TREVISANI, Angelo
– Nacque intorno al 1669 presumibilmente a Venezia, anche se mancano i necessari riscontri documentari. La prima notizia che lo riguarda risale al 1687, quando «Anzoletto Barbier cognominato Angelo Trevisan» è registrato nella fraglia dei pittori veneziani (Favaro, 1975, p. 155), mentre in un altro elenco del 1690 risulta avere ventuno anni (ibid., p. 216). Stando alle prime opere certe l’ingresso nella scena artistica sembra sia avvenuto in un momento abbastanza tardo. Del resto l’appellativo «Barbier», che ricorre nella fase giovanile, potrebbe riferirsi al mestiere esercitato da Angelo prima del suo definitivo passaggio alla pittura. Quasi sconosciuto fino al 1953, quando Nicola Ivanoff ne propose un primo inquadramento, il pittore risultava ancora sfuggente prima dello studio di Adriano Mariuz (1986), che ne ha fissato le coordinate. Malgrado ciò il suo è un profilo dai contorni sfocati: a partire dalla formazione, che si sarebbe svolta a contatto con l’ambiente dei ‘tenebrosi’. Improbabile è comunque un alunnato presso Antonio Zanchi, come riferiscono alcuni autori: una notizia che forse deriva dalla confusione con Francesco Trevisani, di cui il nostro non risulta parente (Ivanoff, 1953, p. 57).
Altrettanto nebuloso è l’avvio di carriera, che secondo alcuni si colloca nell’orbita di Andrea Celesti, nella cui bottega Trevisani avrebbe svolto un primo tirocinio. Tale ipotesi sembra confermata dalla parentesi giovanile a Brescia proprio al fianco di Celesti. In quell’occasione Trevisani licenziò la prima opera documentata: la lunetta per la chiesa di S. Pietro in Oliveto con la Visione di s. Teresa, che si data al 1696 circa. Il dipinto, che tradisce un pittore alle prime armi, mostra un debito verso Antonio Molinari, che secondo Ivanoff sarebbe il vero maestro di Trevisani (ibid.)
Su istanza del lucchese Stefano Conti Trevisani dipinse verso il 1705 Salomone idolatra e S. Sebastiano curato dalle pie donne, identificati da Mariuz (1986, pp. 110-113) rispettivamente in collezione privata e sul mercato antiquario, che testimoniano un aggiornamento sui modi di Antonio Bellucci e Antonio Balestra per la delicata eleganza delle figure. Alla stessa fase risalgono alcune pale d’altare, tra cui la perduta Madonna del Rosario per la chiesa distrutta della beata Elena Enselmini a Padova e la Morte della Vergine per la sagrestia dei Prebendati nel duomo patavino, pervenuta alla parrocchiale di S. Giorgio delle Pertiche (Ton, 2010, p. 58).
Intono al 1705 prese parte a Venezia alla decorazione della chiesa di S. Maria dei Derelitti (detta anche dell’Ospedaletto) a fianco di artisti del calibro di Gregorio Lazzarini, Giovanni Battista Piazzetta e dell’esordiente Giambattista Tiepolo. A Trevisani spettano, per essere precisi, i due pennacchi della volta raffiguranti gli Evangelisti Matteo e Giovanni che, specie se confrontati con le altre tele del ciclo, si distinguono per «la modulazione nobilmente accademica e la tavolozza più brillante» (Mariuz, 1986, pp. 108 s.).
Tra il primo e il secondo decennio si colloca il S. Lorenzo della chiesa di Cavazzana presso Lendinara, dove pure si conserva un’altra pala dell’autore con S. Sebastiano e i ss. Rocco, Lucia e Bovo, firmata e datata 1709, che costituisce un punto fermo della prima maturità. A quel periodo risale la sua impresa di maggior impegno, cioè il ciclo della Madonna del Pilastrello a Lendinara, che, stando a un malinteso di Pietro Brandolese (1795), fu dipinto «in concorrenza del Cavalier Celesti» (p. XXI). I sei teleri votivi, dalla cronologia incerta ma prossima al 1710, rappresentano un episodio intermedio della carriera, ancora rivolto alla cultura figurativa di fine Seicento.
Dopo le tele del Pilastrello, nella produzione pittorica di Trevisani si registra un mutamento del registro luministico. Non più, quindi, un’intonazione chiaroscurale fedele a posizioni del tardo barocco veneziano, ma caratterizzata piuttosto da violenti contrasti, tipici di artisti come Piazzetta e il giovane Tiepolo (Ton, 2010, p. 57). Questa svolta neotenebrosa è evidente nella pala raffigurante l’Esaltazione di Cristo e santi per la collegiata di S. Giorgio a Pirano (Piran) in Slovenia, cui è stata assegnata una cronologia intorno al 1712 (Fossaluzza, 2009, pp. 200-202).
A Lendinara l’artista si trattenne presso casa Malmignati, per la quale licenziò tre dipinti, di cui due raffiguranti rari soggetti biblici (La guarigione di Nàaman dalla lebbra e Gli israeliti amputano pollici e alluci ad Adonibezec, re di Bezec). Identificate in alcune raccolte private da Giorgio Fossaluzza (2009, pp. 205-207), queste tre opere dimostrano l’interesse per la resa anatomica delle figure, coniugando il fine classicismo di Bellucci con il moderato riformismo di Lazzarini e con quello, più radicale, di Balestra (Ton, 2010, p. 57).
Come ha chiarito Ugo Ruggeri (1985, p. 169), S. Rocco in carcere visitato dall’angelo della cattedrale di Chioggia si data con ogni probabilità verso il 1717. Il S. Simone cui viene presentato Gesù Bambino, che compone il ciclo di martiri e apostoli voluto dal patrizio Andrea Stazio per la chiesa lagunare di S. Stae, fu consegnato tra il 1722 e il 1723 (Moretti, 1973). A questi si aggiungono la pala di Selvazzano (proveniente dalla chiesa veneziana di S. Girolamo), rivendicatagli da Ruggeri (1985), e due pregevoli quadri con episodi mariani – lo Sposalizio e la Visitazione – in deposito alla parrocchiale di Scandolara dalle Gallerie dell’Accademia, la cui esecuzione dovrebbe cadere entro il terzo decennio del Settecento (Mariuz, 1986, pp. 113 s.).
Di poco successiva è probabilmente la pala con i Ss. Rocco, Sebastiano e l’angelo che il pittore consegnò alla chiesa lagunare di S. Vitale, mentre nel 1732 firmò la Cacciata dei mercanti dal tempio per la chiesa dei Ss. Cosma e Damiano alla Giudecca. Soppresso il convento nel 1806 il telero fu dapprima destinato alla Francia, ma alla fine tornò in Italia e passò all’Accademia di Brera, che nel 1818 lo affidò in deposito alla parrocchiale di Somaglia Lodigiana, dove tuttora si trova (Olivari, 2017).
Allo stesso periodo, assai fecondo, sono state agganciate la Visitazione della chiesa di S. Zaccaria, già attribuita a Molinari per i forti contrasti chiaroscurali, e l’Annunciazione con i ss. Antonio di Padova e Girolamo riconosciuta da Višnja Bralić (2006) nella parrocchiale di Selve (Silba) in Croazia. Nelle tele appena successive di S. Alvise a Venezia, raffiguranti l’Orazione nell’orto e la Negazione di s. Pietro, l’autore sembra invece accostarsi alla lezione tiepolesca senza tuttavia abbandonare il concitato patetismo che lo aveva caratterizzato fin dagli esordi.
Del filone ritrattistico rimangono pochi numeri, ma sufficienti per confermare il giudizio favorevole delle fonti coeve. Oltre all’Autoritratto degli Uffizi, datato 1725, esiste una tela in collezione privata – risalente al 1739 – in cui Trevisani sottolinea l’aspetto intellettuale e speculativo del suo mestiere, presentandosi elegantemente vestito mentre rivolge lo sguardo allo spettatore (Ton, 2016). L’attività di ritrattista del patriziato veneto è attestata dal Ritratto del procuratore Giovanni Emo, apparso sul mercato antiquario e, soprattutto, da alcune stampe in cui la resa naturalistica si accorda all’indagine psicologica dell’effigiato (Delorenzi, 2008).
In un elenco della scuola dei pittori veneziani, stilato entro il 1728, Trevisani dichiarava un’età di sessantuno anni, di essere senza figli e di abitare in contrada di Biri, presso la parrocchia di S. Canciano (Favaro, 1975, p. 226). Intorno al 1730 sembra avesse interrotto l’attività pittorica, forse per problemi fisici, come dichiara un documento della fraglia dei pittori in cui è definito «impossente», ovvero impotente, inattivo (ibid., p. 158). Nello stesso elenco, a fianco del nome, è una croce con il millesimo 1739, da interpretare forse come un termine post quem per il decesso.
Tra il 1740 e il 1751 un Anzolo Trevisan è documentato nella contrada di S. Angelo, in una casa di proprietà del convento dei Ss. Cosma e Damiano (Olivari, 2017, p. 106). Ammesso che sia il pittore, l’ultimo pagamento a suo nome risale all’agosto del 1753, quando gli subentrò un altro affittuario (Archivio di Stato di Venezia, Ss. Cosma e Damiano, b. 19, f. 44). Se nel 1753 l’artista è citato come vivente nelle giunte di Pietro Guarienti all’Abecedario pittorico di Pellegrino Orlandi, nel 1755 egli non figura tra i fondatori dell’Accademia, segno che nel frattempo era deceduto.
Benché legato per formazione al gusto tenebroso di fine Seicento, nel corso della carriera Trevisani fu pronto ad aprirsi alle istanze del rococò patetico (Delorenzi, 2008, p. 235). Luigi Lanzi (1796) apprezzava in lui soprattutto l’estro narrativo e divagante di una pittura «naturale, non mai sublime» (p. 206), mentre Anton Maria Zanetti (1771), alla «bella e forte maniera» (p. 452) del veneziano riservò un giudizio assai favorevole, che in parte trova conferma nelle opere superstiti.
Malgrado le conoscenze siano ultimamente progredite, con diversi risarcimenti al catalogo (Ruggeri, 1999; Marinelli, 2007; Ton, 2010), si è ancora lontani da una completa definizione del percorso di Trevisani. A giudicare dal livello delle commissioni, spesso in luoghi prestigiosi della città lagunare, egli appare come un artista chiave che seppe coniugare le principali tendenze pittoriche della scuola locale (Ton, 2010, p. 55). Anche Lanzi (1796), definendone il suo stile «scelto e conformato in parte alle scuole allora regnanti» (p. 206), coglieva questa capacità di temperare suggestioni diverse.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Ss. Cosma e Damiano, b. 19, f. 44.
V.M. Coronelli, Guida de’ forestieri sacro-profana per osservare il più riguardevole nella città di Venezia, Venezia 1713, pp. 9 s.; A.M. Zanetti, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia e isole circonvicine, Venezia 1733, pp. 452-454; P.A. Orlandi - P. Guarienti, Abecedario pittorico, Venezia 1753, p. 62; A.M. Zanetti, Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de’ veneziani maestri, Venezia 1771, pp. 452-454; P. Brandolese, Del genio de’ Lendinaresi per la pittura e di alcune pregevoli pitture di Lendinara, Padova 1795, p. XXI; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, II, 1, Bassano del Grappa 1796, p. 206; N. Ivanoff, A. T., in Bollettino d’arte, XXXVIII (1953), pp. 57-60; C. Donzelli, I pittori veneti del Settecento, Firenze 1957, pp. 239 s.; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Settecento, Venezia-Roma 1960, pp. 124 s.; E. Martini, La pittura veneziana del Settecento, Venezia 1964, passim; L. Moretti, La data degli Apostoli della chiesa di San Stae, in Arte veneta, 1973, n. 27, pp. 318-320; E. Favaro, L’Arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, passim; M. Parini, Sebastiano Ricci ed A. T., in Archivio storico lodigiano, s. 2, XXVIII (1980), pp. 15-21; U. Ruggeri, Giambattista Piazzetta, in Giambattista Piazzetta. Il suo tempo, la sua scuola (catal.), Venezia 1983, p. 64; Id., Per A. T., in Arte veneta, 1985, n. 39, pp. 169-170; A. Mariuz, Per A. T., pittore “di vaga e soda maniera”, ibid., 1986, n. 40, pp. 108-116; A. Mazza, Corollario veneto, in Verona illustrata, V (1992), pp. 67-87; R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, I, Milano 1994, pp. 548-556; U. Ruggeri, Nuove opere di A. T., in Ex fumo lucem. Baroque studies in honour of Klára Garas, a cura di Z. Dobos, II, Budapest 1999, pp. 53-60; Id., Un nuovo dipinto di A. T., in Critica d’arte, LXIV (2001), 12, pp. 46-50; G. Pavanello, I dipinti di palazzo Carminati, in Arte veneta, 2003, n. 60, pp. 72-87; V. Bralić, Izmedu Pittonija i Piazette: Prijedlog za Angela Trevisanija na Silbi, in Radovi Instituta za Povijest Umjetnosti, XXX (2006), pp. 107-119; S. Marinelli, Notti e giorni di A. T., in Il cielo, o qualcosa di più. Scritti per Adriano Mariuz, a cura di E. Saccomani, Cittadella 2007, pp. 171-175, 309-312; P. Delorenzi, Per A. T. ritrattista, in L’attenzione e la critica. Scritti di storia dell’arte in memoria di Terisio Pignatti, a cura di M.A. Chiari Moretto Wiel - A. Gentili, Padova 2008, pp. 235-239; G. Fossaluzza, Lettere pittoriche fra l’Istria e Venezia: il conte Pietro Petronio Caldana, Rosalba Carriera e A. T., in Sic ars deprenditur arte. Zbornik u čast Vladimira Markovića, a cura di S. Cvetnić - M. Pelc - D. Premerl, Zagreb 2009, pp. 199-222; D. Ton, A.T. fra maniera “vaga” e “naturale”, in Arte veneta, 2010, n. 67, pp. 55-71; E. Borean, Su una Pietà di A. T. (1669-1753), in Atti dell’Accademia San Marco di Pordenone, XV (2013), pp. 505-512; D. Ton, in Galleria Giamblanco, dipinti antichi: quattro secoli di pittura, a cura di D. Giamblanco - S. Giamblanco, Torino 2016, pp. 74 s.; M. Olivari, Sebastiano Ricci e A. T. per Brera, in Le arti nella Lombardia asburgica durante il Settecento. Novità e aperture. Atti del Convegno... 2014, a cura di E. Bianchi - A. Rovetta - A. Squizzato, Milano 2017, pp. 101-109.