allevamento
Un'alleanza tra l'uomo e l'animale
Insieme all'agricoltura, l'allevamento è tra le attività che hanno permesso l'evoluzione della civiltà umana. È infatti nel Neolitico, intorno al 10.000 a.C., che si hanno le prime testimonianze di attività legate all'allevamento. Seguirono varie fasi di trasformazione, dalla selezione di razze animali alle stalle ad alta tecnologia, dalla rivoluzione dei mangimi di origine animale alla somministrazione di sostanze ormonali fino alla 'riscoperta' dell'allevamento naturale.
L'allevamento, come l'agricoltura, non ha una data di nascita precisa. Non si sa esattamente quando l'uomo abbia iniziato a sfruttare le risorse che provenivano dall'addomesticamento di gruppi di animali. Per millenni l'uomo era stato unicamente cacciatore e raccoglitore, in perenne spostamento al seguito di branchi di animali in cerca di pascoli. Ma, intorno al 9° millennio a.C., alcune civiltà primordiali, in particolare nell'area mesopotamica, intuirono che allevare animali e tenerli vicino a sé era più economico che cacciarli. La possibilità di avere a disposizione, in modo pressoché continuativo, latte, pelli, carne fu l'elemento determinante di questa lenta, ma inarrestabile evoluzione. Qualche indicazione di questo mutamento negli usi e nei costumi ci viene dalle prime testimonianze scritte o disegnate e da alcuni ritrovamenti archeologici.
L'allevamento costituì una svolta molto importante, perché contribuì, insieme all'agricoltura, a una radicale trasformazione sociale. Per la prima volta l'uomo non si limitava più a utilizzare quello che il territorio era in grado di fornirgli, ma pianificava il proprio futuro e modificava la realtà che lo circondava.
L'addomesticamento dei primi animali radicò ancora di più l'uomo, probabilmente già primordiale agricoltore, nelle aree in cui viveva. La coltivazione di terreni specifici e l'allevamento portarono, in pochi secoli, allo sviluppo di comunità composite, che sostituirono quelle formate da pochi elementi e per lo più da un unico complesso familiare. La necessità di unire gli sforzi per dominare la natura circostante e le migliorate condizioni di vita facilitarono l'adesione di più nuclei familiari a una sola realtà sociale. Ciò comportò una radicale modificazione dei rapporti interpersonali e la nascita delle prime strutture sociali e politiche che, nel corso di due millenni, diedero origine alle prime società complesse.
Gli archeologi non hanno appurato con certezza quali furono i primi animali addomesticati e asserviti alle esigenze dell'uomo. È molto probabile che siano stati gli erbivori di piccola taglia, come pecore e capre: animali mansueti, facili da controllare anche in recinti approssimativi e in zone aperte. Ma subito dopo fu la volta dei maiali e, poi, dei bovini. Solo in un secondo tempo l'uomo riuscì ad addomesticare i cavalli e, soprattutto, i cani, diretta derivazione dei lupi. Grazie a essi, il controllo delle greggi fece un netto salto di qualità: permise alle varie comunità di accrescere il numero di animali allevati e di proteggerli dagli attacchi dei lupi selvatici.
Dalle prime aree agro-pastorali, nate in Mesopotamia intorno al 7° millennio a.C., l'allevamento si diffuse presto nelle aree circostanti, così da interessare le regioni dell'area del Nilo ‒ dove nel 3° millennio a.C. era fiorita la civiltà egizia ‒ e delle pianure indiane, per poi propagarsi alle steppe asiatiche, alle aree europee e americane. Così come avvenne in agricoltura, anche nell'allevamento l'uomo comprese ben presto l'importanza della selezione di razze animali più adatte alle proprie esigenze, che ottenne facendo incrociare tra loro gli esemplari con le caratteristiche migliori. Questo processo non fu rapido: è solo all'inizio del 6° millennio a.C. che può dirsi conclusa la prima fase dell'evoluzione dell'allevamento e della selezione delle razze.
Lo sviluppo della civiltà fu accompagnato per secoli da quello dell'agricoltura e della pastorizia, fondamentali sia per la civiltà greca, sia per quella romana. A partire dal 2° secolo d.C., durante l'età imperiale di Roma, andò sviluppandosi il latifondo e con esso la messa a coltura di sempre maggiori spazi coltivabili; di conseguenza, l'allevamento registrò una flessione e una radicale selezione delle specie; in area mediterranea fu data priorità agli ovini e ai caprini, mentre ridotto era l'allevamento bovino e suino. Quest'ultimo, date anche le condizioni climatiche, ebbe prevalenza nelle regioni dell'Europa settentrionale, grazie alle immense estensioni boschive e all'autoalimentazione dei maiali nelle foreste.
Tale situazione durò, pur tra eccezioni di carattere regionale, per tutto il Medioevo. Si accrebbe, tra il 6° e il 13° secolo, il rapporto da un lato conflittuale, dall'altro indissolubile, tra agricoltura e allevamento. La prima sempre in cerca di nuovi spazi da occupare e da strappare alla natura selvaggia, non poteva fare a meno del secondo, fondamentale sia per la concimazione dei terreni, sia per l'apporto che cavalli e buoi davano allo sfruttamento dei campi, come unica fonte di energia e di forza lavoro fino all'avvento del motore a scoppio.
Fu solo nell'età moderna che il rapporto tra agricoltura e allevamento diventò meno conflittuale. Intanto, l'intensificarsi degli studi di agronomia e di allevamento portò a nuove selezioni sia nella coltivazione dei campi, sia nello sviluppo di razze sempre più specializzate. Esso ebbe la sua radicale accelerazione, almeno in Europa, a partire dal 19° secolo. E se la pastorizia rimase predominante nel mondo agricolo mediterraneo, l'allevamento bovino registrò una forte crescita e specializzazione nell'Italia e nell'Europa settentrionale e in America, con accentuate selezioni di razze, destinate alla produzione di latte o di carne e di pelli, usate in modo sempre più massiccio nella nascente industria della moda.
È con la seconda metà del 20° secolo che l'allevamento registra l'ultima grande trasformazione: le anguste stalle di campagna cedono, a poco a poco, spazio alle strutture industriali. Le selezioni si fanno sempre più esasperate, grazie alla nascente genetica, le produzioni aumentano sensibilmente e migliorano di qualità, grazie anche alla rapida rivoluzione nell'alimentazione dei bovini, dove l'erba e il maggese sono affiancati o sostituiti dai mangimi di origine vegetale o animale, da vitamine e antibiotici per prevenire l'insorgere di malattie, da estrogeni e ormoni, per accelerare le fasi di accrescimento degli animali. Questo sviluppo poco controllato ha portato, nel tempo, all'insorgere di alcuni gravi rischi per la salute umana. Già negli anni Sessanta del secolo scorso molti veterinari evidenziarono i danni allo sviluppo, soprattutto nei bambini, derivati dal consumo di carni di bovini e pollame allevati con ormoni estrogeni, ora vietati, almeno in Europa. Le pressioni dell'opinione pubblica e dei movimenti ambientalisti hanno posto un freno a questo fenomeno, fino a pochi anni fa incontrollato, e hanno forse segnato un'importante, anche se non generalizzata, inversione di tendenza.
Un maggior numero di produttori punta oggi su allevamenti naturali o poco trattati farmaceuticamente, sui pascoli, piuttosto che sulle stalle ad alta tecnologia; il mercato risponde con un sempre maggiore consenso. È questo, forse, il messaggio più importante agli albori del 21° secolo: anche l'allevamento, come l'agricoltura, sta ritrovando i ritmi della natura. L'uomo non può che assecondarli.
La conseguenza più clamorosa del radicale cambiamento di alimentazione dei bovini è stata la diffusione, prima in Gran Bretagna e poi anche in altri paesi, nella seconda metà degli anni Novanta, della cosiddetta 'malattia della mucca pazza', ovvero una variante della encefalopatia bovina spongiforme in grado di trasmettersi all'uomo. Questa gravissima malattia, che danneggia i tessuti cerebrali e che ha causato decine di decessi nella popolazione europea, è causata da una proteina mutata ed è probabilmente legata all'uso di farine animali come mangimi negli allevamenti.