Allegretto Nuzi
(o di Nuzio, Nuccii, Nuttii)
Pittore nato a Fabriano nel 1320 ca. e morto nella stessa città nel 1373 sicuramente dopo il 26 settembre, giorno in cui risulta redatto il suo testamento presso il notaio Diotisalvi di Bonaventura (Anselmi, 1893). Venne sepolto nella chiesa di S. Niccolò a Fabriano (Anselmi, 1906).
Della sua prima attività non si conosce molto; dovette comunque formarsi a Siena poiché, già nel 1346, durante il suo soggiorno fiorentino, risultava iscritto alla Compagnia di S. Luca come "Allegrettus Nuccii de Senis" (Donnini, 1986). Intorno al 1348, a causa della peste, fece ritorno in patria, dove fu attivo principalmente nei centri di Macerata e Fabriano.
Fu pittore legato alla scuola giottesca riminese con cui ebbe probabilmente contatti nella stessa Fabriano. Durante la sua permanenza a Siena, A. ebbe l'opportunità di conoscere più a fondo l'opera di Ambrogio Lorenzetti, già a lui nota, anche se per via indiretta, grazie alla produzione del Maestro di Campodonico nella stessa Fabriano. In occasione del suo, seppur breve, primo soggiorno fiorentino, A. conobbe l'opera di Bernardo Daddi e, in un suo ipotetico secondo viaggio intorno agli anni sessanta (Donnini, 1971; 1986), quella di Maso e dell'Orcagna a cui si ispirò dopo il suo ritorno nelle Marche. Sempre a Firenze conobbe Puccio di Simone con cui collaborò probabilmente al trittico Hamilton (Washington, Nat. Gall. of Art), datato al 1354 (Longhi, 1959; Boskovits, 1973; Zampetti, 1988). Spetta a Longhi l'identificazione della mano di Puccio di Simone nella figura del S. Antonio che si distingue per una resa più severa e imponente rispetto alle altre figure del trittico e ricorda molto da vicino un'altra tavola raffigurante S. Antonio Abate (Fabriano, Pinacoteca Civ. e Mus. degli Arazzi), secondo Longhi dello stesso Puccio, secondo Berenson (1921-1922) di A. (Dizionario enciclopedico Bolaffi, 1972) e datata al 1353. Secondo Offner (1947) e Marabottini (1951-1952) entrambe appartengono al Maestro dell'altare di Fabriano.
A questi primi anni di attività sembra appartenere anche il dittico di Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz), raffigurante, nel primo pannello, la Vergine in trono con il Bambino tra i ss. Bartolomeo e Caterina e, nel secondo, la Crocifissione. Sebbene la critica concordi per una datazione piuttosto precoce, Romagnoli (1927), in base all'iscrizione sulla predella del trono, lo data al 1365.
Risale al 1358, secondo l'iscrizione che si legge alla base del trono, una tavola con la Madonna e il Bambino (oggi in coll. privata e in precedenza proprietà dei Sabatucci di Macerata). Purtroppo il dipinto risulta molto rovinato, con evidenti lacune di colore; è stato tuttavia possibile notare la tendenza sempre crescente di A., pur sempre consapevole della volumetria delle figure di derivazione daddesca, verso un impreziosimento delle forme e della decorazione (Rossi, 1971).
Eccezion fatta per quest'ultimo dipinto, le altre opere di A. firmate e databili con sicurezza appartengono tutte all'ultima decade della sua vita. Del 1365 è il polittico conservato nei Mus. Vaticani, Pinacoteca, proveniente dalla chiesa di S. Leonardo alla Lungara, presso l'ospizio dei Camaldolesi a Roma, dono fatto dalla famiglia fabrianese De Santi (Muñoz, 1907) e originariamente dipinto - secondo Neri Lusanna (1986) - per la chiesa di S. Lucia. Nel pannello centrale è raffigurata la Vergine seduta in trono con il Bambino benedicente in braccio, ai lati i due committenti inginocchiati. Nei due pannelli laterali sono raffigurati S. Michele con la spada e la corazza e S. Orsola con la bandiera e la palma del martirio. La firma e la data sono leggibili alla base del pannello centrale: "Alegrittus Nuttii me pinxit anno MCCCLXV". Sono evidenti i legami con lo stile dell'Orcagna soprattutto nel pannello centrale, dove la figura della Vergine è costruita con un possente plasticismo ancora tutto fiorentino, ma già nei pannelli laterali si accentua il gusto per la decorazione delle vesti e degli ornati, più vicino all'arte senese, soprattutto di Ambrogio Lorenzetti (Marabottini, 1960; Neri Lusanna, 1986).
La Madonna dell'Umiltà, tavola conservata a San Severino Marche (Pinacoteca Com.), reca la firma di A. e la data 1366 e proviene dalla chiesa di S. Domenico. Nonostante i pesanti restauri subiti nel secolo scorso, Venturi (1915), integrando l'iscrizione lacunosa che si legge sulla base del dipinto, fu in grado di assegnarlo ad Allegretto. Secondo lo studioso questa tavola costituì il modello per la maggior parte delle opere di Francescuccio Ghissi. Insieme ad altri due dipinti ugualmente datati e autografi, il polittico di Apiro e il trittico di Macerata, questa tavola appartiene alla produzione già matura di A.; in essa il pittore, ormai allontanatosi dagli influssi daddeschi, ingentilisce le forme in un linguaggio più lineare e decorativo dove le figure risultano maggiormente semplificate (Marabottini, 1960; Dizionario enciclopedico Bolaffi, 1972). Nel polittico di Apiro del 1366 (palazzo Municipale) il contorno del manto della Vergine nel pannello centrale ricade dalla spalla al grembo verticalmente, motivo che si ritrova in molte Madonne dipinte dall'Orcagna.
Il trittico con la Madonna in trono e il Bambino tra figure di santi (Macerata, Pinacoteca e Mus. Com.) proviene da Monte Cassiano ed è datato al 1369. Ai lati del trono, in primo piano sono raffigurati i Ss. Antonio Abate, Rosa, Benedetto e Caterina d'Alessandria. Figure di angeli sono poste in tre ordini sovrapposti; nei pannelli laterali, S. Giuliano e S. Antonio Abate. Anche le cuspidi sono decorate: in quella centrale si trova il Crocifisso tra Elia e Mosè e in quelle laterali, entro quadrilobi, rispettivamente la Vergine annunciata e l'arcangelo Gabriele. Già Berenson (1921-1922) aveva notato una somiglianza di impostazione con il polittico Hamilton; pur negando la paternità di quest'ultimo ad A., egli tuttavia ipotizzava per le due opere un medesimo committente, frater Johannes clericus, così come è anche riportato nelle iscrizioni su entrambe le opere. Nella tavola di Macerata si nota un certo appiattimento dei volumi, caratteristico dell'ultima fase dell'opera di A.; i volti sono allungati e taglienti e i tessuti sono resi ormai come ampie superfici piatte (Rossi, 1971).
L'ultima opera datata è la tavola del 1372 raffigurante una Madonna in trono, fino al 1914 proprietà della famiglia Fornari, oggi conservata nel palazzo Ducale di Urbino (Gall. Naz. delle Marche). Si è ormai di fronte all'ultima fase della produzione di A., dove le forme sono più rigide e dove maggiormente si avvertono influssi dell'arte veneziana contemporanea, soprattutto di Paolo e Lorenzo Veneziano attivi proprio in quegli stessi anni nelle Marche. A tale proposito Marabottini (1951-1952) ipotizzò un viaggio di A. in territorio veneto.Il catalogo delle opere attribuite su base stilistica ad A. è molto vasto. Tra queste le più significative sono quelle realizzate a fresco in cui A. fu evidentemente affiancato dalla sua bottega. Negli affreschi della cappella di S. Lorenzo nel duomo di Fabriano con Storie del santo, oggi piuttosto rovinati, è stata notata una grande sensibilità narrativa e un particolare gusto nell'uso del colore, che poi trovò larga eco in tutta la pittura 'cortese' marchigiana (Zampetti, 1988). Boskovits (1973) propende per una data intorno al 1345 in base a quanto riportato nelle antiche guide manoscritte del secolo scorso. Marabottini (1960), invece, ha ipotizzato per questo ciclo una datazione al 1365 ca., in particolar modo per le affinità con il polittico della Pinacoteca Vaticana. Secondo Donnini (1986), l'ipotesi più verosimile è quella che lo data intorno agli anni sessanta, quando ormai A. aveva raggiunto la piena maturità stilistica.
Di poco posteriore a questa data è il ciclo di affreschi nella cappella di S. Orsola nel S. Domenico di Fabriano. Donnini (1986) nota in proposito che le Storie di s. Orsola sono il frutto di una larga collaborazione del pittore con i suoi aiuti; individuò almeno altre due mani, oltre a quella di A. che si riconosce nella figura dell'arcangelo Michele e in alcune scene della vita della santa. Apparterrebbe ad A. anche il S. Domenico dipinto nella sacrestia e solo di recente venuto alla luce (Donnini, 1986).
Ad A. sono stati inoltre attribuiti (Boskovits, 1973) gli affreschi del S. Domenico di Perugia, oggi staccati (Perugia, Gall. Naz. dell'Umbria). Di recente anche la Crocifissione dipinta a fresco nella chiesa di S. Francesco a Rovereto presso Saltara, nel pesarese, oggi conservata a Urbino (Gall. Naz. delle Marche), è stata assegnata al maestro di Fabriano; la datazione probabile è tra la fine del sesto e gli inizi del settimo decennio del secolo (Donnini, 1986).
Dei dipinti mobili attribuiti concordemente dalla critica ad A., quello di Southampton (Art Gall.) è sicuramente il più significativo; si tratta di un trittico con l'Incoronazione della Vergine. Zeri (1949) notò che l'opera ripeteva nello schema compositivo le pale d'altare fiorentine e, più precisamente, ricordava nelle proporzioni, nella disposizione delle figure e nel colore il pentittico della Gall. dell'Accademia di Firenze, di scuola daddesca. Stabilì inoltre che in origine anche il dipinto di Southampton doveva essere un pentittico; i due pannelli mancanti sarebbero da identificare con quelli oggi a Houston (Mus. of Fine Arts) con figure di santi.
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