrato per via Abd el-Kader, si arrese senza combattere. Questi due successi ebbero l'effetto di rialzare il prestigio di Abd el-Kader al punto che l'intera Algeria insorse nuovamente. Per tutto il 1846 e fino alla metà del 1847, il gen. Bugeaud coi suoi 115.000 uomini diede una caccia accanita, mediante numerose colonne mobili, all'emiro, che però sfuggì sempre abilmente, dopo avere sostenuto infiniti combattimenti. Soltanto nel giugno 1847, per la crescente stanchezza della popolazione, Abd el-Kader si rifugiò nuovamente in territorio marocchino, nello stesso tempo che il maresciallo Bugeaud lasciava definitivamente l'Algeria. Inimicatisi anche i Marocchini, Abd el-Kader fu da loro battuto il 21 dicembre 1847 sulla Muluia, e si rifugiò in territorio algerino, ove, accerchiato dai Francesi, si arrese nella notte sul 23 dicembre.
Inviato in Francia, fu dapprima internato a Pau, poi al castello d'Amboise e infine, nell'ottobre 1852, fu liberato e inviato in Siria. Si stabilì a Damasco, ove morì nel 1883.
Colla resa di Abd el-Kader cessarono definitivamente le grandi operazioni per la conquista dell'Algeria; rimanevano tuttavia non sottomesse alcune regioni, principalmente la Cabilia e i territorî meridionali sahariani.
Completamento della conquista. - Gli avvenimenti politici interni di Francia, ripercotendosi perniciosamente sulla colonia, ritardarono tuttavia di qualche anno il completamento dell'opera. Il duca d'Aumale - uno dei figli del re Luigi Filippo - che era successo al Bugeaud l'11 settembre 1847, venne esonerato in seguito alla rivoluzione del febbraio 1848; cinque governatori si succedettero in pochi mesi e torbidi politici si ebbero nei maggiori centri, con la conseguenza che, in breve, sintomi di irrequietezza si manifestarono qua e là con la comparsa dei soliti sedicenti profeti e col ritorno, per pochi mesi, dello stesso Abd el-Kader. Una dura campagna dovette essere intrapresa dopo il 1849 con numerose spedizioni e infiniti combattimenti che in qualche anno ristabilirono la situazione; notevoli le due spedizioni (1849 e 1850) contro Nara, nella provincia di Costantina, e quelle contro il villaggio fortificato (qaṣr) dell'oasi di Zaatch (SE. di Biscra) che, dopo due vani sanguinosi tentativi (luglio-agosto 1849), dovette essere regolarmente assediato da una forte spedizione (8000 uomini) e cadde, dopo quasi due mesi di resistenza, solo mercé l'impiego di grosse artiglierie, causando ai Francesi la perdita di 1500 uomini; per rappresaglia gli insorti furono sterminati, comprese le donne e i fanciulli.
Conquista della Cabilia. - I Cabili, berberi sedentarî e agricoltori delle catene del Piccolo Atlante, fra Algeri e Costantina, dapprima neutrali e non ostili ai Francesi, in seguito, vedendo minacciata la loro indipendenza dall'avanzare di questi, avevano finito, benché con ripugnanza (data la loro tradizionale ostilità verso gli Arabi), col dare ospitalità nelle loro montagne a tutti i dissidenti e allo stesso Abd el-Kader. Dopo la cattura di questo, i Cabili, governati da un loro capo Ben Sālem, continuano a formare, nel paese già pacificato, una pericolosa isola indipendente e minacciosa per taluni fra i più importanti centri della colonia, quali Algeri, Bugia e Costantina; necessitava quindi ridurli in soggezione: una prima spedizione fu condotta nella Piccola Cabilia nel maggio-luglio 1851, ma senza risultati concreti. L'anno dopo il nuovo governatore, gen. Randon, intraprese la conquista metodica della regione; alla fine del 1853, colle due divisioni Mac-Mahon e Bosquet, egli occupò la Piccola Cabilia; l'anno dopo penetrò nel massiccio del Djurdjura (grande Cabilia), ove batté i dissidenti a Sebt (giugno) e Taurirt (luglio); intanto altre colonne penetravano nel Sahara occupando Ouargla e Tuggurt ove si erano rifugiati i Cabili fuggiaschi. Nel 1855 la guerra di Crimea, assorbendo parte delle truppe d'Africa (30.000 uomini), impose una sosta, ma nel 1856 il gen. Randon penetrò nuovamente con 15.000 uomini nel Djurdjura, occupandovi solide basi.
Nel 1857 finalmente il gen. Randon con 32.000 uomini su 3 divisioni, completò la conquista, dopo sette anni di dure campagne, battendo a Ismaiseren, a Sough el-Drbaa e a Iscriden i Cabili, che chiesero in massa di sottomettersi.
Nel 1864 la tribù degli Ouled Sidi Chekh, abitante le regioni sahariane di Laghouat, Ouargla e Tuggurt, cui il Randon aveva posto a capo lo Sharīf Moḥammed, insorse sotto la guida del figlio di questo, Sidi Slīmān, e si proclamò indipendente, massacrando di lì a poco una colonna francese.
Accorsero truppe da Algeri e, con ripetute operazioni e scontri, si riuscì dopo quattro anni a localizzare l'insurrezione nel SO., ottenendo una tranquillità apparente, essendosi i capi dissidenti rifugiati in territorio marocchino.
La grande insurrezione del 1871. - Ma di lì a poco, in conseguenza dei disastri subiti in Europa dalla Francia, doveva scoppiare un'insurrezione ben più grave, a causa principalmente della inopportuna sostituzione del governo cosiddetto "civile" a quello militare. Le insipienti misure adottate dal nuovo regime, insieme con le voci che correvano circa le gravi condizioni della Francia, fecero sì che il malcontento, dapprima latente e localizzato qua e là, si diffondesse rapidamente, anche per la mancanza di truppe, sotto la guida di quegli stessi capi indigeni che, per anni e attraverso numerose prove, si erano dimostrati fedelissimi; molti di essi dovettero, loro malgrado, tradire la Francia sotto la pressione della massa dei loro dipendenti. L'insurrezione scoppiò apertamente nella primavera del 1871 in tutta la Cabilia, da Costantina alle porte di Algeri, e a S. fino a Ouargla e Tuggurt: le colonie furono saccheggiate e distrutte, i coloni massacrati, catturati o dispersi, i presidî bloccati. Il governo francese si affrettò allora a spedire in Algeria quante truppe poté, e queste, al comando del vice ammiraglio de Gueydon, circondarono con più colonne la Cabilia e la riconquistarono. Alla fine del 1871 la rivolta ormai poteva dirsi domata.
In seguito non si ebbero che insurrezioni parziali di minore importanza: nel 1876 la rivolta di el-Amri nel Zibane; nel 1879 l'insurrezione dell'Aurès, domata dal gen. Forgemol, che accerchiò con tre colonne gl'insorti battendoli a R'baa e Medina.
Nel 1875 gli Ulàd Sidi-Cheikh, che fin dal 1870 erano stati respinti nelle regioni del SO. al confine marocchino, e che si erano mantenuti sempre ostili, ricominciarono, sotto la guida del marabutto Bū Amena, ad agitarsi. Per qualche anno il governo non diede importanza soverchia al movimento, finché nel 1881 il colonnello Flatters, in un tentativo di raggiungere il Niger attraverso il Sahara, venne assalito e massacrato con quasi tutti i suoi dai Tuāregh Haggār, presso Insāla.
Bū Amena approfittò dell'impressione che l'episodio aveva esercitato sulle popolazioni per muovere verso il nord.
Una colonna accorsa a sbarrargli la via fu sorpresa e battuta a Chellala; i ribelli avanzarono fino a Saïda. Frattanto erano cessate le operazioni per l'occupazione della Tunisia e le truppe resesi disponibili furono inviate contro gl'insorti che, energicamente cacciati, si rifugiarono nelle oasi del Tuat (sud marocchino). Per assicurare il Sud-Oranese contro nuove incursioni, nel dicembre 1882 fu occupata l'oasi di Ghardaïa, nello Mzāb. In seguito l'occupazione francese si venne estendendo gradatamente a tutto il Sahara, specie dopo lo stabilimento del protettorato sul Marocco, sicché oggi è possibile attraversare quasi in ogni senso e con relativa sicurezza l'immensa, e fino a pochi anni addietro misteriosa, regione africana.
Bibl.: E. Pellissier de Raynaud, Annales Algériennes, 2ª ed., Parigi 1854; A. E. Filias, Histoire de la conquête et de la colonisation de l'Algérie, 1830-1860, Parigi 1887; id., La conquête de l'Algérie, 1841-1857, Parigi 1889; L. Rinn, Histoire de l'insurrection de 1871, Algeri 1891; A. Bernard e N. Lacroix, La pénétration saharienne (1830-1906), Algeri 1906; P. Azan, L'emir Abd el Kader, Parigi 1925.
Missioni.
L'occupazione dell'Africa Minore per opera degli Arabi tra il 650 e il 710, rappresentò (v. africa) la completa rovina delle istituzioni cristiane in quell'importante contrada; e, se qua e là sopravvissero ancora alcuni vescovadi e alcuni raggruppamenti di fedeli, questi non furono che misere reliquie di una prosperità tramontata per sempre. Il cristianesimo nell'Africa settentrionale e soprattutto in Barberia fu la religione professata quasi esclusivamente dai molti schiavi, che, strappati dai corsari algerini o tunisini alle borgate distribuite lungo le coste del Mediterraneo, gemevano nelle stive delle galere saracene o ingombravano i funduq e i mercati di carne umana. Per soccorrere alle miserie di costoro e impedire che, cedendo alle debolezze dell'umana natura, finissero per rinnegare la fede e abbracciare l'islamismo, sorsero appunto gli ordini religiosi dei trinitarî e dei mercedarî; e più tardi S. Vincenzo di Paoli mandò alcuni dei suoi. Fu appunto ad uno dei lazzaristi che, nel 1650, la Santa Sede conferiva, con la carica di vicario apostolico di Algeri, tutte le facoltà necessarie per soccorrere spiritualmente quei cristiani. Tale ufficio fu tenuto dai figli di S. Vincenzo fino alla Rivoluzione francese. Restituito poi loro nel 1823, giovò a preparare, per l'immediato avvenire, la costituzione della gerarchia cattolica in quei paesi.
Ciò avvenne dopo che la Francia, occupata Algeri, ebbe manifestato il proposito di volere ad ogni costo mantenuto quel dominio, vale a dire nel 1838. Anche se le condizioni geografiche e i ricordi storici collegati con quel paese non fossero stati sufficienti per indurre papa Gregorio XVI ad agire, la necessità di sopperire ai bisogni spirituali dei molti europei stabilitisi in quel tempo nell'Africa Settentrionale sarebbe stata ragione più che sufficiente per indurlo a promuovere la creazione della sede di Algeri, con la quale più che far rivivere l'antica chiesa di Icosium, sulle cui rovine era sorta la città araba di al-Giazā'ir, si volle richiamare la memoria di Cesarea, già capitale e città importantissima della Mauretania.
Dapprima la chiesa di Algeri fu considerata come suffraganea di Aix in Provenza, poi, accresciutosi il numero dei fedeli, essa venne elevata (25 luglio 1867) alla dignità di metropoli e le furono assegnate, come sedi suffraganee, le due diocesi recentemente create di Orano e di Costantina, nome questo che, assegnato già fin dai tempi di Costantino a Cirta, l'antica capitale della Numidia, venne così a conservarsi nella nomenclatura ecclesiastica moderna.
Le tre diocesi, tuttavia, costituite in paese eminentemente arabo, hanno servito fino ad ora quasi esclusivamente per gli immigrati europei.
Così Algeri, nella cui circoscrizione si conta una popolazione di 2.042.702 ab., ha solamente 292.000 cattolici. Costantina, di fronte a 1.457.489 ab., ha una popolazione cattolica di 147.740. Orano, di fronte a 1.306.725 ab., conta 365.183 cattolici.
Oltre a queste diocesi regolarmente istituite, l'Algeria conta diverse missioni in mezzo alle tribù berbere della Cabilia, missioni che per il momento si limitano quasi dovunque a far opera di edificazione, e lavorano a preparare, mediante la pratica della carità, il terreno ai futuri missionarî. Una missione regolarmente organizzata è invece quella di Ghardaïa nel Sahara. Di essa fanno parte le zone più meridionali dei dipartimenti di Algeri e di Orano, e i territorî più settentrionali del Sahara algerino. La popolazione dell'intera circoscrizione ecclesiastica è di 300.000; mentre quella che è più o meno stabilita nelle sette stazioni della missione si riduce soltanto a circa 60.000, tra cui non si contano che 5000 cattolici (v. tabella a capo di questa pagina).