PIZZI, Angelo
PIZZI, Angelo. – Nacque a Milano il 23 dicembre 1775, nella parrocchia di S. Simpliciano, da Carlo e da Francesca Mariani (Diedo, 1843, p. 8).
Il 17 ottobre 1787 indirizzò una supplica alla Fabbriceria del duomo di Milano per essere ammesso, superando una prova, tra gli scultori della fabbrica. In questa supplica (Noè, 2012, p. 303) Pizzi rendeva noto di essersi esercitato sia nella modellazione della creta sia nella scultura del marmo sotto la direzione dello scultore milanese Giuseppe Perego, quest’ultimo già da molti anni attivo nelle decorazioni per il Duomo meneghino. Il 27 marzo 1789 Pizzi superò la prova di ammissione e l’8 gennaio 1790 entrò a far parte del gruppo degli scultori ufficiali attivi al Duomo. In quegli anni si lavorava ai ventidue rilievi da posizionare alla base dei piloni della facciata e a Pizzi fu affidato, nel 1792, quello raffigurante il Sogno di Giacobbe, da collocare presso la porta destra, sul lato interno del contrafforte a sinistra.
Dopo la morte di Perego, Pizzi entrò nella bottega di Giuseppe Franchi, scultore originario di Carrara e docente all’Accademia di belle arti di Milano. Fu lo stesso Franchi a redigere un documento nel quale si affermava che Pizzi aveva frequentato «con assiduità, e con profitto», «per qualche serie d’anni», e aveva eseguito il modello di Tancredi e Clorinda nella speranza di meritarsi qualche gratificazione o la pensione governativa per poter proseguire gli studi a Roma (ibid., p. 304).
Nel 1790 si era nel frattempo aperto il cantiere scultoreo per la decorazione di villa Belgiojoso (oggi villa Reale) a Milano. La decorazione esterna delle due facciate sulla corte e sul giardino comprende una trentina di statue realizzate da autori diversi: Grazioso Rusca, Francesco Crabelli, Bartolomeo Ribossi e Pizzi. Il piano iconografico dell’intero ciclo scultoreo si deve a Giuseppe Parini. Pizzi è autore di dodici rilievi tra cui i due grandi frontoni rappresentanti il Carro di Diana e il Carro di Apollo (Venezia, Archivio dell’Accademia di belle arti, d’ora in avanti AABAVe, Carte Antonio Diedo, b. 6, f. Carte diverse: Elenco delle opere di Angelo Pizzi).
Attorno al 1792 Pizzi iniziò ad allontanarsi dallo stile tardobarocco per avvicinarsi alle forme neoclassiche, mutamento dovuto alla collaborazione e all’amicizia con il pittore Andrea Appiani. Quest’ultimo incaricò Pizzi di realizzare i modelli dei suoi affreschi per la cupola della chiesa di S. Maria in S. Celso a Milano (1792-95) e quelli per i rilievi dell’altare maggiore del Duomo di Monza (1793-94). I nove gessi preparatori per le decorazioni dell’altare di Monza rappresentanti la Fortezza, la Carità, la Temperanza, la Fede, Il sacrificio d’Isacco, Il ritorno dalla Terra promessa, L’Angelo che porta il pane a Elia e due coppie di Angeli si conservano nel Museo del duomo di Monza.
Non sono note altre notizie su Pizzi fino al giugno del 1800, quando, su incarico di Anne-Jean-Marie-René Savary, aiutante in campo del generale Louis-Charles-Antoine Desaix, realizzò la maschera mortuaria e un busto in marmo del generale caduto nella battaglia di Marengo.
Il busto rimase nello studio di Appiani fino al 12 dicembre 1803, quando l’opera venne chiesta da Napoleone per decorare l’ospizio monastico del Gran San Bernardo. Il monumento in onore di Desaix venne inaugurato il 19 giugno 1805, ma il busto fu collocato dapprima nella biblioteca e solo nel 1900 nella chiesa dell’ospizio.
Al periodo napoleonico sono riconducibili anche tre gruppi eseguiti per un tal signor Battaglia di Milano, le Tre Grazie, L’educazione d’Amore e Angelica e Medoro (tutti dispersi), e una piccola collezione di medaglie in cera raffiguranti divinità mitologiche (Milano, Galleria d’arte moderna). Pizzi non avrebbe mai abbandonato la produzione medaglistica, di cui si segnalano la medaglia di Francesco I e Carolina Augusta e quella di Joséphine Fodor (entrambe a Venezia, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro).
Il 2 dicembre 1803 Pizzi fece domanda per ottenere il posto di professore di scultura all’Accademia di belle arti di Carrara, dove fu nominato il 5 marzo 1804. L’obiettivo suo e del professore di architettura Paolo Bargigli fu subito quello di risollevare le sorti dell’Accademia, e in particolare della scuola di scultura, che doveva essere il vanto di una città come Carrara. Come prima iniziativa Pizzi prese contatto con Antonio Canova, chiedendo la spedizione di alcuni calchi in gesso delle opere antiche più famose, adatte per l’insegnamento ai giovani artisti. Con i buoni risultati arrivarono nel 1805 anche le prime lamentele, nei suoi confronti, da parte di colleghi invidiosi.
Durante il periodo carrarese Pizzi progettò un busto e un grandioso bassorilievo in onore di Vittorio Alfieri (1805; cfr. Noè, 2012, pp. 253, 305 s.); il bassorilievo doveva essere formato da una piramide ai cui piedi poggiava un’urna sepolcrale, sulla quale sedeva l’Italia afflitta circondata dalle nove muse. L’opera in marmo non venne mai realizzata e il gesso risulta disperso. Di questo stesso periodo, ma tutte disperse, sono le sculture Un Genio che sta piangendo la morte di un eroe ed Ercole che strozza il leone nemeo.
Il 30 marzo 1806, Carrara passò dal Regno Italico al principato di Lucca e Pizzi chiese al ministro dell’Interno di essere assegnato ad altro incarico. Il 25 febbraio 1807 venne così nominato professore di scultura all’Accademia di belle arti di Venezia e nell’ottobre dello stesso anno prese ufficialmente servizio. Uno dei primi incarichi che ricevette dall’accademia veneziana fu il trasporto dei calchi in gesso della collezione Farsetti dal Palazzo patrizio a Rialto alla nuova sede dell’Accademia presso la Carità (1809). L’operazione, a detta dei contemporanei, fu eseguita con troppa fretta scatenando l’ira del conservatore Pietro Edwards (Bassi, 1950, p. 15; Nepi Scirè, 1991, pp. 23-30).
Agli anni 1806-11 corrisponde l’apice della produzione scultorea di Pizzi. Tra il 1806 e il 1809 realizzò il gesso raffigurante Napoleone, acquistato dal governo di Milano per essere tradotto in marmo. L’opera rimase allo stadio di gesso, conservata in diversi depositi e musei cittadini, finché nel 1932 fu realizzata in bronzo dalla fonderia Battaglia e collocata nel cortile del collegio Reale delle fanciulle (Milano, ora educandato statale Emanuela Setti Carraro dalla Chiesa). Del gesso da allora si persero le tracce. Pizzi dedicò vari busti a Napoleone, tra cui quello ora conservato al Museo civico di Udine.
Tra il 1808 e il 1811 portò a termine il S. Matteo per il Duomo di Milano, il cui gesso venne eseguito a Venezia mentre il marmo fu realizzato a Milano. Antonio Diedo così lo descrive: «espressione, proporzione, dottrina anatomica, e panneggiamento, [che la] fecer tenere fra le migliori opere di quella età» (Diedo, 1843, p. 8). Per lo stesso Duomo realizzò i modelli per S. Simone, S. Giovanni Battista, Ss. Idulfo e Odilla, e altri ancora gli vengono attribuiti (Bossaglia - Cinotti, 1978, p. 36). Nel 1811 fu anche impegnato nelle decorazioni per l’arco della Pace per il quale eseguì i rilievi della Francia (la Vigilanza) in marmo e di Apollo in gesso.
Rientrato a Venezia, Pizzi eseguì un busto di Francesco Gritti, un busto del Principe Eugenio, un Bacco (Venezia, Museo Correr) e due rilievi rappresentanti La Vittoria che presenta a Giove il ritratto di Napoleone e La Vittoria seduta che scrive sullo scudo il nome di Napoleone (Venezia, Gallerie dell’Accademia).
Nel 1812 progettò una nuova versione del Napoleone, «una statua semicolossale di Napoleone eseguita in marmo, non completa, stante i cambiamenti insorti, e questa ordinatami da S.E. Sig. Conte Alvise Mocenigo Veneto» (AABAVe, Carte Antonio Diedo, b. 6, f. Carte diverse: Elenco delle opere di Angelo Pizzi). Il 22 gennaio 1812, infatti, il segretario dell’Accademia, Antonio Diedo, a nome di Pizzi, si rivolse al direttore generale della Pubblica Istruzione perché venisse concesso allo scultore il permesso di usare il modello della statua di Napoleone, del quale il governo deteneva il diritto di riproduzione, per realizzare una nuova statua per conto del senatore Alvise Mocenigo. Avuto il consenso, Pizzi si mise all’opera, ma i tempi si protrassero tanto che sopraggiunsero la caduta di Napoleone e la morte del committente (1815). La statua non venne ultimata e, dopo numerosi tentativi da parte degli eredi di venderla come «bel marmo» (Noè, 2012, p. 277), venne collocata nel ‘portego’ del loro palazzo a S. Samuele (Venezia, palazzo Mocenigo).
All’epoca della Restaurazione sono riferibili il profilo in cera con il busto di Gian Andrea Rusteghello (Vicenza, Museo civico) e il busto in marmo dell’Imperatore Francesco I (1817; Venezia, Gallerie dell’Accademia). Quest’ultimo venne realizzato per rendere omaggio all’imperatore in occasione dell’inaugurazione delle prime cinque sale delle Gallerie dell’Accademia. Il busto fu collocato nella sala d’onore, quella delle riduzioni accademiche. Agli stessi anni risalgono le cariatidi a decorazione del camino in palazzo Papadopoli a S. Maria Formosa.
Negli anni 1817-18 Leopoldo Cicognara, presidente dell’Accademia di belle arti di Venezia, mostrò grande preoccupazione per il disinteresse dimostrato dal governo austriaco nei confronti dell’arte e della cultura italiane. Al fine di recuperare all’arte italiana, e più specificatamente veneta, una committenza istituzionale che risollevasse l’economia depressa di Venezia, Cicognara si fece promotore, in occasione del quarto matrimonio dell’imperatore Francesco I d’Asburgo con Carolina Augusta di Baviera, della richiesta di convertire il tributo di 10.000 zecchini dovuto dalle province venete alle casse imperiali in commissioni per opere d’arte. La richiesta fu accolta e, oltre ad Antonio Canova, il 7 gennaio 1817 Cicognara informava di aver pensato che per le «statue e gruppi lavorerebbero Ferrari, Zandomenghi, Bosa, Pizzi» (Canova, 2003, p. 613); a quest’ultimo venne affidata la statua raffigurante il Giuramento di Annibale (Artstetten, Schloss Artstetten, Erzherzog Franz Ferdinand Museum). Ma durante la fase esecutiva si verificò una serie di inconvenienti per le opere di scultura. In particolare, nel giugno del 1818 il gruppo del Giuramento di Annibale non era ancora «finito d’escire da’ punti» (Bassano del Grappa, Biblioteca e Archivio del Museo civico, Epistolario Canoviano, III.274-2755, lettera di Cicognara a Canova del 16 giugno 1818) e non riuscì a essere terminato per l’esposizione in accademia il 24 maggio di quell’anno. La lentezza di Pizzi nel lavorare era causata dalla malattia che lo affliggeva già da diversi mesi (AABAVe, Atti, b. 11, anno 1818, c. 6, giugno 1818) e che lo spinse a dare disposizione affinché l’opera venisse terminata da Bartolomeo Ferrari. Quest’ultimo avrebbe portato a termine il marmo nel 1821, in tempo per essere esposto in agosto alla mostra annuale che si teneva in accademia.
L’ultima opera che Pizzì riuscì a completare fu il Monumento a Giuseppe Mangilli (Venezia, chiesa dei Ss. Apostoli).
Morì a Venezia il 23 marzo 1819, lasciando in povertà la moglie Caterina e i figli Odorico (Venezia, 1817) e Angelo (Venezia, 1819), che avrebbero intrapreso senza successo la carriera artistica risultando iscritti all’accademia veneziana rispettivamente negli anni 1828-32 e 1830-32.
Fonti e Bibl.: Venezia, Archivio dell’Accademia di belle arti (AABAVe), Carte Antonio Diedo, Miscellanea, b. 6, f. Carte diverse: Elenco delle opere di A. P.; f. Elenco quadri: Elenco delle opere di A. P.; Padova, Biblioteca civica, Lettera dello Scultore Sig. Bartolommeo Ferrari del 1 Feb.io 1826 di Venezia al Sig. Gio. Cadorin, in Miscellanea XXIV di Scritti Appartenenti Alle Belle Arti, pp. 141-145; A. Diedo, Elogio del prof. A. P., in Atti dell’Imp. R. Accademia di Belle Arti in Venezia per la distribuzione dei premi il giorno 7 agosto 1842, Venezia 1843; A. Canova, Epistolario (1816-1817), a cura di H. Honour - P. Mariuz, II, Roma 2003, p. 613.
E. Bassi, L’Accademia di Belle Arti di Venezia, Firenze 1941, pp. 88 s.; Ead., L’Accademia di Belle Arti di Venezia nel suo bicentenario 1750-1950, Venezia 1950, p. 15; G. Hubert, A propos de la statue de Napoleon Ier par A. P.: une maquette identifiée en France, in Arte Veneta, XXX (1976), pp. 210-213; R. Bossaglia - M. Cinotti, Tesoro e Museo del Duomo, Milano 1978, p. 36; G. Nepi Scirè, Le reliquie estreme del Museo Farsetti, in Alle origini di Canova: le terrecotte della collezione Farsetti (catal., Roma), a cura di S. Androsov, Venezia 1991, pp. 23-30; Napoleone a Campoformido 1797. Armi, diplomazia e società in una regione d’Europa, a cura di G. Bergamini, Milano 1997, pp. 119 s.; Omaggio al nuovo Ermitage, a cura di M. Bertozzi, Massa 1998, p. 74; Il Duomo di Monza 1300-2000. VII centenario della fondazione. Guida storico-artistica, a cura di R. Conti, Cinisello Balsamo 1999, p. 7; E. Noè, Lo scultore A. P. (Milano 1775-Venezia 1819), in Saggi e memorie di storia dell’arte, XXXVI, 2012 (2013), pp. 235-314 (con bibl.).