AMESHA SPENTA
. Sono nello zoroastrismo (v.) esseri divini che costituiscono un gruppo vicino ad Ahura Mazdāh, il dio supremo, della cui creazione sono custodi e ministri. Sono sei: Vohu manah "il buon pensiero", Aša vahišta "l'ottima legge", Xšaϑra vairya "il dominio desiderabile", Ārmatay "la pietà", Haurvatāt "l'integrità", Ameretāt "l'immortalità" (Yasht, 1, 25; 4, 8). Plutarco ne conosce pure sei e ne rende in greco i nomi (De Is. et Os., 47): εὔνοια, ἀλήϑεια, εὐνομία, σοϕία, πλοῦτος, ὁ τῶν ἐπι τοῖς χαλοῖς ἡδέων δημιοῦργος (cfr. C. Clemen, Die griechischen und lateinischen Nachrichten über die persische Religioni, Giessen 1920, p. 163). Dimorano essi nella casa di Ahura Mazdāh (Yasht,1, 25) e lo aiutano nel governo dell'universo; sono preposti ciascuno a un elemento del mondo naturale e cioè Vohu manah agli esserì animati, Aša vahišta al fuoco, Xšaϑra vairya ai metalli, Ārmatay alla terra, Haurvatāt alle acque, Ameretāt alle piante (Yasht, 2, 1-15). Nella battaglia finale ciascuno avrà ragione dell'avversario che dal mondo del male è sorto a contrastarlo (Yasht, 19, 96). Fra gli Ameša spentas viene contato anche Ahura Mazdāh e allora il loro numero è di sette (Yasth, 2,1-15), per quanto naturalmente il dio supremo stia sempre a sé: "i sette che pensano la stessa cosa, i sette che dicono la stessa cosa, i sette che fanno la stessa cosa; hanno essi lo stesso pensiero, la stessa parola, la stessa azione e lo stesso padre e protettore, lui il creatore Ahura Mazdāh" (Yasht, 1916). Sono talvolta associati agli Ameša spentas altre divinità come Sraoša "l'ubbidienza", Gōšurvān "l'anima del bove primigenio", Ātar "il fuoco", figlio di Ahura Mazdāh. Oggetto di culto speciale, essi discendono ad accogliere le offerte sopra sentieri di luce. Nelle fasi più tarde dello zoroastrismo a ciascuno di essi è consacrato un mese.
Il processo di formazione di queste figure, nelle quali sono stati trovati punti di contatto con gli arcangeli del giudaismo e del cristianesimo, non è molto chiaro e ha dato origine a molte congetture. A parte quella del Darmesteter secondo cui si tratterebbe di tarda creazione dovuta all'influenza di Filone alessandrino, da scartare se non altro per ovvie ragioni cronologiche (si ha notizia di un Ameša spenta 'Ωμάνης = Vohu Manah, già in Strabone, XI, 84; XV, 3, 15), è soprattutto da ricordare quella che vede negli Ameša spentas una derivazione da antiche divinità del periodo della comunità indoiranica e li ricollega con gli Ādityas del pantheon indiano. Ciò è vero per quanto si riferisce ai lineamenti che le figure degli Ameša spentas hanno nell'Āvesta recente. Ma nel periodo gāthico, più propriamente vicino alla predicazione di Zarathustra, un gruppo di Ameša spentas non esiste né questo nome mai ricorre. Alcune delle divinità che in seguito ne faranno parte sono ancora alla fase di puri concetti astratti, ben lontani da una vera e propria personificazione. L'elevazione a divinità, la loro personificazione, il loro aggruppamento e le funzioni a ciascuno attribuite sono da considerare come uno dei risultati della profonda trasformazione che la dottrina morale e sociale di Zarathustra subì, quando con l'andare dei tempi si trovò trapiantata in un ambiente spirituale dove ancora duravano vitali non pochi elementi del naturismo indoiranico.
Del nome ameša spenta - da leggere amurta (ant. ind. amrta "immortale") sponta, se si vuole conformare la pronunzia a quella del dialetto iranico settentrionale in cui l'Avestā è redatto - si dànno due spiegazioni: l'una ricollega il secondo elemento spenta a lit. sventas, paleoslavo svètù "santo" e intende quindi "i santi immortali"; l'altra mette invece in rapporto spenta e le altre parole avestiche che vi sono collegate spanyah-, spaništa- e spanah- con le parole vediche panyah-, paniṣṭha-, panita- e panyasate e traduce "gli splendidi immortali". Contro questa spiegazione, che pure ha dalla sua un ampio corredo di rapporti semantici, c'è una grave difficoltà fonetica, poiché l'imprestito armeno sandaramet che esiste accanto a spandaramet non si può spiegare se non ammettendo un gruppo iniziale ario śv-, dal quale solo, nel dialetto della Perside, si poté avere s-.
Bibl.: J. Darmesteter, Haurvatāt et Ameretāt, Parigi 1875; id., Ormazd et Ahriman, Parigi 1879; R. Pettazzoni, Amsešaspentas e Ādityas, in Studi Italiani di filologia indoiranica, VII (1904), p. 3 segg.; id., La religione di Zarathustra, Bologna 1921; A. V. Williams Jackson, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, I, p. 384 sg.; B. Geiger, Die Ameša Spantas. Ihr Wesen und ihre ursprüngliche Bedeutung, in Sitzungsber. d. Akad. d. Wissenschaften in Wien, Philos.-historische Klasse, CLXXVI, Abh. 7, Vienna 1916.