PODESTA, Andrea
PODESTÀ, Andrea. – Nacque il 26 maggio 1832 a San Francesco d’Albaro, comune suburbano annesso nel 1873 a quello di Genova, da Luca e da Luigia Casanova.
Il padre, ingegnere del Genio militare, prima nell’esercito napoleonico poi in quello piemontese, fu in seguito direttore della Zecca di Genova.
Si laureò in legge nel 1854, ma praticò l’avvocatura solo per breve tempo. Consigliere e poi sindaco di San Francesco d’Albaro dal 1860 al 1865, negli stessi anni fu assessore a Voltri e si presentò alle elezioni municipali di Genova. Patrocinatori della candidatura furono il giornalista garibaldino Anton Giulio Barrili, il repubblicano Giuseppe Carcassi, difensore di Giuseppe Mazzini nel processo per i fatti del 1857, e il deputato provinciale Giovanni Maurizio, maestro di Podestà all’Università di Genova. Subito dopo l’elezione, avvenuta nel 1863, Podestà tenne l’assessorato ai Lavori pubblici e, tre anni più tardi, venne nominato sindaco. «Di incerta collocazione ideologica tra cattolicesimo liberale e laicismo moderato» (Garibbo, 2000, p. 228), avrebbe ricoperto la carica, con alcune soluzioni di continuità, per un quindicennio (1866-73, 1884-87, 1892-95).
La concezione ‘aziendalista’ e ‘paternalista’ del Comune, propria di Podestà, si risolse in uno stile amministrativo che sminuì il ruolo del Consiglio e della Giunta, valorizzando il binomio sindaco-segretario, incarico dal 1879 autorevolmente ricoperto da Raffaele Drago.
Attraverso operazioni urbanistiche speculative, Podestà si impegnò in un’opera di espansione, risanamento e sviluppo edilizio della città, che gli attirò accuse di affarismo. Propugnò il potenziamento del porto e l’ampliamento dei confini comunali, decretato nel 1873, attraverso l’annessione a Genova dei comuni limitrofi di Levante (Foce, Marassi, San Fruttuoso, Staglieno, San Francesco e San Martino d’Albaro). Nel 1892, sindaco non più di nomina regia ma – secondo il disposto della nuova legislazione comunale del 1888-89 – eletto dal Consiglio, sovrintese alle celebrazioni colombiane per il quattrocentesimo anniversario della scoperta dell’America.
Nello stesso tempo, occupò un posto negli organi di governo provinciale: nella Deputazione, che associava la funzione esecutiva a compiti di tutela sugli enti locali e, fin dal 1864, in Consiglio. Presiedette tale assemblea, nonostante la durata annuale dell’ufficio, dal 1870 al 1895, anno della sua morte.
Questa lunga carriera nelle magistrature locali attestava l’influenza notabilare di Podestà e, in anni caratterizzati dall’assenza di strutture partitiche, la sua personale capacità di mediazione, che egli investì anche sul piano politico. Eletto alla Camera il 10 marzo 1867 per il secondo collegio di Genova, vi fu confermato nel 1870 e nel 1874. Partecipò ai lavori parlamentari dai banchi della Destra, ma nelle elezioni del novembre 1876, allineatosi al centrosinistra, fu sconfitto dal conservatore Cristoforo Tomati, professore universitario di anatomia e fisiologia. Le dimissioni di quest’ultimo, nella primavera successiva, consentirono a Podestà di essere rieletto. Lo fu nuovamente nel 1880 e nelle elezioni a scrutinio di lista dell’ottobre 1882 per il collegio di Genova I.
In veste di deputato pronunciò discorsi, avanzò proposte e interpellanze, riferì su progetti di legge, fu membro di giunte e commissioni, tra cui quella di Vigilanza del debito pubblico, dimostrando «in ogni ufficio singolare intelligenza e molta pratica negli affari» (T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 774). Nel 1883 la sua seconda nomina a sindaco fu preceduta da quella a senatore del Regno, che ottenne per la terza categoria, riservata ai deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio.
Per un quarto di secolo Podestà ricoprì incarichi politici locali e nazionali, cumulando i mandati e imponendosi come elemento di raccordo tra centro e periferia. Da tale posizione operò in difesa degli interessi cittadini. Si oppose, ad esempio, alla soppressione del portofranco per le ricadute negative che avrebbe avuto sulla competitività e sui traffici genovesi. Nel 1870 promosse con i concittadini Stefano Castagnola, all’epoca ministro di Agricoltura Industria e Commercio, e Giacomo Millo, presidente della Camera di commercio, la creazione di un istituto destinato a formare gli ingegneri navali, la Scuola superiore navale, del cui consiglio direttivo avrebbe fatto parte.
La sua attenzione alla cultura tecnico-scientifica trovò riscontro anche nel contributo dato all’attivazione della Scuola superiore d’applicazione per gli studi commerciali, che presiedette. Convinto dell’importanza dell’istruzione quale fattore di sviluppo economico, si batté inoltre per ottenere il pareggiamento dell’Università di Genova a quelle di primo ordine.
Questo impegno diede continuità a una mutevole collocazione politica, che gli valse l’appellativo di ‘versipelle’. Sul finire degli anni Ottanta fu presidente dell’Associazione costituzionale genovese, ma alcuni decenni più tardi Francesco Ernesto Morando scrisse: «per quanto sedesse tanto nell’una camera quanto nell’altra al centro sinistro, io ancor oggi mi domando se realmente vi fu mai in lui una recisa ideazione politica, o se non piuttosto tutto non subordinasse agli interessi della sua ligure regione» (Anton Giulio Barrili e i suoi tempi, Napoli 1926, p. 176).
L’impegno politico era connesso a una solida posizione economica, che associava al patrimonio fondiario diversificati investimenti finanziari e imprenditoriali, soprattutto rivolti – coerentemente con le strategie dell’élite dirigente genovese – alle due aree di sottosviluppo territorialmente collegate alla città: il basso Alessandrino e la Sardegna. Fu infatti presidente sia della Società di colonizzazione per la Sardegna, nata per incoraggiare i flussi migratori dal continente verso l’isola e sostenerne lo sviluppo agricolo, sia della Compagnia generale delle miniere, costituitasi per lo sfruttamento delle risorse minerarie sarde. Verso il Piemonte, invece, acquistò numerosi terreni, accrescendo i suoi possedimenti dal nucleo originario di Palmaro, ereditato dal padre, ai comuni di Masone, Campo Ligure, Ceranesi, Prà, Voltri, Mele e, appunto, Alessandria.
Alla molteplicità degli investimenti corrisposero le numerose cariche ricoperte: nella Società italiana per le strade ferrate del Mediterraneo, nella Società veneta per imprese e costruzioni pubbliche, nell’Impresa dell’Esquilino e nella Società italiana per la raffineria degli zuccheri. Tali cariche testimoniavano come i suoi interessi si rivolgessero prevalentemente a settori (miniere, ferrovie, edilizia) strettamente legati alla politica, in un intreccio di cui Podestà costituì un nodo imprescindibile.
Gentiluomo di camera e amico personale di Vittorio Emanuele II, poté allargare le proprie aderenze a corte. Di nobiltà recente, avendo il padre ottenuto il titolo di barone da Carlo Alberto nel 1847, Podestà nel 1884 si vide riconosciuto lo stesso titolo per sé e i suoi discendenti primogeniti. Dalla moglie, Giuseppina Cataldi, che fu dama di palazzo della regina Margherita, ebbe cinque figli: Luisa Maria, Luca, Giulio, Maria Francesca, Anna Maria.
Morì a Genova il 4 marzo 1895.
Fonti e Bibl.: L’archivio privato, non inventariato, è conservato in nove buste presso la Biblioteca universitaria di Genova; alcune unità (diplomi, disegni, planimetrie) sono inoltre, nello stesso Istituto, nell’Archivio Andrea e Luca Podestà; sempre a Genova, al Museo del Risorgimento - Istituto mazziniano, sono conservate le Carte Podestà, le cui buste 106-107, relative agli anni 1885-87, sono probabilmente provenienti dal Gabinetto del sindaco. Manca una biografia di Podestà, la cui posizione nell’ambito della rete degli interessi cittadini si ricava da L. Garibbo, Politica, amministrazione e interessi a Genova (1815-1940), Milano 2000, ad indicem. Sull’attività parlamentare si vedano: Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/ deputato/andrea-podesta-18320526#nav (20 luglio 2015); Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9. senato.it/web/senregno.nsf/P_Regno?OpenPage (20 luglio 2015). Per il ruolo di sindaco si veda F. Mazzanti Pepe, L’amministrazione del Comune di Genova tra ’800 e ’900, Milano 1998 e, della stessa autrice, A. P. e gli altri sindaci del re a Genova: dinamiche istituzionali e stili di governo, in I sindaci del re 1859-1889, a cura di E. Colombo, Bologna 2010, pp. 145-170. L’attività di imprenditore, finanziere e notabile è ricostruita da G. Doria, Investimenti e sviluppo economico a Genova alla vigilia della prima guerra mondiale, I-II, Milano 1969-1973, ad ind.; P. Massa, A. P., sindaco di una città tra vecchia e nuova economia, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XXXVI (1996), 2, pp. 589-599; M. Doria, A. P.: il ruolo del barone-sindaco nella Genova postunitaria, in Palazzo Nicolosio Lomellino di Strada Nuova a Genova, a cura di G. Bozzo - B. Merlano - M. Rabino, Milano 2004, pp. 69-75. Infine, per informazioni sulla famiglia si rimanda a M. Bottaro - P. Ottonello - E. Spada, La famiglia Podestà. Potere ed economia a Genova, Prà e in Valle Stura tra Ottocento e Novecento, Genova 2008, pp. 61-100.