(gr. ᾿Αμϕιτρύων) Nella mitologia greca, figlio del Perseide Alceo, re di Tirinto, e di Astidamia (o di Lisidice). Bramava sposare Alcmena, figlia dell’altro Perseide Elettrione, signore di Micene; ma uccise per caso Elettrione; esiliato dal fratello di questo, Stenelo, andò a Tebe, dove Alcmena lo seguì sapendolo innocente. Qui A. fu purificato dal re Creonte. In seguito, per vendicare la morte dei fratelli di Alcmena uccisi dai Tafi (o Teleboi), partì contro Pterelao loro re e conquistò Tafo, aiutato anche da Cometo, figlia di Pterelao, che innamoratasi di A. fece morire il padre strappandogli nel sonno il capello aureo che lo rendeva immortale. A. poi tornò a Tebe, dove, durante la sua assenza, Zeus si era unito con Alcmena sotto le sembianze del marito rendendola madre di Eracle. Secondo una versione più tarda, figlio mortale d’A. e Alcmena fu Ificle, padre di Iolao, il fedele compagno di Eracle. A. morì combattendo contro i Mini di Orcomeno.
Alla relazione di Alcmena con Giove si ispira la commedia di Plauto Amphitruo, che ha un rifacimento medievale nel Geta di Vitale di Blois e dalla quale deriva l’Amphitryon di Molière (1668). Da una battuta di questa, secondo cui il vero A. è quello «presso cui si cena», il personaggio di A. è passato in proverbio come antonomastico di «lieto padrone di casa, signore dei conviti».