AMALFI (A. T., 27-28-29)
Città della provincia di Salerno, situata nella parte meridionale della penisola sorrentina, allo sbocco di una stretta valle, detta "dei Mulini", e in un tratto di costa ripidissima, per cui le case sono come scaglionate sul pendio e le strade si arrampicano dal basso in alto in una successione di gradinate. In uno dei punti di più ampia vista sul golfo di Salerno, nel gomito forse più attraente della strada che corre da Salerno a Positano - una delle strade di più suggestiva bellezza che siano al mondo - riparata con le creste dei monti Lattari dai venti di settentrione, Amalfi è considerata una delle località più incantevoli d'Italia, ed è, specie d'inverno, punto di richiamo di forestieri, centro di una plaga turistica interessantissima.
Nel tempo della maggiore prosperità, l'area della città ebbe un'estensione notevolmente maggiore dell'attuale: e la riduzione non è da considerarsi esclusivamente come un effetto della perduta importanza economica. Ché Amalfi ha più volte nei secoli sofferto della violenza del mare in tempesta e delle frane dell'erta montagna che è alle sue spalle. Una terribile mareggiata buttò giù nel 1013 le torri dell'episcopio e sommerse le navi nel porto; un'altra violentissima tempesta, descritta dal Petrarca, distrusse nel 1343 una parte dell'abitato; un forte nubifragio danneggiò nel 1924 tutta la costa meridionale della penisola sorrentina, abbattendo case e ponti.
Né meno funesti furono gli effetti delle frane, purtroppo frequenti in un terreno dolomitico, come è quello che si osserva lungo la strada da Salerno ad Amalfi, e che, da per tutto foracchiato e cavernoso per la facile solubilità del carbonato di calcio in esso contenuto, si sfalda, si sfarina e precipita in scoscendimenti molte volte disastrosi: ultima fra le maggiori fu la frana del dicembre 1899, per cui si staccò dall'alto un enorme blocco di materiali e, distruggendo giardini e case, precipitò con alta ruina nel mare, ingombrando durevolmente il porto della città.
Oggi, Amalfi è una piccola borgata, che conta appena 4 mila abitanti; insieme con le sue cinque frazioni (Pogerola, Pastena, Lone, Tovere e Vettica Minore) supera di poco i 6000 ab.; queste frazioni, tre delle quali sono in altura, costituiscono mete di bellissime escursioni dal centro. La risorsa principale di Amalfi è l'industria del forestiero. Dove è possibile, peraltro, il suolo è intensamente coltivato, sicché, trasformato quasi da per tutto in giardini, produce frutta e ottimi vini. Sono molto pregiati i latticinî ed è abbondante la pesca. Agrumi e frutta secche formano oggetto di considerevole esportazione. È esercitata l'industria della fabbricazione delle reti, a cui attendono pure le ragazze del luogo; e utilizzano la forza del torrente Canneto i varî mulini (che dànno il nome alla valle), una cartiera, un sacchettificio.
L'attuale porto di Amalfi, ben altra cosa del porto medievale e ridotto perfino di un terzo del suo bacino dal materiale precipitatovi nel 1899, è difeso contro i venti meridionali mediante un molo, che si allunga da ponente verso levante per circa 250 metri. Ha scarsissima importanza per il movimento delle merci, che raggiunge nel complesso appena qualche migliaio di tonnellate all'anno (4000 nel 1924) e che è fatto quasi esclusivamente da velieri. Importanza notevolmente maggiore ha, invece, il movimento dei passeggieri, che è fatto dai piroscafi della Compagnia napoletana di navigazione del Golfo e che nel 1924 raggiunge la cifra di 13.923 viaggiatori sbarcati e quella di 13.139 viaggiatori imbarcati. Questi piroscafi costituiscono il mezzo più frequente e meno dispendioso di comunicazioni specialmente fra Amalfi e Salerno; Amalfi è peraltro legata, mercé un servizio di autobus, con Vietri sul Mare, stazione della ferrovia Napoli-Salerno.
Amalfi è frequentatissimo soggiorno invernale e primaverile; nell'estate raccoglie una piccola colonia di bagnanti. Mentre, però, la colonia estiva è costituita prevalentemente da connazionali, la colonia inverno-primaverile è formata per la massima parte da stranieri, e specialmente da Inglesi e da Tedeschi. A fornir loro i conforti di una magnifica villeggiatura provvedono varî ottimi alberghi e provvede l'ospitalità cordiale della cittadinanza, che è innamorata della sua terra ed è fiera del suo passato, e per cui la benevola accoglienza nei riguardi del forestiero risponde a una tradizione oramai secolare. Ma il conforto più grande è largito da un clima deliziosissimo e da un paesaggio d'incomparabile bellezza (v. tavv. CLVII e CLXII).
Arte. - È l'architettura arabo-sicula, importata dalla Sicilia durante il periodo normanno e sviluppatasi nel successivo periodo svevo, che assicura ad Amalfi un posto nella storia dell'arte per il nuovo e ardito impiego costruttivo degli archi intrecciati, come si vede nel chiostro del convento dei cappuccini, già dei cisterciensi, costruito verso il 1212 e nel chiostro del Paradiso, già camposanto, della seconda metà del 1200. Il chiostro del convento di S. Francesco, ora albergo Luna, costruito nei primi decennî del sec. XIII, e il campanile del duomo, innalzato dal 1180 al 1276, seguono i comuni schemi siciliani. L' interno del duomo, sotto la veste barocca impostagli dall'arcivescovo Bologna (1701-1731), conserva tracce di architettura duecentesca; non così la facciata, troppo liberamente rifatta tra il 1875 e il 1894. Il chiaro influsso orientale che si manifesta nelle case a vòlta scoperta, lungo la costa da Salerno a Gaeta, si deve ai navigatori della repubblica amalfitana che dagli scali del Levante importavano merci e oggetti d'arte, e facevano conoscere sistemi costruttivi che si adattavano bene al clima ed ai materiali della regione.
Dell'età gloriosa della repubblica (839-1131) restano poche vestigia: parte del cantiere navale, avanzi di mulini lungo il Chiarito, qualche frammento marmoreo, la rocca di S. Felice detta torre del Ziro; ma sono soprattutto importanti, insieme agli stipiti coevi, le porte di bronzo dell'antica cattedrale, mandate da Costantinopoli verso il 1065 da Pantaleone figlio di Mauro mercante amalfitano. Interessanti raccolte d'arte sono nel chiostro del Paradiso (sarcofagi romani, avanzi dell'antica facciata della cattedrale, frammenti di amboni - ricca espressione di arte campana del sec. XII, - resti di tombe e di affreschi trecenteschi, bassorilievi marmorei del sec. XV-XVI) e nel duomo (altri frammenti di amboni, l'altare della cappella di S. Benedetto e il ricomposto monumento funebre del vescovo de Cuncto di sapore gagginesco, l'altare della cripta, di Domenico Fontana, col S. Andrea del Naccherino fra S. Lorenzo e S. Stefano scolpiti da Pietro Bernini, un paliotto settecentesco di argento sbalzato, opera dell'orafo Lorenzo Cantilena). Nelle vicinanze, notevoli la transenna del sec. IX e le porte di bronzo nella chiesa del SS. Salvatore ad Atrani. (Per Ravello e Scala, v. ravello) (v. tavv. CLVIII a CLXI).
Storia. - La Chronica amalphitana, largamente seguita dagli scrittori, fa nascere questa città da una colonia romana, naufragata mentre recavasi a Costantinopoli, nel sec. IV; la quale colonia, giunta nella regione, avrebbe fondato prima Scala, sui monti, e poi Amalfi, sul mare. In verità, le antiche fonti tacciono di Amalfi fino al sec. VIII. Tuttavia bisogna ammettere che la contrada fosse occupata da ville, da poderi e forse da qualche borgata fin dai tempi dell'impero romano, come dimostrano frammenti marmorei e fittili scavati nelle contrade circostanti. Nel sec. VIII, fra il 783 e il 785, Amalfi è assediata dal potente principe di Benevento, Arechi. Ma è liberata da forze napoletane: poiché essa faceva parte, allora, del ducato di Napoli e con esso sottostava all'alta sovranità degli imperatori d'Oriente. (Difatti, nell'812, Amalfi e Napoli fornivano navi all'ammiraglio bizantino). Grazie all'attività dei suoi abitanti, dedicatisi, per la ristrettezza del territorio, ai traffici marittimi e divenuti ben presto padroni del commercio delle coste napoletane e romane, Amalfi crebbe così rapidamente in ricchezza e in potenza, da potersi rendere indipendente da Napoli. L'occasione le fu offerta da una novella invasione longobarda: Sicardo di Benevento conquistò e saccheggiò Amalfi, ed abitanti in gran numero prese e condusse in Salerno, credendo così di aver prostrato la fiorente città (836). Ma morto il principe (839), gli Amalfitani si ribellarono ai Longobardi, bruciando parte di Salerno, e si resero indipendenti, eleggendosi a capo un tal Pietro col titolo di comes.
Il ducato amalfitano, in quell'epoca e quale restò fino al secolo XI, abbracciava quasi tutta la costiera settentrionale del golfo di Salerno, fra il territorio di Sorrento ad occidente, e il principato di Salerno ad oriente, dal mare alla sommità dell'aspra catena dei monti Lattari; e oltre i monti, sul loro declivio settentrionale, comprendeva Lettere e Gragnano e parte del territorio stabiano fino al Sarno, ove confinava col ducato di Napoli. Gli apparteneva ancora l'isola di Capri. Le città e terre che ne facevano parte, oltre Amalfi ed Atrani, erano, sulla costa verso occidente, Praiano, Vettica maggiore e Positano; sui monti in alto, Scala, Ravello e Tramonti, e sulla costa ad oriente, Minori, Maiori e Cetara.
Da quel momento e per lungo volger d'anni, Amalfi, la cui marina aveva acquistato un'importanza pari a quella della marina napoletana, rimase in primo piano nelle lotte che si svolsero lungo le coste del Mezzogiorno, mirando naturalmente ad assicurarsi autonomia e potenza. A tale scopo, varia, in rapporto ai varî momenti, fu la politica sua nei confronti dei Saraceni. In un primo tempo, aperta ostilità. Amalfi prese parte alle spedizioni rivolte contro di essi, sia a quella che, condotta in unione con Napoli, Gaeta, Sorrento, condusse alla vittoria presso la punta della Licosa (846); sia all'altra, a cui aderì il papa Leone IV, e che si chiuse con la famosa vittoria di Ostia (849). Ancora in seguito, Amalfi persistette nel suo atteggiamento anti-saraceno, conforme alla politica degli imperatori franchi e dei pontefici. Riconosciuta (866) la sovranità di Ludovico II, Amalfi, che lo ebbe ospite, lo aiutò nell'872 con la sua flotta a liberare il vescovo di Napoli Attanasio, prigioniero nell'isola del Salvatore, avendone in premio l'isola di Capri. Fornì ancora navi a Giovanni VIII (870-872). Ma poi, seguendo l'esempio dei Napoletani, si ritirò dalla lotta (875), lasciando che una banda di Musulmani occupasse una delle sue marine, Cetara, nell'879. Più pericolosa dei Saraceni apparve allora la flotta bizantina che, vittoriosa dei Saraceni, voleva ripristinare effettivamente la sovranità orientale, scossa in Campania da Ludovico II. Pertanto Amalfi non solo tenne per quest'ultimo, insieme con Napoli, ma, pure con Napoli, si decise addirittura, nonostante gli sforzi di Giovanni VIII, all'alleanza coi Saraceni, necessaria alle due città per ottenere la libertà del commercio. Come prezzo dell'alleanza, dovettero permettere ad essi il saccheggio delle terre dei principi longobardi e del papa (881). Solo più tardi, mutate le condizioni, Amalfi ritornava alla lotta contro i Saraceni, appoggiando Atenolfo I principe di Capua. Vincitori in un primo tempo al Garagliano, nel 903, i nemici vennero nel 915 costretti ad abbandonare il territ0rio ivi occupato.
Barcamenandosi così tra Longobardi e Saraceni, tra imperatori franchi e bizantini, Amalfi era riuscita in quei torbidi tempi a conservare la sua autonomia: puramente nominale era infatti la sua dipendenza dal patrizio di Sicilia, attestata da Costantino Porfirogenito nel suo scritto De administrando imperio. Né riuscirono i principi longobardi a soffocarne la libertà: ché anzi, in occasione del tentativo di Landolfo II di Benevento di riunire tutti i Longobardi meridionali in uno stato solo, Mastalo I, giudice di Amalfi, alleatosi con Gisulfo di Salerno, occupò la valle di Cava, sventando il disegno (946). Si mutava, frattanto, anche la costituzione interna della città, prima organizzata a forma repubblicana sotto il reggimento di comites (839-859), magistrati annuali; poi e sempre più ridotta ad un potere principesco-dinastico. L'età dei prefetturî (859-958), successi ai comites, segna il graduale ridursi della costituzione amalfitana a quest'ultima forma. Già nell'872, si ebbe il primo tentativo di creare una dinastia da parte del prefetturio Marino, che si associò il figlio Pulcaro; una nuova dinastia si ebbe con Mansone I, che si associò il figlio Mastalo I (900), divenendo entrambi patrizî imperiali: ciò che dimostra che, almeno nominalmente, riconoscevano la sovranità orientale. Con Sergio I, che spodestò Mastalo II e si fece creare duca nel 958, questo processo di formazione era compiuto.
Allo svolgersi della politica estera e della vita interna di Amalfi, corrispondeva il sempre maggiore sviluppo del commercio amalfitano, che, esteso fin dal sec. IX allo Stato Pontificio, alla Sicilia, a Taranto, si era spinto entro il sec. X nei principali porti del Mediterraneo orientale. Con ciò, il costante incremento in ricchezza e potenza della città: la quale, secondo afferma Ibn Ḥawqal, mercante di Baghdād che la visitò nel 972, ai tempi del duca Sergio, era divenuta più importante di Napoli ed era "la più prospera città di Longobardia, la più nobile, la più illustre per le sue condizioni, la più agiata ed opulenta". Effetto di tale incremento, la cattedra vescovile di Amalfi era nel 987 eretta in metropolitana. E tuttavia, i pericoli da cui l'indipendenza della città poteva essere minacciata, non erano cessati. Discese di imperatori sassoni, ma specialmente attacchi dei vicini principi longobardi di Salerno erano sempre da temere: ben più, ormai, che non il lontano impero bizantino. Così si spiega come, al tempo della discesa di Ottone I (967) Mansone, duca e patrizio, si tenesse ligio all'impero greco; e, per altra parte, come lo stesso duca tramasse con Marino II di Napoli contro Gisulfo principe di Salerno, riuscendo a farlo prigioniero (973). Quest'ultima lotta doveva tuttavia avere un seguito poco fortunato per il duca d'Amalfi, il quale, dopo essere riuscito a vincere ancora Gisulfo e il suo alleato Pandolfo di Capua, impadronendosi del principato di Salerno (981), venne sconfitto e scacciato a sua volta dal territorio occupato (983). Alquanto tempo più tardi, la pressione dei principi di Salerno si fece avvertire più fortemente ancora: nel 1039, Guaimario V di Salerno, aiutato dai Normanni d'Aversa, conquistò il ducato d'Amalfi, e sebbene ridesse il potere al duca Mansone II il cieco, che ne era stato privato dal fratello Giovanni, stabilì in realtà il dominio salernitano sulla città. Dominio che nel 1052 gli Amalfitani cercarono di scuotere, espellendo Mansone e richiamando Giovanni che s'era rifugiato a Costantinopoli: ma l'indipendenza stava ormai per tramontare. Ché, ridotti a mal partito dai principi di Salerno, gli Amalfitani dovettero rivolgersi a Roberto Guiscardo (1073): e, se Salerno venne bloccata per terra dai Normanni e per mare dagli Amalfitani, questi ultimi dovettero lasciare occupare la loro città dai Normanni, riavendo la pace a costo dell'indipendenza.
Da allora, per un cinquantennio, la storia di Amalfi è contrassegnata da ribellioni contro il dominio normanno, a cui si alternano momenti di spossatezza. La prima ribellione è del 1088, quando i cittadini accolgono l'antico nemico Gisulfo di Salerno e lo creano duca; ma l'anno appresso, vengono risoggiogati dal duca Ruggero. Nuovamente si ribellano nel 1096, creando duca Marino Sebaste, congiunto del duca di Napoli; e ancora una volta sono sopraffatti dai Normanni nel 1100. Per la terza volta, sul principio del sec. XII, la città riuscì a scuotere il giogo normanno; ma fu l'ultima, perché Ruggero II, divenuto re di Sicilia, la sottomise per sempre, con la forza, nel 1131. Qualche anno dopo (1135), chiamata dal principe di Capua e da coloro che ancora resistevano al Normanno, giunse l'armata pisana, forte di 46 navi, la quale non poteva avere migliore occasione per vibrare un colpo mortale alla rivale. Da qualche tempo, infatti, i Pisani, che avevano cominciato a far commercio con l'Italia meridionale e a Napoli possedevano un porto e una loggia, avevano esteso i loro traffici in Sicilia e in Oriente, dove venivano spesso a contatto con gli Amalfitani, che erano per essi i più temuti concorrenti. Tale la causa del terribile quanto inatteso assalto. Amalfi e le altre città dell'antico ducato furono orribilmente saccheggiate; il solo castello di Ravello resistette. Ma tornate le navi di Pisa nel 1137, con l'intento di distruggere completamente Amalfi, questa riuscì a riscattarsi con l'oro; mentre Scala e Ravello, che vollero resistere, furono per tre giorni spietatamente rovinate. Tutto il ducato diveniva così tributario di Pisa, e la potenza di Amalfi riceveva un fierissimo colpo.
In questo tempo, il ducato d'Amalfi è un fitto agglomerato di piccole città e borgate che occupano le ripide e pittoresche pendici dei monti e le valli retrostanti. Nel centro della costa, sta Amalfi, coi suoi casali di Pogerola e Tovere. A qualche centinaio di metri appena, ad oriente, è l'antichissima città di Atrani, che può dirsi quasi tutt'una con Amalfi: la sua chiesa di S. Salvatore de Bireto era la cappella sacri palatii dei duchi di Amalfi, i quali vi prendevano possesso del potere. In alto, a circa 370 metri, è la città di Scala, che la tradizione considera come la più antica della regione. Prospera sede di famiglie patrizie, tra cui i D'Afflitto, i Sasso, i Frisari, ebbe una cattedra vescovile fin dal 987. Monumento importante è l'antichissimo Duomo, rifatto nel sec. XVII. Scala ha tre borgate: Campidoglio, Minuto, ov'è la chiesa dell'Annunziata, e Pontone, ov'è quella di S. Eustachio, entrambe monumentali ma dirute. Da un'alta balza, a circa 315 metri, domina, in posizione meravigliosamente bella, Ravello, d'origine forse non anteriore al sec. IX, divenuta sede vescovile nel 1086, ricca di molte nobili famiglie, quali Rogadeo, Rufolo, Pironti, Muscettola, Confalone, Della Marra, che l'abbellirono di magnifici monumenti. A oriente di Atrani dietro una spiaggia è Minori, l'antica Reginnis minor, che fu uno degli arsenali della repubblica e sede vescovile fin dal 987. Ancora più ad oriente, si apre la bella spiaggia di Maiori, Reginnis maior, di dove, per una stretta valle, si penetra a nord nell'ampia conca di Tramonti. Ultima terra amalfitana ad oriente, ai confini del principato di Salerno, è Cetara. Dalla parte d'occidente sorgono, a poca altezza dal mare, Praiano e Vettica maggiore; più in alto, Vettica minore; e ancora più in alto, in un'ampia e bellissima valle, Agerola. Ultima terra amalfitana verso occidente, ai confini del ducato sorrentino, è Positano, che la tradizione dice fondata dai Pestani, dopo che la loro città fu distrutta dai Saraceni nel sec. X: ciò che il nome stesso, evidente corruzione di Posidonia, antico nome di Paestum, confermerebbe. Altre due città possedette il ducato di Amalfi sul versante settentrionale dei suoi monti, fino al sec. XII, e furono Lettere e Gragnano. I suoi confini si estendevano in quel tempo fino alla pianura che era chiamata territorio stabiano.
Per tutto il sec. X, e, più ancora, nell'XI, ebbero gli Amalfitani una meravigliosa espansione commerciale ed una solida prosperità economica, occupando nel Mediterraneo quel posto che più tardi tennero Pisa e Genova. A un primo periodo, nel quale essi si resero padroni del commercio di tutto il Tirreno, dell'Ionio e del basso Adriatico, ne seguì uno di maggiore splendore, nel quale conseguirono un predominio commerciale ed economico in tutto il Mediterraneo. Nell'antico porto di Napoli ebbero moli per l'ancoraggio delle proprie navi, aprirono banchi di cambio nella ruga campsorum ed occuparono alcune vie, ove esercitarono attivo commercio di stoffe. Analogamente, tutte le principali città dell'Italia meridionale ebbero vere e proprie colonie amalfitane. A Capua vi era una via amalfitana; a S. Germano, ogni sabato si teneva il mercato amalfitano; a Benevento si trovava una colonia di straordinaria ricchezza. Quartieri e vie proprie gli Amalfitani ebbero a Palermo, a Messina, a Reggio. Particolarmente importanti divennero le colonie pugliesi, che prosperarono a Bari, a Barletta, a Trani, a Molfetta, a Giovinazzo, a Monopoli, a Brindisi; colonie che dai primi re normanni avevano ottenuto varî privilegi, e da Tancredi ottennero quello di eleggersi proprî consoli e baiuli, che amministravano loro la giustizia. Altra colonia importante sorse a Durazzo. La prosperità conseguita, la perizia acquistata nella navigazione, il naturale ardimento, sospinsero altresì gli Amalfitani alla conquista delle grandi piazze commerciali dell'Oriente. Fin dal sec. X, cominciarono a trafficare con Tunisi e con gli altri porti della Barberia; si spinsero quindi a Tripoli, ad Alessandria, ad Acri, a Laodicea, ad Antiochia, a Costantinopoli, fondando ovunque banche e case di commercio e tenendo proprie curie, commerciando perfino con l'India. Quasi da per tutto ebbero privilegi e franchigie. Della prospera colonia alessandrina fa parola Beniamino di Tudela nel sec. XII; ed importanza ancora maggiore assunse quella di Costantinopoli, ove Amalfi aveva un quartiere sul Bosforo, accanto al quale sorsero quelli dei Veneziani e dei Pisani. Su la colonia amalfitana si modellarono quelle di tutti i popoli che ebbero stabilimenti in Oriente. Vissero lì mercanti che accumularono ricchezze enormi: tra essi è celebre quel Pantaleone, che conseguì il patriziato imperiale e che condusse le trattative tra i due imperi per una lega contro i Normanni. E non meno di lui suo figlio Mauro, che fondò ospizî in Gerusalemme e in Antiochia e donò le famose porte di bronzo alla Badia di Montecassino (1071). Circa il 1020, alcuni mercanti di Amalfi, a capo dei quali era fra' Gerardo da Scala, ottennero dal califfo d'Egitto la facoltà di poter costruire presso il S. Sepolcro un ospedale dedicato a S. Giovanni ed una chiesa dal titolo di S. Maria dei Latini. Tale fu l'origine del glorioso Ordine dei cavalieri gerosolimitani, che poi furono di Rodi e infine di Malta. La prosperità di Amalfi fu tale in questo periodo che Guglielmo Appulo scrisse che nessuna città era più ricca di oro, di argento e di stoffe d'ogni sorta, e che vi s'incontravano arabi, siculi ed africani, e perfino indiani. Si spiega così la ricchezza delle sue consuetudini marittime, che ebbero dagli Amalfitani una delle loro più antiche codificazioni, nella famosa Tabula amalphitana; si spiega la diffusione che, per opera loro, ebbe tra i navigatori occidentali la bussola nautica, ad essi resa nota dagli Arabi (un'antica e costante tradizione ne attribuisce loro l'invenzione stessa) e che essi probabilmente perfezionarono. Anche belle opere d'arte sorsero in un ambiente come questo, attingendo alle fastose fonti di Bisanzio e di Roma. Le cattedrali della costa amalfitana si adornarono di quelle ricche decorazioni scultorie, di animali e di fiori, esprimenti un vero linguaggio simbolico, di cui avanzano soltanto frammenti: tra i più belli, le transenne di Atrani. Opere cosmatesche di commesso e ricchi musaici ancora si ammirano, specie nell'ambone e nel pulpito della cattedrale di Ravello e nel pulpito di S. Giovanni del Toro. Bellissime porte in bronzo donò il già noto patrizio Pantaleone alla cattedrale di Amalfi e alla chiesa di S. Salvatore di Atrani, ed un'altra Barisano da Trani nel 1179 per la cattedrale di Ravello. Sotto i Normanni, Amalfi conservò il titolo di ducato e fu governata da uno strategoto come Ravello. Ma, anche in questo periodo, mentre alcune famiglie cominciarono ad emigrare verso la Puglia, altre, che avevano salvate o rifatte le loro ricchezze con la mercatura, adornarono le chiese, i palazzi, le ville di una nuova fioritura di arte. Numerosi artefici siciliani, rimasti anonimi, diedero nei secoli XII e XIII alla regione quel bellissimo e leggiadro fasto decorativo arabo-siculo, che tuttora vi si ammira. La torre campanaria della cattedrale di Amalfi, con decorazione di archetti intrecciati e di ceramica; le magnifiche ornamentazioni in tufo nero, in marmi e laterizî della villa dei Rufolo a Ravello; i chiostri a larghe ogive intrecciate del Paradiso e dei Cappuccini ad Amalfi, la struttura architettonica di moltissime chiese derivante dai tipi siciliani, sono vivaci riflessi di quell'arte che, durante la dominazione normanna, si era magnificamente affermata sul suolo siculo.
Durante l'invasione di Ottone IV la costa di Amalfi fu occupata dai Tedeschi (1210). Papa Alessandro IV, fattosi padrone del regno, dopo la morte di Corrado, infeudò il ducato, per la prima volta, a Bertoldo, Ottone e Lodovico di Hohenbruck (1255), pur senza che l'infeudazione si traducesse in pratica. Manfredi, invece, dedusse una colonia di Saraceni in Atrani. Carlo d'Angiò dopo la vittoria di Tagliacozzo concesse il ducato d'Amalfi al vincitore di quella giornata, Alardo di Valbery; ma neanche questa volta l'infeudamento ebbe effetto. Tuttavia, il decadimento era generale. Dopo il feroce sacco dei Pisani, le colonie orientali d'Amalfi andarono scemando di importanza, mentre quelle veneziane, genovesi, pisane le soppiantavano nella loro attività economica e commerciale. Gli sforzi che i cittadini fecero per risollevarsi permisero di conservare ancora per qualche tempo alcune colonie, come quella di Acri, che si spense soltanto a metà del sec. XIII, e di frequentare, fino a tutto il regno di Roberto d'Angiò, i porti del Levante. La Barberia, l'Egitto, Cipro, l'Egeo e la stessa Costantinopoli furono ancora in quel tempo meta della navigazione amalfitana, che d'altra parte aveva cercato qualche altro sbocco nei porti della Catalogna. Ma una nuova sventura, la tremenda tempesta del 24 novembre 1343, distruggendo, con gran parte di Amalfi e delle altre città della costa, porti, arsenali, ormeggi, segnò irrimediabilmente la sua decadenza. Nella guerra tra Durazzeschi ed Angioini, Amalfi si tenne pei primi, in maniera che i Provenzali di Ludovico II d'Angiò saccheggiarono Amalfi, Ravello e Scala (1392). Il ducato, infeudato da Ladislao a Venceslao Sanseverino, duca di Venosa (1398), che fu però messo a morte qualche tempo dopo per essersi ribellato, passò in seguito a Girolamo Colonna (1405), e poi a Raimondo Orsini. Nell'invasione di Giovanni d'Angiò, le città del ducato amalfitano si dettero all'invasore (1459). Dopo la guerra, re Ferrante, per ricompensare Ferdinando Piccolomini, nipote di Pio II, dei servigi resigli, gli dette in moglie Maria, sua figlia naturale, e gl'infeudò il ducato d'Amalfi (1461), che rimase infeudato a questa famiglia per cinque generazioni. L'ultimo duca, Giovanni Piccolomini, morì nel 1582 e la vedova pose in vendita il ducato che si riscattò per 216 mila ducati.
Amalfi ebbe fin dai tempi più antichi una chiara nobiltà, costituita delle famiglie dei suoi più ricchi mercanti e di coloro che vi occuparono la suprema magistratura. Le famiglie più antiche avevano infatti il cognome Comite, perché si rannodavano tutte a quei comites che ressero la repubblica nel sec. IX. A queste se ne aggiunsero poi molte altre, tra le quali sono maggiormente degne di nota le famiglie Capuano, Brancia, Orefice, Del Giudice, De Liguori. Né mancarono altri uomini illustri: e tra essi, oltre ai già mentovati Pantaleone e Mauro "de Comite Mauro", il cardinal Pietro Capuano, Marcello Bonito, principe di Casapesenna, erudito del sec. XVII, Vito Pisanello, segretario di Federico d'Aragona, Giovannello de Cuncto segretario di Ferrante d'Aragona e molti altri.
Bibl.: G. De Lorenzo, Studi di geologia nell'Appennino Meridionale, Napoli 1896; N. Guadagno, Rapporti fra pioggia e vegetazione nella costiera amalfitana, Napoli 1925; V. Epifanio, Campania, Torino 1925.
Per l'arte: S. Volpicella, Delle antichità di Amalfi e dintorni, Napoli 1859; id., Studi di letteratura, storia ed arte, Napoli 1876; M. Camera, Memorie storico-diplomatiche dell'antica città e ducato di Amalfi, Salerno 1876; L. Mansi, Illustrazione dei principali monumenti di arte e di storia del versante amalfitano, Roma 1898; E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, Parigi 1904; M. De Angelis, Fra pulpiti e campanili, in Archivio storico della provincia di Salerno, anno V, fasc. i; G. B. D'Addosio, Illustrazioni e documenti sulle cripte di S. Andrea in Amalfi e S. Matteo in Salerno, in Archivio storico napoletano, XXXIV (1909).
Per la storia: F. Pansa, Istoria dell'antica repubblica di Amalfi, Napoli 1724, voll. 2; M. Camera, Istoria della città e costiera di Amalfi, Napoli 1836; id., Memorie storico-diplomatiche dell'antica città e ducato di Amalfi, Salerno 1876-1881, voll. 2; Moretti, La prima repubblica marinara d'Italia, Ravenna 1904; H. Brenkman, De republica amalphitana, in Delectus scriptorum rerum neapolitanarum, Napoli 1735; L. M. Hartmann, Eine Episode aus der Geschichte von Amalfi, in Vierteljhar. für Sozial- und Wirtschaftsgesch., VII (1909); J. Gay, L'Italie méridionale et l'empire byzantin, Roma 1902; M. Schipa, Il mezzogiorno d'Italia anteriormente alla monarchia, Bari 1923; C. Minieri Riccio, Un duca d'Amalfi finora sconosciuto, Napoli 1876; R. Filangieri di Candida, Codice diplomatico amalfitano, Napoli 1917; id., La "charta amalphitana", in Archivi italiani, Siena 1919; id., I curiales di Amalfi, in Bollettino del bibliofilo, a. II, Napoli 1921; C. Ciccaglione, Le istituzioni politiche e sociali dei ducati napoletani, Napoli 1892; e in genere tutte le storie medievali. Per le consuetudini e per la Tavola amalfitana, v. Capitula et ordinationes curiae maritimae nob. civitatis Amalphae, Napoli 1844; L. Volpicella, Le consuetudini della città di Amalfi, Napoli 1849; N. Alianelli, La Tavola amalfitana, Napoli 1871; G. Racioppi, La tabula e le consuetudini marittime di Amalfi, 1879; F. Schupfer, Trani ed Amalfi, 1892; Laudati, La tabula de Amalfa, Bari 1894, ecc. Per la questione della bussola, v. bussola.