ANASTASIO I (Flavius Anastasius), Imperatore d'Oriente
Nacque in Dyrrachion (Durazzo), nel 431, da oscura famiglia. Dalla modesta carica di silentiarius, ch'egli occupava a corte, fu, alla morte dell'imperatore Zenone (11 aprile 491), improvvisamente sbalzato al trono imperiale per volonta dell'imperatrice vedova, Arianna, che gli offri ad un tempo la propria mano e la corona. Soltanto la cricca degli Isaurî, che fin'allora aveva spadroneggiato in Costantinopoli, temendo di perdere i benefizî di cui godeva, contrastò l'elezione, insieme col patriarca Eufemio che riteneva A. monofisita. Ma, avendo Anastasio promesso per iscritto di nulla innovare nella dottrina ortodossa e di rispettare le decisioni del concilio di Calcedonia, Eufemio più non si oppose; e il 14 aprile poté celebrarsi solennemente la cerimonia dell'incoronazione. Non così gli Isaurî, i quali, allontanati da Bisanzio, fecero insorgere l'Isauria, turbolentissima provincia dell'Impero nell'Asia Minore, che solo dopo cinque anni di fiera guerra fu potuta domare. A. dovette impegnare tutte le forze dell'Impero anche contro formidabili nemici esterni. Dal confine danubiano, orde numerose di barbari, fra cui Slavi, a partire dal 493 invadono l'Impero, avanzandosi nella Tracia, nella Macedonia e nella Tessaglia. Nel 499 fanno la loro apparizione anche i Bulgari, popolo di razza ugro-finnica, iniziando, contemporaneamente agli Slavi, quel moto di popoli a sud del Danubio che doveva rompere e disgregare la forza del romanesimo nella penisola balcanica, modificandone l'assetto etnico. A difesa della capitale, contro le sempre rinnovantisi razzie slavo-bulgare, A. fece costruire delle solide mura da Selimbria sulla Propontide a Derkon sul mar di Marmara (507). In Oriente egli dovette fronteggiare il re di Persia Qawādh che, approfittando degli imbarazzi dell'Impero, gli mosse guerra nel 502, occupando Theodosiopolis (Erzerum), nell'Armenia bizantina, e, poco dopo (503) Amida, la maggiore fortezza romana sul confine della Mesopotamia. Ma anche questa minaccia fu rintuzzata; e i Persiani, dopo sanguinosi sforzi, dovettero nel 506 concludere la pace sulla base dello status quo. L'anno seguente, A. trasformò il piccolo villaggio di Dara in una formidabile fortezza, che per lungo tempo doveva rimanere il più valido baluardo del confine mesopotamico dell'Impero.
Con i re barbari che avevano occupato le lontane provincie dell'Occidente, Italia e Gallia, A. adottò una prudente linea di condotta, che, senza pregiudicare i diritti sovrani dell'Impero, permetteva buone relazioni fra quei re e la corte bizantina. Così, nel 498, egli conchiuse con Teodorico un accordo in forza del quale il re degli Ostrogoti, mentre otteneva una legale sanzione del suo dominio in Italia, riconosceva l'alta potestà dell'imperatore. Eguale accordo conchiuse, più tardi, col re dei Franchi, Clodoveo, che ebbe insegne consolari e titolo di patrizio.
Sebbene queste continue guerre di difesa assai gravassero l'erario, l'imperatore svolse tuttavia una politica di sgravî finanziarî, esentando molte città, danneggiate dalla guerra, dal pagamento delle imposte, abolendo una delle tasse che più pesavano sul popolo, il cosiddetto chrysargyron, e l'uso di vendere le cariche dello stato. E nonostante ciò, egli, morendo, lasciò al suo successore - cosa rara negli annali finanziarî dell'Impero - un tesoro che fu valutato a 320.000 libbre d'oro, pari a circa 360.000.000 delle nostre lire-oro. Nel campo sociale, sono notevoli i decreti coi quali A. proibì le feste orgiastiche di maggio (Maiuma), nelle quali si perpetuava un costume pagano (nello stesso tempo a Roma il papa Gelasio aboliva i Lupercali), e i combattimenti nell'ippodromo fra uomini e bestie. Il lato più debole della politica di A. fu la sua condotta religiosa. Era certamente difficile a un imperatore d'Oriente mantenersi estraneo alle lotte religiose che turbavano l'Impero, sia perché egli stesso partecipava della generale passione per le contese dogmatiche, sia perché quelle lotte avevano un'immediata ripercussione sull'atteggiamento delle varie provincie di fronte al governo. A., che aveva preso l'impegno di rispettare le decisioni del concilio di Calcedonia, non nascose, col tempo, le sue predilezioni pei monofisiti. E allora, il patriarca Eufemio fu allontanato da Costantinopoli, mentre a corte ebbero molto credito i campioni del monofisismo, quali Severo e Xenaia di Ierapoli. Un'intesa con Roma si rese impossibile; il popolo della capitale si turbò. Una prima insurrezione scoppiata quando, nella cappella imperiale, il coro aggiunse alle parole del Trisagion la frase "ὁ δι' ἡμᾶς σταυρωϑείς" (che fu crocifisso per noi), fu placata da A. che apparve nell'ippodromo, con la corona in mano, affermando di esser pronto ad abdicare se il popolo lo richiedeva. Ma il contrasto fra ortodossi e monofisiti continuò, degenerando in una vera persecuzione contro i primi. Invecchiando, A. si mostrò sempre più ligio alle sue convinzioni. Crebbe pertanto la sua impopolarità; e di ciò approfittò Vitaliano, un generale che era alla testa dei federati stanziati al confine danubiano. Atteggiandosi a difensore dell'ortodossia, egli insorse contro l'imperatore, marciò verso Costantinopoli alla testa di 50.000 uomini, sconfisse un esercito imperiale e ne catturò il generale, che era Ipazio, nipote dell'imperatore (514). A., costretto a capitolare, si impegnò a richiamare alle loro sedi i vescovi ortodossi già scacciati, a rispettare la fede calcedonese e a pagare 15.000 libbre d'oro come prezzo di riscatto del nipote. Vitaliano fu nominato magister militum per Thraciam. Non placati da questo accordo, i contrasti continuarono a tenere agitato l'Impero; e già Vitaliano moveva nuovamente contro la capitale, quando, il 9 luglio 518, A. moriva senza designare alcun successore.
Bibl.: J. B. Bury, A history of the later Roman Empire, I, Londra 1889, p. 290 segg.; H. Gelzer, Abriss der byzantinischen Kaisergeschichte, in Krumbacher, Gesch. d. byz. Litteratur, 2ª ed., p. 923 segg.; A. Rose, Anastasius I, Halle 1882; id., Die byz. Kirchenpolitik unter Kaiser A. I, Wohlau 1888; Oehler, Anatasius I, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 2066 seg.