Mantegna, Andrea
L’artista rinascimentale innamorato degli antichi eroi
Il pittore Andrea Mantegna fu uno dei massimi rappresentanti dell’arte italiana del Quattrocento. Amico di scrittori e antiquari, consapevole della propria importanza sociale, incarnò l’artista di corte tipico del Rinascimento. Ammirò profondamente il modo di vivere e di pensare degli antichi e cercò di ricrearlo nelle sue opere. Le altre sue passioni erano la prospettiva e la geologia: in quasi tutti i suoi dipinti troviamo incredibili paesaggi rocciosi che sembrano vedute desertiche e perfino le sue figure sembrano fatte di pietra più che di carne
Figlio del falegname Biagio, Mantegna nacque nel 1431, probabilmente a Isola di Carturo, tra Vicenza e Padova. A soli dieci anni, nel 1441, Andrea ebbe la fortuna di venire adottato da Francesco Squarcione, un pittore di scarse qualità artistiche ma di grandissima abilità imprenditoriale. Costui aveva impiantato un fiorente atelier a Padova ove aveva sistemato la sua bottega di antichità e dove educava, e sfruttava, i giovani talenti del luogo. Il migliore dei suoi allievi fu certamente il Mantegna, come lui stesso ammetteva con qualche invidia, e anche quello destinato a rendersi per primo indipendente dal maestro e a fare grande fortuna.
Durante un viaggio a Venezia, nel quale Squarcione porta con sé il figlioccio, Mantegna stipula un contratto con il patrigno in base al quale egli riacquista la propria libertà. A partire da questa data (1448) l’artista firma orgogliosamente le proprie opere autonome e subito la sua carriera si apre con importanti incarichi. Lo stesso anno Imperatrice Ovetari, vedova del notaio Antonio, chiama infatti il giovane Mantegna ad affrescare la cappella di famiglia dedicata ai ss. Giacomo e Cristoforo, nella chiesa degli Eremitani di Padova. Il lavoro, che in origine doveva essere condotto in collaborazione con altri artisti, venne portato avanti dal solo Mantegna. Il ciclo di affreschi è oggi in gran parte perduto a causa dei bombardamenti del 1944, ma rimangono alcuni frammenti, copie e antiche foto a testimoniare la grandiosità delle otto storie dedicate ai santi, un’impresa nella quale il giovane Mantegna appare già pienamente maturo. Nelle ambientazioni, con i palazzi e i monumenti antichi, nelle vesti di uomini e soldati, nei dettagli paesaggistici e decorativi, emerge già con tutta la sua forza l’ossessione, che accompagnò l’intera vita dell’artista, per la ricostruzione storica degli eventi rappresentati: oggi potremmo dire che Mantegna era un esperto di kolossal.
Di fronte a un episodio da dipingere Mantegna non tenta mai di rendere attuali i fatti puntando sui sentimenti, ma al contrario si limita a descrivere e a narrare gli eventi collocandoli in un tempo remoto, antico e a volte quasi preistorico. Così noi, osservando i suoi dipinti, non siamo mai portati a partecipare al dramma che vi si svolge, ma semmai siamo sopraffatti dalla meraviglia, come colui che ascolta storie meravigliose, esotiche e mirabolanti. È questo sentimento di meraviglia e inquietudine che pervade anche molte delle opere successive dell’artista, come il S. Sebastiano. di Vienna, del 1457 circa, o quello del Louvre, del 1480 circa. Ancora nel Cristo morto di Brera, del 1478-80, il dolore per la passione e morte di Cristo sono resi tramite la violenza dell’incredibile scorcio del Cristo, mostrato nella celebre angolatura molto strana, con i piedi in primo piano e la testa in fondo.
Nel 1453 Mantegna sposa Niccolosa Bellini, figlia di Jacopo e sorella di Gentile e Giovanni Bellini, tra i più importanti e famosi pittori veneziani del tempo. Il matrimonio, e la stretta relazione che ne conseguì con Giovanni Bellini, addolcirono in parte il severo carattere dell’artista. Non è immaginabile, infatti, incontro tra personalità più diverse: tutto devoto allo studio della storia, alla prospettiva e alla monumentalità Mantegna, mentre Bellini era sentimentale e malinconico, morbido, interessato alle atmosfere, alle luci e ai paesaggi. Per chiarire il rapporto tra due personalità artistiche così diverse tra loro, si fa spesso il confronto tra l’Orazione nell’orto di Andrea e il dipinto di uguale soggetto di Giovanni, entrambi alla National Gallery di Londra. Il tema trattato è identico, la composizione anche, ma se Bellini raffigura un Cristo molto umano, mentre contempla solitario l’alba, con toni soffusi e mistici, Mantegna narra l’intera vicenda in ogni dettaglio, con gli apostoli stesi di sbieco in basso, il Cristo al centro che parla con una schiera angelica, i soldati sul fondo e l’immancabile paesaggio desertico e roccioso.
Nel 1457 Ludovico Gonzaga marchese di Mantova invita ufficialmente Mantegna a trasferirsi presso la sua corte in qualità di pittore della famiglia e di consigliere artistico. Al suo arrivo nella città che fu di Virgilio, i dotti e gli scrittori del tempo fanno a gara a scriverne le lodi e lo accolgono come uno di loro. Soprattutto lo adotta come familiare l’illustre casata dei Gonzaga, capitanata da Ludovico e dalla moglie, la marchesa Barbara di Brandeburgo, e composta dai dieci figli, tra i quali il cardinale Francesco, il futuro successore di Ludovico, Francesco II, gli esili e malaticci Ludovichino, Paolina e Federico e il grasso Gianfrancesco. Tutta questa nutrita corte, compresi i segretari, i nani, i cani e i cavalli, venne immortalata dal Mantegna nel suo capolavoro: la camera del Palazzo Ducale affrescata tra il 1465 ed il 1474 e conosciuta come la Camera degli sposi.
Nella camera, che in realtà non era una camera da letto, come suggerirebbe il nome, ma doveva avere funzioni di rappresentanza, l’artista rappresentò la corte riunita intorno a Ludovico con Barbara nella parete nord, mentre nella parete ovest è raffigurato l’incontro di Ludovico con il cardinale Francesco alle porte di Roma, alla presenza di altri familiari, tra i quali Federico Gonzaga, e di Federico III d’Asburgo. Sul soffitto della camera, Mantegna dipinse un oculo (cioè una finestra di forma circolare) aperto sul cielo dal quale si affacciano giovani ragazze della corte, un moro con turbante, puttini alati e un pavone, creando uno dei primi esempi, nella storia dell’arte, di cupola con prospettiva illusoriamente aperta sul cielo. Una simile celebrazione del marchesato Gonzaga, solenne e familiare insieme, entusiasmò la famiglia di Ludovico che da allora non si separò mai più dall’artista.
Per Francesco Gonzaga, succeduto a Federico nella guida del regno, Mantegna eseguì intorno al 1490 la straordinaria serie di nove tele grandi quasi tre metri ciascuna, raffiguranti il Trionfo di Cesare. Una specie di corteo militare svolto a puntate in cui l’artista mise a frutto tutte le sue conoscenze su monumenti, riti, usi e costumi degli antichi e che ben si adattava, per il suo soggetto, alla figura di Francesco, condottiero continuamente impegnato nelle guerre.
La moglie di Francesco, Isabella d’Este, era costretta a vivere sempre sola, con un marito continuamente in guerra e lontano: per consolarsi, la marchesa si dedicò interamente alle arti e impiegò gran parte della sua vita a costruire, decorare e abbellire il suo studiolo, una zona privata del Palazzo Ducale in cui si ritirava a studiare, sentire musica, assistere a recite e balli. Non stupisce che Isabella si rivolgesse, per i dipinti dello studiolo, all’artista di casa, Andrea Mantegna. Questi eseguì il Parnaso, il Giardino della Virtù e il Regno di Como, dipinti dai soggetti mitologici e morali, in cui il pittore riuscì ad abbandonare ogni spigolosità e durezza per adattarsi al carattere e ai gusti della nuova marchesa di Mantova, donna colta e raffinata, certamente molto più incline alle arti e all’amore che alla guerra del marito. Andrea Mantegna morì a Mantova nel 1506.