Ammaedara
(Ammedĕra, Ammedăra; gr. 'Αμμέδϱα, 'Αμμαίδαϱα; od. Haïdra)
Antica città dell'Africa proconsularis (Tunisia occidentale, od. prov. di Kasserine), di origine probabilmente numida, nel territorio della tribù dei Musulami, fu una postazione militare sulla grande strada della penetrazione prima punica e poi romana da Cartagine a Theveste (Tebessa). All'inizio dell'Impero vi si installò il primo campo permanente (non ritrovato) della Legio III Augusta, la principale unità dell'esercito romano in Africa. Dopo lo spostamento del campo a Theveste, verso il 75 d.C., sotto Vespasiano la città divenne colonia, soprattutto per i veterani (Colonia Flavia Augusta Emerita Ammaedara). A. ebbe una notevole estensione, come testimoniano le rovine, con vaste necropoli e numerosi documenti epigrafici. Sede episcopale dal 256, fu una grande città anche nel periodo cristiano (cinque chiese identificate, numerose iscrizioni cimiteriali). L'epitaffio di un episcopus Vandalorum sembra essere la prova dell'installazione di una guarnigione o di coloni vandali nel territorio. La persistenza di una vita municipale è attestata dalle iscrizioni fino al 6° secolo.
La topografia fu modificata completamente al principio dell'epoca bizantina: si conservarono le vie principali, le chiese precedenti e alcuni edifici pubblici, ma la fortificazione di numerosi punti strategici (soprattutto l'arco situato a E, dedicato a Settimio Severo) e la costruzione di una fortezza fanno supporre massicce distruzioni e comunque la creazione di uno spalto intorno alla cittadella nel centro della città, la quale ebbe quindi di nuovo il suo ruolo militare. Procopio (De Aed., VI, 7, 10-11) la cita fra le città della Numidia (in senso ampio: Numidia 'proconsolare' e provincia di Numidia) fortificate al tempo della prefettura di Salomone (534-535; 536-544).
Una grande fortezza (m. 200x110) a pianta trapezoidale irregolare controlla il quadrivio principale della città (la via Cartagine-Theveste che la attraversa a N e la via del S, verso Thala e Thelepte, che attraversava lo wādī su un ponte) e anche la sorgente perenne nel letto dello wādī Haidra. È notevole soprattutto la tecnica costruttiva della cinta di mura con un cammino di ronda sorretto da arcate; sul lato ovest si trova addossata una chiesa di piccole dimensioni, ma dotata di tribune, che venne adattata a cappella (chiesa III o della cittadella) e che costituisce l'unica parte delle mura che sia stata oggetto di scavi. L'abside occidentale, pressoché integra, era coperta da una semicupola a nervature poggianti su colonne sostenute da un basamento, come quella di 'Dār el-Kous' nel Kef (Sicca Veneria). Duval (1971) ne ha tratto la conclusione che nel sec. 6° in questa regione dell'attuale Tunisia occidentale operasse la stessa maestranza di architetti.
Se le chiese di fondazione precedente (la basilica I che forse era la cattedrale e la basilica IV o 'cappella vandala') sopravvissero con piccole trasformazioni, la chiesa II, c.d. di Candidus o dei Martiri, nella necropoli orientale, dove era commemorato un gruppo di martiri della persecuzione di Diocleziano, venne invece completamente ricostruita nel sec. 6° con orientamento rovesciato (abside orientale). La stessa maestranza già ricordata dovette intervenire nei lavori, perché l'abside doveva essere dello stesso tipo di quella della chiesa nella cittadella e le navate laterali presentavano volte a crociera realizzate secondo una tecnica identica a quella di 'Dār el-Kous' nel Kef.
I mosaici, di cui sfortunatamente non si possiede il rilievo precedente il trasporto a Tunisi (Mus. Nat. du Bardo), erano di alta qualità. La tecnica e lo stile sono legati a quelli dei mosaici di Chemtou, Bulla Regia, el Kef; nella Tunisia occidentale è possibile che fosse attiva anche una scuola di mosaicisti in epoca bizantina.
La chiesa V, di scarso interesse dal punto di vista artistico, appartiene alla fase tarda; al di fuori di qualche elemento di arredo liturgico o di modanature molto semplici, la decorazione in pietra è particolarmente povera rispetto ad altri esempi contemporanei e contrasta con quanto realizzato in siti come Tebessa e Thelepte. Un testo del sec. 10° (Ennaïfer, 1976) prova che a quell'epoca esisteva ancora una città (probabilmente la cittadella); non si sa quando sia avvenuto il completo abbandono del sito, ma sulla frontiera dei beylik di Tunisi e di Costantina esso continuò a funzionare come base militare e a servire come tappa (sussistono ancora due caravanserragli di data imprecisabile).
Bibliografia
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