BROFFERIO, Angelo (Michelangelo)
Nacque il 6 dic. 1802 a Castelnuovo Calcea (Asti). Il padre, Giuseppe, proveniva come la madre, Margherita Pavia, da una famiglia di medici e ricoprì a Castelnuovo la condotta medica e la carica di maire fino alla Restaurazione; nel 1817 si trasferì a Torino dove acquistò qualche fama nell'esercizio della professione e trovò modo di farsi conoscere con pubblicazioni sul vaccino e sull'ermomesi splenica. Da lui il piccolo Michelangelo (che preferì chiamarsi Angelo fin dagli anni di scuola, per sottrarsi agli scherni dei condiscepoli per la sua scarsa attitudine al disegno) attinse e l'entusiasmo per i principi rivoluzionari e repubblicani e una certa vena poetica, affiorata fin dagli anni degli studi ginnasiali, seguiti ad Asti, con un poemetto in versi sciolti ricco di reminiscenze dell'Eneide. Ma soprattutto il teatro sollecitò la sua fantasia fin dal tempo dei giuochi e dei trattenimenti fanciulleschi a Castelnuovo, e ad esso si rivolse naturalmente il B. come alla forma d'arte più efficace ed impegnata nell'esprimere i suoi sentimenti e le sue convinzioni, allorché seguì la famiglia a Torino per compiere gli studi di filosofia e quindi di giurisprudenza.
All'Alfieri, suo ideale modello e maestro, e precisamente alla Merope s'ispirò un primo abbozzo di tragedia, Camna. Ad esso tennero dietro le tragedie Geta,Calloda (d'ambiente nordico, data alle stampe più tardi, nel 1822) e Gliadoratóri del fuoco: l'ultima, col mutato titolo di Sulmorre, venne finalmente accettata dal capocomico Luigi Favre che la rappresentò al Teatro d'Angennes nel novembre 1821, per tre sere consecutive. Il successo, sia pur modesto, richiamò l'attenzione della polizia sul B., del quale era sfuggita la partecipazione all'occupazione dell'università nel gennaio, alla dimostrazione costituzionale e alla successiva ritirata su Alessandria del marzo nelle indagini istruttorie "contro gli autori e i complici della rivoluzione seguita a San Salvario". Fu quindi allontanato dall'università e da Torino per un periodo di sei mesi (ridotti in effetti a due e trascorsi presso ospitali amici), il che non gli impedì di superare nel giugno 1822 l'esame di licenza, seguito l'anno dopo dalla laurea in legge.
L'esercizio della professione non impegnò troppo, inizialmente, il giovane volto ad inseguire soprattutto i propri sogni di gloria teatrale: G. Moncalvo, applauditissimo "Meneghino", gli mise in scena Il Corsaro, ispirato da Byron, La foresta dei fantasmi,Due terrazzani a Torino e Il ritorno del signor zio;la compagnia Bellini Il castello di Kenilworth;quella di L. Romagnoli, A. Bon, F. Berlaffa Wildegarda e Ildruido d'Inisfela. Poco prima di raggiungere (maggio 1825) l'agognata cornice del Teatro Carignano, dove la Compagnia reale sarda gli rappresentò l'Eudossia, il B. fece il suo primo viaggio nel Lombardo-Veneto, per entrarvi in contatto con un ambiente letterario più vivace e brillante. A Milano conobbe Tommaseo e Monti; D. Bertolotti gli pubblicò sul suo Nuovo Ricoglitore, in due successive puntate, un gruppo di canzoni col titolo di Un sogno della vita, ripetuto nell'agosto sul volumetto in cui l'editore A. F. Stella riprodusse le stesse canzoni con un'altra più lunga, Il lamento di Dante, facendole precedere da un ritratto dell'autore disegnato da A. Boucheron sul gusto di quelli del Foscolo premessi all'Ortis. Fu poi a Verona, Padova, Arquà ed a Venezia frequentò Isabella Teotochi Albrizzi, sempre su presentazione del Bertolotti.
Nuova uscita dai confini piemontesi nella primavera del 1826, per un soggiorno a Parigi dove ebbe rapporti col deputato dell'opposizione Alexandre de Lameth, già prefetto napoleonico a Torino, al quale dedicò l'ode La caduta di Missolongi, ristampata l'anno seguente a Lugano con altre del Niccolini e dell'Angiolini; e nuovi successi in patria con la rappresentazione al Teatro Carignano della tragedia Idomeo, dallo stesso B. definita una trasposizione in ambiente assiro della vicenda del Druido d'Inisfela, e il poemetto Le lagrime dell'amore pubblicato da G. Pomba. Ma le impressioni ricavate dal contatto con la vita teatrale parigina e il consiglio di amici aqori, in particolare di Gaetana Rosa, lo spinsero verso la commedia, più congeniale alla sua vena e meno suscettibile di ostacoli da parte della censura. Lo zio della Rosa, G. Bazzi, fondatore e direttore della Compagnia reale sarda, accolse nel suo repertorio ben quattro di questo commedie insieme con un nuovo dramma storico, Angelica Hoffmann (o Kauffmann): Mio cugino, semplice intrigo di "qui-pro-quo", Il vampiro, da un racconto di J. W. Polidori, La saviezza umana e Salvator Rosa.
Dopo aver visto Il Corsaro messo in scena a Verona, il B. provava così la soddisfazione di venire applaudito a Genova, a Firenze e particolarmente a Napoli, dove nel 1828 la compagnia Tessari diede La saviezza umana,Salvator Rosa e una nuova commedia, Ilritorno del proscritto.
Fra l'autunno del 1827 e l'estate de 1828, anzi, il B. interruppe affatto l'esercizio professionale per un lungo soggiorno a Roma, dove conobbe i decani della tradizione teatrale realistico-goldoniana, F. Avelloni e G. Giraud, e a Napoli dove fu ammesso all'Accademia Pontaniana. Ancora due anni più tardi fu la "Nuova biblioteca drammatica" edita a Roma da A. Boulzaler a dare per prima alle stampe col sempre celebre Mio cugino anche uno scherzo comico composto durante quel soggiorno, L'arrivo dei cinquant'anni, a consacrare cioè con la pubblicazione alcuni dei successi che fecero balenare per qualche tempo al giovane avvocato il miraggio di "diventare poeta comico". Ambizione accarezzata ancora in qualche misura pur dopo il ritorno a Torino e alla professione, con Iviaggiatori,Il faccendiere,Il curioso e la gelosa.
Un'altra breve interruzione forzata della carriera forense intervenne nel 1831 a imprimere un diverso, più fortunato ed originale indirizzo alla vocazione letteraria del B., già ripiegata sugli sfoghi lirici dopo l'ineguale accoglienza riserbata nel 1829 alle ultime sue commedie. Si era venuto impegnando dopo la rivoluzione di luglio, coi fratelli Durando, due medici e alcuni ufficiali, nella setta massonica dei Cavalieri della libertà. Per essa stese un appello a Carlo Felice stampato clandestinamente, insieme ad un suo sonetto ammonitorio e ad un proclama al popolo ed all'esercito.
A questo impulso all'azione politica il B. univa.la persuasione della mancanza "di un poeta popolare che parlasse a tutti con famigliarità di fratello e con dignità di cittadino", conseguente a quella "di una favella comune, viva, parlata, che al popolo rappresentasse le sue idee, le sue immagini, le sue passioni colle parole del popolo e non con quelle dei libri". Lo strumento più idoneo per una siffatta poesia, atta a sfuggire gli impacci della censura ed insieme a raggiungere gente d'ogni ceto e d'ogni angolo del Piemonte assai meglio di qualunque spettacolo, fu naturalmente il dialetto piemontese, già assurto a funzioni di sfogo patriottico e di satira civile negli anni della rivoluzione e dell'occupazione francese per merito del medico E. Calvo.
L'ingenuo e sprovveduto tentativo di rinnovare in Piemonte la rivolta antiassolutistica parigina del 1830 fu scoperto per l'imprudenza di un affiliato. Eccetto il medico P. Anfossi, Giacomo e Giovanni Durando, riusciti ad espatriare in tempo, tutti i congiurati furono arrestati ai primi di aprile 1831, e al B. fu pure sequestrato il manoscritto di sette canzoni piemontesi d'ispirazione politica, principio di una produzione che occupò i successivi mesi di detenzione nella cittadella torinese. La posizione certamente grave dei congiurati migliorò con la morte di Carlo Felice (27 aprile) e l'avvento al trono di Carlo Alberto; quasi tutti si decisero a confessare per beneficiare di un indulto che fu negato solo a un impiegato dell'amministrazione militare, G. Bersani, rinchiuso per sette anni a Fenestrelle. Il B. fu scarcerato il 6 agosto; le "propalazioni" fatte al governatore Revel da lui come da parecchi altri, per leggerezza o debolezza, non nocquero probabilmente ad alcuno, ma gli vennero a lungo rinfacciate, copertamente o apertamente, da avversari e rivali.
Conclusa in questo modo ogni velleità cospirativa, nonostante gli inviti ricevuti da I. Ruffmi a nome della Giovine Italia, il B. si dedicò per qualche anno esclusivamente alla professione. Ma il ricordo dei successi mietuti nel decennio precedente lo indusse a riprendere accanto ad essa la sua sempre feconda attività di scrittore non appena si disegnò qualche allentamento dei rigori della censura, frutto di una migliore disposizione del governo di Carlo Alberto verso la cultura e le lettere piernontesi. Nel 1835 ritornò al teatro col Matrimonio per violenza, rappresentato con scarsa fortuna nel novembre e pubblicato, con altre sette fra le sue commedie meglio riuscite, in quattro volumetti di una "Biblioteca teatrale economica"; e nell'estate dello stesso anno gli si aprì un campo assai più vasto e fecondo di soddisfazioni letterarie quando fu incaricato di redigere uWappendice di recensioni al settimanale Messaggerie del commercio edito dal libraio Gaetano Gabetti.
La vivacità critica del B. non tardò a trasformare lo stesso carattere del giornale, che lo ebbe "estensore in capo" nel 1836 ed assunse carattere esclusivamente culturale col 1837, mutando il titolo in Messaggiere torinese. Isuoi articoli di, attualità spaziarono su tutte le materie ammesse dalla censura, comprese le invenzioni, i viaggi, le scoperte geografiche e simili. Il Pomba, che assunse la stampa del foglio per il solo primo semestre del 1836, gli affidò allora anche l'incarico di redigere una storia della tipografia in Piemonte. D'intento copertamente polemico contro i riconfermati privilegi della Stamperia reale, ostacolo a una piena espansione della rifiorente editoria subalpina, lo scritto fu vietato e l'originale sequestrato venne recuperato e pubblicato dal committente solo nel 1876, col titolo di Cenni storici intorno all'arte tipografica e i suoi progressi in Piemonte,dall'invenzione della stampa sino al 1835.
La spigliata vivacità delle prose del Messaggiere (raccolte dallo stesso B. in due volumi, nel 1839, preceduti da un primo saggio autobiografico su Come sono diventato giornalista)fece spicco nell'atmosfera sonnolenta e conformista del tempo. Il sovrano, benevolmente disposto verso tutti i fermenti intellettuali del regno, procurò di non far troppo pesare le limitazioni della censura sulle intemperanze dello scrittore e giunse addirittura a suggerirgli, nel quadro dei mutati indirizzi della propria politica estera, la composizione di una nuova tragedia d'argomento italiano. Secondo l'andazzo segnato dalla foscoliana Ricciarda, che proprio in quell'epoca aveva conosciuto la sua massima fortuna editoriale, la trama fu ambientata nei secoli delle dominazioni barbariche: ma Vitige re de' Goti, già allestito dalla Compagnia reale per la rappresentazione, fu vietato all'ultimo momento per sopraggiunte considerazioni di riguardo all'Austria e, già stampato, venne messo in circolazione con la falsa data di Parigi (1840).
Alla direzione del Messaggiere, divenuto bisettimanale politico, oltre che letterario, nel 1848 e finito nel 1849, il B. affiancò durante il 1840 quella del Dagherotipo,galleria popolare enciclopedica concepito sulla scia dei settimanali illustrati moltiplicatisi in quegli anni e per lo più ricalcati da modelli francesi e inglesi (nel 1841-42 diretto poi da L. Rocca e V. Angius), e fra il 1845 e il 1846 quella di una consimile Galleria contemporanea. Si trattò soprattutto di lavori di compilazione, come pure fu la redazione per conto dell'editore Fontana di due imponenti pubblicazioni illustrate del tipo allora in voga: le Scene elleniche contenenti "le rappresentazioni di molti principali fatti e paesi dell'antica e della nuova Grecia" (1844-46) e le Tradizioni italiane per la prima volta raccolte in ciascuna provincia d'Italia e mandate alla luce per cura di rinomati scrittori italiani (1847-1850). Si aggiunsero a queste altre collaborazioni, come il profilo di V. Alfieri per la Biografia iconografica degli uomini celebri che dal secolo X fino ai dì nostri fiorirono nei paesi oggidì componenti la monarchia di Savoia (1845).
Il successo di una prima edizione (uscita a Lugano nel 1839 e riprodotta, senza autorizzazione della censura, nel 1843) delle Canzoni piemontesi composte nell'anno per lui cruciale 1831 ed in quelli immediatamente successivi indusse il B. a dar sfogo ai propri sentimenti e alle proprie opinioni politiche nella forma più congeniale alla sua vena poetica. La canzoncina facilmente orecchiabile, scritta in un dialetto ricco e vivace, espressè nel modo più efficace le venature sociali venute ad arricchire le sue convinzioni democratiche d'origine così scopertamente letteraria, alfieriana e foscoliana, e scoprì un singolare brio polemico verso strumenti e manifestazioni dell'opinione moderata quale veniva delineandosi mentre si faceva più esplicito e consapevole l'impegno politico della sua poesia, fra il 1840 e il 1847.
Eletto nel collegio di Caraglio nell'aprile 1848, il B. rimase deputato al Parlamento fino alla morte, tranne due brevi interruzioni nel 1853 e nel 1860. Si rivelò subito abilissimo oratore, applaudito dalla Camera e ancor più dalle tribune. Fin dalla prima legislatura, composta in prevalenza di uomini usciti come lui dai movimenti e dalle correnti di opposizione dal 1821 in poi, assunse entro la battagliera minoranza democratica una posizione nettamente radicale (non volle però identificarsi con alcun gruppo, e questo suo isolamento rese la sua inesauribile attività parlamentare meno efficace). Presidente del Circolo politico nazionale, attaccò vivacemente l'armistizio Salasco e cercò di promuovere un'azione comune dei democratici italiani attraverso intese con gli analoghi circoli di Genova, Cagliari, Livorno, Firenze, Roma e Venezia, senza trascurare i contatti con la giunta mazziniana di Lugano.
Verso la fine del settembre 1848 (come narrò poi sulla Revue de Paris del 1856 il Montanelli), a coronamento dei contatti avuti precedentemente in tal senso da E. Misley, ebbe due colloqui con Carlo Alberto, ormai in urto aperto col presidente del Consiglio C. Alfieri, in vista della costituzione di un ministero democratico che avrebbe dovuto essere presieduto da Daniele Manin. Il tentativo appena abbozzato falli per un'indiscrezione del Bianchi-Giovini su L'Opinione del 27 settembre, dovuta forse a una manovra dello stesso sovrano che aveva impostato l'iniziativa solo per ammonire la parte, moderata con la quale si trovava in contrasto per questioni di politica militare. Qualcosa del rinnovamento in senso democratico dei comandi insistentemente chiesto dal B. filtrò tuttavia nell'opera del ministero Perrone di San Martino, succeduto all'Affieri l'11 ottobre, con la discussa nomina del deputato G. Ramorino, già capo della spedizione mazziniana del 1834 in Savoia, alla testa della 5ª divisione dei volontari lombardi.
L'affermazione, fra i vari circoli politici, della Società per la Confederazione italiana (cui pure il B. aderì fin dalla costituzione, mutando per un senso di riguardo la denominazione del sodalizio da lui presieduto in quella di Circolo politico federativo) attribuì al Gioberti un'indiscussa preminenza entro l'opposizione democratica. A lui toccò quindi nel dicembre la successione del ministero Perrone, contro il quale si era collocato con asprezza il B. per i tentativi di risolvere il conflitto con l'Austria attraverso la mediazione franco-inglese. Ma l'urto fu ancora più violento col Gioberti all'aprirsi della seconda legislatura, eletta nel gennaio 1849. Interpellando il ministero (10-12 febbr. 1849) sugli "indugi della mediazione", gli "apprestamenti di guerra", i contrasti con Roma e Firenze, la "interpretazione da dare alla sovranità del popolo", il B. lo accusò di essersi "radicalmente allontanato dalle iniziali posizioni democratiche, per divenire espressione di reazione".
Dopo tumultuosi dibattiti, il B. si risolse a lasciare la presidenza del Circolo politico e rimase bersaglio di manifestazioni ostili, fomentate o almeno tollerate dalla guardia nazionale, come il più aspro avversario dei propositi di intervento in Toscana che condussero all'allontanamento del Gioberti dal governo. Dopo Novara chiese che il Parlamento si proclamasse in seduta permanente, propugnò la guerra di popolo, l'estensione della cittadinanza a tutti gli emigrati, ecc. La sua opposizione al trattato di Milano fu di natura essenzialmente costituzionale (in polemica col Buffa, che avrebbe riconosciuto al re il potere di stipulare trattati senza Passenso del Parlamento) e in connessione con le non poche violazioni dello statuto che egli accusava il governo di aver commesso nei mesi precedenti. Passò poi a una posizione marginale e ad una ripresa dell'attività pubblicistica e professionale (anche come difensore del generale Ramorino, che venne fucilato nel maggio in quanto riconosciuto colpevole di disubbidienza). Al principio del 1849 aveva fatto uscire due grossi volumi di Storia delle rivoluzioni italiane dal 1821 al 1848; rifuse la stessa materia, con intonazione ben più decisamente radicale, in una Storia del Piemonte dal 1814ai giorni nostri edita in cinque volumi fra la fine del 1849 e il 1852. Nonostante la vasta informazione, riuscirono opere soprattutto di giornalista, mentre proprio la tribuna giornalistica veniva a mancare al B. con la fine (dicembre 1849) del Messaggiere torinese per contrasti con la proprietà. I fogli che succedettero al Messaggiere furono ben lontani dal raggiungerne la fortuna e la popolarità: fallito il tentativo di uno Stendardo italiano, gli successe nel settembre 1850 La Voce nel deserto col medesimo carattere politico-letterario, trasformata nel 1852 in Voce della Libertà (affidata alla direzione di G. La Cecilia) e finita nel secondo semestre 1855 col titolo di Voce del Progresso commerciale.
Come su questi fogli, anche in Parlamento il B. si distinse soprattutto per un accentuato anticlericalismo fino aTalleanza di U. Rattazzi con il ministero Cavour. Dopo il "connubio" passò a più aspre battaglie politiche antigovernative.
Contro il preteso trasformismo della soluzione di centro-sinistra rivolse la violenta satira di un volumetto dedicato alle Fisionomie parlamentari (uscito per le elezioni del dicembre 1853, che lo videro escluso, sia pure per un mese soltanto, dalla Camera), di quindici Nuove canzoni piemontesi sui piùsvariati temi di politica interna ed estera, pubblicate in altrettante dispense fra il 1854 e il 1855, e di un ultimo non felice tentativo drammatico, Il Tartufo Politico, dove cercò di presentare come espressione del più cinico arrivismo e di un pieno disprezzo per ogni aspirazione alla libertà e all'indipendenza d'Italia i tentativi di Cavour per giungere a un avvicinamento e a un'intesa con la Francia di Napoleone III. Ma furono soltanto gli ultimi sprazzi di una vena polemica che meglio avrebbe trovato risonanza e mordente nell'ambiente stagnante di dieci o vent'anni prima.
Stimolo forse non sgradito al rinnovamento delle strutture, soprattutto giudiziarie, dello Stato sabaudo (si batté sempre strenuamente contro la pena di morte), il B. chiedeva l'abolizione di tutti i privilegi, soprattutto ecclesiastici. e di vecchie istituzioni feudali, quali la primogenitura, i fidecommissi, tasse feudali, e l'adeguamento delle istituzioni ai principî costituzionali. Osteggiò spesso la politica economica di Cavour, pur appoggiandolo altre volte, soprattutto sul piano della politica ecclesiastica. L'opposizione del B. divenne particolarmente violenta contro la spedizione di Crimea e il lavorio diplomatico che la seguì, fino all'alleanza e all'intervento francese. A lui, come all'esponente più in vista della Sinistra, si rivolse riservatamente Vittorio Emanuele II fra l'aprile e il maggio 1855, quando ventilò il disegno di sostituire Giacomo Durando, il suo antico compagno nella congiura dei Cavalieri della libertà, al dimissionario Cavour.
Alle Nuove canzoni piemontesi seguirono solo sporadici saggi di poesia dialettale d'ispirazione civile, con un poemetto in morte del Béranger (1857)e due inni per la guerra del '59 e le delusioni dell'autunno seguente, La piemonteisa e Ibogianen. La vena sempre feconda del B., privo ormai di un proprio giornale, trovò un più adeguato sfogo nell'ampia silloge di memorie baldanzosamente intitolata I miei tempi. Particolarmente nei venti volumi pubblicati a Torino fra il 1857 e il 1861 (cuitennero dietro altri tre di una seconda serie, apparsa a Milano fra il 1863 e il 1864)alternò ai ricordi di gioventù frequenti digressioni, episodi, polemiche riferibili anche a fatti contemporanei, come il resoconto di Una visita all'Italia centrale, cioè di un viaggio compiuto nell'estate 1859in Emilia e Toscana per saggiarne la situazione politica, sembra a richiesta del Rattazzi. Nonostante certa stanchezza affiorante nelle troppe lungaggini e divagazioni, questa rimase l'opera più popolare del B. dopo le canzoni piemontesi, riunite in una quinta e quasi completa edizione nel 1858.
Assai meno significativi furono due tentativi storici in qualche modo ricollegabili a quelli del 1848-52: una smilza biografia di Giacomo Durando (1862) e sei grossi volumi di una Storia del Parlamento subalpino, usciti a Milano fra il 1865 e il 1869, abbraccianti le prime quattro legislature, compilati su mandato e a spese del sovrano. Nelle elezioni del '57, che videro il successo dei clericali, suscitò grande entusiasmo la sua vittoria in ballottaggio nel più aristocratico collegio di Torino (VII) contro il Revel: su di lui si erano riversati tutti i voti liberali. La prospettiva della guerra del '59 lo vide appoggiare il Cavour: votò per il prestito e per i pieni poteri. Dopo Villafranca il B. cercò di uscire dal suo isolamento alleandosi con Rattazzi e successivamente anche con Garibaldi contro Cavour. Diresse nel dicembre '59 lo Stendardo italiano, che nella sua brevissima vita si segnalò per i suoi violenti articoli anticavouriani (cfr. del B. Ilprogramma del "Connubio"). Fu presidente dei Liberi comizi, società democratica che poi confluì nella Nazione armata di cui fu presidente Garibaldi, affiancato da tutto lo stato maggiore dei Liberi comizi. Fallita la campagna anticavouriana (che si disse appoggiata dal re), il B. fu sconfitto in tutti i collegi ove si presentò alle elezioni del '60. Egli accusò Cavour di aver svolto un ruolo determinante in queste sconfitte. Rieletto nel '61, manifestò la sua opposizione alla formula "Libera Chiesa in libero Stato", ritenendola utopistica date le circostanze. Fu pure contrario alle trattative con Roma, come già lo era stato alla missione Bon Compagni a Bologna. La salute vacillante e difficoltà economiche, dovute anche a una vita famigliare alquanto disordinata, diradarono la partecipazione del B. ai lavori del Parlamento e all'azione dei Comitati di provvedimento per Roma e Venezia; soltanto nelle polemiche contro la convenzione di settembre ritrovò in parte l'antica vivacità: temeva che il trasferimento della capitale a Firenze implicasse l'abbandono di Roma; difese poi vivacemente la popolazione torinese accusata in Parlamento. Ultimo incarico ufficiale fu la stesura di un inno di guerra per l'imminente campagna del '66, che rinnovò in lingua l'impetuoso ritmo della Piemonteisa. Se ne preparava una solenne esecuzione alla Scala quando il B. si spense, nella sua villa della Verbanella presso Locarno, il 25 maggio 1866.
Opere: L'ultima edizione delle poesie dialettali "compiuta ed eseguita sulla scorta delle correzioni e delle note lasciate dall'autore" uscì postuma nel 1868, a cura del genero Tommaso Villa. Emendata nel testo e nell'ortografia e arricchita di note e notizie la Raccolta completa delle canzoni piemontesi e dei poemetti curata da L. De Mauri, Torino 1902, riprodotta con qualche aggiunta da A. Vigiongo, Torino 1966. I 23volumi dei Mieitempi ebbero una ristampa, incompiuta, in 8 volumi (Torino 1904).
Bibl.: E. Montazio, A. B., Torino 1862; F. Pugno, A.B., Torino 1868; R. Ebranci, A.B. e il suo tempo, Asti 1898; A. Colombo, Nel centenario di A. B., Ceva 1902; E. Gelera, A.B.,contributo bibliografico, in Rivista delle biblioteche e degli archivi, XIV (1903), pp. 85-92; F. Martini, Due dell'estrema,il Guerrazzi e il B., Firenze 1920 (cfr. F. Ruffini, in Nuova antologia, 1º ott. 1920, pp. 193-308; 16 ott., pp. 302-20; 1º nov., pp. 19-33, sull'opposizione al Cavour); A. Luzio, I Cavalieri della libertà e il processo di A.B., in Carlo Alberto e G. Mazzini, Torino 1923, pp. 55-124 (e sullo stesso argomento le note polemiche di G. Porzio in Nuova rivista storica, XXI [1937], pp. 204-256 e 378-399; XXII [1938], pp. 231-283; XXIII [1939], pp. 57-73); F. Lemmi, Censura e giornali negli Stati Sardi al tempo di Carlo Alberto, Torino 1943, pp. 58-73; L. Sandri, L'allontanamento da Roma di A.B. nel 1828, in Rassegna internazionale degli archivi, XXII (1955), pp. 198-201; E. Bottasso, A.B., Torino 1961; A.B. Mostra bibliografica nel centenario della morte, a cura di E. Bottasso, Torino 1966; E. Bottasso, Giuseppe Pomba e la pubblicazione dei "Cenni storici dell'arte tipografica in Piemonte" di A.B., in Boll. Stor.-bibl. subalp., LXV (1967), pp. 144-167; L. Lajolo-E. Archimede, B. l'oppositore, Firenze 1967; G. Mondada, A. B. alla Verbanella, in Boll. stor. della Svizzera ital., LXXIX (1967), pp. 125-141; C. Dionisotti, Leopardi- Tommaseo-B., in Leopardi e l'Ottocento,Atti del II Convegno internazionale di studi leopardiani, Firenze 1970, pp. 263-265.