ANACARSI ('Ανάχαρσις)
Figlio di Gnuro (Γνοῦρος), favoloso savio scita: l'esistenza storica è almeno dubbia. La menzione per noi più antica si trova in Erodoto (IV, 46, 76 segg.), il quale narra che Anacarsi, di ritorno in patria da un lungo viaggio per gran parte del mondo, durante il quale aveva dato molte prove di sapienza, mentre, in adempimento di un voto fatto in Cizico, riproduceva nella parte di Scizia detta Ilea (‛Υλαίη) il culto orgiastico tributato in Cizico alla Gran Madre, fu ucciso a frecciate dal re Saulio; il quale, secondo notizie che Erodoto asserisce di aver raccolte da Timne (Τύμνης), tutore del re scita Ariapite ('Αριαπείϑης), sarebbe stato suo fratello. Erodoto aggiunge di aver sentito in Peloponneso che A., iniziato dallo stesso re degli Sciti, si sarebbe fatto "scolaro della Grecia", e, tornato in patria, avrebbe riferito al re che gli Elleni non avevano tempo per la sapienza tranne i Lacedemoni e che solo con questi era possibile discutere ragionevolmente. Erodoto, quantunque riporti le notizie di Timne su Anacarsi, afferma che gli Sciti negavano di conoscerlo, "perché egli era emigrato in Grecia e aveva adottato usi stranieri".
Da quest'aggiunta e dall'esistenza di una forma "peloponnesiaca" della leggenda si ricava che essa è greca e più antica di Erodoto, che trasceglie fra varie versioni da lui udite, come fa con la leggenda di Abari e meglio con quella dei Sette Savî. Anzi si può ragionevolmente sostenere che la leggenda o meglio novella di Anacarsi è sorella di questa e rispecchia la stessa tendenza mentale alla critica delle opinioni e valutazioni tradizionali in Grecia: non a caso A. è spesso annoverato fra i Sette Savî. Egli secondo l'una versione è ucciso perché introduce tra gli Sciti l'orgia, un'ebbrezza o follia che, per esser sacra, non è meno follia; secondo l'altra egli considera stolti tutti gli Elleni, tranne proprio quella stirpe che meno si dava pensiero di sapienza teoretica. È una critica non dissimile da quella di Senofane, e sarà anch'essa di origine ionica; sarà sorta anch'essa sulle coste dell'Asia Minore nel sec. VI, tranne che il biasimo è messo qui in bocca a uno Scita, al rappresentante di un popolo non ancora corrotto dalla civiltà.
Gli apoftegmi e aneddoti anacarsei nella letteratura greca e romana posteriore, da Aristotele in giù, sono innumerevoli; ma è difficile determinare quanto risalga a questa più antica forma della leggenda, quanto a svolgimenti posteriori: dall'un canto Eforo (fr. 42, 158 Jacoby), che idealizza, ancor più degli antichi Ioni, i barbari del N., dall'altra, con maggiore intensità e diffusione, i Cinici, che rinnovano l'antica critica ionica degli usi irragionevoli, delle convenzioni sociali, s'impadroniscono della figura di A. e la piegano ai loro fini. D'altra parte la fortuna di A. segue anche le vicende della novella dei Sette Savî. Diogene Laerzio comprende anche la sua (I, 8) tra le biografie dei filosofi; egli rappresenta una parte importante nella vita di Solone e nel Convito dei Sette Savi plutarchei; da lui prende nome un dialogo di Luciano sulla ginnastica, d'ispirazione cinica. Pochi anni or sono su un ostraco egizio del sec. II d. C. fu scoperto un frammento in trimetri di un aneddoto anacarseo, di quelli che si trovano tra le favole di Fedro o di Babrio.
Ad Anacarsi furono anche attribuite, oltre ad altri scritti non conservati, lettere, delle quali abbiamo ancora dieci; nove in raccolte manoscritte di epistolografi, una in Diogene Laerzio: la quinta è già tradotta da Cicerone nelle Tusculane (V, 90).
Per la fortuna di Anacarsi nella letteratura e nella vita francese del sec. XVIII v. gli articoli barthélemy e klotz.
Gli apoftegmi raccolti in modo incompleto in Mullach, Fragmenta philosophorum graecorum, I, 232. Delle lettere manca ancora un'edizione critica, che uscirà tuttavia tra breve; per ora conviene servirsi di Hercher, Epistolographi graeci, 102 segg.; il nuovo frammento di favola pubblicato da P. Jouguet e G. Lefebvre, in Bulletin de correspondance hellénique, 1904, 201; studiato da Leo, in Hermes, 1905, 159; Thiele, in Hermes, 1906, 586; Crusius, in Philologus, 1905, 142.
Bibl.: A orientare sulle vicende della leggenda di A. non è del tutto sufficiente l'art. di W. Schmid, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 2017, ormai anche antiquato. La datazione giusta dell'antica novella è merito di P. von der Mühll, Festgabe für Blümner, 1914, 425 (per ora la migliore monografia).
Sull'A. cinico orientano R. Heinze, in Philologus, 1895, p. 458; K. Praechter, Archiv für Geschichte der Philosophie, 1898, p. 513; id., in Hermes, 1912, p. 471. Qualche riserva rispetto a Luciano K. Helm, in Neue Jahrbücher für das klass. Altertum, 1902, p. 365.
Le fonti di una epistola, la V, studiate da K. Praechter, in Hermes, 1921, p. 422.