Gruppi, analisi dei
Tra i motivi che hanno portato a fare dei gruppi un oggetto di studio e a sviluppare i relativi metodi d'analisi vi è innanzitutto l'interesse per la condizione umana. Il termine 'gruppi' designa i contesti interpersonali immediati in cui gli esseri umani vivono, lavorano e giocano. Considerando che la popolazione mondiale ammonta a circa cinque miliardi di persone, ognuna delle quali fa parte in media di cinque o sei gruppi, e calcolando le ovvie sovrapposizioni, la quota totale dei gruppi attualmente esistenti può essere stimata intorno agli otto-dieci miliardi. Quali sono le dinamiche di questi piccoli centri dell'esistenza umana? Quali requisiti devono soddisfare gli individui per poter vivere, lavorare e giocare insieme all'interno di questi gruppi?
In secondo luogo, lo studio dei gruppi ci aiuta a comprendere la psicologia dell'individuo. Sappiamo che il neonato non può diventare un essere umano nel senso più pieno del termine senza le cure parentali di un 'gruppo primario', e viceversa che i gruppi non possono conservarsi né raggiungere scopi collettivi senza l'impegno degli individui. In che modo i gruppi tendono a formare la personalità? Che ruolo svolgono nel corso del ciclo di vita? Cosa danno e cosa richiedono agli individui?
In terzo luogo, lo studio dei gruppi aiuta a comprendere la struttura e le dinamiche di formazioni sociali più ampie, rispetto alle quali essi rappresentano le unità costituenti nonché i canali per lo scambio di informazioni e per il processo decisionale.Un quarto motivo d'interesse è dato dal fatto che attraverso l'analisi dei gruppi possiamo comprendere meglio i sistemi sociali in generale; i modelli teorici delle dinamiche dei gruppi possono essere utilizzati per sviluppare modelli dei sistemi sociali in generale. Lo studio dei gruppi inoltre può contribuire a incentivare il loro impiego per raggiungere altri obiettivi, ad esempio quello di migliorare i metodi educativi, la formazione professionale, l'assistenza sanitaria, l'organizzazione aziendale e gli apparati governativi.
I metodi di analisi dei gruppi sono essenzialmente di due tipi. Il primo è quello tradizionale, in cui l'osservatore studia il gruppo come un 'oggetto' esterno. Sviluppando questo tipo di ricerca, alcuni osservatori si resero conto che avrebbero potuto ampliare e approfondire le proprie analisi se avessero compreso meglio in che modo le proprie relazioni interpersonali influenzavano l'osservazione. Ciò ha portato a sviluppare un secondo metodo d'analisi che possiamo definire riflessivo, in quanto gli osservatori integrano e arricchiscono l'analisi dei 'gruppi oggetto' con quella delle proprie relazioni di gruppo (e di se stessi).
L'analisi dei gruppi ha inizio con un lavoro sul campo che, riprendendo le parole di Hughes, "consiste nell'osservare determinati gruppi di individui in situ [ossia una famiglia, una banda, una équipe chirurgica, una comune, una compagnia di danza, una squadra di pescatori in mare, un consiglio d'amministrazione], studiandoli nel loro ambiente e stando a contatto con loro in un qualche ruolo che sia a essi ben accetto e consenta nello stesso tempo di osservare da vicino alcuni aspetti del loro comportamento e di elaborarne una descrizione che sia utile alla ricerca ma non pregiudizievole per le persone sotto osservazione" (v. Hughes, 1960, p. V). Come esempi di questo tipo di analisi possiamo citare gli studi di Margaret Mead nel Pacifico meridionale, quelli di Bronislaw Malinowski nelle Isole Trobriand, di William Whyte sulla Doe's gang di Boston, di Elliot Liebow sul Tally's corner di Washington, e di Jules Henry sui gruppi familiari di Chicago.L'osservatore si presenta come un 'invitato', i soggetti osservati sono gli 'ospiti'; l'invitato, in effetti, chiede agli ospiti di cedere qualcosa di se stessi (che può riguardare il pubblico o il privato, il tabù o il sacro) che non può essere ripagato con la stessa moneta, mentre gli ospiti si espongono al rischio di rivelarsi a occhi estranei. I gruppi sotto analisi tendono a essere sensibili all'intrinseca mancanza di reciprocità di questo rapporto. Prendendo atto di questo squilibrio, il compito dell'osservatore è quello di instaurare un rapporto costruttivo tra 'invitato' e 'ospiti' che gli consenta di raggiungere una maggiore intimità; ciò lo aiuterà a sviluppare la fiducia reciproca e nello stesso tempo a distinguere i fatti dall'immaginazione (v. Mills, 1984², pp. 43-56).
Il ricercatore dovrebbe liberarsi dal preconcetto che i gruppi umani, in quanto sistemi sociali di dimensioni ridotte, debbano essere unità semplici, e da quello a esso connesso che chiunque sia stato immerso nelle loro dinamiche sin dall'infanzia sia in grado ipso facto di comprenderle. Al contrario, non solo nei processi del gruppo sono contenute letteralmente migliaia di informazioni che sono state codificate dalla situazione globale e che la esprimono, ma quasi tutte le culture scartano come irrilevante una porzione significativa di tali informazioni. Anche nel migliore dei casi solo una piccola parte di questi segnali sono letti (e decodificati), in quanto vi sono troppi messaggi a troppi livelli perché l'osservatore - anche il più sofisticato - sia in grado di decodificarli allorché si presentano.
Date queste difficoltà e data l'assenza di centri di addestramento in cui venga illustrata la gamma completa dei possibili approcci osservativi, molti studiosi devono basarsi sulla propria inventiva per arricchire il numero e la varietà dei metodi d'osservazione delle dinamiche di gruppo e per approntare strumenti per decodificarle, analizzarle e interpretarle. Sebbene allo stato attuale le risorse dei ricercatori siano costituite principalmente da schemi concettuali frammentari, elementi di teorie, modelli, metafore, credenze popolari, ipotesi euristiche, archetipi o drammi classici, nel loro insieme esse possono formare una sorta di 'biblioteca' dalla quale si può prendere all'occorrenza un dato 'volume' per chiarire un evento, un episodio o una storia. In ogni caso nell'utilizzare questi strumenti occorre sempre un certo grado di maturità personale. Come osserva Weick, infatti, "il condizionamento esterno deve essere liberato dal condizionamento interno", ossia "le immagini [modelli, schemi concettuali, ecc.] devono essere attivate da eventi esterni all'osservatore, non da motivazioni interne quali l'impegno personale, la soddisfazione di bisogni o la difesa psicologica" (v. Weick, 1985³, p. 581). In pratica ciò significa conoscere le proprie fantasie, esigenze e difese abbastanza bene da scoprire quando le fonti di attivazione interne interferiscono con quelle esterne, una capacità che viene messa alla prova in misura crescente via via che aumenta il grado di intimità tra osservatore e gruppo.
Anche con un uso esperto di una adeguata 'biblioteca' di questo tipo, gli osservatori più sofisticati debbono fare i conti, volenti o nolenti, con quel paradosso della scienza cui alludeva Liebow allorché osservava che più apprendeva il linguaggio del Tally's corner, più si sentiva un estraneo e si rendeva conto che non sarebbe mai stato in grado di padroneggiarlo. Via via che cresceva la sua intimità col gruppo, diveniva più chiara la barriera tra osservatore e osservato, e al progredire delle sue conoscenze emergevano nuove regioni di ignoto (v. Liebow, 1967, pp. 232-256).
I limiti dell'osservazione sul campo, cui non sfuggono nemmeno i ricercatori più bravi, sono ben noti: in primo luogo, l'osservatore passivo ha un accesso solo parziale al sistema, in quanto gli informatori non rivelano tutto e i partecipanti tendono a 'recitare' quando sono sotto osservazione; in secondo luogo, anche nell'ambito dei settori accessibili, gli osservatori che si basano su testimonianze aneddotiche tendono inconsciamente a operare una selezione in base ai propri interessi personali; infine, in questa giovane disciplina la selezione sia del contesto che delle categorie analitiche tende a essere idiosincratica piuttosto che regolata da schemi concettuali universalmente accettati.
Queste carenze non sono state sottovalutate. In primo luogo, si è cercato di ottenere dati più completi attraverso il metodo dell'osservazione partecipante - ad esempio l'osservatore entra in un ospedale psichiatrico per studiarlo dal punto di vista del paziente (v. Caudill, 1958). Un altro metodo è dato dall'impiego della videocamera nella ricerca: la rivoluzione elettronica ha consentito di sostituire i faticosi resoconti scritti dell'azione di gruppo con riprese dirette di alta qualità (ad esempio di danze rituali, di gruppi familiari intenti al gioco, di terapie di gruppo, di dibattiti di assemblea, ecc.). Gli osservatori sono così in grado di catturare direttamente gran parte dell'azione viva, rallentandone, fermandone e ripetendone le immagini per studiarla più dettagliatamente; spesso questa operazione è compiuta in équipe dai ricercatori, che possono così confrontare le rispettive percezioni e interpretazioni. Sebbene a volte sia assai faticoso, questo procedimento è stato di enorme aiuto per quel che riguarda il problema della soggettività dell'osservazione. Inoltre, seguendo il sistema adottato per primo da Garfinkel, le videocassette vengono riproposte ai partecipanti stessi per osservare le loro reazioni e le loro interpretazioni dell'accaduto, il che consente un'ulteriore correzione della selettività soggettiva (v. Garfinkel, 1967). Infine, come una sorta di antidoto ulteriore, alcuni osservatori si sottopongono a un trattamento psicanalitico.
In secondo luogo, la comparazione tra gruppi di diverse culture (v. Whiting e Whiting, 1975) e aree geografiche (v. Schachter e altri, 1954) sulla base di ipotesi specifiche ha consentito di superare il divario che sussiste tra le descrizioni artificiose di gruppi in contesti esotici e una scienza sociale generale.
In terzo luogo, sebbene l'introduzione di metodi standardizzati per 'classificare' le dinamiche di gruppo osservabili prometta di ridurre la confusione dovuta a schemi idiosincratici, lo straordinario sviluppo di questi metodi ha dato luogo al problema della scelta tra una varietà impressionante di tecniche: si pensi che l'antologia di strumenti osservativi curata da Simon e Boyer (v., 1970) comprende ben quattordici volumi. Tuttavia, attraverso un'attenta selezione e un impiego controllato di queste tecniche, gli osservatori hanno potuto individuare, registrare e classificare diversi tipi di azione, consentendo comparazioni all'interno dei gruppi e tra di essi (v. Weick, 1985³).
In molti casi l'esperienza in qualità di osservatore costituisce il primo passo verso analisi più approfondite. Guidati da una 'brillante intuizione' molti ricercatori hanno adottato un approccio più attivo nell'analizzare i gruppi, esercitando un maggior controllo su persone, contesti e attività. A tal fine i gruppi in questione vengono trasferiti dal loro ambiente naturale nella clinica o nel laboratorio, dove viene chiesto loro di svolgere determinate attività o di eseguire determinati compiti. Così ad esempio si fanno giocare i bambini con bambole che riproducono figure parentali e filiali al fine di portare alla luce sentimenti latenti concernenti i rapporti familiari (v. Levy, 1939); per scoprire sfere di influenza, i funzionari governativi sono invitati a lavorare su crisi internazionali simulate (v. Guetzkow e altri, 1963); per esplorare in che modo venga esercitato il potere a livello locale, viene chiesto ai consigli comunali di riunirsi nel laboratorio per studiare problemi di bilancio realistici (v. Barber, 1966). L'uso di procedure, attività e categorie di valutazione standardizzate nonché di altri strumenti di misurazione ha consentito agli osservatori di comparare gruppi differenti e di formulare una serie di ipotesi sulle interdipendenze tra variabili.
Come ulteriore passo avanti rispetto all'osservazione sul campo, alcuni studiosi formano in laboratorio gruppi ad hoc di individui (spesso estranei ai ricercatori). Uno dei primi esempi di ricerche di questo tipo è dato dallo studio di Bales su un consiglio di facoltà impegnato nella progettazione di un programma interdisciplinare: Bales cercò in primo luogo di scoprire l'ordine che stava alla base del comportamento apparentemente frammentario che risultava all'osservazione, e in seguito di costruire un insieme di categorie corrispondenti alle dimensioni di tale ordine. Per sviluppare questo metodo, egli radunò e classificò le modalità di interazione riscontrate in una serie di gruppi impegnati nella soluzione di un compito in laboratorio, formulando in seguito la sua famosa ipotesi sugli stadi del processo di soluzione dei problemi (v. Bales, 1950; v. Bales e Strodtbeck, 1951). In questo modo Bales passò dall'analisi dei gruppi nel loro 'ambiente naturale' a un metodo che consiste nel creare un contesto e una attività che danno luogo a un determinato tipo di processo, dal quale possono essere ricavate per via induttiva leggi generali.
Il metodo della sperimentazione utilizza l'analisi dei gruppi per verificare determinate tesi. Sulla base di un'ipotesi i ricercatori formulano delle previsioni, le verificano, interpretano i risultati e traggono delle conclusioni. I progetti e i metodi sperimentali moderni offrono mezzi assai potenti per distinguere le mere fantasie dai fatti, consentendo di individuare interdipendenze e di colmare eventuali lacune nelle conoscenze.Nella sperimentazione i ricercatori assumono un ruolo ancora più attivo, in quanto in questo caso sono loro ad assumere il ruolo degli 'ospiti', mentre i partecipanti assumono quello degli 'invitati'. Lo scienziato dirige e controlla, i membri del gruppo eseguono e cooperano. I soggetti tendono a essere più sensibili di quanto non diano a vedere a questa differenza di potere. Consapevole di questo fatto, il ricercatore si propone di effettuare un test che sia efficace senza però compromettere l'integrità dei soggetti, sia individualmente che come collettività (v. Mills, 1984², pp. 57-68).
I primi esperimenti sui gruppi furono importanti in quanto dimostrarono che è possibile controllare e manipolare le variabili sociosistemiche (non solo quelle individuali o situazionali). Lewin e Lippitt, per citare esempi assai noti, organizzarono dei gruppi caratterizzati da diversi stili di leadership, osservarono e classificarono i comportamenti dei leaders e le reazioni dei membri del gruppo, confrontarono i risultati e trassero delle conclusioni su basi empiriche in merito alle dinamiche della leadership (v. Lippitt, 1940); Bavelas costruì una tabella attraverso la quale controllare le reti di comunicazione all'interno dei gruppi e misurare gli effetti di determinate configurazioni sia sui singoli individui che sul gruppo nella sua totalità (v. Bavelas, 1950); Schachter addestrò degli attori ad assumere ruoli di conformità e di devianza per controllare le reazioni del gruppo alla devianza (v. Schachter, 1951); Mills e altri studiosi, infine, introdussero nuovi membri in gruppi con sottostrutture affettive differenti per verificare in che modo esse influenzavano la capacità del gruppo di instaurare un nuovo rapporto (v. Mills e altri, 1957).
Centinaia di ricercatori, per lo più sociologi, psicologi e psicosociologi, in vari centri sparsi in tutto il mondo si dedicarono alla sperimentazione sui gruppi, verificando un numero notevole di ipotesi e sforzandosi, così facendo, di esplorare nuovi territori anziché concentrarsi sistematicamente su un determinato ambito e replicare lo stesso esperimento (v. Cartwright e Zander, 1968³; v. Hare, 1976²; v. Ofshe, 1973). Per oltre quattro decenni si è avuta un'intensa attività sperimentale, con progetti che andavano da comparazioni direttamente controllate a esperimenti con gruppi familiari (v. Waxler e Mishler, 1978) e programmi sperimentali diretti a verificare sofisticate teorie sui rapporti interpersonali (v. Berger e altri, 1977). Esempi recenti sono i test elaborati per stabilire le differenze di comportamento tra i due sessi nella discussione, in particolare per quanto riguarda l'interruzione degli altri (v. Smith-Lovin e Brody, 1989), un test relativo agli effetti prodotti sul sistema dall'interferenza di terzi nei conflitti (v. Ridgeway e Diekema, 1989) e infine un test relativo alle teorie della distribuzione dei guadagni nell'ambito della teoria dei giochi (v. Michner e altri, 1985).
I ricercatori che si sono occupati dell'esplorazione focalizzata scoprirono che era possibile e relativamente facile costituire gruppi ad hoc, ottenere la cooperazione dei soggetti, manipolare variabili indipendenti, misurare quelle dipendenti e, nel complesso, attuare programmi sofisticati. Risultava meno facile invece costruire equazioni di trasposizione (applicando i risultati ottenuti in laboratorio ai gruppi in situ) sufficientemente precise da rispondere all'accusa mossa dai critici secondo la quale l'azione in questi gruppi sarebbe artificiale; ancora meno facile era verificare in che misura i ricercatori stessi influenzassero i risultati; ancora più difficile, infine, risultava non cadere nell'errore di credere che i confini del gruppo come sistema fossero definiti da ciò che si poteva vedere, manipolare, misurare e verificare.
Il metodo dell'applicazione analizza i gruppi in rapporto alla possibilità di utilizzarli per conseguire uno scopo pratico (v. Hornstein e altri, 1971). Lo studio dei gruppi aprì nuove prospettive ai professionisti di vari ambiti disciplinari. Gli insegnanti si sentirono stimolati a tener conto delle dinamiche di gruppo nella classe anziché ignorarle (v. Stock e Thelen, 1958); gli psichiatri unirono i pazienti in gruppi per favorire il sostegno e lo sviluppo reciproco (v. Bion, 1961; v. Whitaker e Lieberman, 1964); i consulenti aziendali aiutarono le imprese a reimpostare le loro strutture organizzative e le loro procedure (v. Rice, 1970; v. Argyris, 1970); i terapeuti portarono gruppi familiari nella clinica perché potessero affrontare come unità i propri problemi. Secondo questo metodo i clienti si rivolgono al consulente per avere la sua assistenza professionale in cambio di un compenso, in base all'assunto che entrambe le parti coopereranno nel valutare e nel cambiare la situazione.
Quattro fattori hanno contribuito a determinare il passaggio significativo, se non addirittura rivoluzionario, dallo studio dei gruppi come 'oggetti' esterni alla formazione di gruppi che studiano se stessi, e al conseguente sviluppo dei metodi del secondo ordine.In primo luogo, l'esperienza aveva dimostrato che l'analisi condotta in équipe presentava sia vantaggi che svantaggi in quanto, se aiutava a correggere la soggettività del singolo osservatore, le dinamiche interne del gruppo dei ricercatori tendevano a introdurre nuove distorsioni: ad esempio il risentimento nei confronti di un leader brillante ma autoritario può indurre il ricercatore a rappresentare i subordinati nell'azienda oggetto di studio come eccessivamente sottomessi (in questo caso il problema irrisolto della sottomissione dell'équipe dei ricercatori all'autorità viene proiettato sui membri dell'azienda).In secondo luogo, si poneva il problema di come trasmettere le conoscenze acquisite empiricamente dai pionieri delle dinamiche di gruppo applicate, procedendo per tentativi ed errori, dato che conoscenze di questo tipo non possono essere efficacemente comunicate attraverso saggi o conferenze. Una delle soluzioni adottate fu quella del training sperimentale, che consiste nell'addestrare i futuri ricercatori all'applicazione sperimentale formando un gruppo - il gruppo di training o gruppo T - e analizzandone le esperienze (v. Bradford e altri, 1964).
In terzo luogo, le ricerche di laboratorio avevano dimostrato nel frattempo che: a) le dinamiche di gruppo erano caratterizzate da una pluralità di livelli; b) alcuni livelli, ad esempio quello emotivo, erano pressoché inaccessibili all'osservatore esterno; c) era difficile acquisire una familiarità di tipo intuitivo con il sistema come totalità osservandolo a distanza, ad esempio da dietro un vetro attraverso il quale si può vedere senza essere visti. Una soluzione fu quella di organizzare un nuovo tipo di gruppo, invitando alcuni studiosi interessati alla ricerca sui gruppi a formarne uno di tipo autoanalitico, in grado di comprendere la propria struttura e le proprie dinamiche (v. Mills, 1964; v. Slater, 1966; v. Mann e altri, 1967).
In quarto luogo, si era constatato che l'impiego dei gruppi sia per la ricerca che per fini terapeutici e pratici produceva vantaggi imprevisti. Nelle terapie di gruppo, ad esempio, i pazienti non solo affrontavano i loro problemi personali, ma sviluppavano anche un interesse nei confronti dei rapporti interpersonali acquisendone una migliore comprensione; nel raccogliere i dati, inoltre, i ricercatori scoprivano nuovi aspetti prima ignorati delle dinamiche di gruppo. Tutto ciò portò a sviluppare e ad approfondire lo studio dei gruppi di autoanalisi.
Sebbene i gruppi di autoanalisi si siano posti diversi obiettivi, il compito metodologico che essi assolvono è quello di elaborare autonomamente e procedendo per tentativi ed errori dei metodi che aiutino i componenti del gruppo a comprenderne le dinamiche e a modificare, sulla base di ciò che apprendono, i propri ruoli, rapporti e procedure, al fine di ottenere un progresso cognitivo. L'efficacia analitica del gruppo di auto-osservazione deriva in primo luogo dal fatto che i suoi membri impiegano - riflessivamente - la gamma completa delle tecniche del primo ordine descritte in precedenza: ogni individuo (e il gruppo nel suo insieme) diventa sia il soggetto che l'oggetto dell'osservazione, sia consulente che cliente, sia 'autore' che 'lettore'. In altre parole i due orientamenti di ruolo - il ruolo di 'colui che analizza' e quello di 'colui che viene analizzato' - anziché essere separati come prospettiva esterna e prospettiva interna vengono assunti contemporaneamente da ciascun membro del gruppo. Di conseguenza, all'interno di un unico sistema, le funzioni analitiche del gruppo vengono unificate, collegate e diventano interattive. Le osservazioni sono associate immediatamente alla comparazione e alla correzione, le inferenze alla discussione e alla valutazione, le ipotesi all'esperimento (sperimentazione di nuove procedure), i risultati all'applicazione (applicazione di un metodo che promette buoni risultati) e infine l'applicazione alla valutazione in termini di conseguimento dell'obiettivo da parte del gruppo (obiettivo che può consistere in una migliore comprensione delle dinamiche del gruppo stesso). In secondo luogo, l'auto-osservazione consente di esplorare nuovi aspetti e nuovi ordini di fenomeni per il fatto stesso che nel gruppo di autoanalisi i membri sono liberi di esprimere sentimenti e di scambiare impressioni su eventi relativi al gruppo, che normalmente non sarebbero appropriati. In questo modo nuove regioni diventano accessibili all'osservazione e all'analisi e, una volta messi in luce tali processi prima latenti, si possono istituire empiricamente delle connessioni cognitive tra i resoconti soggettivi degli eventi e le informazioni trasmesse dagli eventi stessi (attraverso gesti, metafore, simboli, fantasie, ecc.), il che consente di acquisire nuove conoscenze. Se le condizioni sono favorevoli, si ha un miglioramento delle capacità cognitive ed espressive, aumenta la fiducia nell'analisi e si rafforza il desiderio di approfondire ulteriormente l'indagine. In breve, nel gruppo di autoanalisi al suo meglio tutto il repertorio di funzioni analitiche è impiegato in modo interattivo per esplorare un universo in espansione di fenomeni relativi al gruppo.
Anche questo metodo tuttavia, al pari degli altri, ha dei limiti. In primo luogo, esso non è adatto a tutti, in parte perché si incentra su delicati rapporti sé-altro, ma principalmente perché richiede al singolo di sostituire l'usuale atteggiamento dipendente-competitivo con uno indipendente-cooperativo. In secondo luogo, come accade per altri gruppi non strutturati, i gruppi di autoanalisi tendono a diventare confusi, a perdere un orientamento preciso e a lasciarsi trascinare da idee estemporanee o da persone mal indirizzate (v. Lieberman e altri, 1973). In terzo luogo, nella misura in cui il gruppo di autoanalisi si discosta da quelli comuni (ed è quanto succede a quelli riusciti), per i suoi membri - sia ricercatori che dirigenti - si pone un problema per quanto riguarda l'applicazione ai contenuti quotidiani delle esperienze vissute nel gruppo. Così ad esempio, dopo aver vissuto la situazione aperta, espressiva, analitica e sperimentale, alcuni dirigenti trovano difficile reinserirsi nelle proprie organizzazioni senza provare l'impulso di ristrutturarle, e ciò indica che il gruppo di studio è stato frainteso in quanto considerato alla stregua di un modello da applicare ad altri contesti, oppure di un mezzo per acquisire un potere direttivo. Per lo scienziato sociale il problema è in che modo questo nuovo tipo di gruppo si rapporti all'universo dei gruppi comuni e alle teorie su di essi. Come nel caso degli esperimenti di laboratorio, non è del tutto chiaro quali equazioni di trasposizione siano necessarie per istituire un collegamento tra il gruppo di studio e i gruppi reali. Ad esempio, come si può verificare effettivamente l'ipotesi che quanto più i gruppi di autoanalisi svolgono efficacemente il loro lavoro (e quindi si discostano in misura crescente da quelli del primo ordine), tanto più sono in grado di gettare luce su fenomeni che risultano fondamentali per la comprensione dei gruppi reali ma che in essi sono latenti e quindi non facilmente osservabili? Si tratta di questioni ancora aperte, in quanto gli scienziati sociali hanno appena iniziato a elaborare i principî basilari dei sistemi del secondo ordine.
Negli ultimi decenni, tuttavia, i resoconti sulle esperienze di questi gruppi di autoanalisi costituitisi in vari centri - principalmente nelle società occidentali - hanno fornito delle indicazioni che possono costituire un punto di partenza per formulare alcuni principî generali (v. Gibbard e altri, 1974; v. Colman e Bexton, 1975; v. Colman e Geller, 1985; v. Cooper e Alderfer, 1978).In primo luogo, i partecipanti ai gruppi di autoanalisi hanno riconosciuto la validità dell'ipotesi del 'riferimento immanente', secondo la quale "di qualunque cosa parlino gli esseri umani, essi comunicano sempre qualcosa su se stessi, sugli altri, sul contesto immediato" (v. Pittinger e altri, 1960, p. 329). In secondo luogo, è stata riconosciuta l'innegabile importanza dei sentimenti inconsci e delle relative difese, e si è arrivati alla conclusione che molte delle idee del gruppo su se stesso, al pari delle sue procedure e distinzioni cognitive abituali, con tutta probabilità hanno avuto origine come difese collettive contro sentimenti di angoscia, di paura di essere sommersi dal gruppo e da un senso di impotenza (v. Hirschhorn, 1988).In terzo luogo, molti gruppi hanno sperimentato conflitti relativi all'esercizio dell'autorità, sia a livello personale (ad esempio quando il singolo prova ostilità nei confronti delle persone investite di autorità ma rifiuta di assumere responsabilità in prima persona) sia a livello sociale (ad esempio quando le aspirazioni alla libertà e all'eguaglianza entrano in conflitto con la sottomissione alla volontà altrui) (v. Whitaker e Lieberman, 1964).
In quarto luogo, molti hanno scoperto che i ruoli maschili e femminili sono piuttosto problematici e investiti di forte tensione. Quanto più si approfondisce l'analisi, tanto più chiaramente emergono le differenze tra i sessi e si rivela erronea l'idea che si tratti di differenze superficiali. Mentre molte donne sperimentano una rinnovata urgenza di trovare modi efficaci di cambiare i ruoli legati al sesso, sia all'interno del gruppo di analisi che nei contesti esterni, gli uomini mostrano la tendenza a disinteressarsi del problema (v. Bayes e Newton, 1985).
In quinto luogo, molti membri di questi gruppi sulle prime restavano perplessi nel constatare che, pur ampliando e approfondendo le loro analisi, il loro lavoro analitico non riusciva mai a mettersi in pari con il materiale prodotto (il quale naturalmente includeva le stesse analisi), e finivano per convincersi che il loro lavoro non era mai - e non avrebbe mai potuto essere - portato a termine, che il loro obiettivo era irraggiungibile. Il primo principio suggerito da questa esperienza è che i metodi di analisi del secondo ordine, per loro natura, producono più informazioni di quelle che possono essere analizzate; il secondo è che esse non sono destinate a raggiungere un risultato predeterminato, bensì a facilitare un'interazione tra pensiero e azione che consenta di apprendere dei metodi per conoscere le dinamiche del sistema (v. Mills, 1990).Infine, si è avuta una crescente consapevolezza del fatto che tra il microsistema rappresentato dal gruppo e i macrosistemi rappresentati da unità più ampie, quali istituzioni, comunità, società, ecc., sussistono sottili connessioni che hanno recentemente attirato l'attenzione dei sociologi (v. Alexander e altri, 1987).
In ogni caso i gruppi del secondo ordine hanno determinato in se stessi dei progressi analitici. In primo luogo, i gruppi di auto-osservazione e quelli di training sono stati istituzionalizzati in molti paesi, rendendo più accessibile agli interessati quest'esperienza (v. Klein, 1978). In secondo luogo, l'effetto di retroazione è stato potenziato in modo che i partecipanti possano avere un'informazione più completa su ciò che accade nel loro gruppo, ad esempio attraverso la ritrasmissione di videocassette di episodi critici i quali possono così essere riesaminati e rianalizzati, oppure attraverso l'applicazione di metodi di valutazione e di classificazione a più livelli, i cui risultati vengono forniti in tempi rapidi ai partecipanti (v. Bales e Cohen, 1979). In terzo luogo, sono state ideate conferenze di più gruppi in modo da estendere le analisi del secondo ordine alle relazioni intergruppo e a gruppi più ampi. In quarto luogo, queste tecniche avanzate hanno messo in luce nuovi aspetti e nuovi fenomeni relativi ai gruppi, e sono così diventate in se stesse una ricca fonte di nuovo materiale. Un interessante esempio di messa a frutto di questo ampliamento cognitivo è dato dal resoconto di una indagine condotta da una équipe di studiosi sui rapporti di autorità osservati in una serie di conferenze intergruppo organizzate anzitutto per studiare e sperimentare tali rapporti (v. Correa e altri, 1988).
Dacché il piccolo gruppo è diventato oggetto di studio e si è riconosciuta la sua importanza non solo in rapporto ai vari ambiti disciplinari delle scienze sociali, ma anche in rapporto alle categorie professionali in generale, sono stati sviluppati via via diversi metodi di analisi che vanno dall'osservazione diretta sul campo a sistemi analitici del secondo ordine relativamente sofisticati. L'uso continuato di questi metodi ha ampliato enormemente l'ambito dell'analisi mettendo in luce nuovi fenomeni e nuovi aspetti delle dinamiche di gruppo, arricchendo altresì l'esperienza dell'applicazione pratica delle conoscenze acquisite.
Restano tuttavia svariati problemi, tra i quali i seguenti: come si può ampliare ulteriormente l'ambito d'osservazione per includervi sia i processi inconsci all'interno del gruppo che le influenze spesso sottili provenienti dall'esterno? In che modo si può ridurre ulteriormente il divario tra gli eventi che si verificano nel gruppo e la loro comprensione (da parte sia dei ricercatori che dei partecipanti) e come si può, corrispondentemente, ridurre il divario tra l'acquisizione di tale comprensione e l'effettuazione di adeguati cambiamenti (da parte dei membri nel loro gruppo e da parte dei ricercatori nelle loro teorie)? Infine, quali equazioni di trasposizione consentono ai ricercatori di applicare ad altri gruppi e ai macrosistemi i risultati ottenuti in un determinato contesto, ad esempio il laboratorio o il gruppo di autoanalisi?
Siamo alle soglie di nuovi sviluppi che potranno o meno fornire una risposta diretta a questi interrogativi, ma che sicuramente introdurranno dei cambiamenti nelle procedure operative. Sono state sviluppate reti di elaboratori elettronici di facile accesso e sufficientemente potenti da consentire di trasmettere istantaneamente immagini complesse e animate a migliaia di monitors distribuiti in tutto il mondo. Ciò significa che le immagini di situazioni sperimentali programmate in un determinato centro di ricerca sono accessibili a un insieme di 'co-osservatori' realmente eterogeneo, che include non solo gli esponenti di varie discipline (psicologi, sociologi, antropologi, psichiatri) e di differenti orientamenti teorici (interazionismo simbolico, teorie del conflitto, postmodernismo, struttural-funzionalismo, psicanalisi), ma anche di diverse culture. La possibilità di confrontare in tempo reale le reazioni a un medesimo evento e di formulare previsioni sugli sviluppi successivi favorirà quasi certamente un interscambio meno particolaristico e più democratico, creando nuove reti di cooperazione dalle quali possiamo attenderci come minimo lo sviluppo di nuovi metodi d'analisi e nel migliore dei casi l'elaborazione di modelli assai più potenti delle dinamiche di gruppo. (V. anche Interazione sociale; Metodo e tecniche nelle scienze sociali).
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