Anastasi
di J. Zervou Tognazzi
La parola greca ἀνάστασιϚ (risurrezione) indica la risurrezione di Cristo nonché la risurrezione finale dei morti. Per a. si intende anche, dal sec. 4°, il luogo del sepolcro di Cristo, la 'santa grotta' inclusa nella basilica di Gerusalemme, poi la basilica stessa e, in seguito, altre chiese sia in Oriente sia in Occidente.
Da un punto di vista iconografico si tratta di un tema specifico e proprio della tradizione bizantina, connesso alla rappresentazione della discesa di Cristo agli inferi, evento predetto dal profeta Davide (Sal. 16[15], 9-10; 69[68], 21; 88[87], 6) e affermato dagli apostoli (At. 2, 29-32), e specialmente da Pietro (1 Pt. 3, 18-20). Poiché gli scritti veterotestamentari, nei quali è racchiusa la verità dogmatica del mistero dell'a., si esprimono per allegorie, essi vennero spiegati dagli apostoli in forma piana e accessibile mediante una predicazione che, trasmessa ai loro successori, ha costituito la testimonianza orale apostolica, ovverossia la altrimenti detta tradizione apostolica. Più tardi, a loro volta, ai suddetti passi dei Salmi, degli Atti degli Apostoli e dell'Epistola di Pietro venne conferita una specifica sistemazione in maniera canonica; l'Epistola in particolare venne commentata tra i secc. 2° e 5° da Clemente Alessandrino (PG, IX, coll. 93-101), Giovanni Crisostomo (PG, L, coll. 417-432), Epifanio (PG, XLIII, coll. 77-80) e Cirillo di Alessandria (PG, LXXIV, coll. 1011-1016). Molto presto, probabilmente tra i secc. 1° e 2°, furono formulati gli articoli di fede, tracciati dagli stessi apostoli in diretto riferimento al messaggio di Cristo stesso, come afferma Tertulliano (PL, II, coll. 791-886), e il Credo Apostolico (Symbolum Apostolorum) che, come riporta Rufino di Aquileia, si recitava nella confessione del battesimo (Kelly, 1952), ove viene affermato che il Cristo "crucifixus sub Pontio Pilato et sepultus, descendit in inferna, tertia die resurrexit a mortuis" (Denzinger, 1967). È su questa base che Cirillo di Gerusalemme (m. 386) afferma, nella catechesi ai nuovi battezzati, che il battesimo anticipa la discesa agli inferi (PG, XXX, col. 441). Anonimo e di epoca imprecisabile è l'apocrifo che narra la discesa di Cristo agli inferi (unito con gli Atti di Pilato, ha il titolo di Memorie di Nicodemo o Vangelo di Nicodemo) sviluppando con abbondanza di particolari il Credo della Chiesa, l'Epistola di Pietro e il Symbolum Apostolorum, non senza basarsi per questo anche sulla tradizione e sugli scritti dei commentatori. In questo si immagina che, insieme a Cristo, siano risorti i due figli del profeta Simeone, i quali, convocati dal sinedrio, avrebbero testimoniato per iscritto la loro permanenza negli inferi, la discesa di Cristo nell'ade, la liberazione dei carcerati e la sconfitta di Satana, particolari questi peraltro ignorati da tutti gli scrittori ecclesiastici, il che attesta la mancanza della approvazione della Chiesa. Si ritiene che la redazione primitiva della narrazione abbia subìto elaborazioni successive e che la versione di cui si dispone, pervenuta in codici posteriori al sec. 11°, non sia anteriore all'epoca carolingia (Apocrifi del Nuovo Testamento, 1971).
I Padri della Chiesa, al contrario dell'apocrifo, consideravano la discesa di Cristo agli inferi un mistero, privo di testimonianze, che spiega e conclude la storia della salvezza, iniziatasi con un altro mistero, quello dell'incarnazione (Giovanni Damasceno; PG, XCIV, col. 1101). Nelle loro omelie si trova infatti in vario modo concordemente affermato che Cristo discese agli inferi (come si canta anche nel mattutino del sabato santo) e, dopo avere infranto le porte dell'ade, liberò le anime di Adamo ed Eva, di Mosè e Noè, dei re Davide e Salomone e del più grande dei profeti, Giovanni Battista, il suo precursore (Epifanio, PG, XLIII, coll. 452, 465; Giovanni Crisostomo, PG, L, coll. 417-432, 821-822; LXI, coll. 733-734; Proclo, PG, LXV, coll. 789-800; Cirillo di Alessandria, PG, LXXVII, coll. 969, 981). Tutti questi particolari confluiscono nella raffigurazione canonica dell'a. che, evitando sempre rigorosamente elementi di provenienza apocrifa, venne codificata in ambito bizantino tra il 5° e il 6° secolo. Di norma, al centro della composizione compare il Cristo che spesso tiene con la sinistra la croce del martirio mentre con la destra innalza Adamo. Punto focale della composizione non è Cristo risorto e quindi vincitore, ma la potenza con la quale egli innalza Adamo; in questo atto di liberazione è racchiuso di fatto il riscatto dell'intero genere umano. A destra e a sinistra sono rappresentate tombe aperte, dalle quali vengono liberati Eva, Davide, Salomone, i giusti e s. Giovanni Battista; Cristo calpesta le forze del male, raffigurate in sembianze umane, e le porte infrante dell'ade, mentre paletti, chiavi, chiavistelli e catene spezzate sono sparsi nell'antro dell'oltretomba. Il Credo della Chiesa, espresso nella discesa di Cristo nell'ade, è la salvezza dell'umanità, la vittoria del bene sul male. Ed è questo Credo che si manifesta nell'iconografia dell'anastasi.
Bibliografia
Fonti:
Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di L. Moraldi, Torino 1971, I, pp. 519-659.
Cirillo di Gerusalemme, Catechesis III. De Baptismo, in PG, XXXIII, coll. 425-450.
Epifanio di Salamina, Ancoratus, XXXIV, ivi, XLIII, coll. 77-80.
id., Dubia aut spuria, Homilia II. In Sabbato Magno, ivi, coll. 440-464.
id., Homilia III. In die resurrectionis Christi, ivi, coll. 465-477.
Giovanni Crisostomo, De resurrectione mortuorum, ivi, L, coll. 417-432.
id., In triduanam resurrectionem, ivi, coll. 821-822.
id., In triduanam resurrectionem, ivi, LXI, coll. 733-738.
Cirillo di Alessandria, In Epistolam I. B. Petri, ivi, LXXIV, coll. 1011-1016.
id., Homilia Paschalis XXX, ivi, LXXVII, coll. 969-981.
Proclo, In Sanctum Pascha, ivi, LXV, coll. 789-800.
Giovanni Damasceno, De Fide Ortodoxa. Lib.III. De Descensu ad inferos, ivi, XCIV, col. 1101A-B.
Tertulliano, Liber de resurrectione carnis, in PL, II, coll. 791-886.
Rufino di Aquileia, Expositio Symboli, in Corpus Christianorum Lat., XX, 1961, pp. 125-182.
Letteratura critica:
J.N.D. Kelly, Early Christian Creeds, London-New York-Toronto 1952 (Oxford 19722).
H.Denzinger, Enchiridion Symbolorum, Roma 1967.
di M. Mihályi
Lo studio delle rappresentazioni dell'a. rivela come l'evoluzione della sua iconografia, nata con estrema probabilità in ambito siriaco-palestinese (Schiller, 19862, p. 43), sia inscindibilmente legata a quella del tema cristologico della morte del Salvatore, centrale nelle dispute religiose del sec. 7°, come dimostrano le numerose opere apocrife, quelle omiletiche e gli inni relativi alla sepoltura di Cristo, alla sua vittoria sull'ade e alla conseguente risurrezione dei defunti. Tuttavia nessun testo specifico può essere considerato come la fonte unica e univoca dell'iconografia dell'a., che si presenta in più varianti fin dal momento della sua comparsa.
Le prime rappresentazioni dell'a. risalgono all'età altomedievale. Sul lato inferiore del coperchio lavorato a niello della Stauroteca Fieschi Morgan (New York, Metropolitan Mus. of Art) - considerata di provenienza siriaca (Lucchesi Palli, 1962) e datata generalmente al 700 ca., ma recentemente attribuita alla produzione costantinopolitana e al primo quarto del sec. 9° (Kartsonis, 1986) - Cristo, di dimensioni maggiori rispetto a quelle delle altre figure e rivolto verso destra, tende la mano ad Adamo, secondo il modello antico dell'immagine dell'imperatore liberator o restitutor (Schiller, 19862, p. 44); contemporaneamente calpesta la personificazione del male che, coperta solo da un perizoma, tenta di trattenere il progenitore. Eva, alle spalle di Adamo, tende le mani verso il Salvatore e, sullo sfondo, compaiono le porte incrociate, ovvero scardinate, dell'ade; a sinistra Davide e Salomone, la cui presenza è di riferimento all'umanità di Cristo e alla realtà storica della sua esistenza terrena, escono da un sarcofago. Lo stesso schema è presente anche in altre opere databili ai secc. 8° e 9°, come la stauroteca nella pieve di S. Maria e S. Giovanni a Vicopisano (Pisa), dove l'ade è ridotto a un abbozzo e i raggi emanati dalla figura del Cristo qualificano il suo arrivo negli inferi come apparizione della luce nel regno oscuro dell'aldilà.
Su scala monumentale la rappresentazione compare negli affreschi delle chiese rupestri della Cappadocia datati dal sec. 10° al 12° (per es. in S. Barbara a Soğanlı, 1006 o 1021), nei quali il Cristo viene talvolta raffigurato racchiuso entro una mandorla, o nimbo trinitario, mentre Adamo è effigiato anziano e i due re sono caratterizzati come figure di età diversa. Il modello iconografico con Davide e Salomone in alto a sinistra, in genere assenti nelle immagini occidentali dell'a., e Cristo nella mandorla di luce, è presente anche a Roma nel mosaico frammentario della cappella di S. Zenone in S. Prassede (817-824), dove il Salvatore è accompagnato da un angelo. Quest'ultimo, in particolare, soggetto raro nell'iconografia bizantina dell'a. prima del sec. 13°, è stato identificato (Davis-Weyer, 1976) come motivo originario dell'Italia settentrionale, presente per la prima volta negli affreschi della chiesa di S. Giovanni Battista a Müstair (Grigioni) nell'800 ca. e in seguito, per es., nell'immagine dell'assedio dell'ade da parte di Cristo (Salterio di Stoccarda, 820-830 ca., proveniente da Saint-Germain-des-Prés; Stoccarda, Württembergische Landesbibl., lat. 23, c. 29v) e in scene in cui il Salvatore attacca Satana (Gaeta, Mus. Diocesano, Exultet 2, Discesa al Limbo; sec. 11°-12°).
Una variante iconografica dell'a., semplificata, è caratteristica delle rappresentazioni romane. Negli affreschi, molto deteriorati, di S. Maria Antiqua, databili all'età di papa Giovanni VII (705-707), dove l'a. compare al di fuori di un ciclo cristologico, il Redentore è rivolto verso Adamo a sinistra, mentre, oltre ai re, mancano Eva - spesso assente nelle raffigurazioni di area italiana - e probabilmente anche le porte dell'oltretomba; Ade oppone ancora resistenza, secondo un'iconografia che sottolinea la forza di Cristo in azione, il trionfo della sua divinità che, attraverso la sua incarnazione, attua il miracolo della risurrezione.
Nell'illustrazione dei salteri a decorazioni marginali dei secc. 9°-11°, l'a. presenta caratteristiche particolari, in quanto il legame delle raffigurazioni con il testo, in particolare i Sal. 69(68) e 107(106) riferiti alla discesa al limbo, costituisce la premessa per la creazione di elementi iconografici specifici, non privi di influenza sulla stessa iconografia di età mediobizantina, ma soprattutto occidentale. Caratteristica è l'assenza dei due re e la presenza invece di numerose piccole figure demoniache. In una miniatura del Salterio Chludov (redatto subito dopo l'815; Mosca, Gosudarstvennyi Istoritscheskij Muz., Cod. 129, c. 63r), Cristo porta un rotolo, e, circoscritto da un alone trinitario, innalza Adamo - secondo lo schema più diffuso soprattutto a partire dal sec.11° - mentre dietro al progenitore è rappresentata Eva; particolare è la grande figura del male, un essere grasso, dalla carnagione scura, sul cui ventre si svolge l'a.; tutt'intorno numerose creature alate costituiscono gli esseri minacciosi cui fa riferimento il salmo. Nell'a. affrescata nella chiesa inferiore di S. Clemente a Roma (847-855), dove è assente la personificazione dell'ade, il limbo è semplicemente un antro buio con le fiamme, che insieme alla rappresentazione di Adamo ed Eva privi di vesti (affreschi nella basilica di S. Angelo in Formis presso Capua, 1072-1087, in cui Cristo porta nella sinistra il rotolo, in quanto logos; chiesa abbaziale di Klosterneuburg presso Vienna, altare di Nicola di Verdun, 1181), costituiscono un elemento iconografico di origine occidentale.
In età mediobizantina la figura di Cristo divenne centrale all'interno della composizione; i re potevano essere rappresentati a figura intera e si aggiunse inoltre l'immagine di s. Giovanni Battista che indica il Salvatore in un gruppo contrapposto a quello dei progenitori. Nel corso del sec. 10° aumentò progressivamente il numero delle figure presenti nell'iconografia dell'a., con l'aggiunta di profeti e patriarchi; a volte manca la personificazione dell'ade e il Cristo calpesta le porte infrante. In una miniatura di un lezionario greco della metà del sec. 10° (Leningrado, Saltykov-Ščedrin, gr. 21, c. 2) - comprendente il Cristo nella mandorla, senza la croce, che procede da destra verso sinistra, calpestando la figura di Ade con i piedi incatenati - compare in alto l'iscrizione relativa all'immagine, ΑΝΑΣΤΑΣΙΣ, comune nelle opere bizantine a partire dal 9° secolo. Il tipo di a. che prevede i due re, generalmente a mezzo busto, frequente nel sec. 10°, venne in parte sostituito nel secolo successivo da un secondo tipo iconografico (già noto peraltro dal sec. 9°, come mostra l'esempio della croce reliquiario di Pasquale I, 817-824; Roma, BAV, Mus. Sacro), destinato ad avere notevole diffusione, per es. negli exultet: così Roma, BAV, lat. 9820, dove è bene evidenziata in un doppio episodio la discesa di Cristo agli inferi e la successiva ascesa e dove, in alto a sinistra, sono raffigurati i defunti non identificati cui si allude in Mt. 27, 52. Tale modello è caratterizzato dalla figura di Cristo che, recando la croce, simbolo della sua risurrezione, estrae Adamo dall'ade. La croce, come riferimento alla passione e morte, divenne elemento iconografico sostanzialmente costante: in questo tipo di a. si pone di fatto l'accento sul Cristo che risorge, piuttosto che sul suo scontro con Ade, che giace ormai sconfitto, non oppone resistenza o viene addirittura omesso. A questo schema iconografico si ricollega anche il mosaico della chiesa del monastero di Dafni, in Attica, del sec. 11°, in cui Cristo, visto di tre quarti, calpesta Ade incatenato mani e piedi e porta la doppia croce, diffusa nella Chiesa d'Oriente; in altri casi - per es. nei mosaici della Nea Moni di Chio (1042-1056) e negli affreschi della chiesa della Trinità nel monastero di Sopočani (Iugoslavia), della metà del sec. 13° - il Cristo è proteso a sollevare Adamo. Nel mosaico del katholikon di Hosios Lukas, in Focide, databile intorno al 1025, la composizione viene semplificata e il Redentore, che impugna la croce con la destra, è raffigurato nell'atto di avanzare, trionfante sulla morte, portando con sé Adamo, secondo un modello diffuso in Occidente, per es. nei mosaici della basilica di S. Marco a Venezia (1200 ca., volta c.d. della Passione): si noti inoltre la raffigurazione, nell'antro oscuro, di chiavi, paletti e chiavistelli, indicanti l'avvenuta distruzione delle porte dell'ade, caratteristica iconografica estremamente diffusa.
All'interno dello schema consolidato, con i progenitori, i re, i giusti e l'ade, numero e disposizione dei personaggi variano talvolta sensibilmente: in un affresco della metà del sec. 11° nella cattedrale di Santa Sofia a Kiev i gruppi laterali si sviluppano occupando tutto lo spazio disponibile. In una miniatura di un manoscritto del Monte Athos (monastero di Lavra, skeuophylakion, lezionario, c. 1v; primo quarto del sec. 11°) compare Abele, riconoscibile dal pastorale che impugna, effigiato accanto ad Adamo, come prefigurazione del sacrificio, frequente soprattutto a partire da quest'epoca; si noti la raffigurazione del paesaggio al di sopra dell'oltretomba: l'ade non è solo un antro oscuro, come negli esempi del sec. 9°, ma, secondo un'iconografia diffusa a partire dagli inizi del sec. 10° che denota l'interesse per la sua topografia, viene descritta la regione, in genere rocciosa, al di sotto della quale è situato, identificando così il luogo in cui si svolge l'evento che prelude alla redenzione. L'origine di un ulteriore tipo di a. risalirebbe a raffigurazioni di lezionari greci del sec. 10°, dove compare come immagine introduttiva in relazione alle letture della liturgia pasquale, ed è caratterizzata dal motivo delle ferite di Cristo, la cui figura, isolata sulla sommità di una collinetta, è affiancata da Adamo ed Eva, inginocchiati in posizione simmetrica rispetto al Redentore, secondo un modello presente nelle illustrazioni dei salteri fin dalla seconda metà del sec. 9° e che ebbe grande diffusione a partire dal Trecento, come mostrano gli affreschi del parekklesion meridionale della Kariye Cami a Costantinopoli (1310-1320) per loro conto in rapporto, come i mosaici della controfacciata del duomo di Torcello, con un'immagine di Giudizio universale.
Anche in ambito occidentale il tema dell'a. mantenne fondamentalmente, durante il Medioevo, lo schema iconografico bizantino; ciononostante numerosi elementi iconografici costituiscono varianti peculiari. Così nel Salterio Cotton, eseguito a Winchester nel 1050 ca. (Londra, BL, Cott. Tib. C. VI, c. 14), l'antro dell'oltretomba è sostituito dalle fauci di un animale mostruoso (iconografia presente in area francese e inglese dal sec. 11° e adottata nell'arte di area tedesca solo dal Trecento; si veda l'altare di Maestro Bertram di Minden, conservato a Hannover, Niedersächsisches Landesmus., Landesgal.) e Cristo calpesta non più l'Ade personificato, bensì il diavolo in catene. Nell'immagine di a. dell'Apocalisse di Beato (Spagna settentrionale, 975 ca.; Gerona, Mus. de la Catedral, Arch. y Bibl., 7, c. 17) è evidente la distinzione tra il limbo - dove, contrariamente alle immagini bizantine, le figure sono prive di vesti - e l'inferno vero e proprio, luogo della dannazione eterna, all'interno del quale regna circondato da serpenti il suo sovrano; nella parte superiore Cristo, il cui arrivo è annunciato da s. Giovanni Battista, salva Adamo.
Rientrano in un gruppo a parte le rappresentazioni di a. negli exultet dell'Italia meridionale (secc. 10°-11°), utilizzati per la liturgia pasquale, che mostrano la sconfitta del diavolo e la liberazione dei giusti in due rappresentazioni divise.
Nell'a. occidentale il fattore sottolineato non è tanto il motivo della liberazione dei progenitori, presenti quindi come rappresentanti dell'umanità e dei giusti, dal regno della morte, bensì quello della dimostrazione della potenza nell'inferno di Cristo risorto: da tale concezione deriva quindi anche la presenza della scorta angelica (Evangeliario di Liutold, scuola salisburghese, sec.12°; Vienna, Öst. Nat. Bibl., 1244, c. 1890) e l'atto di colpire il diavolo (Salterio di Arundel, sec. 13°; Londra, BL, Arund. 83, c. 132), caratteristici delle immagini occidentali. Il limbo compare raffigurato con elementi legati all'iconografia dell'inferno tipici delle immagini di Giudizio universale, ivi comprese le fiamme, oppure come un drago o un leone (in quanto simbolo del male), oppure ancora come prigione (Passionale di Cunegonda, 1314-1321; Praga, Univ. Kníhovna, XIV A 17), spesso difesa da diavoli. L'Ade è a volte raffigurato nelle vesti di un sovrano (Sal. 24,7; Vangelo di Nicodemo, V) come su una colonna del ciborio in S. Marco a Venezia (sec.13°). Il Cristo che calpesta il corpo di Ade sollevando Adamo e, contemporaneamente, anche Eva, compare tra i disegni del codice conservato a Wolfenbüttel (Herzog August Bibl., 61.2, cc. 90r e v, 92v), insieme alla folla degli eletti guidati da s. Giovanni Battista.
In ambito occidentale il Salvatore in genere non mostra le ferite, ma ha quasi sempre la croce, che presenta dal sec. 12° in poi il vessillo. Duccio di Buoninsegna, tra il 1308 e il 1311, rappresentò l'a. sul retro della tavola con la Maestà (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana) secondo i canoni dell'iconografia bizantina, ma raffigurando Cristo con la croce su cui sventola un vessillo e conferendo alla scena carattere trionfale a sottolineare la gloria di Cristo nell'atto della risurrezione.
All'interno del ciclo cristologico l'a. è collocata generalmente tra la crocifissione (o la deposizione) e la risurrezione o l'ascensione, mentre in età tardomedievale si trova spesso tra le scene di glorificazione di Cristo, già risorto, ovvero subito dopo la visita delle pie donne al sepolcro (Skubiszewski, 1982).
Bibliografia
M. Bauer, Die Ikonographie der Höllenfahrt Christi von ihren Anfängen bis zum 16. Jahrhundert (tesi), Göttingen 1948.
H.J. Schultz, Die Höllenfahrt als "Anastasis", Zeitschrift für katholische Theologie 81, 1959, pp. 1-66.
E. Lucchesi Palli, Der syrisch-palästinesische Darstellungstypus der Höllenfahrt Christi, RömQ 57, 1962, pp. 250-267.
J. Kroll, Gott und Hölle. Der Mythos vom Descensuskampfe, Leipzig 1963.
W. Loeschke, Der Griff ans Handgelenk, Skizze einer motivgeschichtlichen Untersuchung, in Festschrift P. Metz, Berlin 1965, p. 55 ss.
E. Lucchesi Palli, s.v. Anastasis, in RbK, I, 1966, coll. 142-148.
id., s. v. Höllenfahrt Christi, in LCI, II, 1970, coll. 322-331.
C. Davis-Weyer, Die ältesten Darstellungen der Hadesfahrt Christi, das Evangelium Nikodemi und ein Mosaik der Zeno-Kapelle, in Roma e l'età carolingia, "Atti delle giornate di studio dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Roma, Roma 1976", Roma 1976, pp. 183-194.
A. Grabar, Essai sur les anciennes représentations de la 'Résurrection du Christ', MPiot 63, 1980, pp. 105-141.
P. Skubiszewski, La place de la Descente aux Limbes dans les cycles christologiques préromans et romans, in Romanico padano, romanico europeo, Parma 1982, pp. 313-321.
A.D. Kartsonis, Anastasis. The Making of an Image, Princeton 1986.
G. Schiller, Ikonographie der christlichen Kunst, III, Gutersloh 19862 (1971), pp. 41-62.