Ambiente e istituzioni internazionali
L'ambiente costituisce un campo d'azione complesso in quanto coinvolge un considerevole numero di soggetti di diverso tipo, appartenenti al mondo della politica, della scienza o comunque attinenti alla sfera pubblica. In questo saggio illustreremo lo sviluppo delle istituzioni internazionali che si occupano della difesa e della salvaguardia dell'ambiente, sulla spinta delle crescenti preoccupazioni per il degrado ecologico. Ci soffermeremo sulla creazione di istituzioni e di programmi internazionali e sull'attuazione dei trattati internazionali sull'ambiente, principalmente in relazione alle conferenze, agli accordi e alle istituzioni nati sotto l'egida delle Nazioni Unite, e ne descriveremo l'evoluzione storica fino ai giorni nostri. Queste istituzioni hanno svolto un ruolo decisivo nell'attuazione delle politiche ambientali e hanno fornito strumenti efficaci nella protezione dell'ambiente su scala mondiale.
"La Terra è una sola ma il mondo no. Noi tutti dipendiamo da una sola biosfera per sostenere le nostre vite. Eppure ciascuna comunità, ciascuna nazione lotta per la sopravvivenza e il benessere senza considerare le ripercussioni che ciò può avere sulle altre". Our common future (Il futuro di noi tutti), WCED, 1987.
Introduzione
L'impatto dell'uomo sull'andamento dei processi naturali è divenuto talmente cospicuo da coinvolgere l'evoluzione stessa di questi processi. L'inquinamento delle acque e il deterioramento della fascia di ozono hanno provocato conseguenze globali che riguardano l'umanità intera. Tuttavia, il genere umano ha a disposizione tecnologie, istituzioni e strumenti giuridici efficaci che gli consentono di indirizzare e determinare il proprio futuro in modo sicuro dal punto di vista ambientale. Il fatto che molti enti e istituzioni non governativi siano figure chiave nel campo della salvaguardia dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile implica che la struttura delle Nazioni Unite, per essere efficace, dovrà operare insieme a questi soggetti ed esercitare il proprio influsso su di essi in misura sempre maggiore. In linea con un orientamento globale che tende a fare sempre più assegnamento sui mercati, sulla liberalizzazione degli scambi e sugli investimenti internazionali, negli anni a venire anche la struttura delle Nazioni Unite dovrà probabilmente contare in misura maggiore sul potere del mercato e sugli strumenti economici, piuttosto che sugli strumenti di regolamentazione tradizionali. Ciò è già avvenuto con il coinvolgimento delle Nazioni Unite nel progetto e nella messa in opera di programmi commerciali globali sulle emissioni dei gas a effetto serra (come previsto dal Protocollo di Kyoto), nella defrnizione dei diritti di utilizzazione delle risorse trasferibili (per esempio, gli stock ittici, le risorse di minerali degli oceani), nei progetti per il trasferimento dei vantaggi, ovvero nelle questioni relative alla prospezione delle risorse nell'ambito della Convenzione sulla diversità biologica (CBD, Convention on Biological Diversity) e nelle attività che implicano un impegno per l'ambiente e per lo sviluppo sostenibile. Si può supporre quindi che nei prossimi anni verranno create nuove strutture istituzionali per realizzare questi scopi. Nella tabella (tab. I) è riportato un elenco di organi, convenzioni e trattati di cui parleremo nel saggio, con le relative sigle.
L'ambiente, inteso come campo d'azione, si presenta come un processo complesso, intersettoriale, dinamico e frammentato nel quale è coinvolto un considerevole numero di soggetti e istituzioni differenti. Dopo un periodo di emancipazione, si stanno compiendo ora notevoli sforzi per reinserire le questioni ambientali nell' ambito di più generali strategie politiche sul piano internazionale. La maggior parte delle istituzioni internazionali ha quindi 'colorato di verde' le proprie attività creando programmi per l'ambiente e amministrazioni specializzate. Un ruolo altresì molto importante è quello delle organizzazioni non governative (NGO, Non Governmental Organizations), associazioni tra soggetti che non rappresentano gli stati e non sono basate su trattati internazionali. Le NGO, tra cui sono comprese l'industria privata, la comunità scientifica, le istituzioni accademiche, le organizzazioni per l'ambiente e lo sviluppo, "sono tutti considerati elementi decisivi nello sviluppo di una politica ambientale", come affermato nel 1997 dal Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP, United Nations Environmental Programme). In questo saggio tuttavia ci soffermeremo sull'ambiente considerato nel contesto istituzionale del sistema delle Nazioni Unite e del sistema giuridico stabilito in quest'ambito (fig. 1).
Le Nazioni Unite hanno convocato molte conferenze internazionali sull' ambiente, tra cui i due principali eventi internazionali in questo settore, la Conferenza di Stoccolma nel 1972 e la Conferenza di Rio nel 1992, che hanno modificato il modo di concepire l'ambiente da parte dell'umanità. Tali conferenze hanno promosso da un lato una serie di reazioni a catena per quanto concerne i progetti istituzionali, sia a livello internazionale sia a livello locale, dall' altro hanno accresciuto l'interesse per l'ambiente nell'ambito di discipline diverse, dall'economia alle scienze naturali. I valori fondamentali e i principi di base che sono stati adottati in queste conferenze costituiscono le linee guida essenziali per tutte le attività concernenti l'ambiente. Agenda 21, il piano d'azione adottato a Rio nel 1992, costituisce un importante punto di riferimento per chiunque si trovi nella posizione di prendere decisioni riguardanti l'ambiente, per tradurre in pratica l'obiettivo principale di uno sviluppo sicuro dal punto di vista ambientale. Le attività delle Nazioni Unite sono dunque al centro di una politica ambientale in rapida evoluzione.
La via verso una politica ambientale coerente
"È emersa e si sta sviluppando una struttura di cooperazione internazionale per l'ambiente ed essa potrebbe costituire un ponte verso relazioni internazionali più ampie in futuro". Caldwell, 1984.
La Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano
La Conferenza sull'ambiente umano (Conferenza di Stoccolma) venne convocata nel 1972 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite per rispondere alla crescente preoccupazione da parte della comunità internazionale sulla tutela dell'ambiente. Numerosi paesi presero atto in misura sempre maggiore della mancanza di una gestione ambientale adeguata e di una politica in grado di affrontare la pressione esercitata dalle esigenze di sviluppo economico dell'intero sistema planetario. Nel 1968 la Conferenza intergovernativa di esperti sulle basi scientifiche per l'utilizzazione razionale e la conservazione delle risorse della biosfera, svoltasi sotto gli auspici dell'UNESCO, aveva già fatto appello all'umanità perché assumesse le proprie responsabilità. Si giunse quindi all'organizzazione della Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano, la prima conferenza a livello mondiale sull'ambiente, svoltasi a Stoccolma dal 5 al 16 luglio 1972. Essa rinni rappresentanti di più di 114 stati e un considerevole numero di istituzioni internazionali e di osservatori non governativi.
Questa Conferenza ha portato a un cambiamento nella percezione del rapporto tra il genere umano e la bio sfera. Il degrado dell'ambiente è stato percepito come un problema globale e l'assunzione di responsabilità da parte dell'umanità per risolvere questi problemi è stata considerata una questione della massima urgenza. Nonostante fossero stati adottati accordi internazionali sull'ambiente già nel lontano 1902 (anno in cui fu firmata a Parigi la Convenzione per la protezione degli uccelli utili all'agricoltura), la maggior parte dei precedenti trattati internazionali non mirava a una cooperazione internazionale che consentisse di affrontare i problemi a livello globale. Essi riguardavano piuttosto problemi specifici concernenti determinate discipline, relativi a questioni o a specie particolari, oppure si occupavano di problemi di carattere regionale, che interessavano determinate aree geografiche.
La Conferenza di Stoccolma ha preparato il terreno per un intervento globale sull'ambiente attraverso l'adozione di tre documenti: è stata adottata una dichiarazione costituita da 26 principi guida, accompagnata da una risoluzione per organizzare l'intervento a livello internazionale su basi istituzionali e frnanziarie diverse, ed è stato elaborato un piano d'azione costituito da 109 raccomandazioni. È stato anche riconsiderato il concetto di sovranità nazionale, che ha trovato espressione nel principio 21 della dichiarazione, il quale afferma che è responsabilità degli stati assicurare che le attività svolte nell'ambito della loro giurisdizione o sotto il loro controllo non arrechino danno a un altro stato oppure a zone al di là della giurisdizione nazionale. Considerato il fatto che gli stati esercitano diritti sovrani su tutte le risorse naturali presenti nel loro territorio e che a tali diritti si possono porre limiti soltanto attraverso atti volontari, il riconoscimento da parte della comunità internazionale che questi diritti non sono assoluti ha rappresentato un passo molto importante verso una ulteriore cooperazione internazionale.
Nello spirito della Conferenza di Stoccolma, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha creato il programma UNEP, con sede centrale a Nairobi, in Kenia. Tale organismo è retto da un consiglio amministrativo composto da 58 membri, eletti dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, che si riunisce una volta all'anno e deve riferire all'Assemblea generale attraverso il Consiglio economico e sociale (ECOSOC, Economie and Social Council). Sebbene l'UNEP non abbia lo status di agenzia specializzata delle Nazioni Unite e disponga di risorse finanziarie limitate, esso è incaricato della protezione dell'ambiente globale nell'ambito del sistema delle Nazioni Unite. Le sue principali funzioni (fig. 2) sono quelle di promuovere l'adozione e l'attuazione degli accordi e delle linee guida a livello internazionale, esaminare gli ulteriori sviluppi della legislazione internazionale sull' ambiente e fornire la propria collaborazione a tale riguardo. Inoltre l'UNEP amministra i segretariati relativi ad alcuni accordi globali sull'ambiente: la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (ClTES, Convention on International Trade in Endangered Species of wild fauna and flora), la Convenzione per la conservazione delle specie migranti di animali selvatici (CMS, Convention on the conservation of Migratory Species of wild animals), la Convenzione di Basilea, il Protocollo di Montreal sulle sostanze che impoveriscono la fascia di ozono e la CBD; infine ha funzioni di coordinamento tra i segretariati relativi ad altri trattati internazionali sull' ambiente.
La Conferenza di Stoccolma ha anche avuto una funzione catalizzatrice per quanto riguarda le iniziative sull'ambiente a livello nazionale. In seguito alla Conferenza molti paesi hanno creato strutture istituzionali di cui in precedenza erano del tutto privi. Tali strutture consentono di intervenire nel campo della salvaguardia dell'ambiente.
In risposta all'evoluzione delle tecnologie informatiche e alla maggiore facilità di comunicazione che queste hanno consentito, il piano d'azione adottato dalla Conferenza di Stoccolma ha fornito un programma globale di valutazione dell'ambiente, messo in pratica attraverso la creazione di Earthwatch, affidato alla gestione dell'UNEP. Earthwatch si articola a sua volta in vari organismi che hanno lo scopo di raccogliere le informazioni necessarie per indirizzare e determinare un'adeguata gestione dell'ambiente. Le altre principali componenti del piano d'azione erano Gestione ambientale, che comprendeva una serie di proposte per la gestione delle risorse naturali, e alcuni provvedimenti di sostegno, riguardanti la formazione, l'istruzione e l'informazione.
Sviluppi nel ventennio 1972-92
Il periodo compreso tra il 1972 e il 1992 è stato caratterizzato dagli sforzi congiunti delle istituzioni delle Nazioni Unite per ottenere un consenso a livello internazionale che costituisse la necessaria piattaforma di partenza per elaborare una risposta agli urgenti problemi globali affrontati poi nella Conferenza di Rio. Il primo passo in questa direzione è stato l'adozione da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 1982, della Carta mondiale della natura. Questo statuto era espressione di una nuova percezione da parte della comunità internazionale del rapporto con la biosfera. Esso invocava un approccio ecocentrico, ovvero affermava che ciascuna forma di vita dovrebbe essere considerata unica ed essere rispettata indipendentemente dal valore che essa riveste per gli esseri umani.
Un anno più tardi, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì la Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo (WCED, World Commission on Environment and Development), alla quale spesso ci si riferisce come Rapporto Brunddand, una sorta di centro di ricerca indipendente volto a riconsiderare i rapporti tra ambiente e sviluppo con lo scopo di formulare proposte adeguate per nuove modalità di intervento e cooperazione a livello internazionale. La relazione programmatica del WCED, pubblicata nel 1987 con il titolo Our common future (Il futuro di noi tutti), chiedeva agli stati di utilizzare le risorse naturali viventi e gli eco sistemi in modo sostenibile e a questo scopo proponeva l'elaborazione di un programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, basato su un intervento integrato e interdisciplinare, poiché "le crisi a livello mondiale [ ... ] non sono crisi diverse: una crisi ambientale, una crisi nello sviluppo, una crisi energetica. Sono tutte la stessa cosa". La relazione quindi può essere considerata come un elemento catalizzatore per la realizzazione del vertice di Rio, svoltosi cinque anni più tardi, che ha scelto lo sviluppo sostenibile come leitmotiv della conferenza.
La Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo
La Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (UNCED, United Nations Conference on Environment and Development), spesso detta anche Conferenza di Rio o Vertice per la Terra (Earth Summit), si è svolta a Rio de Janeiro, in Brasile, nel giugno del 1992. Hanno partecipato oltre 100 capi di stato e di governo e più di 20.000 rappresentanti di NGO.
Durante la Conferenza è stata lanciata una nuova forma di collaborazione per lo sviluppo sostenibile. Questo nuovo corso per lo sviluppo sostenibile comporta per ciascuna nazione, e per la comunità internazionale in generale, che i diversi aspetti dello sviluppo (sociale, economico, culturale e ambientale) debbano essere affrontati in modo integrato ed equilibrato. La Conferenza ha rappresentato quindi una svolta decisiva nel modo di concepire lo sviluppo da parte della comunità internazionale. Il concetto che ambiente e sviluppo siano indissociabili ha subìto delle critiche fondate sulla convinzione che l'ambiente potrebbe perdere la propria autonomia per diventare semplicemente un elemento complementare rispetto al processo di sviluppo; tuttavia, il riconoscimento di questo rapporto rappresenta un passo decisivo verso un'evoluzione dell'interesse per l'ambiente a livello internazionale, in quanto pone le questioni ambientali al centro dell'attenzione internazionale. Dopo lunghe negoziazioni è stato raggiunto un consenso senza precedenti su tre documenti non vincolanti (soft law), la Dichiarazione di Rio, Agenda 21 e i Principi sulle foreste, e su due convenzioni a carattere vincolante (hard law) sui cambiamenti climatici e la diversità biologica (fig. 3). Tutti e tre i documenti sono strumenti legislativi 'morbidi', legalmente non vincolanti, e ciò implica che non esiste alcuna procedura di ratificazione e che, in caso di mancata attuazione, i provvedimenti non possono essere fatti rispettare. Tuttavia la Dichiarazione di Rio, Agenda 21 e i Principi sulle foreste costituiscono un punto di riferimento per enti e istituzioni a livello internazionale e hanno altresì un alto valore morale, in quanto sono espressione di un consenso in ambito mondiale e di un impegno politico ad alto livello.
La Dichiarazione di Rio. - La Dichiarazione di Rio comprende 27 principi e riafferma il diritto sovrano degli stati di sfruttare le proprie risorse conformemente alle proprie politiche per lo sviluppo e per l'ambiente: infatti, il principio 2 della Dichiarazione di Rio amplia il principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma estendendo il diritto sovrano degli stati alle loro politiche per lo sviluppo. Il punto centrale della Dichiarazione di Rio è il suo esplicito riconoscimento del diritto allo sviluppo e dell'interdipendenza tra lo sviluppo sostenibile e la protezione dell'ambiente. A questo scopo, la Dichiarazione fa appello agli stati affinché cooperino fra loro anche attraverso il trasferimento di conoscenze scientifiche e tecnologiche. Una priorità speciale dovrebbe essere assegnata alle esigenze dei paesi in via di sviluppo. A tale proposito viene stabilito il principio delle responsabilità comuni ma differenziate, secondo il quale ai paesi in via di sviluppo devono essere applicati diversi standard di adempimento e, in funzione di questi, dovrebbero essere concessi incentivi finanziari. A questo proposito, il principio 7 della Dichiarazione di Rio riconosce anche la responsabilità degli Stati industrializzati nel perseguire uno sviluppo sostenibile, considerato l'ingente sfruttamento al quale le società dei paesi sviluppati sottopongono l'ambiente globale e tenuto conto della loro disponibilità di tecnologie e risorse finanziarie. La Dichiarazione esamina anche i diversi metodi impiegabili per adempiere agli standard internazionali. Rispetto alla Dichiarazione di Stoccolma di venti anni prima, quella di Rio rappresenta uno strumento di riferimento più specifico e riflette il tema dominante del summit, ovvero l'indissociabilità tra sviluppo e ambiente.
Agenda 21. - Agenda 21 (fig. 4) è un piano d'azione globale per guidare la comunità internazionale verso uno sviluppo sostenibile nel corso del 21⁰ secolo. Agenda 21, composta di ben 40 capitoli, presenta un approccio globale e tematico relativo a centinaia di aree programmatiche riguardanti l'ambiente e lo sviluppo. Questo documento si compone di un preambolo e quattro sezioni: la sezione l tratta degli aspetti economici e sociali, la sezione II della protezione e gestione delle risorse per lo sviluppo, la sezione IIl del rafforzamento del ruolo dei principali attori sociali e la sezione IV degli strumenti di attuazione.
l sette capitoli della sezione l affrontano questioni quali la lotta contro la povertà, la modificazione del modello dei consumi, le dinamiche demografiche e la loro sostenibilità; la tutela e il miglioramento delle condizioni di salute dell'uomo, la promozione di uno sviluppo sostenibile degli insediamenti umani e la necessità di prendere decisioni integrando sviluppo e ambiente. La sezione l si concentra dunque su un approccio integrato ai problemi di ordine economico, sociale e ambientale, come aveva peraltro suggerito precedentemente la WCED.
La sezione II propone un approccio tematico ai seguenti settori: atmosfera, pianificazione e gestione delle risorse del territorio, deforestazione, desertificazione e siccità, sviluppo sostenibile dei rilievi montani, sviluppo agricolo e rurale sostenibile, diversità biologica e gestione sicura delle biotecnologie, oceani e mari, acque dolci, sostanze chimiche tossiche, rifiuti pericolosi, gestione dei rifiuti solidi e delle scorie radioattive.
La sezione IIl, secondo la dichiarazione di intenti al par. 23.1- 2 del preambolo, riconosce che "una delle condizioni indispensabili per raggiungere uno sviluppo sostenibile è un'ampia partecipazione pubblica alle decisioni, e questo implica anche nuove forme di partecipazione". In questa sezione sono individuati i principali attori sociali coinvolti nell'attuazione di Agenda 21. La sezione IV è dedicata alle risorse e ai meccanismi finanziari, al trasferimento di tecnologie sicure dal punto di vista dell' ambiente, alla cooperazione e allo sviluppo delle capacità produttive, alle conoscenze scientifiche rivolte a uno sviluppo sostenibile, alla promozione dell'istruzione, della consapevolezza e della formazione, ai meccanismi nazionali per l'aumento della produzione nazionale nei paesi in via di sviluppo, agli accordi internazionali a livello istituzionale, agli strumenti giuridici e di informazione a livello internazionale necessari per operare decisioni.
In Agenda 21 viene riconosciuto, nel contesto degli accordi istituzionali, il ruolo decisivo svolto dalle NGO, includendo tra queste la comunità scientifica, il settore privato e le associazioni femminili. Il carattere interdisciplinare e globale di Agenda 21 fa di questo documento un programma normativo e un sistema di orientamento generale per guidare la macchina internazionale nel suo funzionamento futuro. Inoltre, sulla base di Agenda 21 sono stati elaborati numerosi piani d'azione nazionali, e più di 1800 città piccole e grandi in tutto il mondo hanno creato la loro 'Agenda 21' locale.
I Principi sulle foreste. - l Principi sulle foreste rappresentano il primo atto di consenso globale per quanto concerne la gestione e la protezione di tutti gli ambienti forestali. Il documento afferma che tutte le foreste devono essere gestite in modo compatibile, e che il loro sfruttamento deve essere vincolato all'attenta valutazione dell'utilità che esse ricoprono dal punto di vista sociale, economico ed ecologico. Viene inoltre fortemente stimolata una più ampia partecipazione dell'opinione pubblica alle questioni relative alle aree boschive. l Principi sulle foreste sono principi generali e non forniscono un programma di intervento preciso, in quanto le opinioni degli stati industrializzati e di quelli in via di sviluppo sulle questioni riguardanti le foreste sono risultate troppo di scordanti all'atto della formulazione di questo documento.
Strumenti giuridici vincolanti. - In occasione dell'UNCED vennero firmati anche due trattati legalmente vincolanti: la già citata CBD e la Convenzione sui cambiamenti climatici (CCC, Convention on Climate Change). Inoltre l'UNCED invitava l'Assemblea generale delle Nazioni Unite a creare un Comitato negoziale intergovernativo, che ha iniziato i lavori nel 1993, per preparare una convenzione frnalizzata a combattere la desertificazione nei paesi colpiti da siccità gravi. Questi accordi sono anche noti come Convenzioni di Rio. Diversamente da Agenda 21, dalla Dichiarazione di Rio o dai Principi sulle foreste, le Convenzioni fanno parte della cosiddetta hard law, e cioè sono documenti giuridici vincolanti per i paesi che li sottoscrivono, in quanto costituiscono un impegno che può essere fatto rispettare rigidamente. Il carattere giuridicamente vincolante della Convenzione fa sì che gli obblighi in essa contenuti siano piuttosto generici e difficilmente traducibili in pratica, piuttosto che impegni specifici, ai quali in genere gli stati sotto stanno con molta riluttanza. Questi obblighi dunque rappresentano di solito una sorta di compromesso tra i diversi interessi e le diverse opinioni.
La CBD e la CCC accolgono taluni principi affermati dalla Dichiarazione di Rio e da Agenda 21 quali principi guida della politica ambientale a livello internazionale: uno di questi è il principio cautelativo, secondo il quale, nel caso esista la concreta possibilità di un danno ecologico grave o irreversibile, l'impossibilità di averne assoluta certezza scientifica non dovrà essere usata come ragione per rimandare l'adozione di misure efficaci in rapporto al costo che possano evitare la degradazione dell'ambiente (principio 15 della Dichiarazione di Rio; paragrafo 35.3 di Agenda 21; art. 3, par. 3 della CCC, preambolo della CBD). In contrasto, dunque, con il cosiddetto principio del "chi inquina paga" (contenuto nel principio 16 della Dichiarazione di Rio), che prevede un risarcimento per un danno ambientale già avvenuto, il principio cautelativo implica il cosiddetto approccio 'senza rimpianti'. Inoltre, in tali Convenzioni viene menzionato il principio dell'interesse comune dell'umanità (preambolo della CCC e della CB D) che esprime il concetto fondamentale della cooperazione internazionale. Questo principio è stato formulato nel 1995 dalla Commissione per il diritto ambientale dell'Unione mondiale per la conservazione (IUCN, lnternational Union for the Conservation ofNature, ora World Conservation Union), e implica che una determinata questione ambientale non può più essere ritenuta soltanto di competenza della giurisdizione nazionale dei singoli stati, in considerazione dell'importanza che essa riveste e delle conseguenze che comporta per tutti a livello mondiale.
La Conferenza di Rio ha considerato anche la questione dei modi di attuazione delle decisioni prese: il concetto alla base dell'adozione di convenzioni globali è stato quello di "pensare a livello mondiale, agire a livello locale". Di conseguenza le Convenzioni di Rio contengono disposizioni per la loro attuazione anche a livello nazionale. Esse sottolineano soprattutto l'importanza dello scambio di conoscenze scientifiche e tecnologiche, dello sviluppo, adattamento, diffusione e trasferimento di tecnologie, dell'istruzione e dell'aumento delle capacità produttive dell'uomo per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Con ciò esse riconoscono la situazione particolare e le esigenze dei paesi in via di sviluppo, che, come è stato sostenuto dall'UNCED, hanno un ruolo importante nel tentativo di invertire il processo di degrado ambientale, in quanto le tecnologie sicure dal punto di vista ambientale proteggono l'ambiente, inquinano meno e impiegano le risorse in modo compatibile.
Il meccanismo fondamentale che consente di esaminare e giudicare i progressi fatti è rappresentato da una procedura di monitoraggio e dalla stesura periodica di rapporti che consentono in pratica una valutazione delle situazioni nei diversi periodi. Specialmente in considerazione del progresso delle tecnologie informatiche, la raccolta e la diffusione di dati dettagliati e tempestivi in merito all'attuazione degli impegni da parte degli stati contraenti riveste un ruolo decisivo nella reale attuazione degli impegni anche a livello regionale e nazionale. Per quanto riguarda l'ordinamento istituzionale le Convenzioni di Rio originariamente hanno stabilito lo stesso sistema. L'organismo decisionale supremo è la Conferenza dei partecipanti (COP, Conference Ofthe Parties). La COP è formata da tutte le istituzioni che hanno partecipato alla Conferenza, e conferisce lo status di osservatore a organizzazioni nazionali e internazionali che possiedano competenze adeguate per fornire consulenze pertinenti a ciascuna delle Convenzioni e alle Nazioni Unite, oltre che alle sue agenzie specializzate e a qualsiasi Stato membro o a osservatori che non facciano parte della Convenzione. La COP deve promuovere e controllare l'attuazione di ciascuna convenzione. A questo scopo esamina le relazioni presentate dagli stati che partecipano alla Convenzione ed esprime un giudizio. Sulla base di queste relazioni, la COP elabora raccomandazioni e pubblica relazioni sullo stato di attuazione della Convenzione. Poiché la COP ha il diritto di aggiungere emendamenti e protocolli alla Convenzione, essa ricopre la funzione molto importante di "mantenere vive le Convenzioni", il che significa adattarle alle nuove conoscenze scientifiche e alla continua evoluzione della politica ambientale internazionale. Nel raggiungimento di questo obiettivo la COP è assistita da organi consultivi, la cui funzione principale è di fornire consulenze di carattere scientifico, tecnico e tecnologico a coloro che elaborano le politiche ambientali nell'ambito della COP. Gli organi consultivi svolgono anche una funzione di integrazione in quanto anche altri soggetti che agiscono in questo campo possono rivolgersi a loro per consulenze. Alle attività di questi organismi partecipano inoltre istituzioni scientifiche ed esperti indipendenti. L'UNCED ha dato corso a nuovi sviluppi istituzionali nell'ambito del sistema delle Nazioni Unite.
Per favorire e controllare i progressi nell'attuazione di Agenda 21 a livello nazionale, regionale e mondiale e per promuovere orientamenti decisionali integrati e razionalizzati sulle questioni concernenti l'ambiente e lo sviluppo, è stata creata la Commissione per lo sviluppo sostenibile (CSD, Commission on Sustainable Development), formata dai rappresentanti di 53 stati eletti dall'ECOSOC con la dovuta attenzione a una equilibrata distribuzione geografica. In considerazione della loro crescente importanza, è stato conferito alle NGO lo status di osservatori nell'ambito della CSD. La CSD va considerata come un forum per l'ulteriore attuazione di Agenda 21, dal momento che non è dotata di alcuna autorità giuridica o sul budget. È stato inoltre creato il Comitato interagenzie per lo sviluppo sostenibile (lACSD, Inter-Agency Committee on Sustainable Development) per fornire un ulteriore supporto in grado di assicurare l'efficace controllo, il coordinamento e la supervisione del coinvolgimento della struttura delle Nazioni Unite nella realizzazione dei principi affermati nella Conferenza di Rio (v. figure 3, 4).
Sviluppi e conseguenze della Conferenza di Rio tra il 1992 e il 1997
Nonostante l'iniziale successo della Conferenza di Rio, i cinque anni successivi sono stati caratterizzati dalla difficoltà nel tradurre in realtà gli impegni presi nel corso del summit. Molti paesi hanno istituito ministeri per l'ambiente oppure consigli a livello presidenziale per lo sviluppo sostenibile, hanno formulato nuove dichiarazioni e strategie di politica ambientale a livello nazionale e hanno riesaminato la legislazione esistente per garantirne la conformità alle Convenzioni di Rio. Tuttavia, la maggior parte dei paesi industrializzati non ha ancora raggiunto l'obiettivo posto dalle Nazioni Unite di impegnare ufficialmente lo 0,7 % del loro prodotto nazionale lordo per il sostegno allo sviluppo. La percentuale media di aiuti ufficiali per lo sviluppo nei paesi industrializzati è drasticamente diminuita nel periodo successivo all'UNCED, calando dallo 0,34% del prodotto nazionale lordo nel 1992 allo 0,27% nel 1995. Allo stesso modo il trasferimento di tecnologie e gli investimenti in ambito tecnologico da parte di fonti pubbliche e private non sono stati realizzati come invece era stato prospettato in Agenda 21.
Tra i risultati ottenuti successivamente all'UNCED vanno annoverati l'entrata in vigore della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, della CBD e della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (CCD, Convention to Combat Desertification), la conclusione di un accordo sugli stock ittici sconfinanti e altamente migranti, l'adozione di un programma d'azione per la crescita sostenibile dei piccoli stati insulari in via di sviluppo, l'elaborazione di un programma di azione globale per la protezione dell'ambiente marino dalle attività terrestri e l'entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS, United Nations Convention on the Law Of the Sea).
Un concreto passo avanti è stato compiuto con l'istituzione, la ristrutturazione, la dotazione e il rifornimento di fondi del Fondo mondiale per l'ambiente (GEF, Global Environment Facility). La funzione principale del GEF è di finanziare i costi addizionali convenuti degli interventi che producono vantaggi per l'ambiente a livello mondiale e che tuttavia non verrebbero inclusi nei finanziamenti per lo sviluppo a livello nazionale. l fondi possono essere destinati soltanto ad alcuni settori: cambiamenti climatici, diversità biologica, acque internazionali, impoverimento della fascia di ozono e, a partire dal 1992, anche desertificazione e deforestazione per quegli aspetti che sono in relazione con tali questioni ambientali.
Rio cinque anni dopo: "Trasformare lo sviluppo sostenibile da ordine del giorno in azione"
Alla sessione speciale dell'Assemblea generale Rio cinque anni dopo, tenutasi a New Y ork dal 23 al 27 giugno 1997, hanno partecipato 53 capi di stato o capi di governo e 65 ministri dell' ambiente e di settori correlati. Lo scopo principale di Rio cinque anni dopo era di esaminare i progressi compiuti nell'attuazione degli impegni presi dall'UNCED cinque anni prima e di sollecitare nuovi impegni per ulteriori interventi rivolti a scopi e obiettivi stabiliti dal Vertice per la Terra di Rio. Tuttavia, con grande delusione da parte di molti delegati, delle organizzazioni non governative e dei media, la comunità internazionale ha assunto pochi nuovi impegni e il testo fmale approvato all'unanimità dai delegati di più di 165 paesi, intitolato Programma per l'ulteriore attuazione di Agenda 21, contiene espressioni di compromesso formulate con molta cautela. l delegati non sono riusciti a trovare un accordo su una dichiarazione politica che riassumesse le conclusioni della sessione speciale. Nonostante sia stato dato un notevole impulso agli sforzi per impedire i cambiamenti climatici, la distruzione delle foreste e il degrado degli ambienti d'acqua dolce, gli stati convenuti non sono riusciti a raggiungere un accordo politico sulla quantificazione della riduzione delle emissioni di sostanze nocive e nemmeno su una convenzione per la protezione delle foreste.
La Conferenza di Rio ha segnato l'inizio di un approccio globale allo sviluppo sostenibile e ha stabilito uno schema d'azione tematico. Rio cinque anni dopo si è soffermata soprattutto sull'attuazione degli impegni presi, considerando la cooperazione e la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti in questo processo come un elemento chiave per il successo finale nell' attuazione di Agenda 21. Dal momento che i cinque anni successivi a Rio sono stati caratterizzati da un'accelerazione nella globalizzazione del mercato mondiale e da rapide modificazioni sociali ed economiche, gli accordi istituzionali espressi dall'UNCED dovevano anche rispondere a questi cambiamenti. In questo contesto l'Assemblea generale si è rivolta alle COP delle Convenzioni di Rio e agli organi decisionali delle convenzioni attinenti allo sviluppo sostenibile affmché cooperino nell'individuare modi e strumenti per collaborare nelle attività volte a portare avanti un'efficace attuazione delle convenzioni. Una delle istituzioni che ha la responsabilità di guidare questo processo è l'UNEP, in qualità di più importante autorità sull'ambiente globale, organismo che stabilisce la dimensione globale dello sviluppo sostenibile e tutela l'ambiente globale nell'ambito della struttura delle Nazioni Unite. L'lACSD ha ricevuto il mandato di consolidare la cooperazione e la coordinazione intersettoriale per l'attuazione di Agenda 21 e di promuovere un'attuazione coordinata delle principali conferenze delle Nazioni Unite nel settore dello sviluppo sostenibile. Alla CSD è stato richiesto di compiere uno sforzo per ottenere un maggiore coinvolgimento nelle sue attività da parte di ministri e politici di alto livello delle diverse nazioni, ma anche da parte della comunità scientifica, dei soggetti che detengono i maggiori interessi in proposito e che vengono colpiti dal processo di attuazione di Agenda 21, e anche da parte delle NGO, attraverso la creazione di tavole rotonde e di sessioni di colloqui. Secondo l'Assemblea generale la CSD dovrebbe anche svolgere una funzione di forum nel quale si possano confrontare le esperienze nazionali, regionali e infraregionali.
Oltre a un riesame delle modalità di attuazione di Agenda 21 è stata anche mossa una critica, e cioè che "l'attuale sistema delle Nazioni Unite non è in grado di far rispettare l'attuazione degli accordi internazionali" (Als-19/l, Riesame complessivo e valutazione dell' attuazione di Agenda 21, paragrafo 25), in quanto le sanzioni nell' ambito della struttura delle convenzioni sono soltanto di natura politica. Nel contesto di una procedura che prevede la presentazione di rapporti sul processo di attuazione degli impegni, si può soltanto chiedere agli stati di compiere uno sforzo maggiore ma non esiste un organismo indipendente che abbia il potere di far rispettare gli obblighi stabiliti dalle convenzioni.
Anche se il documento finale della sessione speciale stabilisce che tutte le aree tematiche enumerate in Agenda 21 dovrebbero essere trattate sullo stesso piano, Rio cinque anni dopo ha de facto stabilito una nuova lista di priorità delle questioni ambientali sulla quale basarsi negli anni a venire, nell'ambito della quale il problema delle acque interne è ai primi posti. Per la prima volta l'energia, i trasporti, il turismo sostenibile e le calamità naturali sono stati riconosciuti come settori autonomi da affrontare nel contesto dello sviluppo sostenibile. Si è preso atto del fatto che l'energia rappresenta un elemento vitale dello sviluppo sociale ed economico, ma è stato ribadito come sia fondamentale elaborare schemi sostenibili di produzione, distribuzione e impiego dell'energia. Gli Stati hanno riaffermato che, per ottenere uno sviluppo sostenibile, è necessario garantire la cooperazione internazionale nel promuovere la conservazione dell'energia e il miglioramento del rendimento energetico, l'impiego di energia rinnovabile e la ricerca, lo sviluppo e la diffusione di tecnologie innovative concernenti l'energia.
In Rio cinque anni dopo è stato esaminato a fondo il settore dei trasporti, in quanto a esso sono destinate le percentuali più ingenti di energia nei paesi industrializzati e tale settore risulta quello in più rapida crescita nei paesi in via di sviluppo. Lo scopo è di inserire i trasporti in una politica integrata che favorisca la cooperazione internazionale, attraverso il trasferimento di tecnologie sicure dal punto di vista ambientale che accelerino la graduale eliminazione dell'impiego della benzina contentente piombo. Si devono incoraggiare comportamenti volontari che prevedano trasporti sicuri dal punto di vista ambientale, come anche la cooperazione a livello nazionale.
L'Assemblea generale ha considerato fondamentale, in relazione alla conservazione e alla protezione dell'ambiente, il futuro ruolo del turismo, poiché esso è una delle più grandi industrie del mondo e uno dei settori economici in più rapida crescita. In questo contesto, devono essere riconosciuti dalla comunità internazionale e dalle sue istituzioni finanziarie gli sforzi compiuti dai paesi in via di sviluppo per ampliare il concetto di turismo, includendovi il turismo culturale e l'ecoturismo. È stato proposto di inserire il turismo nel programma di attuazione di Agenda 21 in quanto esso ha notevoli ricadute, positive e negative, dal punto di vista ambientale.
Approccio tematico al quadro istituzionale creato dagli accordi
Diversità biologica
Convenzione sulla diversità biologica (CSO). - L'attuale diminuzione della biodiversità è causata principalmente dalle attività umane: distruzione degli habitat, sistemi agricoli troppo intensivi, inquinamento e introduzione inappropriata in determinati eco sistemi di piante o animali estranei (v. il saggio di R.B. Primack, Diseguaglianze economiche e minacce alla biodiversità). In risposta a questo fenomeno la comunità mondiale ha mostrato un crescente interessamento per la protezione della biodiversità: la sua importanza era del resto già stata sottolineata nella Conferenza di Stoccolma del 1972, il cui principio 2 afferma che "le risorse naturali della Terra [ ... ] devono essere salvaguardate", e il cui principio 3 recita che "l'uomo ha una particolare responsabilità nella salvaguardia e nella gestione oculata del patrimonio naturale e dei suoi habitat". La protezione della biodiversità è stata considerata vitale anche in un considerevole numero di dichiarazioni non vincolanti, tra cui la Carta mondiale della natura del 1982, e dalla WCED. Tuttavia soltanto nel maggio 1989 è stato creato dall'UNEP un gruppo di lavoro ad hoc di esperti tecnici e legali (successivamente denominato Comitato negoziale intergovernativo) con il compito di elaborare strumenti giuridici internazionali per la protezione e l'impiego sostenibile della biodiversità. La CBD è stata adottata il 22 maggio 1992 a Nairobi (Kenya) ed è stata poi aperta alla firma nel corso della Conferenza di Rio. Essa è entrata in vigore il 29 dicembre 1993 e ha rappresentato un importante passo avanti nella protezione della biodiversità, in quanto è stato il primo trattato che si è occupato delle risorse genetiche mondiali in una prospettiva globale. Al 27 maggio 1997, la Convenzione era stata ratificata da 169 partecipanti.
La CBD si propone tre obiettivi (art. l): la protezione della diversità biologica, definita come la variabilità tra gli organismi viventi di qualsiasi fonte, compresi gli eco sistemi terrestri, marini e gli altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici di cui fanno parte, e compresa la diversità all'interno di ogni specie, tra le specie e degli eco sistemi (art. 2); l'uso compatibile delle sue componenti; una giusta ed equa condivisione dei vantaggi provenienti dalle risorse genetiche. Per raggiungere questi obiettivi gli stati devono sviluppare a livello nazionale strategie, piani o programmi per la biodiversità e sono obbligati a integrare la conservazione della diversità biologica e l'impiego compatibile delle sue componenti all'interno di piani, programmi, politiche intersettoriali o attinenti a questo settore (art. 6). Per quanto riguarda la protezione, la CBD segue un approccio riassumibile in questo motto: "pensare a livello globale, agire a livello locale". I più significativi interventi in corso vengono quindi attuati a livello nazionale e locale. Nel 1995 più di 20 nazioni avevano sviluppato strategie o piani d'azione per tutelare la biodiversità. La CBD prevede anche disposizioni riguardanti la ricerca e la formazione (art. 12), l'istruzione e la sensibilizzazione del pubblico (art. 13), lo scambio di informazioni e la cooperazione tecnica e scientifica (artt. 17 e 18), in quanto persiste un divario tra Nord e Sud nel livello di informazione sui problemi dell'ambiente e sulle loro possibili soluzioni. L'approccio fondamentale alla protezione della biodiversità è costituito dalla conservazione in situ, ovvero "la conservazione di ecosistemi e habitat naturali e il mantenimento e la ricostituzione di popolazioni vitali di specie nelle loro zone naturali e, nel caso di specie domestiche o di allevamento, nelle zone nelle quali hanno sviluppato le loro caratteristiche distintive" (art. 2). Complementare alla precedente, è la conservazione ex situ, ovvero "la conservazione di elementi costitutivi della diversità biologica fuori dai loro habitat naturali" (art. 2). La protezione non è esercitata soltanto sulle specie selvatiche ma si prevede una sua estensione in situ anche a varietà di piante e di allevamenti creati dall'uomo. In conformità con gli obiettivi della CBD, le misure di protezione della Convenzione sono rivolte alle aree protette e a quelle non protette. La CBD si occupa anche dell'accesso alle risorse genetiche (art. 15), dell' accesso alle tecnologie e del loro trasferimento (art. 16), della gestione delle biotecnologie e della distribuzione dei vantaggi da esse provenienti (art. 19). La regolamentazione di una giusta ed equa condivisione dei vantaggi derivanti dall'uso delle biotecnologie è stata una delle questioni più controverse, in quanto alcuni stati la interpretavano come una minaccia al loro sistema di proprietà intellettuale, mentre altri ne temevano i costi. La CBD non include regole dettagliate riguardanti gli organismi modificati geneticamente. Il GEF funziona come meccanismo di temporaneo sostegno economico per la CBD. Durante la fase pilota gestita dal GEF (dal 1991 al 1993) sono stati spesi circa 300 milioni di dollari per 57 progetti sulla biodiversità.
Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES). - La CITES è stata adottata il 3 marzo 1973 a Washington ed è entrata in vigore il 10 luglio 1975. Essa ha stabilito un sistema di controlli su scala mondiale sul commercio di specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione. Il commercio di queste specie deve essere autorizzato e limitato da permessi o certificati emanati dai governi. Lo scopo che la CITES si prefigge è di assicurare che il commercio di queste specie sia regolamentato e controllato in modo da garantirne la compatibilità. Al 26 agosto 1996 avevano ratificato la convenzione 132 stati. La CITES elenca tutte le specie che sono in pericolo (o che potrebbero venircisi a trovare nel prossimo futuro) in tre appendici separate, a seconda della gravità della minaccia di estinzione. L'Appendice I comprende tutte le specie minacciate di estinzione che sono o potrebbero essere danneggiate dal commercio; in essa sono elencate circa 830 specie. L'Appendice II, che elenca 30.000 specie (principalmente vegetali, e soprattutto orchidee), comprende quelle che potrebbero trovarsi minacciate di estinzione in seguito a un commercio non rigidamente regolamentato. Essa comprende anche le specie di aspetto simile a quelle in pericolo e il cui commercio deve essere quindi regolamentato per garantire che gli sforzi per proteggere le specie in pericolo siano efficaci. Infine, l'Appendice III, che elenca 229 specie, comprende tutte le specie che uno qualsiasi dei paesi sotto scrittori riconosca soggette a regolamentazione nell'ambito della propria giurisdizione per impedirne o limitarne lo sfruttamento. Questi elenchi vengono aggiornati con cadenza regolare, ed è necessaria una maggioranza dei due terzi per aggiungere o togliere una specie dagli elechi compresi nelle Appendici I e II. Ciascuno stato sottoscrittore può invece aggiungere o togliere specie dall'Appendice III, e anche stabilire le restrizioni o le eccezioni riguardanti tali specie.
Qualsiasi individuo appartenente a una specie compresa nell'Appendice I o nella II deve essere accompagnato, all'atto del trasferimento commerciale, da un permesso di esportazione e da uno di importazione quando entra nel paese importatore, in modo da controllarne il commercio. Le specie elencate nell'Appendice 111 devono essere invece accompagnate soltanto da un permesso di esportazione. Se vengono scoperti nel paese importatore esemplari privi di permesso appartenenti a una delle specie comprese nelle Appendici I o II, essi vengono considerati illegali e devono essere rinviati nel paese esportatore. Per le specie elencate nell'Appendice I viene concesso un permesso solo se l'autorità scientifica e amministrativa responsabile del paese di esportazione attesta che "tale esportazione non porterà detrimento alla sopravvivenza della specie" e che gli esemplari non erano stati catturati in modo illegale. Per le specie comprese nell'Appendice II non viene concesso il permesso nel caso in cui l'autorità scientifica incaricata stabilisca che il commercio deve essere controllato per mantenere la specie "ben al di sopra del livello al di sotto del quale quella specie potrebbe rientrare nei casi da includere nell'Appendice I". Per le specie comprese nell'Appendice 111, infine, i permessi vengono generalmente concessi senza un esame particolarmente approfondito. Questi provvedimenti restrittivi sono accompagnati da corrispondenti misure a livello nazionale. Secondo la CITES, gli stati dovrebbero "punire il commercio o il possesso di tali esemplari, o entrambe le cose; e dovrebbero provvedere alla confisca di tali esemplari o alla loro restituzione allo stato esportante".
Convenzione per la conservazione delle specie migranti di animali selvatici (CMS). - La CMS è stata adottata il 23 giugno 1979 a Bonn, è entrata in vigore il 1° novembre 1983 e nel 1998 contava 51 aderenti. La CMS fornisce una struttura volta alla conservazione delle specie e dei loro habitat attraverso l'adozione di rigide misure di protezione per le specie migratrici o per singole popolazioni che siano state incluse nelle categorie in pericolo (queste specie sono elencate nell' Appendice I della CMS). La CMS prevede anche la ratificazione di accordi internazionali per la conservazione e la gestione delle specie migratrici o di singole popolazioni che si trovano in una situazione sfavorevole alla conservazione, o che potrebbero trarre significativi benefici dalla cooperazione internazionale; tali specie sono elencate ne II 'Appendice II della CMS. La Convenzione comprende anche disposizioni relative ad attività di ricerca collettive e a pratiche coordinate di gestione.
Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale specialmente come habitat di uccelli acquatici. - Questa Convenzione, che è stata adottata nel 1971 a Ramsar (lran), spesso detta semplicemente Convenzione di Ramsar, è stata sottoscritta, al 1998, da 103 paesi contraenti. La Convenzione è l'unica di questo tipo a occuparsi di una precisa tipologia di habitat. Fino alla COP di Brisbane, in Australia, nel 1996, non esisteva una strategia generale per la sua attuazione. È stato infine definito compito della Convenzione la "conservazione e l'uso saggio delle zone umide attraverso interventi a livello nazionale e la cooperazione internazionale come strumento per il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile in tutto il mondo". Il concetto di "uso saggio" deve essere inteso come uso compatibile, definito dalla COP di Brisbane come "utilizzazione sostenibile a beneficio dell'umanità in un modo compatibile con il mantenimento delle caratteristiche naturali dell' ecosistema".
Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale. - La Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale (Convenzione sul patrimonio mondiale) è stata adottata il 16 novembre 1972 dalla Conferenza generale dell'UNESCO a Parigi ed è entrata in vigore il 17 dicembre 1975. Il suo obiettivo è quello di promuovere la cooperazione internazionale per la tutela e la protezione dei siti di eccezionale valore culturale e paesaggistico. La Convenzione rappresenta un caso particolare in quanto comprende sia il patrimonio naturale sia quello culturale. Considerando la questione in retrospettiva, si deve sottolineare che gli estensori della Convenzione hanno dimostrato grande acutezza, vent'anni prima che si diffondesse l'impostazione concettuale di Rio, in quanto hanno riconosciuto che natura e cultura sono indissociabili. Nella Convenzione si definisce "patrimonio mondiale" il patrimonio naturale o quello culturale, oppure il patrimonio nel quale si fondono l'aspetto naturale e quello culturale (artt. l e 2); sotto la tutela di questa Convenzione ricadono dunque tutte le testimonianze artistiche, architettoniche, urbanistiche e così via, che testimoniano il genio creativo dell'uomo, anche là dove tale genio si manifesta in cooperazione con la natura stessa (i paesaggi culturali) o sotto forma di tradizioni culturali e letterarie. l criteri per determinare l' "eccezionale valore universale" del patrimonio culturale, compresi i paesaggi culturali e il patrimonio naturale, vengono stabiliti nelle direttive operative della Convenzione.
Ciascuno degli stati aderenti alla Convenzione è obbligato a individuare e descrivere i beni situati sul suo territorio (art. 3) secondo le specificazioni della Convenzione, e a presentare al World Heritage Committee (Comitato per il patrimonio mondiale), per quanto possibile, un inventario dei beni che fanno parte del patrimonio culturale e naturale situati nel suo territorio. Sulla base delle segnalazioni presentate dagli stati, il Comitato stabilisce una Lista del patrimonio mondiale, come è specificato nella Convenzione (art. Il, comma 2). Sottoscrivendo la Convenzione, gli stati non si impegnano a tutelare soltanto i siti di notevole valore universale situati nel loro territorio, ma anche a proteggere il loro patrimonio nazionale.
Il World Heritage Committee è incaricato di prendere decisioni concernenti i seguenti quattro settori: prima di tutto, esso decide di includere un determinato bene, segnalato da uno stato aderente alla Convenzione, nella Lista del patrimonio mondiale, e ha il diritto di eliminare un sito dalla lista; in secondo luogo, nel caso in cui un sito sia minacciato da "pericoli specifici e gravi", il Comitato ha il diritto di inserire il sito nella Lista del patrimonio mondiale in pericolo; in terzo luogo, il Comitato decide sull'utilizzazione del World Heritage Fund (Fondo per il patrimonio mondiale) e sulla distribuzione dei diversi tipi di assistenza internazionale; infine, valuta lo stato di conservazione dei beni inclusi nella Lista del patrimonio mondiale.
Una speciale attenzione viene dedicata anche ai diritti delle popolazioni indigene. La Convenzione sul patrimonio mondiale è divenuta nel 1992 il primo strumento giuridico internazionale per individuare e proteggere i paesaggi culturali, ovvero le testimonianze della fruttuosa interazione della creatività umana e del paesaggio naturale. Con l'inclusione dei paesaggi culturali nella Lista del patrimonio mondiale, la Convenzione riconosce lo stretto legame tra popolazione e ambiente, e quindi anche tra le popolazioni indigene e il loro ambiente naturale. La protezione dei paesaggi culturali tradizionali è utile per mantenere la diversità genetica nell'ambito delle colture agricole. lnfatti, allo scopo di introdurre colture geneticamente uniformi e più redditizie, nel corso del 20° secolo gli agricoltori hanno sempre più accantonato le colture tradizionali, causando così la perdita di gran parte delle varietà botaniche esistenti. In realtà, le modalità tradizionali di uso dei terreni possono portare un contributo alle tecniche più moderne di agricoltura sostenibile, in quanto spesso "hanno contribuito a far sì che determinate società evitassero l'eccessivo sfruttamento della Terra e vivessero entro i limiti imposti dalla disponibilità delle risorse".
Foreste
Il tema della salvaguardia delle foreste è in strette relazione con tutte le questioni e le prospettive concernenti l'ambiente e lo sviluppo, e quindi anche con il diritto a uno sviluppo socioeconomico sostenibile. La deforestazione, la conservazione e l'utilizzazione delle risorse genetiche e della diversità biologica, il contributo delle foreste nel ridurre l'aumento di temperatura del Pianeta, il destino delle popolazioni indigene che vivono nelle foreste, il commercio internazionale dei prodotti delle foreste, sono tutte questioni divenute di interesse internazionale nel corso degli anni Novanta.
A questo proposito, il Programma per l'ulteriore attuazione di Agenda 21 recita testualmente (par. 37): "A partire dall' adozione dei Principi sulle foreste alla Conferenza di Rio, sono stati fatti progressi concreti nella gestione compatibile delle foreste, a livello nazionale, infraregionale, regionale e internazionale e nella promozione della cooperazione internazionale per le foreste". Un decisivo passo in avanti è avvenuto con la creazione di un panel intergovernativo sulle foreste (lPF, lntergovernmental Panel on Forests) da parte della lACSD, nel corso della sua terza sessione. Il panel è stato incaricato di formulare nuove proposte per attuare ulteriori interventi diretti a combattere la deforestazione e il degrado delle foreste e per promuoverne la gestione, la protezione e lo sviluppo sostenibile. Al panel è stato richiesto di promuovere interventi multi disciplinari a livello internazionale coerenti con i Principi sulle foreste, tenendo in considerazione anche la Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo e Agenda 21. Inoltre è stata costituita una task force internazionale per le foreste dalla FAO, dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP, United Nations Development Programme), dall'UNEP, dall'Organizzazione internazionale per il legname tropicale (lTTO, lnternational Tropical Timber Organization), dalla Banca Mondiale, dal CSD e dal Segretariato della CBD. La sua strategia per una efficace attuazione delle proposte di azione da parte di CSD e lPF tiene conto degli interventi a livello mondiale, regionale e nazionale, delle strategie già in atto, dei mandati, delle politiche e dei programmi di lavoro dei membri dell'Accordo internazionale sul legname tropicale (lTT A, lnternational Tropical Timber Agreement) e di altre organizzazioni pertinenti.
L'Assemblea generale Rio cinque anni dopo ha deciso di continuare la politica di dialogo intergovernativo attraverso l'istituzione di un forum intergovernativo sulle foreste (lFF, lntergovernmental Forum on Forests) sotto l'egida della CSD per promuovere l'attuazione delle proposte di intervento dell'IPF, riconsiderare i progressi nella gestione, nella conservazione e nello sviluppo sostenibile di tutte le categorie di foreste e affrontare le questioni lasciate in sospeso nel programma dell'IPF.
Durante l'Assemblea Rio cinque anni dopo ancora una volta gli stati non sono riusciti ad adottare un provvedimento internazionale giuridicamente vincolante riguardante la protezione delle foreste mondiali. Le difficoltà nel trovare un accordo su una convenzione per le foreste sono di vario tipo: i paesi maggiori produttori di legname sono tuttora contrari all'idea di un provvedimento giuridicamente vincolante e inoltre, data la complessità e la vastità del tema, è difficile unificare il considerevole numero di opinioni diverse esistenti.
Oceani e mari
Per quanto riguarda gli oceani e i mari esiste da lungo tempo una regolamentazione stabilita mediante accordi internazionali. La maggior parte di questi trattati però regolamenta il libero accesso ai mari, o il loro libero utilizzo, e non riguarda la protezione dell'ambiente marino.
Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare. - Il più completo accordo internazionale sull'ambiente marino, che è regolamentato da norme a livello globale e regionale, è la Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS, United Nations Conference on the Law Of the Sea). L'UNCLOS si propone di creare "un ordinamento giuridico per i mari e gli oceani che faciliti le comunicazioni internazionali, e promuova usi pacifici dei mari e degli oceani, una equa ed efficace utilizzazione delle loro risorse, la conservazione delle risorse esistenti e lo studio, la protezione e la conservazione dell'ambiente marino". La creazione dell'UNCLOS è stata un passo in avanti nella protezione dell'ambiente marino, in quanto è stata istituita un'autorità a livello mondiale per gli oceani e i mari anche per quanto riguarda la protezione ambientale. L'UNCLOS è quindi potenzialmente in grado di porre fine alla "tragedia delle aree comuni", in quanto gli stati utilizzano spesso le zone marine al di fuori della loro giurisdizione nazionale per liberarsi dei loro rifiuti, invece di smaltirli all'interno del proprio territorio.
Per quanto concerne l'inquinamento marino l'UNCLOS non fornisce provvedimenti specifici, ma fa spesso riferimento alla legislazione internazionale già esistente a prescindere dalla Convenzione. Un tale obbligo tuttavia non è prescritto per l'inquinamento marino che ha origine dalle attività terrestri, cioè quello provocato da tutte quelle fonti di inquinamento situate nell' entroterra o sulle coste, come per esempio i concimi, i diserbanti e i prodotti di scarto dell'agricoltura, che costituiscono una delle principali fonti di inquinamento marino. In questo ambito l'UNCLOS chiede agli stati di tenere in considerazione le norme internazionali e gli standard relativi all'inquinamento provocato da attività terrestri. Per quanto riguarda l'ambiente marino, infine, l'UNCLOS chiede agli stati di preservare le risorse esistenti e di cooperare per la conservazione dei mammiferi marmI.
Nel combattere l'inquinamento marino sono stati fatti progressi anche attraverso l'adozione del Programma d'azione globale per la protezione dell'ambiente marino dalle attività terrestri anche attraverso l'atmosfera da parte del Consiglio amministrativo dell'UNEP. Sebbene queste direttive non siano vincolanti, esse potrebbero tuttavia fornire le basi per l'elaborazione di un futuro documento a livello mondiale, in quanto stabiliscono gli impegni fondamentali che gli stati debbono assumere per evitare di inquinare l'ambiente marino di altri stati e di zone situate oltre i confini della giurisdizione nazionale, e prevedono misure per impedire, ridurre e controllare l'inquinamento provocato da attività terrestri.
Nel corso dell'Assemblea Rio cinque anni dopo gli oceani e i mari sono stati posti tra le questioni più importanti, in quanto la protezione dell'ambiente marino è stata considerata soprattutto rilevante rispetto alle zone costiere e agli stati insulari. È stato chiesto agli stati di attuare la decisione 4/15 della CSD che chiedeva un riesame intergovernativo periodico, da parte della CSD stessa, di tutti gli aspetti legati all'ambiente marino e delle questioni collegate, come viene spiegato nel capitolo 17 di Agenda 21. È stato inoltre chiesto ai governi di impedire o eliminare la pesca eccessiva attraverso l'adozione di provvedimenti di gestione e di meccanismi che assicurino una gestione e una utilizzazione sostenibile delle risorse ittiche.
Acque dolci
Le risorse idriche sono fondamentali per soddisfare le necessità umane primarie, per la salute e la produzione di alimenti, per la preservazione degli eco sistemi, e anche per lo sviluppo economico e sociale in generale. In considerazione della crescente domanda di acqua, che si configura come risorsa limitata, e della sua utilizzazione non sostenibile, Rio cinque anni dopo ha attribuito una speciale priorità ai gravi problemi concernenti gli ambienti d'acqua dolce.
Dell' acqua intesa come risorsa naturale si è già parlato nella Dichiarazione di Stoccolma, il cui Principio 2 recita: "le risorse naturali compresa l'acqua [ ... ] devono essere salvaguardate a beneficio delle generazioni presenti e future". Agenda 21 comprende sette aree programmatiche dedicate alla protezione della qualità e della disponibilità delle risorse delle acque interne, che presentano un approccio globale alla tutela delle risorse idriche. L'obiettivo generale di queste aree di programma è di garantire un adeguato approvvigionamento di acqua di buona qualità per l'intera popolazione del nostro Pianeta, preservando nel contempo le funzioni idrologiche, biologiche e chimiche degli ecosisterni (Agenda 21, par. 18.2). Per raggiungere questo obiettivo si rendono necessarie tecnologie innovative, e anche il miglioramento di quelle già esistenti. A causa della scarsità, della diminuzione e del grave inquinamento delle acque interne in molte parti del mondo, Agenda 21 chiede la pianificazione e l'adeguata gestione delle risorse idriche (Agenda 21, par. 18.3).
In occasione di Rio cinque anni dopo, la tutela degli ambienti d'acqua dolce è stata considerata una delle questioni di maggiore importanza. La conferenza degli stati partecipanti ha chiesto un approccio integrato alla gestione dei bacini idrici, che comprendesse le questioni relative all'inquinamento e ai rifiuti, le interrelazioni tra le acque e la terra, includendovi anche le montagne, le foreste, gli utilizzatori a monte e a valle, gli ambienti di estuario, la biodiversità e la preservazione degli eco sistemi acquatici, le zone umide, la degradazione del clima e della terra e la desertificazione. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha affermato che devono essere rafforzati la cooperazione internazionale per il trasferimento di tecnologie e il fmanziamento di programmi e progetti integrati concernenti le risorse idriche, e che deve essere garantita la partecipazione delle parti che detengono i maggiori interessi in questione. È stato riconosciuto che i paesi in via di sviluppo hanno risorse limitate, che devono essere convogliate su modi di produzione agricola e industriale a più alta redditività e tali da richiedere uno sfruttamento meno intensivo delle risorse idriche. Inoltre, una produzione sostenibile deve essere accompagnata da provvedimenti che si occupino di formazione e istruzione. È stata raggiunta l'unanimità sul fatto che l'acqua costituisce un bene sociale ed economico, che svolge un ruolo vitale nella soddisfazione dei bisogni umani primari, nel garantire un'adeguata alimentazione, nell'attenuazione della povertà e nella protezione degli ecosistemi. Infine è stata sottolineata la necessità di intervenire con urgenza nel settore delle acque interne. Inoltre, nella Convenzione di Ramsar è stato riconosciuto che anche le zone umide svolgono importanti funzioni idrologiche, per esempio il rifornimento delle acque sotterranee, il miglioramento della qualità delle acque e la mitigazione degli effetti delle inondazioni, ed è stato anche riconosciuto il legame indissolubile tra le zone umide e le risorse idriche.
Atmosfera
Convenzione per lo protezione della fascia di ozono e Protocollo di Montreal. - Gli obiettivi della Convenzione per la protezione della fascia di ozono sono la protezione della salute umana e dell' ambiente contro gli effetti nocivi derivanti (o che è probabile derivino) dalle attività umane che impoveriscono (o è probabile che impoveriscano) la fascia di ozono. Negoziata sotto l'egida dell'UNEP, la Convenzione è stata adottata nel 1985 ed è entrata in vigore nel 1989. Allo scopo di creare un reale incentivo che incoraggiasse i paesi in via di sviluppo ad aderire all'accordo, questa è stata la prima convenzione a livello mondiale a introdurre impegni differenziati per gli stati industrializzati e per quelli in via di sviluppo e a stabilire un meccanismo di finanziamento per l'adempimento dei loro impegni. Inoltre, essa prevede la cooperazione per la protezione della fascia strato sferica di ozono attraverso lo scambio di conoscenze scientifiche e tecnologiche e di altre informazioni rilevanti.
Dal momento che la Convenzione stessa non prevedeva obiettivi o tempi precisi in merito alla riduzione dell'emissione delle sostanze che deteriorano l'ozono, sono stati fatti emendamenti attraverso numerosi protocolli al fine di eliminare gradualmente la produzione e il consumo di tali sostanze seguendo uno schema concordato. Il Protocollo di Montreal è stato adottato nel 1987 ed è stato celebrato come una pietra miliare nell'ambito degli accordi sull'ambiente, in quanto gli stati potevano dare la propria adesione a impegni specifici giuridicamente vincolanti. Il Protocollo è stato emendato per stabilire la graduale eliminazione delle sostanze che deteriorano l'ozono, quali i clorofluorocarburi e gli halon (bromoclorofluorocarburi), entro l'anno 2000.
Nel 1992 è stato nuovamente riesaminato ed è stata stabilita l'eliminazione dei clorofluorocarburi entro il 1996 e degli halon entro il 1994, eccetto che per i loro impieghi indispensabili. Per i paesi in via di sviluppo sono state concepite norme a parte, formulate nell'articolo 5 del Protocollo. L'Emendamento di Copenhagen, adottato nel quarto incontro del Protocollo di Montreal ed entrato in vigore il 22 settembre 1993, anticipava al 10 gennaio 1996 il ritiro di tutte le sostanze sotto controllo indicate negli Allegati A e B al Protocollo, eccettuati gli halon, il cui ritiro era previsto entro il 10 gennaio 1994.
Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (CCC). - La CCC è stata aperta alla firma nel corso della Conferenza di Rio. Durante la conferenza, è stata firmata da capi di Stato e altri alti rappresentanti di 154 paesi (e dalla Comunità Europea) ed è entrata in vigore il21 marzo 1994. Al 5 novembre 1997 aderivano alla CCC 171 stati. Il suo obiettivo primario è di stabilizzare la concentrazione nell'atmosfera di gas a effetto serra a un livello che impedisca pericolose interferenze con il sistema climatico. Si dovrebbe riuscire a raggiungere questo livello nell'ambito di un arco di tempo tale da consentire all'ecosistema di adattarsi naturalmente al cambiamento del clima, e da garantire che la produzione di alimenti non sia in pericolo e sia tale da permettere allo sviluppo economico di proseguire in modo sostenibile (art. 2). Il principio in base al quale si era giunti all'adozione di questo documento non si fondava sull' esistenza di prove evidenti di un danno ambientale in corso, ma sulla mancanza di certezza scientifica in merito all'impatto provocato dalle attività umane. Questo approccio precauzionale dimostra la crescente sensibilità nei confronti dell'ambiente da parte della comunità internazionale.
La Convenzione tuttavia comprende meno impegni vincolanti rispetto ad altri accordi sull' ambiente ed è quindi ancora un work in progresso Contrariamente a quanto è avvenuto con gli impegni specifici giuridicamente vincolanti stabiliti dal Protocollo di Montreal e dai suoi emendamenti, nell' ambito della CCC è molto più difficile ottenere accordi tra gli stati su impegni specifici, in quanto i gas a effetto serra non possono essere sostituiti da altre risorse e questo comporta gravi conseguenze economiche. La Convenzione prevede un sistema di presentazione di rapporti che comprende l'inventario delle emissioni dei gas a effetto serra suddivise per fonti e delle eliminazioni di questi gas suddivise per 'scarichi' (sink), e relazioni sulle strategie nazionali concernenti le modificazioni del clima. Inoltre, le parti contraenti devono adottare programmi nazionali per attenuare i cambiamenti climatici e sviluppare strategie di adattamento all'impatto che essi provocano. Le parti contraenti hanno inoltre convenuto di promuovere il trasferimento di tecnologia, la gestione sostenibile e il rafforzamento dei 'pozzi' e dei 'serbatoi' (come le foreste e gli oceani) per i gas a effetto serra. Inoltre la CCC impone ai paesi contraenti di tenere in considerazione i cambiamenti climatici nell' elaborazione delle loro politiche sociali, economiche e ambientali, di cooperare per quanto riguarda gli aspetti scientifici, tecnici e didattici, e di promuovere la formazione, la consapevolezza e lo scambio di informazioni relative ai cambiamenti climatici.
Il principio delle responsabilità differenziate, al quale si fa già riferimento nel preambolo della Convenzione, viene applicato anche nel contesto dell'adozione di politiche e provvedimenti volti a far ritornare, individualmente o collettivamente, le emissioni di gas a effetto serra ai livelli del 1990 entro l'anno 2000: i membri dell'Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (OECD, Organisation for Economic Co-operation and Development) dovrebbero assumere "un ruolo di guida per modificare le tendenze a lungo termine delle emissioni antropogeniche". Ai paesi caratterizzati da economie in fase di transizione è invece concesso un certo grado di flessibilità. La Convenzione stabilisce un meccanismo per dotare di risorse finanziarie i progetti concernenti i cambiamenti climatici. Questo meccanismo finanziario è gestito, in via provvisoria e sotto la guida della COP, dal GEF con base a Washington. I progetti sostenuti dal GEF vengono attuati attraverso l'operato di tre agenzie: l'UNDP, l'UNEP e la Banca Mondiale. Il GEF fornisce risorse finanziarie per progetti di investimento che presentino vantaggi globali per l'ambiente, per esempio progetti miranti a ridurre le emissioni dei gas a effetto serra aumentando il rendimento energetico e attraverso l'impiego di energie rinnovabili. Il GEF dà anche il suo sostegno per incrementare la capacità dei paesi in via di sviluppo di attuare la Convenzione e di preparare comunicazioni a livello nazionale della COP; esso promuove inoltre cofinanziamenti bilaterali e multilaterali e l'apporto della partecipazione del settore privato e delle sue rIsorse.
Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione nei paesi colpiti da gravi siccità o desertificazione
Le terre aride coprono circa il 30% della superficie terrestre e ospitano 900 milioni di persone. Distinte in zone aride, semiaride e subumide, queste terre sono tra gli ecosisterni più fragili del mondo. Diversi fattori contribuiscono al diffuso degrado delle risorse naturali nelle zone aride: variazioni climatiche, utilizzazione del territorio e pratiche agricole inappropriate, aumento della densità della popolazione, pressione economica e modificazioni nell'assetto del possesso delle terre.
Nel giugno 1992 l'UNCED ha raccomandato che l'Assemblea generale delle Nazioni Unite nominasse un Comitato negoziale intergovernativo, che in effetti ha iniziato i lavori nel 1993 per preparare la CCD, adottata a Parigi il17 giugno 1994 ed entrata in vigore il26 dicembre 1996. Al 30 giugno 1996, avevano aderito alla Convenzione 159 paesi. Già molto tempo prima che la CCD venisse adottata, erano stati proposti numerosi interventi per rispondere ai problemi concernenti la desertificazione. La CCD si occupa quindi soprattutto di fornire direttive di intervento piuttosto che di cercare consensi sulla necessità di intervenire. I suoi obiettivi, che mirano a combattere la desertificazione e attenuare gli effetti della siccità, devono essere attuati principalmente attraverso piani d'azione nazionali. In questo contesto, viene conferita particolare importanza alla partecipazione delle popolazioni e delle comunità locali nel processo decisionale della CCD, in quanto sono spesso proprio questi i soggetti meglio informati. Questo approccio 'rovesciato' si propone anche di diffondere una migliore comprensione della natura e del valore delle risorse della terra e delle limitate risorse idriche nelle zone interessate e di operare per una loro utilizzazione sostenibile. La CCD non fornisce un nuovo meccanismo di finanziamento per sostenere queste attività; è invece previsto un sistema globale di direttive che aumenti l'efficacia dei meccanismi di finanziamento già esistenti. La Convenzione comunque non fa richiesta di nuovi e ulteriori finanziamenti.
Per quanto riguarda le attività di coordinamento, la IPF ha chiesto un rapporto sulle esperienze di rimboschimento e di ricostruzione degli eco sistemi delle foreste, specialmente nei paesi nei quali si trovano eco sistemi interessati dalla desertificazione o dalla siccità.
Convenzione di Basilea per il controllo delle spedizioni transfrontaliere di rifiuti pericolosi e della loro eliminazione
La Convenzione di Basilea è stata adottata il 22 marzo 1989 ed è entrata in vigore il 5 maggio 1992. Al luglio 1996 il depositario della Convenzione ha ricevuto 100 comunicazioni di ratificazione, adesione, accettazione o approvazione.
L'interesse a livello internazionale nei confronti del problema dei rifiuti pericolosi è sorto inizialmente nell' ambito dei paesi industrializzati. Sono state quindi varate normative più severe a livello nazionale che hanno provocato però un aumento delle esportazioni di rifiuti pericolosi dai paesi industrializzati verso quelli in via di sviluppo. In considerazione di questa situazione, la Convenzione si propone di regolamentare severamente le spedizioni transfrontaliere di rifiuti pericolosi sottoponendo i paesi aderenti all'obbligo di gestire ed eliminare i rifiuti in modo sicuro dal punto di vista ambientale. Il principio fondamentale della Convenzione è la riduzione dei rifiuti pericolosi a un quantitativo minimo compatibile con una loro gestione sicura dal punto di vista ambientale. Il trattamento e l'eliminazione dei rifiuti devono avvenire il più vicino possibile alla fonte di produzione, un principio questo che fa riferimento di nuovo al problema della loro esportazione, mentre la produzione alla fonte dovrebbe essere limitata e ridotta al minimo. Per controllare l'attuazione di questi principi, la Convenzione fornisce un meccanismo di monitoraggio e di assistenza per una gestione sicura dal punto di vista ambientale e promuove la cooperazione tra i paesi aderenti. Vengono inoltre elaborate direttive tecniche per la gestione dei rifiuti pericolosi.
Alla prima COP nel 1992 è stato creato un gruppo di lavoro di esperti tecnici e legali per preparare una bozza di protocollo riguardante le responsabilità e il risarcimento per i danni derivanti dalle spedizioni transfrontaliere di rifiuti pericolosi e dalla loro eliminazione. Dal momento che obblighi giuridicamente vincolanti sulla responsabilità e il risarcimento potrebbero comportare costi ingenti, gli stati hanno incontrato diverse difficoltà nel giungere a un accordo sulla questione. Nel corso del suo secondo incontro, la COP ha deciso di stabilire un divieto immediato di qualsiasi trasporto transfrontaliero di rifiuti pericolosi destinati, per la loro eliminazione definitiva, da paesi membri dell'OECD a paesi che non fanno parte di questa organizzazione, e questo provvedimento è stato successivamente incluso in un emendamento alla Convenzione.
Sostanze e attività pericolose
L'UNEP ha creato il programma Sostanze e attività pericolose per garantire che il commercio internazionale di tutte le sostanze chimiche potenzialmente dannose venga condotto con le dovute cautele e in modo sicuro dal punto di vista ecologico. A questo scopo l'UNEP si assumerà l'incarico di riesaminare, aggiornare e rafforzare le Direttive di Londra per lo scambio di informazioni sulle sostanze chimiche nel commercio internazionale, promuoverà una loro ampia ed efficace attuazione e prenderà in considerazione lo sviluppo di strumenti giuridicamente vincolanti e di altri programmi adeguati. Inoltre l'UNEP ha costituito un forum internazionale per le parti facenti riferimento al settore privato (industria, NGO), per preparare un codice etico sul commercio internazionale di sostanze chimiche che sia di complemento alle Direttive di Londra.
L'UNEP, l'Organizzazione internazionale del lavoro (lLO, International Labour Organization) e l'Organizzazione mondiale della sanità (WHO, World Health Organization) hanno anche creato un forum intergovernativo sulla sicurezza delle sostanze chimiche, di cui era stata individuata l'esigenza già in Agenda 21, nel capitolo 19. L'UNEP, l'ILO, la FAO, il WHO, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO, United Nations Industriai Development Organization) e l'OECD si sono accordati su un promemoria di intesa per la creazione di un Programma interorganizzativo per la gestione sicura delle sostanze chimiche (lOMC, Inter-Organization Jor the sound Management of Chemicals) che è entrato in vigore il 13 marzo 1995. Lo IOMC è composto dai rappresentanti delle sei organizzazioni che vi aderiscono e si incontra regolarmente per discutere questioni di interesse comune nell'ambito delle sostanze chimiche. L'UNEP partecipa anche a un comitato di negoziazione intergovernativo che si propone di elaborare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante per l'applicazione della procedura del consenso preventivo e informato.
L'UNEP ha infine avviato un processo di valutazione della necessità di un intervento internazionale per arrivare alla riduzione o all'eliminazione delle emissioni e degli scarichi e, laddove necessario, all'eliminazione della produzione, dell'utilizzazione e del traffico illegale di inquinanti organici persistenti.
Conclusioni
Dopo la Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano svoltasi a Stoccolma nel 1972, si sono uniti gli sforzi di organismi intergovernativi, non governativi, nazionali e regionali a favore dell'ambiente. In questo saggio abbiamo illustrato il decisivo sviluppo istituzionale che ha accompagnato questo processo, con una particolare attenzione allo sviluppo verificato si nell'ambito della struttura delle Nazioni Unite e in relazione a essa. Un complesso di azioni coordinate riguardanti i problemi dell'ambiente ha portato alla realizzazione di trattati relativi all'ambiente e di istituzioni in grado di farli rispettare. La Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo del 1992 ha promosso il concetto di uno sviluppo compatibile dal punto di vista ambientale, come formulato nella relazione della Commissione Brunddand e nel Documento delle Nazioni Unite sulle prospettive per l'anno 2000 e oltre. L'idea di uno sviluppo sostenibile è stata espressa sotto forma di piano d'azione in Agenda 21, adottata durante la Conferenza di Rio del 1992.
Gli anni tra il 1972 e il 1992 sono stati caratterizzati dalla convinzione che tutti i paesi dovessero affrontare i problemi comuni relativi all'ambiente e dalla determinazione globale ad armonizzare le politiche relative all'ambiente. Questa determinazione ha avuto ripercussioni sullo sviluppo delle discipline scientifiche, sia delle scienze naturali sia di quelle sociali che si occupano delle relazioni tra forze socioeconomiche, modificazioni dell'ambiente e impatto sull'uomo. Il progresso delle conoscenze scientifiche riguardanti l'ambiente è stato decisivo nello sforzo compiuto a livello internazionale per affrontare i pericoli per l'ambiente, tenendo in considerazione la crescente complessità, la frammentazione e la specificità delle questioni. La cooperazione scientifica a livello mondiale, i programmi di ricerca e gli enormi progressi tecnologici hanno contribuito a rendere possibile il monitoraggio e la valutazione dello stato dell'ambiente.
Sono ancora molte le sfide che attendono le Nazioni Unite per quanto concerne l'ambiente. La natura globale dei problemi ambientali richiede un piano d'azione internazionale concertato, in una certa misura facilitato dalla regionalizzazione delle decisioni politiche. D'altra parte, le preoccupazioni relative alla sovranità nazionale sono ancora un considerevole ostacolo all'adozione di impegni fortemente vincolanti. Il fatto che i governi facciano sempre più affidamento sui mercati e sugli strumenti economici oltre che sui classici strumenti di regolamentazione, implica che anche la struttura delle Nazioni Unite dovrà adottare un approccio maggiormente basato sul mercato, sia a livello interno che a livello esterno. La globalizzazione dell'economia e dell'ambiente porterà, con l'inizio del 21 o secolo, nuove sfide che le istituzioni esistenti dovranno affrontare.
Ringraziamenti
Gli autori desiderano ringraziare Peter Dogse e Sarah Titchen per l'accurata revisione scientifica del saggio, e tutti i Segretariati delle Convenzioni che hanno proposto i loro connnenti e le loro correzioni a nna precedente versione di questo testo.
Bibliografia generale
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Indirizzi Internet
CBD: www.biodiv.org.
CCD: www.unccd.de
Earth Conncil: www.ecocouncil.ac.cr.
F AO: www.fao.org.
Forum sulla Biodiversità: www.worldcorp.combiodiversity.
IMO: www.imo.org.
IUCN: www.iucn.org.
ONU: www.un.org.
UNEP: www.unep.org.
WRI: www.wri.org.