Poliziano, Angelo
Umanista e poeta (Montepulciano 1454 - Firenze 1494). Minimo e marginale l'influsso di D. nell'opera sua, come anche risulta dal paragone con uomini che gli furono vicini, Landino, Ficino, Pulci, Lorenzo de' Medici, i quali tutti subirono tanto più fortemente quell'influsso. Partecipe della tradizione fiorentina, il P. non si adeguò mai a essa e mirò, come già l'Alberti, a una tradizione più ampia e più larga, al remoto passato e al futuro, anche - e fin troppo - al presente, non al passato prossimo, di cui poteva occorrendo valersi, ma da cui gli premeva liberarsi. Onde la riserva sull' " antico rozzore ", che Cino da Pistoia, non D., " per altro mirabilissimo ", sarebbe stato primo a schifare: riserva che subito tradisce la sua mano nell'epistola a Federico d'Aragona firmata da Lorenzo il Magnifico. D. si proponeva a lui in termini di lingua poetica, nel quadro storico della tradizione di quella lingua. Per sé, il P. neppure accettava il modello petrarchesco: tanto meno la barbarica struttura della Commedia.
Ma come quella decisiva riserva critica sul " rozzore " linguistico di D., così anche si trasmise al futuro la decisiva rivendicazione della poesia e prosa toscana, come terza letteratura accanto alla greca e latina, nella selva Nutricia. E qui notevole è il rilievo che nella caratterizzazione della Commedia assume l'ascesa di D. nel Paradiso: assenso all'interpretazione contemplativa piuttosto che drammatica, teologica piuttosto che politica, proposta dal Landino e gradita alla corte medicea. Ma l'assenso proprio del P. era solo alla superba altezza della poesia.
Il Pastore Stocchi ha rilevato che nelle lezioni universitarie sulle Silvae di Stazio, tenute nell'anno accademico 1480-1481 e tuttora inedite nel cod. Magliabechiano VII 973, il Poliziano accenna al fatto che D., " poeta alioqui excellentissimus ", credette a torto che Stazio fosse tolosano e cristiano. L'umanista attribuisce il primo errore alla confusione con il retore Stazio Surculo e, quanto al cristianesimo di Stazio, afferma di ritenere che D. fosse indotto a credervi dalla menzione di un " triplicis mundi summum " in Theb. IV 516-518 interpretata come relativa a Dio mentre in realtà, secondo il Poliziano, si tratta del Demogorgone, misterioso padre di tutti gli dei. Secondo il Pastore Stocchi non è possibile identificare con certezza il luogo dove D. avrebbe indicato " quasi digito " (come vuole il Poliziano) quel passo della Tebaide come fondamento della sua opinione; ma assai persuasiva è ora la spiegazione del passo polizianesco offerta dal Mariotti.
Bibl. - Per il dantismo del P. poeta: G. Ghinassi, Il volgare letterario nel Quattrocento e le Stanze del P., Firenze 1957, 110-116. Qualche traccia anche nella poesia latina: Sylva in scabien, ediz. Perosa, Roma 1954, 33 n.; D. De Robertis, L'esperienza poetica del quattrocento, in Storia della letteratura italiana, a c. di E. Cecchi e N. Sapegno, III, Milano 1966, 524; E. Bigi, La cultura del P. e altri studi umanistici, Pisa 1967, 152 nota. Per l'epistola a Federico d'Aragona: M. Santoro, P. o il Magnifico?, in " Giorn. Ital. Filologia " I (1948) 139-149. Il passo della selva Nutricia in Le Selve e la Strega, a c. di I. Del Lungo, Firenze 1925, 176 (dove il commento in nota dell'editore è esemplare dell'ottocentesco e però tenace travisamento della posizione e importanza storica, in quell'età e nella successiva, così del P. come di Dante). Vedi poi: M. Pastore Stocchi, il cristianesimo di Stazio (Purg. XXII) e un'ipotesi del Poliziano, in Miscellanea studi offerta a A. Balduino e B. Bianchi per le loro nozze, Padova 1962, 41-45; S. Mariotti, Il cristianesimo di Stazio in D. secondo P., in Letteratura e critica, II. Studi in onore di N. Sapegno, Roma 1972. Fondamentale infine è l'opera di E. Garin, La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze 1961, 335-358.