amico
1. Come sostantivo, nel valore fondamentale di " persona legata a un'altra da vincoli d'amicizia ", si riconnette all'excursus e alle digressioni del Convivio, che esaminano il concetto di ‛ amicizia ' in controluce a quello di ‛ filosofia ', e quindi con stretta colleganza al lessico di ‛ amare ', scontata anche per ragioni etimologiche medievali.
Spicca in primo piano il nesso ‛ amico ' - ‛ amare ', con una sua vasta problematica: Cv I I 8 ciascuno uomo a ciascuno uomo naturalmente è amico, e ciascuno amico si duole del difetto di colui ch'elli ama; IV 12 li amici de l'uno [la persona amata] sono da l'altro [la persona amante] amati, e li nemici odiati; per che in greco proverbio è detto: " De li amici essere deono tutte le cose comuni "; subito richiamata alla situazione spirituale di D. stesso (I 3): Onde io, fatto amico di questa donna [la Filosofia]... cominciai ad amare e odiare secondo l'amore e l'odio suo. Il rapporto etimologico fra a. e ‛ amicizia ' appare tuttavia istituito solo in funzione di quello ‛ filosofo ' - ‛ filosofia ': Da questo [‛ filosofo '] nasce lo vocabulo del suo proprio atto, sì come de lo amico nasce lo vocabulo del suo proprio atto, cioè Amicizia (III XI 6); e (XI 7) non diciamo Gianni amico di Martino, intendendo solamente la naturale amistade significare per la quale tutti a tutti semo amici; anche se approda per inderogabile esigenza didascalica a una definizione di a. secondo Aristotele: quelli si dice amico la cui amistà non è celata a la persona amata e a cui la persona amata è anche amica, sì che la benivolenza sia da ogni parte: e questo conviene essere o per utilitade, o per diletto, o per onestade (XI 8). Vero è che tale formulazione sfocia subito in un'applicazione al concetto parallelo, non si dee dicere vero filosofo alcuno che, per alcuno diletto, con la sapienza in alcuna sua parte sia amico... né si dee chiamare vero filosofo colui che è amico di sapienza per utilitade (XI 9 e 10); anche se D. indulge via via a una minuta casistica morale che sembra sganciare a. da una posizione vicaria rispetto a ‛ filosofia ' o ad altri correlativi più o meno occasionali; per non dire della mera postilla grammaticale quanto alla possibilità di surrogare il concreto con l'astratto, a. con ‛ amistade ' e ‛ amato ' con ‛ amore ' (XI 16).
Tra a. deve esistere una segreta confidenza (I II 5 a l'amico dee l'uomo lo suo difetto contare strettamente); le azioni rette generano alta considerazione nella mente dell'a., che a sua volta ne dilata i contorni per affetto (III 7 e 8 La fama buona, principalmente è generata da la buona operazione ne la mente de l'amico, e da quella è prima partorita... Quella mente che prima la partorisce, sì per far più ornato lo suo presente, sì per la caritade de l'amico che lo riceve, non si tiene a li termini del vero, ma passa quelli); i benefici sono matrice d'amicizia (IV XI 12 [Cristo confortò] li uomini a liberalitade di benefici, che sono generatori d'amici); il servire a suo senno e a suo volere è più servigio d'amico che di servo (I V 5); il servo deve conoscere li amici del suo signore per poterlo accontentare, stante che li amici siano quasi parti d'un tutto, però che 'l tutto loro è uno volere e uno non volere (VI 5); il dono, anche se inutile, può giovare a mostrarsi a. (VIII 5), ma soprattutto il dono utile rende il beneficiario a. (VIII 12 acciò che 'l dono faccia lo ricevitore amico, conviene a lui essere utile); la virtù è la massima acquistatrice e conservatrice di a. (VIII 12 e X 8); lo zelo per l'a. rende l'uomo premuroso a metterlo in guardia dai mali anche lontani (X 10 la gelosia de l'amico fa l'uomo sollicito a lunga provedenza).
Si direbbero, quasi, i minuti supporti di un trattatello ‛ de amicitia '; ma in realtà un primo gruppo di osservazioni si svolge in funzione della dimostrata necessità e qualità del commento alle canzoni (da I II 1 a I VII 15), e persino l'osservazione più importante - quella che istituisce in VI 5 il nesso ‛ conoscere '-a., complementare di ‛ amare '-a. - non possiede un autonomo spazio, in quanto si sviluppa come corollario del discorso sul rapporto latino-volgare e sulla scelta operata da D. per il pane del suo convivio; mentre una successiva serie di filosofemi (I VIII 1-I X 14) porta alle estreme conseguenze l'impeto ideologico di quella drammatica opzione e della connessa polemica contro i detrattori della lingua materna. Tuttavia, sollevato alla magnanima enfasi del parlar metaforico e scioltosi dallo scolastico parallelismo fra i due piani (l'amicizia nella sua fenomenologia quotidiana e la discussione teorica sulle ragioni del volgare), D. può immaginosamente figurare (I VI 6) che lo latino non sia conoscente del volgare e de' suoi amici, le altre lingue romanze; e svolgere il concetto- per lui in ogni senso decisivo- con una concitata allocuzione, dove il panorama linguistico della Romania si anima in un sublime concerto di voci, per un grande teatro ove personaggi sono il latino venerando e i freschi idiomi europei, mentre la solita casistica dell'amicizia non resta estrinseca alla dimostrazione, ma si trasfonde nelle vive figure di quella: non è conoscente de' suoi amici, però ch' è impossibile conoscere li amici, non conoscendo lo principale; onde, se non conosce lo latino lo volgare, come provato è di sopra, impossibile è a lui conoscere li suoi amici... lo latino non ha conversazione con tanti in alcuna lingua con quanti ha lo volgare di quella, al quale tutti sono amici; e per conseguente non può conoscere li amici del volgare. E non è contradizione ciò che dire si potrebbe, che lo latino pur conversa con alquanti amici de lo volgare: ché però non è familiare di tutti, e così non è conoscente de li amici perfettamente (I vi 9-11). Infine, con altissimo ‛ climax ', D. chiamerà a. il volgare e sé a. del volgare (X 9), ricollegandosi dopo il circolo del ‛ conoscere ' alla tematica di ‛ amare ', secondo una delle idee-cardine di tutta la sua opera: a mostrare che non solamente amore, ma perfettissimo amore di quella [la propria loquela] è in me ... dirò come a lei fui fatto amico (XII 2); e fra i motivi di quell'amore-amicizia, vedrà la bontade (XII 8) e la prossimitade (XIII 1), che già Aristotele designava cagioni d'amore generative.
Più avanti, il discorso sull'amicizia correrà accanto all'altro, centrale, dell'amore per la Donna gentile, Filosofia, sviluppando una tematica che assume di volta in volta significazioni di respiro autonomo: II XV 6 non dee l'uomo, per maggiore amico, dimenticare li servigi ricevuti dal minore; ma se pur seguire si conviene l'uno e lasciar l'altro, lo migliore è da seguire, con alcuna onesta lamentanza l'altro abbandonando, ne la quale dà cagione, a quello che segue, di più amore; III I 5 più licito né più cortese modo di fare a se medesimo altri onore non è, che onorare l'amico; l'uno [ammaestramento] sì è di non volere che alcuno vizioso si mostri amico, perché in ciò si prende oppinione non buona di colui cui amico si fa; l'altro sì è, che nessuno dee l'amico suo biasimare palesemente, però che a se medesimo dà del dito ne l'occhio (I 6); X 7 quando l'amico conosce che vergogna crescerebbe al suo amico quello ammonendo o menomerebbe suo onore, o conosce l'amico suo non paziente ma iracundo a l'ammonizione, questa figura [retorica, l'urbana dissimulatio di Cicerone] è bellissima e utilissima.
Da questa in apparenza slegata disamina, che però desume una sua unità dal riferimento costante al motivo-base di quell'amore spirituale, emerge una bella figura di a. e di uomo: capace di gratitudine per i vecchi compagni che si vede costretto ad abbandonare; consapevole di quanto onore ridondi su di sé dalle proprie lodi per un degno a., e viceversa di come si riverberi cattiva luce su noi dal vizio di un a. indegno; o dell'opportunità di certa cautela nel censurare l'a., che giunga magari all'onesta dissimulazione quando egli non sia persona tollerante. Così scopriamo D. ‛ amico ' fra le insospettabili righe del trattato: il suo concetto e la sua prassi dell'amicizia che con raro pudore egli ci ha tenuti nascosti dopo l'esperienza rispecchiata nella Vita Nuova.
Nel seguito del Convivio questa nobile fisionomia di a. si andrà atomizzando in una serie puntuale di exempla: ora per contrasto, dove D. definisce il traditore, che ne la faccia dinanzi si mostra amico, sì che fa di sé fede avere (IV XII 3); ora per estensione figurata al mondo vegetale, ove spiega (III III 4) che tutte le piante sembrano legate a un loro originario ambiente, le quali se si transmutano, o muoiono del tutto o vivono quasi triste [" intristite "], sì come cose disgiunte dal loro amico; ora infine in rapporto all'età soave dell'adolescenza, che è fondamento delle successive, come quella in cui si seminano le amicizie che ci accompagneranno fino alla morte quale nutrimento indispensabile, poi che noi non potemo perfetta vita avere senza amici (IV XXV 1): affermazione, si badi, revocata all'auctoritas di Aristotele, mia conclusiva di tutta la meditazione ed esperienza dell'uomo D., fin dai primi tempi dell'esilio e di preparazione al poema.
Se dunque l'amicizia ci si dimostra sempre meglio il recondito leit-motiv di tutto il Convivio, argomento mai trattato ex professo ma sempre in funzione di altre tematiche, eppure per la sua insistente presenza configurantesi quale costante correlativo sociale e ideologico, richiamo obbligato e spontaneo in ogni caso in cui egli deve chiarire nodi tematici decisivi, ne verrà una conseguenza metodologicamente importante: che cioè chiarire l'atteggiamento di D. verso l'amicizia e gli a. significa possedere una chiave essenziale per intendere la sua spiritualità e le sue radici storiche; e in sostanza riconfermare da un altro punto di vista, non meno valido di altri saggiati, il giudizio ormai acquisito di un suo illuminato e coerente conservatorismo.
D. si riferirà così anche a casi emblematici di ‛ amicizia ', ricordando il libro (caro alla sua giovinezza) ove Cicerone avea toccate parole de la consolazione di Lelio, uomo eccellentissimo, ne la morte di Scipione amico suo (II XII 3); saprà instaurare un sublime contrasto in nome della verità fra i due più alti rappresentanti della filosofia antica (III XIV 8 Aristotile, d'altro amico non curando, contra lo suo migliore amico - fuori di quella [la Sapienza] - combatteo, sì come contra lo nomato Platone), quasi rammemorando le proprie disinteressate polemiche con a. e maestri; vorrà concludere la nobile arringa a favore della Filosofia come amore di Sapienza con l'esortazione se tutti nel suo conspetto venire non potete, onorate lei [la Sapienza] ne' suoi amici [i filosofi] e seguite li comandamenti loro (XV 18); esordirà nel commento alla terza canzone confessandosi pronto a combattere l'erronea opinione sulla vera nobiltà, per istinguere questo errore che tanti amici le [alla Filosofia] toglie (IV I 9); e non sfugga che questo luogo e il precedente inclinano - forse per riverbero di animus polemico - verso l'accezione di a. come " fautore ", " partigiano ".
Ma si tenga poi conto della raggiera d'interessi umani che dall'operetta giovanile s'inarca verso il poema, elevandosi dalla tenerezza fino alla magnanimità: che proprio nella pausa meditativa e in apparenza incommossa del Convivio trova il punto d'incontro, l'approdo delle inquietudini della Vita Nuova e il fulcro per le supreme verità della Commedia. Che del resto l'antica e domestica tenerezza della gioventù si esplicasse arricchendosi di più vaste motivazioni nella seconda cantica, si era bene avveduto il De Sanctis (cui però sfuggiva la mediazione del trattato, nel senso di un integrale approfondimento tematico), nelle pagine memorande del settimo capitolo della Storia della letteratura italiana: " Ne nasce un mondo idillico, che ricorda l'età dell'oro, dove tutto è pace e affetto e dove si manifestano con effusione le pure gioie dell'arte, i dolci sentimenti dell'amicizia... È un lato della vita nuova, pur così vero in tempi che la vita intima della famiglia, dell'arte e dell'amicizia era un rifugio e quasi un asilo fra le tempeste della vita pubblica...
Questa intimità, questo tenere nel cuore un cantuccio chiuso al mondo, riservato alla famiglia, agli amici, all'arte, alla natura, quasi tempio domestico, impenetrabile a' profani, è il mondo rappresentato nel Purgatorio ".
In questa nuova luce ‛ conviviale ' (dove il trattato rappresenti la stagione discreta e schiva dei ripensamenti, nei primi anni dell'esilio, dopo il distacco violento dalla vita nuova, e il noviziato di D. a più solenni amicizie, non dimenticate però mai quelle antiche, dolci nella memoria), la verifica della stupenda intuizione desanctisiana si prospetta ricca di promesse. Ciò fin dal primo determinatissimo accenno a Guido Cavalcanti, quelli cui io chiamo primo de li miei amici (VII III 14), come risponditore, fra i molti, al sonetto A ciascun' alma presa e gentil core col suo Vedeste, al mio parere, onne valore; e indirettamente dove D. rievoca l'apparizione di Giovanna-Primavera, una gentile donna, la quale era di famosa bieltade, e fue già molto donna di questo primo mio amico (XXIV 3). A lui ancora, in seguito a quella visione, D. indirizza il sonetto Io mi senti' svegliar dentro a lo core (XXIV 6 Onde io poi, ripensando, propuosi di scrivere per rima a lo primo mio amico); e in consonanza con lui egli esprime un eletto e sdegnoso ideale d'arte, in XXV 10 E questo mio primo amico e io ne sapemo bene di quelli che così rimano stoltamente. Di straordinaria importanza l'ultimo passo che lo riguarda (XXX 3), in quanto lascia intuire che all'uso esclusivo dell'idioma volgare e forse anche alla composizione della Vita Nuova D. fosse incitato da Guido, cui egli forse per questo dedicava il libretto: E simile intenzione so ch'ebbe questo mio primo amico a cui io ciò scrivo, cioè ch'io li scrivessi solamente volgare. Amico d'arte e di vita, ispiratore di poesia e auspice alla gran scelta del volgare (e questo disprezzo per il latino secondo alcuni spiegherebbe il disdegno verso Virgilio in If X 63), per non dire dei loro rapporti politici dei quali nulla emerge a livello letterario, il Cavalcanti appare al centro della formazione giovanile di D.; ma per la verità tutta l'operetta è gremita di a., anche se non partitamente designati, come specchio dell'età soave che trova la sua ragion d'essere proprio in questo assiduo colloquio con spiriti consonanti. Così, quando stremato dal continuo pensare di questa gentilissima, egli era divenuto di sì fraile e debole condizione, che a molti amici pesava de la sua vista (IV 1); e a questi si contrappongono i ‛ mal parleri ' in omaggio anche a un topos provenzale. Un singolo " compagno " o un suo " intimo ", volutamente lasciato anonimo (amica persona), è invece quello che ignaro guida D. ( fidandomi ne la persona la quale uno suo amico a l'estremitade de la vita condotto avea) alla festa ove incontra Beatrice e, dominato da una violenta commozione, subisce lo spiritoso affronto del ‛ gabbo ' (fra topico e reale); onde lo ingannato amico di buona fede mi prese per la mano, e traendomi fuori de la veduta di queste donne, sì mi domandò che io avesse, e D. gli confessa il suo mortale smarrimento (XIV 2, 3, 7, 8). Da una scena corale alla solitudine del poeta, con un procedimento che diverrà spontaneo nella seconda cantica, per questa e per altre ragioni vicina all'atmosfera della Vita Nuova: quando cioè (XX 1 e 2), divolgata tra le genti la canzone Donne ch'avete intelletto d'amore, vi fu alcuno [quidam] amico che, avendola udita, lo pregò di volergli illustrare la natura d'Amore; e D., persuaso che l'amico era da servire, gl'indirizzò il sonetto Amore e 'l cor gentil sono una cosa. Così nell'incubo dei presentimenti e del sogno durante la malattia, è di nuovo un innominato amico che D. immagina gli annunci la morte di Beatrice (XXIII 6); anche se nella canzone diventa (per legittimo passaggio a un piano ancor più remoto dal reale) un indefinito e poetico orno scolorito e fioco (XXIII 24 54).
Da questa folla dei tanti non individuati a. della sua giovinezza, Guido non è il solo a uscire con distinta fisionomia. È forse Ricovero o meglio Manetto Portinari quell'uno, lo quale, secondo li gradi de l'amistade, è amico a me immediatamente dopo lo primo, e insieme tanto distretto di sanguinitade [" consanguineità ", " parentela "] con questa gloriosa [Beatrice] che nullo più presso l'era (XXXII 1). Recatosi presso D. dopo che si fu diffusa la canzone Li occhi dolenti per pietà del core, sollecitò da lui delle rime per una donna che s'era morta, fingendo non fossero per questa benedetta; e D. si piegò a comporre su commissione (XXXII 3 propuosi di fare uno sonetto, nel quale mi lamentasse alquanto, e di darlo a questo mio amico, acciò che paresse che per lui l'avessi fatto); ma poi scontento di quella finzione e povero sembrandogli lo servigio e nudo a così distretta persona di questa gloriosa, dettò due stanze di canzone, nell'una figurando il lamento del frate (il fratello Manetto) e nell'altra quello del servo, cioè di sé stesso.
Amici, dunque, partecipi dei minimi eventi della sua vicenda d'amore, con scarse concessioni - in questa raffinata cronaca a bassorilievo - all'intima qualità di quelle amicizie, se si tolga Guido, insignito peraltro del titolo un po' ufficiale e ambiguo di primo amico. Noi inguaribili postromantici avremmo forse desiderato che D. ci parlasse abbandonatamente di queste giovanili amicizie; eppure, a veder bene, qualche ombra più istintiva di sentimento traspare anche dalla stilizzata e immobile atmosfera della Vita Nuova. Ad esempio, quando D. commenta lo strazio di Beatrice alla morte del padre, cui l'univa eletta amicizia, con ciò sia cosa che cotale partire sia doloroso a coloro che rimangono e sono stati amici di colui che se ne va (XXII 2); meglio ancora dove narra (XL 2) del passaggio per Firenze di pensierosi viandanti diretti a Roma per adorare la Veronica, fissandoli su uno sfondo di romita malinconia quasi tra il velo delle lacrime per il suo recente dolore: Questi peregrini mi paiono di lontana parte, e non credo che anche udissero parlare di questa donna, e non ne sanno neente; anzi li loro penseri sono d'altre cose che di queste qui, ché forse pensano de li loro amici lontani, li quali noi non conoscemo.
Nostalgia degli a. lontani, quella musa moderna della malinconia che per primo il De Sanctis ravvisò nell'atmosfera della seconda cantica e che era già soffusa nell'operetta giovanile (" La tenerezza e delicatezza de' sentimenti dispone l'animo alla malinconia; perché malinconia non è se non dolce dolore, dolore raddolcito da immagini care e tenere. Richiede perciò anime raccolte che vivano in fantasia, sieno ‛ pensose ', non distratte dal mondo, chiuse nella loro intimità ").
Ebbene, proprio questo luogo sembra ripercuotersi nell'esordio di Pg VIII 3 Era già l'ora che volge il disio / ai navicanti e 'ntenerisce il core / lo dì c'han detto ai dolci amici addio; / e che lo novo peregrin d'amore / punge; dove si fonde e dilata col grande tema dell'esilio.
Il motivo della lontananza ritorna legato ad a. in rapido scorcio a chiudere la cantica (XXXIII 114 Ëufratès e Tigri / veder mi parve uscir d'una fontana, / e, quasi amici, dipartirsi pigri): dove il rincrescimento per la separazione coatta, come fra a., è attribuito per ardito traslato ai fiumi gemelli dell'Eden, Lete ed Eunoè, paragonati agli analoghi " flumina Babiloniae ". Ma si ritorna alla situazione esistenziale di D. esule con gli altri ‛ amici ' del Purgatorio: quello (XI 136) per trarre il quale di pena, / ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo, il superbo Provenzan Salvani si condusse a tremar per ogne vena; o Stazio (riflesso in D. personaggio-poeta) per Virgilio, che lo esorta a lasciare il tono ossequioso del discepolo e ad accettare un dialogo franco e confidente (XXII 19 e 21 Ma dimmi, e come amico mi perdona / se troppa sicurtà m'allarga il freno, / e come amico omai meco ragiona).
Che il Purgatorio sia la cantica dell'amicizia, oltre che quella più gremita di a. o di ricordi fraterni, è troppo noto per abbisognare di prove, anche se il lessema corrispondente vi è in fondo abbastanza raro; piuttosto, converrà porre l'accento sul fatto che Inferno e Paradiso risultano privi dell'accezione più normale di a., sia pure per ragioni diametralmente opposte: l'uno come regno dell'odio, l'altro di un amore di carità troppo al di là dell'umano per accontentarsi della qualificazione di ‛ amicizia '. Rappresenta infatti un caso a sé l'unico duplice esempio dell'Inferno, a metà fra il letterale e il traslato, e per giunta estraneo all'atmosfera e alla stessa topografia della cantica, in quanto pertinente a un intermezzo della memoria e cioè all'apparizione paradisiaca di Beatrice a Virgilio nel Limbo e alle parole di lei che gli raccomanda il traviato: l'amico mio, e non de la ventura (II 61). Siamo fuori sia dell'Inferno vero e proprio sia del presente del viaggio: è il ‛ Prolog in Himmel ' dell'oltretomba dantesco. Alla spiegazione più comune, " colui che mi ama ed è riamato da me, ma non dalla fortuna, che anzi lo perseguita ", " il mio prediletto disamato dalla sorte ", s'oppone l'altra di chi intende " vero amico, e non già di quelli che vanno e vengono secondo la fortuna; i quali, perciò, più che d'altri si possono dire amici di essa fortuna ", rinviando a similari espressioni di Ovidio (Trist. I V 33-34 " Vix duo tresve mihi de tot superestis amici; / cetera Fortunae, non mea turba fuit "; Pont. I IX 15-16 " Affuit ille mihi... / Fortunae nec fuit ipse comes "). Più sottile l'interpretazione proposta dal Casella (in " Studi d. " XXVII [1943] 117-134), ma in realtà non molto divergente dalla seconda, " colui che mi amò per me stessa, disinteressatamente, senza ambire a ricompensa di sorta, e ponendo tutta la sua beatitudine nel lodare la donna amata; e si comportò dunque tutto all'opposto di coloro che amano una persona solo per trarne vantaggio ": che s'avvale dell'auctoritas di Abelardo, " fortunae potius... amici quam hominis ". Aggiungiamo per parte nostra il prezioso avallo del Favolello 72 " Così ho posto cura / ch'amico di ventura / come rota si gira, / ch'ello pur guarda e mira / come Ventura corre: / e se mi vede porre / in glorioso stato, / servemi di buon grato; / ma se cado in angosce, / già non mi riconosce ": che sembrerebbe conciliare la seconda e la terza soluzione, escludendo invece la prima; mentre è probabile che D. all'inizio del suo poema (ove riecheggia qualche mossa del Tesoretto) abbia ceduto anche a questa reminiscenza della più breve operetta del maestro Brunetto Latini.
Isolata l'accezione di Rime L 35, ove Dio è definito il maggiore amico dell'uomo; in CIV 17 solo il contesto suggerisce la retta interpretazione del Queste così solette / venute son come a casa d'amico: / ché sanno ben che dentro è quel ch'io dico: cioè le Tre donne [Drittura, Legge naturale e Legge positiva] intorno al cor mi son venute ove dentro siede Amore; dunque la casa è il cuore di D. e l'amico è Amore.
Al plurale, contrapposto a ‛ nemici ', in Cv I IV 5 [gli uomini che vivono secondo senso, irrazionalmente] tosto sono vaghi e tosto sono sazii, spesso sono lieti e spesso tristi... tosto amici e tosto nemici. Anche in Fiore LXXXVII 3 tutti i nostri amici avanzerai / e mettera' i nemici in bassamento: con slittamento verso il semantema di " compagni ", " seguaci ", " partigiani ", estraneo invece al sintagma amico né parente (CXVII 10, CXXXIX 11) o gli amici e ' parenti (Detto 357), ma non allo stilema fisso (di eredità provenzale) amico fino, " fedele, leale compagno " (Detto 460).
A mezzo fra il primo e il secondo significato (" protettore ", " sostenitore ") si colloca altresì una figura centrale del Fiore, per antonomasia Amico o l'Amico o il buon Amico, insomma quel personaggio anonimo al cui aiuto Amante ricorre fin da principio (XI 3 e me fu ricordato ch'i' avea / un grande amico, lo qual mi solea / in ogne mio sconforto confortare) e che lo istruisce sul da farsi per giungere alla conquista del Fiore. A costui, che compare in parecchie didascalie dei sonetti, ove funge da attore o dialogante col protagonista o suo mentore e pedagogo, Amante si rivolge in tre casi col vocativo (XLVIII 2, LXVIII 3, LXX 2); altrove lo designa semplicemente nel racconto: XII 2, XLVII 10, XLIX 3 (al buono Amico, che non fu di Puglia, cioè " che non era fedifrago ": la slealtà era già allora blasone appiccato ai Pugliesi, in seguito al tradimento consumato dai loro baroni ai danni di Manfredi nella battaglia di Benevento. Cfr. If xxvlll 16-17); LXVIII 1, LXX 13, LXXIII 1, CXCVIII 9, CCXXXI 9.
Il secondo significato fondamentale è quello di " alleato ", " protettore ", " sostenitore ", " partigiano ", " fautore ", e può ovviamente riguardare sia cose immateriali sia persone determinate, con una preferenza significativa per il termine astratto. Riferito per traslato a enti spirituali, con possibilità di collusione con l'aggettivo in funzione di predicato: Rime CIV 97 s'elli avvien che tu alcun mai truovi / amico di virtù; CVI 2 Doglia mi reca ne lo core ardire / a voler ch'è di veritate amico, cioè " il dolore m'induce nell'animo quel coraggio (che si muove) verso (la manifestazione di un) desiderio che è fautore della verità ". Il rapporto a.-‛ verità ' avrebbe ricevuto investitura teoretica in Cv IV VIII 15, col consueto ricorso ad Aristotele, qui per l'affermazione che apre l'Etica: " Se due sono li amici, e l'uno è la verità, a la verità è da consentire "; ma troverà la sua più vera celebrazione nel terzo canto di Cacciaguida: s'io al vero son timido amico, / temo di perder viver tra coloro / che questo tempo chiameranno antico (Pd XVII 118). In uso figurato anche in Fiore CVI 3, dove Falsembiante confessa cinicamente di non essere mai stato fautore e laudatore della povertà, se non per ipocrita apparenza o ad uopo altrui.
Sul piano concreto e senza complemento di specificazione: Pg XX 57 trova'mi stretto ne le mani il freno / del governo del regno, e tanta possa / di nuovo acquisto, e sì d'amici pieno, cioè " e tanta moltitudine di seguaci ". Al plurale, in Fiore XCIX 4 tutti i vostri amici andrò avanzando; Detto 468 i buon' amici chiari; ma anche al singolare, per l'anonimo a. di Ricchezza (LXXIV 12). Più spesso nel Fiore il singolare si trova adoperato al vocativo, per " mio caro ", " mio fedele "; designazione con cui vari personaggi si rivolgono ad Amante: il Dio d'Amore (III 9, V 9, LXXVII 9); o Ragione (xm 9, XLIII 1); o Amico (XLVII 12, LXVIII 13); o anche (con sfumatura meno confidenziale e insieme con lubrica aria d'intesa) la Vecchia, Amico mio... (CXCIX 1 e 9), a mezzo fra un mellifluo " mio signore " e un furfantesco " bello mio ".
Il terzo valore fondamentale, " l'uomo amato ", " la persona amata ", può esordire con l'esempio solitario di Pg IX 3 [l'Aurora] già s'imbiancava al balco d'oriente, / fuor de le braccia del suo dolce amico [Titone], che sconfina verso il semantema di ‛ amante ', cioè " in libero ma non disonesto rapporto d'amore ", conforme al valore moralmente positivo, nella Commedia, di ‛ concubina '; mentre, sempre al singolare, tale accezione ricorre in senso anagogico in Cv II v 5, riferita alla sposa (la Santa Ecclesia) del Cantico dei Cantici e all'amico suo (Cristo).
Nel Fiore invece a. assume il significato sensuale e licenzioso (escluso da tutta l'opera canonica di D.) di " amante ", " vagheggino ", " drudo ". Tale significato è naturalmente per lo più legato ai due spregiudicati manuali di libertinaggio predicati da Amico ad Amante e dalla Vecchia a Bellaccoglienza. In questa serie di quadretti esemplari il singolare ricorre anche al vocativo, equivalendo a un " mio caro ", " mio fedele o devoto ", " a me legato da un rapporto di desiderio fisico ": così nel codice amoroso di Amico (LXI 3); mentre in quello della Vecchia, che prima vanta (CXLI 9) i pregi di Amante come " fervente e generoso ammiratore ", a. si ritrova sia al singolare (CLXXIV 1 Chi 'l su' amico pensa di pelare) sia al plurale, con la sfumatura cortigianesca di " occasionali amici ", " amanti che comperano il loro piacere ": CLXIII 9 La femina de' aver amici molti; CXCII 10 gli altri, amici dolci i' appellava, / ma solamente a costui ben volea.
Non manca nel Fiore il sintagma ‛ fare a. ', che vale " procurarsi un amante ", connesso in ambedue i casi allo ‛ ensenhamen ' della Vecchia (CLXVIII 1 se tu vuo' far amico, e CLXXXIV 13 di far amico mosterre' gran fretta); i riscontri nel D. canonico (cfr. al § 2) escludono ogni analogia, tanto per la funzione sintattica (predicativa) quanto per il valore (tutt'altro che furbesco e lascivo). In qualche modo più congruente l'uso isolato desumibile da Cv IV XI 12 Nostro Signore inique le chiamò [le ricchezze], quando disse: " Fatevi amici de la pecunia de la iniquitade ", cioè (con ellissi della preposizione partitiva, ma rispecchiandosi il genitivo ‛ biblico ' per l'epiteto a norma di Luc. 16, 9 " Facite vobis amicos de mammona iniquitatis "), " procuratevi degli amici per mezzo dell'iniquo denaro, servendovi dell'ingiusto guadagno ".
2. Come aggettivo, in funzione epitetica o predicativa, mostra in D. continue implicazioni col piano sostantivale (vedi il § 1; v. anche AMICA), ma senza ambiguità per l'esegeta.
Col valore più fedele al semantema latino, sta per " familiare ", " vicino ", " intimo ": Vn XIV 1 per amica persona, a designare uno dei tanti innominati compagni della giovinezza. Compare invece nel traslato in alcuni luoghi ove D. tenta di definire l'essenza della filosofia facendola aderire in controluce al concetto di ‛ amicizia ' (vedi AMICIZIA; AMISTÀ; AMISTANZA): Cv III XI 9 non si dee dicere vero filosofo alcuno che, per alcuno diletto, con la sapienza in alcuna sua parte sia amico; così in XI 11; e XIV 11 li pensieri amici di quella [la Filosofia] sono astratti da le basse e terrene cose.
Con trapasso immediato si perviene a " cordiale ", " amichevole ", " affettuoso ", in Pg XXVI 37 Tosto che parton l'accoglienza amiche, cioè " non appena le due schiere interrompono il rito affettuoso dell'incontro " (Sapegno): un uso che sembra preparato dall'accezione più grezza, " proprio di amico o di amicizia ", attestatile attraverso l'amica oppinione di Rime XL 7.
Quasi inavvertibile, ma effettiva, l'oscillazione verso " propizio ", " favorevole ", " benevolo ", " mite ": Cv I I 8 ciascuno uomo a ciascuno uomo naturalmente è amico (vi sussiste però la presunzione di un passaggio al piano sostantivale, data la connessione con l'evidente sostantivo - ciascuno amico - che segue subito); I I 5 nullo è più amico che l'uomo a sé; III XI 8 a cui la persona amata è anche amica. In quest'ambito si stacca, per l'incisiva allusività, un filone della Vita Nuova intersecantesi con la simbologia dei numeri perfetti: in particolare il ‛ nove ', a. di Beatrice in quanto indissolubilmente " legato al suo destino ", " connesso alla sua eccezionale vicenda umana e ideale ": XXVIII 3; XXIX 2 Perché questo numero fosse in tanto amico di lei... questo numero fue amico di lei per dare ad intendere che ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s'aveano insieme. Una lieve divaricatura semantica s'avverte nel celeberrimo Se fosse amico il re de l'universo (If V 91), dove a. sconfina verso " pietoso e misericordioso " (s'intende, nei confronti dei dannati); quindi " se noi fossimo nella grazia di Dio ".
Dal valore attivale al passivale, secondo un consueto interscambio, per " amato ", " caro ", " gradito ", in questo caso non esorbitante dal poema: If XXV 4 Da indi in qua mi fuor le serpi amiche (forse non eccessivo il Grabher: " arriva a sentirle amiche, cioè non solo favorevoli, ma vicine al proprio sentimento "); Pd III 66 per più vedere e per più farvi amici, cioè " per contemplare meglio Dio e per rendervi più accetti a lui " (ma alcuni fra i moderni propendono per altra interpretazione, ad es. il Grabher - " per essere cioè più intimamente congiunti d'amore a Lui: amandolo meglio ed essendone più amati " - e il Sapegno: " diventare più amici di Dio, entrare cioè con Lui in un rapporto di reciproco amore più intimo e stretto "); XII 132 nel capestro [cioè, col Buti, " vivendo in religione e osservando la regula "] a Dio si fero amici, " si resero cari a Dio " (Sapegno; ma cfr. III 66): non direi (Grabher) " si legarono d'amore a Dio "; XXV 90 l'anime che Dio s'ha fatte amiche, " ha eletto nella sua grazia ".
In un unico luogo il sintagma ‛ farsi a. ' si screzia di un particolare semantema (" affezionarsi a ", " amare qualcuno o qualcosa "), quantunque non incongruo ai precedenti: Cv II II 2 li spiriti de li occhi miei a lei si fero massimamente amici (da confrontare - stando a certi interpreti - con Pd III 66 e XII 132; forse meglio con Cv III XII 4, stante la possibilità di ravvisare un'identica funzione, per aggettivo o sostantivo che sia).
Del tutto sporadica in D. (ma cfr. If XXX 39, sub v. AMICA) l'accezione di " amante con passione sensuale ", che s'avvale del rinvio a Cv II XIV 20 Di costei [la Rettorica] dice Salomone: " Sessanta sono le regine, e ottanta l'amiche concubine... ": dove il valore attributivo è garantito dall'abbinamento al raro sostantivo (vedi CONCUBINA).