Vedi Algeria dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Lotta al terrorismo internazionale, produzione ed esportazione di idrocarburi e una posizione strategica sulla sponda sud del Mediterraneo fanno oggi dell’Algeria un paese rilevante per le dinamiche geopolitiche della regione mediterranea. La cooperazione alla sicurezza rappresenta il terreno di intesa e collaborazione privilegiato tra gli attori occidentali e l’Algeria, che costituisce, appunto, una pedina importante nella lotta al terrorismo internazionale. In questo ambito Algeri – che fronteggia ancora oggi focolai di estremismo di matrice islamica, retaggio di un conflitto civile non del tutto superato – ha siglato accordi di cooperazione con l’Unione Europea (Eu) e, soprattutto, con gli Usa. Lo sviluppo economico è l’altro ambito di collaborazione tra l’Algeria e i paesi europei, grazie al partenariato con l’Eu. Gli accordi con Bruxelles, inoltre, riguardano le questioni dei flussi migratori e dei diritti civili, come previsto dai programmi siglati nell’ambito del progetto ‘Dialogo 5+5’, ideato ad Algeri nel 1991. Il progetto vede cooperare in prima linea i paesi dell’Unione del Maghreb arabo, Uma (Algeria, Tunisia, Marocco, Libia e Mauritania), con Italia, Francia, Malta, Portogallo e Spagna. È però il settore degli idrocarburi a fare da volano alla politica estera algerina. Gli stati dell’Eu, perseguendo una politica di diversificazione degli approvvigionamenti di gas che diminuisca la dipendenza dalle forniture della Russia, importano il 25% del proprio fabbisogno di gas naturale dall’Algeria, mentre gli Usa risultano il principale acquirente di petrolio. Negli ultimi anni, e soprattutto dopo le rivolte del 2011 che hanno soltanto lambito il paese, quest’ultimo risulta importante anche per la stabilità dell’area e il controllo delle rotte migratorie.
L’Algeria fonda le proprie basi istituzionali sull’Accordo di Evian, che nel 1962 pose fi ne alla guerra d’indipendenza contro la Francia, iniziata nel 1954. Il conflitto provocò più di 250.000 vittime e rappresentò anche il tramonto dell’esperienza coloniale di Parigi, all’epoca già segnata dalle sconfitte nei territori dell’Indocina. La guerra d’indipendenza ha profondamente segnato la storia del paese non solo dal punto di vista dell’identità nazionale, ma anche da quello istituzionale: da allora l’esercito formato dai ranghi del Front de Libération Nationale (Fln) ha acquisito un ruolo centrale nella vita come garante delle istituzioni repubblicane. In questo contesto, negli anni Novanta l’Algeria è stata nuovamente teatro di violenze, scoppiate tra i movimenti di ispirazione islamica e l’esercito. Il tentativo di avviare un processo di democratizzazione si era arenato allorché il partito islamico del Front Islamique du Salut (Fis) vinse il primo turno delle elezioni politiche nel dicembre 1991, ponendo le basi per una vittoria al secondo turno. Di fronte a tale scenario, i militari misero in atto un colpo di stato, innescando una guerra civile che si protrasse per tutto il decennio e che causò quasi 200.000 vittime. Da allora il paese, con l’attuale presidente Bouteflika, ha intrapreso il cammino verso la normalizzazione, anche se gli strascichi del conflitto restano evidenti, e ha cercato di consolidare i rapporti con la comunità internazionale.
A livello regionale sussistono numerosi fattori di instabilità. Su tutti, i rapporti con il Marocco: le frontiere tra i due paesi sono chiuse dal 1994 e gli scambi diplomatici, in questi ultimi anni, non hanno prodotto alcun accordo circa il contenzioso sull’indipendenza dei Sahrawi, nonostante vi siano stati negli ultimi anni dei tentativi di riavvicinamento tra i due paesi.Il motivo del contenzioso è il sostegno dell’Algeria al popolo del Sahara occidentale, rappresentato dal Fronte Polisario (dall’abbreviazione spagnola di Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro).
Il paese è stato uno dei promotori del New Partnership for Africa’s Development (Nepad), il cui obiettivo è il rafforzamento, la crescita, lo sviluppo e l’integrazione nell’economia globale del continente africano. Il presidente algerino partecipa, inoltre, con altri capi di stato africani, al dialogo con il G8 nell’ambito della partnership Africa-G8.
L’Algeria è formalmente una repubblica presidenziale, anche se le dinamiche politiche interne non lasciano molto spazio ai partiti di opposizione. Il presidente della repubblica è Abdelaziz Bouteflika, al potere dal 1999, eletto per un quarto mandato di cinque anni nell’aprile del 2014. L’aggravamento del suo stato di salute crea tuttavia numerose incognite sul futuro politico del paese. La sua assenza prolungata dalla scena politica ha alimentato dubbi e incertezze sia sulle reali capacità del presidente di portare a termine i suoi impegni politici, sia sul possibile successore. Il clima di incertezza e sfiducia nella politica che aleggia nel paese, del resto, è ben rappresentato dalla bassa affluenza alle urne alle ultime presidenziali: il 51,7%, contro il 70% delle elezioni del 2009. Sebbene non esistano ‘delfini’ accreditati, i candidati più credibili sembrano essere l’attuale primo ministro Abdelmalek Sellal e il presidente del consiglio della nazione Abdelkader Bensalah. Ciononostante il candidato dovrà godere del riconoscimento dei militari e in particolare del generale Mohamed ‘Tewfik’ Mediène, capo del Département du Renseignement et de la Sécurité (Drs) – l’apparato di intelligence militare algerino – e considerato dagli analisti il kingmaker della politica e dell’economia algerina fin dai tempi della guerra civile. A livello legislativo, l’Algeria ha una struttura parlamentare bicamerale, con una camera bassa (assemblea nazionale del popolo), composta da 380 membri ed eletta ogni cinque anni per suffragio universale, e una camera alta (consiglio della nazione), eletta per due terzi dai rappresentanti delle amministrazioni locali e, per il restante terzo, nominata dal presidente. Le ultime elezioni legislative, avvenute nel 2012, hanno conferito una stabile maggioranza alla coalizione guidata dal Front de Libération Nationale (Fln), il partito del presidente in carica. L’Algeria non è stata risparmiata dai moti delle Primavere arabe e all’inizio del 2011 si sono svolte numerose manifestazioni. Tuttavia, il timore di una nuova guerra civile e le concessioni economiche fatte dal governo hanno finora evitato che le proteste si trasformassero in rivolte.
Per quanto riguarda l’accesso ai servizi sanitari, attualmente garantito al 95% della popolazione, l’Algeria è tra gli stati più virtuosi della regione, ma registra un dato sotto la media per l’accesso all’acqua potabile (84% contro, per esempio, il 99% dell’Egitto), che negli ultimi venti anni è calato dell’11%. Per ovviare al problema il governo algerino sta investendo nello sviluppo delle infrastrutture nelle zone rurali e nella desalinizzazione dell’acqua marina.
La libertà di stampa è soggetta a pesanti restrizioni: nonostante la Costituzione garantisca la libertà d’espressione, un emendamento del 2001 alla Legge sulla stampa ha introdotto pene detentive molto severe per i giornalisti che diffamano il governo o qualsiasi altra istituzione pubblica. Considerando che il controllo governativo agisce anche ex ante (tv e radio sono monopolio statale e la maggior parte delle testate vengono stampate in tipografie statali), risulta evidente come il governo riesca a controllare l’intero processo informativo. Nonostante solo il 12,5% della popolazione possa accedervi, l’unica fonte alternativa d’informazione è Internet, su cui il governo non pone particolari restrizioni. Le proteste del 2011 hanno indotto l’esecutivo a fare alcune concessioni in materia di diritti e libertà di espressione, in particolare la revoca di alcuni commi della Legge di emergenza in vigore dal 1992. Il governo ha inoltre aumentato lo spazio dei partiti di opposizione all’interno dei media.
L’economia algerina è dominata dagli idrocarburi, la cui esportazione rappresenta il 98% delle esportazioni totali del paese e circa il 70% del pil nazionale. Circa l’85% del traffico di idrocarburi è diretto verso gli Usa e l’Unione Europea, che nel suo insieme è il primo partner commerciale dell’Algeria, assorbe quasi metà delle esportazioni e fornisce la metà delle importazioni. Dal paese proviene circa un quarto del gas importato in Europa.
A livello di singoli stati, invece, i maggiori partner sono Francia, Cina, Italia, Spagna e Germania. I beni importati sono soprattutto quelli capitali e cibo: quasi la metà dei prodotti alimentari viene importata, perché è difficile sfruttare in modo efficiente i terreni coltivabili. Gli idrocarburi garantiscono un surplus costante e una bilancia commerciale in positivo, a differenza di quanto avviene negli altri stati nordafricani, con l’eccezione della Libia pre-rivoluzione. Nel 2013, il surplus commerciale ha rappresentato l’8,5% del pil, in calo rispetto all’anno precedente di oltre dieci punti, anche per il perdurare della crisi economica nell’eurozona e per le difficoltà finanziarie dei principali partner commerciali europei.
Le preoccupazioni per gli effetti di medio-lungo periodo di un sistema economico così fortemente incentrato sul settore degli idrocarburi hanno convinto il governo a diversificare l’economia, promuovendo investimenti nel petrolchimico e nel minerario (soprattutto per l’estrazione dell’oro). Tale processo è stato inquadrato nei piani quinquennali del 2005 e del 2010 e mira a stimolare gli investimenti privati e a investire nelle infrastrutture, anche al fine di ridurre la disoccupazione, al 2014 attestatasi al 9,4%. La mancanza di lavoro, che affligge in particolare il 21,6% dei giovani sotto i venticinque anni, costituisce un fattore congiunturale che pesa sulla società algerina e mina la stabilità interna, come dimostrato dagli scontri di piazza del gennaio 2011. Gli scontri hanno causato la morte di almeno tre cittadini e sono stati alimentati proprio dal malessere sociale, legato all’alto tasso di disoccupazione e all’innalzamento dei prezzi dei beni alimentari di prima necessità.
Il settore privato è poco sviluppato, soprattutto per l’insicurezza degli anni Novanta, per l’insufficienza dei servizi finanziari e l’eccessiva burocrazia. Tuttavia, l’Accordo di associazione con l’Unione Europea che è entrato in vigore il 1° settembre 2005, prevedendo l’istituzione di una zona di libero commercio tra Algeria e paesi dell’Ue entro il 2017, potrebbe favorire la liberalizzazione e la privatizzazione dell’economia algerina, sulla scia di quanto avvenuto in Tunisia e Marocco. Tale accordo è inoltre funzionale all’obiettivo di Algeri di entrare nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Fino a qualche anno fa, in concomitanza con il basso prezzo degli idrocarburi, il governo algerino ha cercato di attrarre gli investimenti stranieri e le relative tecnologie, ma la ripresa delle quotazioni, avviata nel 2003, ha rafforzato la posizione finanziaria di Sonatrach (la compagnia statale leader nel settore degli idrocarburi, prima impresa africana e tra i primi esportatori al mondo di gas naturale e petrolio) e ha indotto il governo a emendare la legge sugli idrocarburi, rafforzando ulteriormente la posizione del colosso energetico. Dal 2009 il governo ha posto ulteriori restrizioni agli investimenti esteri, con tasse più elevate e limitando al 49% le partecipazioni straniere nelle aziende algerine.
L’esercito del paese, l’Armée Nationale Populaire (Anp), esercita tradizionalmente una forte influenza sulla vita politica algerina ed è il più grande di tutta l’Africa, dopo quello egiziano. Solo a partire dai primi anni del 2000 il presidente è riuscito a ridurre il potere dell’establishment militare. In particolare, dal 2005, Bouteflika ha assunto direttamente la carica di ministro della difesa e ha creato una nuova posizione di ministro delegato agli affari della difesa, ricoperta dal generale Abdelmalek Gueneiza. L’equipaggiamento delle forze armate proviene principalmente dalla Russia, storico partner militare: dal 2000 le importazioni sono costanti e, dal 2007, si è registrato un notevole incremento di spesa, soprattutto per l’acquisto di aerei militari, missili e veicoli blindati. All’interno, il paese è stato solo marginalmente interessato dalle ‘Primavere arabe’, sebbene le manifestazioni popolari nel Maghreb abbiano avuto inizio, a cavallo tra il 2010 e il 2011, proprio in Algeria.
I disagi socio-economici costituiscono un fattore di potenziale rischio per la stabilità, anche se il governo di Algeri ha resistito all’ondata di rivolte che hanno interessato il mondo arabo. Negli ultimi anni il governo e l’intelligence militare si sono molto adoperati nella politica di contrasto alle cellule jihadiste più o meno collegate ad al-Qaida nel Maghreb e riconosciute sotto la sigla Aqim, un’organizzazione terroristica nata sulle ceneri del Groupe Salafiste pour la Prédication et Combat (Gspc) e radicatasi in Algeria nello scorso decennio. La presenza di cellule di Aqim costituisce una seria minaccia alla sicurezza del paese: negli ultimi anni si sono susseguiti diversi attentati, principalmente contro le forze di polizia. L’impegno del governo e gli accordi di sicurezza internazionale con Eu e Usa hanno solo in parte ridotto il pericolo derivante dal terrorismo di matrice islamica nelle città algerine e nel Maghreb in genere. Nonostante gli arresti di numerosi jihadisti, le autorità algerine non sono riuscite a mettere in sicurezza le zone calde del paese, in particolare il wilayat (distretto amministrativo) di al-Oued, al confine con la Tunisia, e le aree desertiche meridionali lungo la frontiera con la Libia, diventate famose per l’attentato all’impianto gasifero algerino di In Amenas del 17 gennaio 2013.
L’Algeria rimane, dunque, uno dei centri nevralgici della lotta al terrorismo regionale. Al tempo stesso, continua a essere un paese potenzialmente instabile. Intanto i militanti di Aqim hanno esteso i propri obiettivi anche alla regione del Sahel e più precisamente ai territori di Mali, Niger e Mauritania, dove le autorità governative faticano a pattugliare il territorio, inospitale e molto vasto. Aqim e altri gruppi integralisti hanno approfittato della crisi libica per armarsi e occupare parte del nord del Mali, costituendo un ulteriore pericolo per la stabilità dell’Algeria. Per supplire a questo deficit organizzativo, il presidente Bouteflika può contare sull’appoggio dei tuareg, alcuni dei quali vivono anche di traffici illeciti proprio nella zona sahelo-sahariana. I tuareg, preoccupati per la crescente presenza di contingenti internazionali anti-terrorismo, come Africom, condividono l’interesse del governo algerino a impedire il radicamento delle cellule islamiste radicali mantenendo in questo modo il monopolio dei traffici criminali sulla rotta transahariana. Alcuni tuareg, dopo essere stati brevemente alleati dei gruppi qaidisti, starebbero ora collaborando con il governo algerino per la risoluzione della crisi maliana.
Dicembre 1991. Il Front Islamique du Salut (FiS) vince il primo turno delle elezioni politiche
Gennaio 1992. Colpo di stato. Il presidente Chadli Benjedid è costretto alle dimissioni; l’Haut Conseil de Sécurité (HCS), organismo composto quasi esclusivamente da militari, annulla il secondo turno delle elezioni e crea l’Haut Conseil de État (HCE), diretto da Mohamed Boudiaf.
Febbraio 1992. L’HCE proclama lo stato d’emergenza Febbraio 1993.
Lo stato d’emergenza è prorogato a tempo indeterminato.
La stima dei morti in un anno di confl itto civile è di 15.000 persone Gennaio 1994. Il generale Liamine Zéroual è nominato capo di stato dall’HCE.
1994 Fa la sua apparizione il Groupement Islamique Armée (GiA).
Novembre 1995. Zéroual vince le elezioni presidenziali al primo turno con il 60% dei suffragi.
Novembre 1996. Tramite referendum è approvata, con l’85% dei voti, la riforma costituzionale che accentra i poteri nella fi gura del presidente della Repubblica e bandisce i partiti religiosi e regionalisti.
Settembre 1997. L’Armée Islamique du Salut (AiS), braccio armato del FiS e gruppo opposto al GiA, annuncia una tregua a partire dal 1° ottobre.
Ottobre 1997. Il Rassemblement National Démocratique (RND) di Zéroual ottiene il 55% dei seggi delle assemblee comunali. La repressione aumenta.
Settembre 1998. Zéroual annuncia le sue dimissioni
Aprile 1999. Abdelaziz Boutefl ika vince le elezioni presidenziali.
Settembre 1999. La legge sulla ‘Concorde civile’ è approvata con referendum con il 98% dei voti.
Come il Marocco, anche l’Algeria è un attore strategico di primissimo piano per l’Unione Europea. La rilevanza di questa relazione (creata nel 1969) è data dai consolidati rapporti nel settore energetico e commerciale – tra il 2002 e il 2012 il bilateral trade è più che raddoppiato – e dall’Accordo di associazione, firmato nel 2002 ma entrato in vigore nel 2005. L’Unione Europea è il principale partner commerciale dell’Algeria e assorbe quasi la metà del commercio internazionale algerino. Algeri, invece, occupa la dodicesima e la ventesima posizione nelle importazioni ed esportazioni con Bruxelles. Il paese nordafricano, inoltre, rappresenta il quattordicesimo partner commerciale e il quinto fra i maggiori fornitori di energia dell’EU. Dal 2011 in poi, le relazioni bilaterali si sono nettamente intensificate a seguito delle ‘Primavere arabe’ e del conflitto in Mali e questo ha permesso un rafforzamento dei rapporti politici. La cooperazione bilaterale è stata indirizzata pertanto anche alle riforme socio-economiche e alla lotta alla corruzione. La Commissione europea ha finanziato tre programmi di assistenza, per un valore complessivo di circa 60 milioni di euro, per modernizzare la pubblica amministrazione, per lo sviluppo rurale e l’agricoltura e per la protezione dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile e la lotta contro i cambiamenti climatici. L’EU sostiene inoltre la società civile algerina, in virtù del suo contributo fondamentale ai processi democratici del paese, e auspica un ruolo più forte dell’Algeria nella regione del Maghreb e del Sahara-Sahel. A tal proposito, Bruxelles considera Algeri un partner fondamentale nella lotta contro al-Qaida nel Maghreb islamico e il terrorismo jihadista e, più in generale, nella lotta all’immigrazione clandestina. L’Algeria è sia paese di origine, sia di transito per i migranti diretti verso l’Europa, e la sua cooperazione con l’EU è vitale in questo settore.
Sonatrach è la più importante compagnia di stato specializzata in idrocarburi nonché una delle principali aziende al mondo nel settore.
L’azienda, le cui entrate incidono per circa il 40% del pil totale del paese, controlla l’80% di tutta la produzione di gas e petrolio nazionale. In questi anni, la società ha registrato un importante sviluppo economico che le ha permesso di diversificare le sue attività coprendo così tutti gli aspetti della produzione: esplorazione, estrazione, trasporto e raffinazione. L’azienda ha inoltre promosso importanti investimenti nel settore petrolchimico, nella produzione dei fertilizzanti e nella desalinizzazione dell’acqua marina. Sonatrach, tuttavia, vive un particolare momento politico ed economico in virtù di uno scandalo risalente al 2009, legato alla corruzione, che ne ha azzerato i vertici e ha avuto ricadute anche sul governo.
Lo scandalo scoppiò quando i servizi segreti avviarono un’indagine a carico di Mohamed Meziane, all’epoca amministratore delegato della società, per una gara d’appalto truccata per il sito di Sidi M’Hamed.
Nonostante gli sforzi del governo nel contrastare il terrorismo, la situazione della sicurezza in Algeria rimane estremamente precaria, in particolare nell’entroterra desertico e nelle zone di confine, dove l’azione di gruppi armati è più incisiva. Da alcuni anni, il paese assiste a una ripresa del fenomeno jihadista. L’escalation è favorita oltre che dalle molteplici tensioni interne anche dall’instabilità politica regionale e dal proliferare di attività illegali (su tutte, narcotraffico e tratta di esseri umani).
Per la prima volta, nel 2013 e 2014 le forze algerine sono state impiegate non solo ai confini, ma anche in operazioni fuori territorio, come nel caso della Tunisia. L’obiettivo è bloccare gli sconfinamenti dei gruppi armati diretti tanto verso l’entroterra africano (Mali e Niger), tanto verso il Sinai e la Siria. In questo modo l’Algeria, da sempre recalcitrante a collaborazioni che abbiano implicazioni militari, ha aperto una nuova strada con i paesi vicini. È in quest’ottica che i governi di Algeria, Tunisia e Libia hanno firmato un protocollo di intesa per presidiare e mettere in sicurezza le rispettive frontiere e frenare l’ingresso e la proliferazione di gruppi armati più o meno legati al jihadismo internazionale. Allo stesso tempo, il governo di Algeri coadiuva le forze tunisine in una campagna militare contro i movimenti terroristi presenti sui monti Chaambi.
Infine, un altro fronte che desta preoccupazione, è quello della Libia: secondo alcune indiscrezioni Algeria ed Egitto potrebbero costituire una coalizione regionale per combattere le forze jihadiste lì presenti, che minacciano direttamente anche i due giganti nordafricani.