DA MOSTO (Cadamosto, ca' Da Mosto), Alvise
Figlio di Giovanni e di Giovanna di Matteo Querini, nacque presumibilmente a Venezia, secondo l'attestazione d'età per l'ammissione al Maggior Consiglio prima del 1426, con maggiore probabilità verso il 1429, se consideriamo che i genitori s'erano sposati nel 1428. Non pare accettabile la data del 1432, la quale si ricava dalla relazione dei suoi viaggi, perché già nel 1442 egli aveva cominciato a intraprendere l'attività commerciale come agente di Andrea Barbarigo. Fino al 1448 lo vediamo compiere diversi affari nell'interesse di questa azienda, per la quale operò nel viaggio di Barberia (1446) recentemente istituito e a Candia. Il 26 luglio 1451, superate le prescritte prove, fu eletto nobile balestriere sulle galere grosse d'Alessandria, a bordo delle quali partì da Venezia il 6 settembre. Portata a termine la nussione, qualche mese dopo s'imbarcò col medesimo ufficio sulle galere di Fiandra, che salparono a metà giugno 1452 e rientrarono in patria nella seconda parte dell'anno successivo.
Nell'agosto 1454. fra l'11 e il 13, s'imbarcò nuovamente sulle galere di Fiandra, insieme col fratello minore Antonio, dopo aver affidato a un altro fratello, Pietro, la gestione degli affari che essi avevano a Venezia. Era suo intendimento d'affaticarsi in gioventù per accumulare ricchezze così da "venir ad alguna perfecione de honore" - e in questo egli seguiva la pratica abituale dei giovani patrizi veneziani - ma a spingerlo all'impresa, investendo "quelli pochi denari" dei quali disponeva, dovevano aver contribuito anche le difficoltà nelle quali s'era venuta a trovare la famiglia in conseguenza del bando del padre, che litigioso e privo di scrupoli aveva finito con l'incorrere in una condanna degli avogadori di Comune.
I venti contrari costrinsero il convoglio a una lunga sosta a Capo San. Vincenzo non lungi dal sereno ritiro di Enrico il Navigatore. Il principe ne approfittò per inviare a bordo - insieme con un suo segretario - un altro suo dipendente, Patrizio di Conti, che, dopo essersi qualificato console veneziano, mostrò numerosi campioni di prodotti dei paesi recentemente Scoperti. sui quali l'infante esercitava i diritti che gli derivavano dal privilegio concessogli il 22 ott. 1443 da Alfonso V, e parlò degli enormi guadagni ricavati da chi vi si era recato a commerciare. Attratto dalle seducenti modalità di partecipazione, il D. ebbe un colloquio col principe, il quale fu lieto d'associarlo ad uno dei suoi viaggi, soprattutto perché veneziano e perciò esperto conoscitore di spezie; si può essere, tuttavia, convinti che la nazionalità di lui lo raccomandasse ad Enrico anche come buon navigatore, tanto più che l'obbiettivo principale al quale egli tendeva era lo. sviluppo delle ricognizioni della costa occidentale dell'Africa che aveva intrapreso ormai da qualche decennio.
Per la spedizione, regolata da una speciale ripartizione dei capitali investiti e del profitti, il principe fece armare una caravella nuova di una cinquantina di tonnellate, della quale era patron Vicente Dias, da Lagos, ed il D., da parte sua, provvide a caricarla di merci da barattare che acquistò, probabilmente a credito, sulle galere. Egli si sentiva giovane e ben disposto "a sostegnir ogni faticha",desideroso di vedere il mondo e d'avventurarsi - primo fra i Veneziani - nei paesi bagnati dall'Oceano che si stendevano a Sud dello stretto di Gibilterra. Il gusto per esperienze nuove e inusitate non lo lascerà mai e l'invoglierà, per esempio, a mangiare carne d'elefante, per poi vantarsi d'aver provato qualcosa che nessuno dei. suoi cittadini poteva dire di conoscere. Anche quando s'addentrerà nella regione del Senegal non sarà meno "per veder e intender alguna cossa nuova" che per ricevere un pagamento.
Partito da Capo San Vincenzo il 22 marzo dell'anno seguente, la caravella toccò Porto Santo e Madera, e quindi Gomera e Ferro nel gruppo delle Canarie. Poi, mantenendo una rotta piuttosto lontana dalla costa africana per scansarne i pericoli, puntò diritto alle foci del Senegal, un fiume che separava due regioni dalle caratteristiche fisiche ed etniche completamente differenti. La prima sosta. del D. fu poco a nord di Capo Verde, nel paese dell'ospitalissimo re Budomel, col quale i Portoghesi avevano stabilito traffici regolari già da una decina d'anni. Qui egli soggiornò quasi un mese, scambiando cavalli, panni di lana e di seta lavorati alla moresca con un certo numero di schiavi, dopo aver sperato invano di trovare oro: in effetti questi mercati erano gli unici possibili in una terra che si presentava poverissima e popolata di miseri villaggi di case di paglia; gli stessi sovrani non apparivano ricchi d'altro che di "ceremonie e di séquito de zente". Perciò il veneziano, dopo aver acquistato anche un buon numero di pappagalli (gliene sopravvissero più di centocinquanta) e forse qualche altra cosa, preferì proseguire il viaggio alla volta del Gambia, che aveva fama di regione abbondante d'oro. Durante la navigazione ebbe la ventura d'incrociare due caravelle dirette anch'esse al Sud , una del genovese Antoniotto Usodimare ' l'altra di alcuni "scudieri" del principe Enrico, e continuò in conserva con loro, senza mai perdere di vista la costa. Arrivate alle foci del Gambia, le tre caravelle s'apprestavano, a risalirne la corrente, ma ne furono dissuase dall'aperta ostilità degli indigeni i quali, convinti che i cristiani fossero cannibali, respinsero ogni approccio amichevole. Il D. e i suoi occasionali compagni deliberarono allora di rientrare in Portogallo, tanto più che i marinai non volevano più saperne di proseguire. Non sappiamo la data del rientro in Europa, che fu comunque anteriore al 12 dic. 1455, quando Antoniotto inviò un - breve resoconto del viaggio ai suoi fratelli e ai creditori.
Nonostante la sterile avventura del Gambia, il risultato econon-úco di questa prima spedizione dovette essere cospicuo se il D. fu in grado di allestirne subito una seconda non più in partecipazione con il principe Enrico, ma armando una caravella tutta a proprie spese. La meta di questo nuovo viaggio era proprio la regione del Gambia le cui supposte risorse 'aurifere -esercitavano un pótente richiamo, e alla partenza, che fu ai primi di marzo del 1456, da Lagos, con quella del D. erano una caravella di Antoniotto Usodimare e una dell'infante, che i due italiani non avevano potuto fare a meno d'accettare perché in certo modo legata alla concessione della licenza. Le tre navi passarono al largo delle Canarie e, favorite dalle correnti, fecero rotta verso Capo Bianco, ma, come l'ebbero Superato, per scampare ad un uragano furono costrette a deviare verso ovest-nord-ovest; dopo due notti e tre giorni, presumibilmente quando avevano ripreso il viaggio verso la costa africana, ebbero la sorpresad'avvistare terra, in una posizione nella quale se ne ignorava l'esistenza. Erano le isole di Capo Verde, che collocate sulla rotta degli alisei di nord-est diverranno un elemento di base nei collegamenti marittimi col Brasile.
Nel viaggio precedente il D. non aveva mai toccato paesi nuovi; le rotte da lui percorse si rivelano ormai perfezionate da un'assidua pratica perché sapevano cogliere venti e correnti sempre propizi, e dappertutto egli trovava persone in grado di fornirgli informazioni sulle popolazioni locali e sulle merci trattabili. Di queste isole, invece, "in Spagna non se ne haveva noticia alguna". Le due che il D. e i suoi soci visitarono apparivano deserte: i numerosi colombi che vi si trovavano era evidente che non avevano mai visto un uomo, perché si lasciavano catturare con le mani. Alla prima diedero il nome di Bona Vista, alla seconda di San Iacopo (Santiago), dato che vi erano approdati il giorno di S. Filippo e S. Giacomo (1° maggio). Ne avvistarono altre vicine, ma non si curarono d'esplorarle, nell'opinione che fossero anch'esse deserte e selvagge e perciò prive d'interesse commerciale. Il viaggiatore veneziano s'arrogò il merito della loro scoperta, che altri - come egli stesso scrisse - completarono più tardi, richiamati dalla fama che se n'era sparsa, ma non tutti sono d'accordo nel riconoscerglielo.
Alcuni preferiscono attribuirlo ad Antonio da Noli e al portoghese Diogo Gomes, tanto sulle fede d'una relazione di quest'ultimo (in verità dettata molti anni dopo gli avvenimenti e pervenutaci in una traduzione latina) e di testimonianze coeve o di poco posteriori, quanto per alcune imprecisioni riscontrate nella narrazione del D. da J. J. Lopes de Lima e riprese da altri storici, in particolare da R. H. Maior con molti argomenti; né è mancato chi ha accusato il viaggiatore veneziano d'aver sostituito il proprio nome a quello del Gomes o d'aver inventato il suo secondo Viaggio utilizzando notizie raccolte in Portogallo su spedizioni altrui. Ma J. Codine, H. Yule Oldhain e J. Rackl hanno fornito un'ampia dimostrazione che le accuse mosse al D. sono prive di fondamento e che il suo racconto è veritiero. Del resto, se egli avesse veramente voluto arrogarsi una scoperta non sua, una volta sulla strada della vanagloria non si sarebbe certo fermato su un avvistamento fortuito e su una rapida e parziale ricognizione.
Resta però il fatto che Antonio da Noli (che il Santarem, il Major, C. Schefer e altri vorrebbero a torto identificare con Antoniotto Usodimare) ebbe l'investitura della capitaneria d'una parte dell'isola di Santiago, con altri privilegi, e intraprese il popolamento e la colonizzazione dell'arcipelago: questo elemento a R. Caddeo appare decisivo. L'Amat di San Filippo congettura, in verità con un po' di fantasia, che il racconto della scoperta fatto dal D. sia stato interpolato da un copista distratto, contraffacendo così una possibile relazione del D. su un viaggio di Antonio da Noli, mentre G. R. Crone avanza l'ipotesi che Gomes abbia preso parte al secondo viaggio del D. e qualche anno più tardi abbia condotto un'altra spedizione, questa volta con Antonio da Noli. Oggi si è propensi a credere che le isole di Capo Verde siano state effettivamente scoperte dal D. (dunque in unione con Antoniotto Usodimare) e che Antonio da Noli -probabilmente basandosi sulle notizie che ormai circolavano in Portogallo - le abbia poi deliberatamente raggiunte, completandone la ricognizione. L'intervallo fra le due spedizioni può ragionevolmente attribuirsi (Crone) all'interruzione dei viaggi africani provocata dall'azione portoghese su Al Seguer.
Lasciate le isole nuove, il D. e i suoi compagni continuarono la navigazione fino al Gambia, che questa volta risalirono per una sessantina di miglia, guardati dagli indigeni con sempre minor sospetto. La spedizione poté così soggiorngre presso il capo del paese di Bati ("Batimansa"), facendo numerosi baratti (in primo luogo, anche qui, gli europei acquistarono schiavi negri, ma dell'ambitissimo oro non trovarono che "qualche anelletto"), però dovette presto ritirarsi perché moltissimi uomini avevano cominciato ad ammalarsi di febbri tropicali. Il viaggio continuò lungo la costa africana, superando cautamente le scogliere di Capo Bald e le foci del Casamance, e quindi un promontorio al quale, per il suo colore, fu dato il nome di Capo Rosso. Alla foce del Rio Grande (l'odierno Geba) gli interpreti non riuscirono ad intendere la lingua degli indigeni, ciò che fa supporre che la spedizione fosse la prima a raggiungere quel paese. Allora, temendo che più avanti si sarebbero ancora trovati davanti a lingue sconosciute, senza poter stabilire rapporti d'alcun genere con le popolazioni locali, il D. e gli altri capi decisero di prendere la strada del ritorno, dopo aver approdato alle Bissagos, i cui abitanti parlavano in modo egualmente incomprensibile.
In Portogallo - dove arrivò alla fine di agosto o ai primi di settembre - si fermò alcuni anni, probabilmente per continuare i suoi traffici. stabilendosi forse a Lagos, dove lo troviamo nel 1462 quando stende la relazione del viaggio in Guinea di Pedro de Cintra. Il 1° febbr. 1463 0 1464 ripartì per Venezia e il 28 genn. 1466 si sposò con Elisabetta di Giorgio Venier, che gli portò in dote 2.000 ducati. Assunta la gestione del patrimonio familiare, dopo la morte del padre ebbe numerose vertenze con la matrigna Isabella, Nogarola e con la vedova del fratello Antonio, e benché nel 1465 fosse entrato a far parte della Quarantia civile, nel 1466 fosse stato eletto avvocato per le Corti e nel 1468 ufficiale alla Messetteria, non trascurò l'attività commerciale. Fra il 1469 e il 1491 trafficò con la Spagna, con Alessandria, con la Siria, con l'Inghilterra, senza rinunciare a pratiche piuttosto disinvolte, come quella di mettere in vendita per nuovo un colorante che era stato invece abbondantemente mescolato con altro non fresco e di far passare per prodotto di Malaga una piccola quantità di seta di minor pregio.
Nel 1470 fu eletto auditor nuovo delle Sentenze e il 17 apr. 1474 inviato come oratore straordinario alle nozze del duca erzegovino Vlatko di Santa Sava. Incaricato più tardi delle funzioni di provveditore di Cattaro, minacciata dai Turchi, il 10 sett. 1474 ebbe l'ordine di rientrare. Nominato l'11 maggio 1476 castellano e provveditore di Corone, assunse la carica il 2 ottobre, ma il 14 sett. 1479 fu autorizzato a tornare anticipatamente a Venezia perché ammalato e per provvedere a certi suoi affari. La sua carriera pubblica proseguì con l'elezione a capitano delle galere d'Alessandria, quelle che lo avevano visto giovane balestriere; il convoglio partì da Venezia il 20 ag. 1481, ma il viaggio non fu dei più fortunati perché il ritorno, per le cattive condizioni atmosferiche, ritardò molto, così da compromettere la vendita delle merci trasportate.
Il 26 nov. 1482 venne eletto provveditore alle Biave, ma la morte lo colse il 16 luglio dell'anno successivo, forse in Polesine, dove il 5 giugno 1483 il Collegio gli aveva dato l'incarico di. recarsi - facendo appello alla sua sperimentata prudenza - per esigere le rendite dei beni confiscati al duca di Ferrara e ad altri proprietari laici ed ecclesiastici dopo la recente conquista.
Dei suoi viaggi il D. ci ha lasciato una relazioneche - certo sviluppando annotazioni prese in cammino - compose dopo il ritorno a Venezia, ciò che spiega perché ne abbia potuto tener conto Grazioso Benincasa nelle sue carte posteriori al 1466 mentre l'ignori fra Mauro, il quale terminò il suo planisfero nel 1460. Senza escludere che egli possa averne presentata un'altra al principe Enrico, quella che ci è pervenuta non ha carattere ufficiale, perché il viaggiatore dichiara d'averla scritta per i suoi discendenti. Venne data per la prima volta alle stampe nel 1507 nella fortunata raccolta vicentina del Montalboddo, e quindi riprodotta nelle successive edizioni e traduzioni, e l'accolsero nelle loro collezioni Simone Grynaeus (1532) e il Ramusio (1550), il quale la introduce con un suo "Discorso". Fu più volte tradotta in latino, in tedesco, in francese, in inglese, in portoghese e nel 1966 Tullia Gasparrini Leporace ne ha condotto un'accurata edizione critica che ha per base il manoscritto It. VI 454 della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, della seconda metà del Quattrocento, certamente non autografo, con le varianti offerte dall'altro manoscritto Marc. It. VI 208, dei primi del Cinquecento, e dalle edizioni vicentina del 1507 e del Ramusio. L'edizione comprende anche il testo della navigazione di Pedro de Cintra, redatto dal D. col sussidio di appunti fornitigli da un giovane portoghese che lo aveva già áeguito in Africa, e in appendice il Portolano del Mare, che sulla fede di Francesco Sansovino iunior viene tradizionalmente attribuito al Da Mosto. Il portolano - che fu più volte ristampato, di solito, unito col Consolato del Mare - è dato nell'edizione veneziana del 1490, del novarese Bernardino Riccio, il quale ne fa autore "un zentilomo veniciano" (il nome di Alvise compare per la prima volta nell'edizione veneziana del Consolato del 1737).
Il cospicuo apporto di testimonianze che fornisce sull'espansione portoghese in Africa occidentale, per un periodo in cui le fonti sono così poche e insoddisfacenti, giustifica l'interesse della relazione del D., dimostrato da tante edizioni e traduzioni, e resta ancora valido il giudizio di Carl Ritter che per questo settore geografico essa è ciò che per l'Asia era stato il Milione.
Ricco delle curiosità dell'uomo del Medioevo, ma penetrato di sensibilità moderna, il racconto è concreto e fedele alla realtà, senza concedere nulla all'immaginario e al meraviglioso neppure quando, per offrire un quadro più completo ed organico, l'osservazione diretta viene integrata con notizie raccolte da altre fonti. In ogni caso, dove le informazioni di seconda mano tradiscono qualcosa d'inverosimile il D. è il primo a dubitarne. Distanze, estensione dei villaggi, rapporti di scambio, insomma tutti i dati che siano suscettibili di n-úsurazione vengono espressi in termini quantitativi, e la frequenza delle cifre è uno dei caratteri che meglio rispecchiano le dimensioni nuove del narratore. Mercante e uomo di mare, il D. ci offre copiose notazioni sulle risorse commerciali dei paesi visitati nonché sui venti, sulle correnti, sulle profondità, sulle caratteristiche delle coste, le quali sono rilevate con un senso degli elementi essenziali che ne permette. sempre l'identificazione; delineò anche una carta nautica che purtroppo non c'è pervenuta. Di grande interesse è un suo metodo empirico di determinazione dell'altezza delle stelle col sussidio d'una lancia, ma il suo spirito d'osservazione non s'esaurisce in quest'ambito. Egli è attento agli animali e alle piante, che descrive con grande precisione, e. sa cogliere molti aspetti geografici ed ecologici, mostrandosi anche sensibile alla bellezza , di certi paesagg i. Le popolazioni indigene non gli si presentano indifferenziate sotto il comune denominatore dell'inferiorità di razza e di forme culturali. Pure se si pongono in un contesto talmente diverso dall'esperienza europea da apparirgli come in un "altro mondo", nei contatti con loro egli è privo di pregiudizi, e non, si limita a descriverne la poligamia e gli eccessi sessuali, ma si sforza di comprenderne le tradizioni e i modi di vita, di penetrame la mentalità, riprovandone beninteso i difetti, ma anche dando risalto a molte loro doti, fino ad ammettere che nelle cose in cui hanno pratica i negri sanno "tanto quanto cadaun de nui".
È un atteggiamento nuovo, decisamente in anticipo sui tempi, tanto più apprezzabile - e ai nostri occhi forse sorprendente - in quanto, come sottolinea W. Brulez, il D. era un mercante di schiavi (ma siamo in un'epoca in cui la tratta dei negri è ormai divenuta un traffico regolare, subentrando quasi del tutto, nella Baia d'Arguin e negli altri centri costieri africani, alle razzie di dieci anni prima).
Ediz. e trad. della relazione del D.: Paesi novamente retrovati et Novo Mondo da Alberico Vesputio Fiorentino intitulato, Vicenza 1507 (e ristampe, Milano 1509, 1512, 1519; Venezia 1517, 1521), cc. 7-47; G. B. Ramusio, Delle Navigationi et viaggi, I, Venezia 1550, cc. 104-121 (e successive edizioni 1554, 1563, 1588, 1606, 1613); Il viaggio di Giovanni Leone e le Navigazioni di Alvise da Ca Da Mosto, di Pietro di Cintra, di Annone..., Venezia 1837, pp. 170-200 (che riproduce il testo ramusiano); Le navigazioni atlantiche di Alvise Da Mosto, a cura di R. Caddeo, Milano 1928 (e successive riedizioni 1929 e 1956); Viagens de Luis de Cadamosto e de Pedro de Sintra, a cura di D. Peres, Lisboa 1948; Le navigazioni atlantiche del veneziano Alvise Da Mosto, a cura di T. Gasparrini Leporace, Roma 1966. In latino: Itinerarium Portugallensium e Lusitania in Indiam..., Mediolani 1508; riprodotta in S. Grynaeus, Novus orbis regionum ac insularibus veteribus incognitarum, Basileae 1532 (e successive edizioni, Paris 1532; Basileae 1537, 1555), pp. 1-44. In tedesco: Newe unbekanthe Landre und eine newe Weldte in Kurtz verganger zeythe erfunden, Nüreinberk 1508; Die New Welt der Landschaften und Insulen ... in Nidergenglilicheri Meer herfunden, Strassburg 1534; Reise des Alvise da Cada Mosto, im Jahre 1455 längst der affic. Küste, in Alig. Hist. der Reisen zu Wasser und Lapide, II, Leipzig 1748; in fiammingo: Die Nieuwe Weerelt der Landtschappon ende Eylanden..., Thantwerpen 1563. In francese: in Sensuyt le Nouveau monde et navigations faictes par Emeric de Vespuce Florentin, Paris s. d. (fra il 1510 e il 1515, e successive ristampe Paris s. d. e 1516); in Historiale description de l'Afrique, tierce partie du monde, Lyon 1556, II; in De l'Afrique, contenant la description de ce pays..., et la navigation des anciens capitaines portugais aux Indes..., Paris 1830; Relation des voyages à la côte occidentale d'Afrique d'Alvise de Cà da Mosto, 1455-57, a cura di C. Schefer, Paris 1895. In inglese: in T. Astley, A New general Collection of Voyages and Travels, London 1745, I; in A new and complete Collection of Voyages and Travels, London s. d., ma verso il 1785, I; in The Voyages of Cadamosto and other Documents on Western Africa in the second half of the Fifteenth Century, a cura di G. R. Crone, London 1937. In portoghese: in Collecção de Noticias para a Historia e Geografia das Nações Ultramarittas, II, Lisboa 1812; in Descobrimentos Portugueses, documentos publicados e prefacionados por João Martins da Silva Marques, Lisboa 1944, I, suppl.; Documentos sobre a expansão portuguesa, a cura di V. Magalhães Godinho, Lisboa 1956, III, pp. 104-227.
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