alterita
Concetto filosofico che nel linguaggio scolastico si oppone a quello di ‘identita’. Già Platone, specialmente nei dialoghi dialettici (➔ per es. il Sofista), muovendo dall’opposizione eleatica dell’essere e del non essere o, più esattamente, di «quel che è» a «quel che non è», riconosce come, in questo secondo termine dell’antitesi, il «non essere» si risolva nell’«essere altro». Viene così risolta la mera negatività di ciascuna idea rispetto alle altre, e fondata la possibilità della predicazione e partecipazione reciproca delle idee. In Aristotele il concetto di a. si presenta solo come una delle forme possibili dell’«antitesi» o «opposizione», accanto, per es., alla «contrarietà» e alla «contraddizione»: rispetto a «bianco», «altro» è «verde», o qualsiasi altra cosa; «contraddittorio» è «non bianco», «contrario» è «nero». Il concetto di a. torna in primo piano quando, con Hegel, riacquistano importanza primaria i problemi logico-dialettici e metafisico-dialettici: il problema dell’«essere altro» (Anderssein) torna a presentarsi connesso con quello del «non essere» (Nichtsein): come dall’antitesi del «non essere» all’«essere» si genera il «divenire», così dal reciproco e indefinito convertirsi dell’«alcunché» (Etwas) in «altro» (Anderes) nasce il processo all’infinito, della «cattiva infinità». Da Hegel in poi il problema dell’a. e del suo rapporto con la negazione è rimasto tra le questioni capitali della dialettica. Diverso il problema dell’a. in quanto problema dell’«altro soggetto», ossia della molteplicità delle coscienze.