Mozzi, Andrea de'
È il sodomita, menzionato, in tono di aspra repulsione (tal tigna), da Brunetto Latini (If XV 111-114) come Vescovo di Firenze trasferito da Bonifacio VIII alla minor sede di Vicenza, dove, morendo, lasciò li mal protesi nervi.
Fiorentino, della ricchissima famiglia guelfa de' M., fu a Bologna per gli studi giuridici, e a lungo, tra il 1248 e il 1256, in Inghilterra. Risulta poi, successivamente, cappellano pontificio di Alessandro IV, Gregorio X e Niccolò III; canonico della Chiesa fiorentina, e, più tardi, di quella di Cambrai; rappresentante delegato del cardinal Latino in Toscana, con autorità insieme ecclesiastica e politica, durante la missione pacificatrice svolta dal Frangipani come legato di Niccolò III; vescovo, infine, della sua città, dal 1287 al 1295: nel quale anno un breve di Bonifacio VIII (13 settembre), di evidente carattere punitivo, lo destinava a Vicenza, dove si spense dopo pochi mesi (febbraio del 1296) chiedendo di essere sepolto - come fu, a cura del fratello Tommaso - in Firenze, nella chiesa di San Gregorio eretta a spese della sua famiglia.
Del provvedimento pontificio, che dovette fare scandalo, è ricordo nella cronaca anonima dello pseudo-Brunetto, che istituisce un rapporto diretto tra la deposizione " di messer Andrea " e il fallito tentativo compiuto (luglio 1295) dai Grandi - tra cui un Vanni de' M. - di " manomettere il popolo per tutta la cittade ". Ma certo pesò, sulla decisione di Bonifacio, una serie di motivi remoti se è vero che il governo del M. nella diocesi fiorentina, pur mirando a " rialzarne le sorti " e a " dar lustro e splendore alla città ", fu in effetti " una trama ininterrotta di attriti e di contese, molte delle quali avevano un movente pecuniario, col clero regolare e secolare ". In un gruppo di lettere messe in luce nel 1938 da E. Sanesi, databili al 1291 circa, aventi per oggetto una vertenza, portata alla curia di Roma, fra i canonici di Santa Reparata e il vescovo, questi è accusato di violazione dei diritti altrui, di abuso di potere; e se ne attende dal papa (Niccolò IV) la condanna " maxime propter iniurias et afflictiones quas ipse infert clericis ". È notevole che il cardinal Caetani, il futuro Bonifacio VIII, vi si mostri avverso ai maneggi del presule, che tenta di propiziarsene il favore con l'offerta, rifiutata, di un palafreno. In una bolla del settembre 1291 Niccolò IV lo rimprovera di suscitar discordia tra i Fratelli della penitenza, parteggiando per i Neri ribelli ai moniti del papa, a danno e mortificazione dei Bigi; e gli ordina di restituir senza indugio la cassa da lui posta abusivamente sotto sequestro " in qua regula, privilegia, instrumenta, libri et quaedam res aliae ipsorum existebant ", prospettando la necessità di ricorrere, in caso contrario, a misure più severe. Morto il pontefice (4 aprile 1292), Andrea " autocratico e puntiglioso " non tenne più in alcun conto i suoi ordini (Meersseman). Si aggiunga infine l'opposizione inaspritasi, nel 1293, fra canonici e vescovo per la nuova dignità di " tesoriere ", " quae adnexam habebat praebendam canonicatus " (Ughelli), da lui istituita a favore di un nipote, Aldobrandino Cavalcanti, tutt'altro che idoneo a rivestirla (violento, " fino a strappare, perché contro di lui, gli statuti del capitolo ", tornò infatti a vita secolare non appena lo zio ebbe lasciata Firenze).
Quanto all'accusa di sodomia, non attingibile ad alcuna fonte all'infuori del poeta e dei suoi esegeti, si può ben credere col Sanesi " che in Firenze le male lingue intaccassero con facilità - e quindi con leggerezza - la fama di messer Andrea dando, della predilezione immeritata, l'interpretazione peggiore ". Voci infamanti corsero senza dubbio a carico del presule (che dei meriti di Aldobrandino si faceva garante nell'atto di nomina, " ex familiaritate et conversatione quam diutius nobiscum habuit "): un accenno alle ‛ male lingue ', ma riconosciute per tali dai suoi stessi oppositori, si legge anche in una delle lettere anzidette, di Cambio delle Panche. A torto o a ragione il poeta le raccolse, le ebbe per certe (come per l'Accursio, per Brunetto, per lo stesso Prisciano). Il Boccaccio scrive, dubbioso: " per questa miseria, nella quale forse era disonesto peccatore, e per molte altre sue sciocchezze che di lui si racontano nel vulgo, fu per opera di messer Tomaso... onorevole cavaliere e grande nel cospetto del papa ", nell'intento di " levar dinanzi degli occhi suoi e de' suoi cittadini tanta abominazione... permutato... in vescovo di Vicenza ".
Comunque sia di ciò, è da segnalare un forte divario tra i dati biografici accertati e l'immagine di uomo sprovveduto fino al ridicolo rimbalzata da un chiosatore all'altro, in un crescendo di scostumatezza e dappocaggine, che toccò il culmine in Benvenuto e Giovanni da Serravalle. E suscitò le riserve di S. Salvini e del Filalete, del Palandri e del Sanesi, e suscita oggi quelle del Meersseman; mentre il Pézard si avventura fino a negare che il M. sia punito per sodomia, a identificare nelle sue strambe prediche altrettante " bestemmie contro lo Spirito ".
Bibl. - Cronica fiorentina del secolo XIII, in Schiaffini, Testi 144; P.E. Palandri, Il vescovo A. de' M. nella storia e nella leggenda dantesca, in " Giorn. d. " XXXII (1929) 91-118; E. Sanesi, Del trasferimento di messer A. dei M. da Firenze a Vicenza, in " Studi d. " XXII (1938) 115-122; Davidsohn, Storia II I 440, II 155; A. Pézard, D. sous la pluie de feu, Parigi 1950 (recens. di F. Mazzoni, in " Studi d. " XXX [1951] 278-284); G.G. Meersseman, Dossier de l'Ordre de la Pénitence au XIII siècle, Friburgo 1961, 28, 30, 77; ID., Penitenza e Penitenti nella vita e nelle opere di D., in D. e la cultura veneta, Firenze 1966, 241-243; G. Fasoli, Veneti e Veneziani fra D. e i primi commentatori, ibid. 79.