Poeta italiano (Pieve di Soligo 1921 - Conegliano 2011). La poesia di Z. s'inscrive nelle tracce e memorie del suo paese di nascita: "qui non resta che cingersi intorno il paesaggio", contemplato in Filò. Laureato in lettere a Padova nel 1942, e a lungo insegnante di scuola media, raramente si allontana dal suo altopiano, dalle tracce del "petèl", mentre la sua cultura, le traduzioni, la saggistica, di ampi orizzonti europei, rendono più vivida la sua "ignarità che brucia pur di estreme sapienze" (Ligonàs, 1998).
Opere di poesia: Dietro il paesaggio (1951); Elegia e altri versi (1954); Vocativo (1957; 2a ed. ampliata 1981); IX Ecloghe (1962); La Beltà (1968); Gli sguardi, i fatti e senhal (1969, poi 1990); A che valse? (Versi 1938-1942), (1970); Pasque (1973); Filò (1976, con una lettera di F. Fellini, e una nota dell'autore; poi 1988); II Galateo in bosco (pref. di G. Contini, 1978); Fosfeni (1983); Idioma (1986); Meteo (1996); Ligonàs (1998). Le poesie e prose scelte sono state raccolte nei "Meridiani" (1999); ha fatto seguito Sovrimpressioni (2001). La sua prosa narrativa e critica è raccolta in Racconti e prose, intr. di C. Segre (1990; poi, con ampliamenti, 1995); Fantasie di avvicinamento. Le letture di un poeta (1991); Aure e disincanti del Novecento letterario (1994); Europa melograno di lingue (1995); infine Scritti sulla letteratura (2 voll., 2001). Meditazioni autobiografiche nella conversazione con F. Simongini, Il nido natale come una catacomba, in "Lingua e letteratura", 14-15 (1990); autoritratti sono in "L'Approdo letterario", 77-78 (1977) e in "L'Ateneo veneto", 18 (1982); ed ora: Eterna riabilitazione da un trauma di cui s'ignora la natura (2007).
I "due poli contrapposti della tradizione letteraria nel nostro Novecento" - Artaud e Mallarmé - indicati da Z. nella sua Testimonianza su Ungaretti (ora in Fantasie di avvicinamento) sono ben presenti anche nella sua propria poetica, nella sua lingua: da un lato l'impegno strenuo di Mallarmé a risolvere il mondo in scrittura, "a cancellare la propria corporeità spostandola tutta sul lato della dissoluzione del corporeo nel verbale", a costo anche della "tautologia assoluta" o dell'"esplosione del testo", come appunto nel Coup de dés; dall'altro la 'matericità' di Artaud, il testo come "spostamento, slogamento, lacerazione di elementi corporei": "ogni espressione, come tale, è sanguinolenta". Un "Fuori idioma": un dire di "aghi di mutismi", un depositarsi 'sindonico' del dolore del mondo; e, come in Michaux, "l'acre acume di un'anima che si dissolve in vampe, in grumi, in meccanismi, che si concede e si fa campo di battaglia, che si lascia succhiare dall'interno e dall'esterno, pluralizzare, deformare in incubo: e che, tuttavia, continuamente si nega a queste operazioni, e sta tutta raccolta in se stessa" (Michaux, il buon combattente).
"Ulcerale stigma", non meno, del buon combattente Zanzotto: che non sublima, non àltera la distonia nel Sonetto del decremento e dell'alimento: "Catene alimentari vanno al trogolo" (Il Galateo in bosco, IV) formula che lo apparenta alla poesia europea di più risentita denuncia e meditazione: "Al trogolo siamo andati, Signore. || Era sangue, era quello | che tu hai versato, Signore" (Paul Celan, Tenebrae, da Sprachgitter, 1959). Sempre la sua poesia si tende, ferita, "al confine / del visibile e in grate catturate" (Carità romane).