ANNONE ("Αννων, Hanno, probabilmente forma abbreviata di Hannibal)
Nome di alcuni personaggi cartaginesi.
1. Comandante cartaginese del sec. IV a. C. Questo nome ci appare quattro volte nella storia di Cartagine e della Sicilia, tra gli ultimi anni di Dionisio I e l'età di Timoleonte, ed è probabile che si tratti sempre di uno stesso personaggio. In un prologo di Trogo esso è detto "grande" (Anno magnus). A un'identificazione sicura fa ostacolo la maniera lacunosa e monca in cui la tradizione ci è pervenuta, specie in una delle due fonti principali, Giustino. L'A., autore di una cospirazione in Cartagine, di cui Giustino parla, appartiene certamente all'età di Timoleonte, non a quella di Dionisio II, perciò può benissimo esser l'A. comandante della flotta cartaginese del 345. Ciò posto, la biografia di questo A. può essere ricostruita così. Egli fu a capo delle forze cartaginesi contro Dionisio I, dopo che questi tornò dalla sua impresa contro Crotone, poco prima che morisse. A. quindi doveva essere il comandante della flotta cartaginese che operò la sorpresa del porto di Erice, catturando la maggior parte delle triremi siracusane ivi raccolte (369-8). Egli compì in seguito non sappiamo quali imprese in Africa. Più tardi ebbe il comando della flotta spedita nelle acque di Sicilia alla notizia della spedizione di Timoleonte; sbarcò nell'isola milizie che assediarono Entella e distrussero un migliaio di uomini mandati dalla città di Galaria in soccorso degli assediati; trattò con Iceta, destinò delle navi a incrociare nello Ionio e poi a vigilare il porto di Reggio, per impedire a Timoleonte di passare in Sicilia (345) In questa impresa egli fallì, e dovette essere questa la ragione per cui fu spogliato del comando; a capo della flotta cartaginese nell'anno seguente troviamo Magone. Dopo questi avvenimenti A. riappare tragicamente nelle agitazioni interne di Cartagine. Egli era in conflitto implacabile con altre grandi famiglie cartaginesi, e si ha notizia di un cittadino strapotente, Semiato, che nel 369-8 avrebbe scritte lettere a Dionisio I, per avvertirlo del prossimo arrivo delle forze puniche sotto il comando di A., lettere che furono intercettate e condussero l'autore al supplizio. A. disponeva a sua volta di grandi mezzi, superiori, si dice, a quelli stessi dello stato. Egli volle ridurre nelle sue mani il supremo potere, e non esitò a farsi promotore per tale scopo di una sedizione servile; i magistrati erano esitanti, data la sua potenza, e non osavano procedere apertamente contro di lui. Quand'egli si vide scoperto, si ritirò in un punto fortificato, raccogliendo attorno a sé un enorme numero di schiavi armati (si dice ventimila); cercò di sollevare le popolazioni soggette ai Cartaginesi e di spingere contro di loro un re dei Mauri. Ma cadde in mano ai magistrati, che lo sottoposero ad atroci torture, lo uccisero e ne posero in croce il cadavere.
Fonti: Come s'è detto, una delle due principali è Giustino, il solo che ci parli del colpo di stato di Annone, a parte un'allusione che probabilmente fa ad esso Aristotele, il quale pertanto paragonerebbe il tentativo di Annone a quello di Pausania. L'altra fonte è Diodoro. Uno stratagemma di Polieno è senza dubbio da riferire a questo Annone, ma non ha importanza.
2. Figlio di Annibale, venne in Sicilia il primo anno della prima guerra punica (264-3 a. C.), e sbarcò a Lilibeo, dove lasciò l'esercito terrestre. Si recò con la flotta ad Agrigento, che guadagnò all'alleanza cartaginese, e fortificò la rocca. Tornato a Lilibeo, ricevé un'ambasciata di Gerone, mandata per stringere una alleanza tra Siracusa e Cartagine in seguito all'occupazione della rocca messinese fatta dai Romani, divenuti alleati dei Mamertini. Egli e Gerone si recarono a Messina, ma, essendosi Gerone allontanato, A. fu battuto dai Romani. Nel 261 egli si diresse verso Agrigento, per tentare di liberare Annibale 1vi assediato, e s'impadronì di Erbesso, movendo da Eraclea Minoa, per tagliare le vettovaglie ai Romani assedianti. Ebbe un successo in un'avvisaglia di cavalleria, in seguito alla quale s'impadronì di monte Toro; ma per soccorrere Agrigento si dovette risolvere a dare una battaglia, che finì in un disastro. Perciò fu sostituito da Amilcare e condannato a una multa di 6000 monete d'oro. Tuttavia nel 259-8 fu di nuovo assunto come generale, e insieme con Annibale fu mandato in Sardegna; dopo l'ammutinamento dei soldati che cagionò la morte di quest'ultimo ebbe il comando dell'esercito in Sardegna, e riportò anche qualche vittoria contro i Romani. L'anno seguente, nella grande battaglia navale dell'Ecnomo (v.), fu sconfitto, e travolse anche il collega Amilcare nel disastro. Non si sa altro di lui, salvo che egli non debba essere identificato con quell'A. che fu sconfitto alle isole Egadi, e venne perciò condannato in patria alla crocifissione.
Fonti: Polibio, I, 12, 18-19; Diodoro, XXIII; Zonara, VIII, 10-12; Frontino, III, 16, 3.
Bibl.: Varese, in Studi di storia antica, I, p. 37 segg.; J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., IV, i, Berlino 1925, pp. 647, 652.
3. Detto il Grande. Negli ultimi anni della prima guerra punica rimase in Libia, dove conquistò la città Ecatompilo (‛Εκατόμπυλος), città identificata una volta con Capsa, ora con Teveste. Al principio della guerra coi mercenari trattò con essi a Sicca, e, rotte le trattative, fu scelto come generalissimo. Ebbe un piccolo successo a Utica, ma poco dopo fu espugnato il suo stesso accampamento, sicché il comando supremo venne affidato ad Amilcare Barca: onde il dissidio e l'antagonismo tra i due capitani, che si manifestò anche con accuse contro Amilcare. L'esercito stesso depose Annone, e in sua vece elesse Annibale figlio di Amilcare; ma, morto costui, Annone fu richiamato, e si riconciliò con Amilcare Barca. Vinti gli ultimi resti dei mercenarî, Annone si volse all'assedio d'Ippona, che sottomise. Scoppiata la grande rivolta dei mercenarî e degl'indigeni, ambedue, Annone e Amilcare, furono incaricati di reprimerla; ma A. fu richiamato, o in seguito a calunnie o per prove effettive d'incapacità. La rivalità di Annone coi Barcidi continuò: tuttavia, se può credersi che A., dopo l'espugnazione di Sagunto, cercasse di evitare la guerra con i Romani, non è punto ammissibile che proponesse la consegna di Annibale. Né molta fede merita la tradizione secondo la quale per opera d'A. non si sarebbero inviati soccorsi ad Annibale, quando vi è la spiegazione più facile che del mare erano padroni i Romani. Dopo la battaglia di Zama egli, insieme con Asdrubale il Capro, protesse un'ambasciata romana che veniva a chiedere soddisfazione per il sequestro d'una spedizione di vettovaglie destinate in Italia, ma portata dai venti a Cartagine e quivi adoperata. Fu poi ambasciatore a Scipione per la conclusione definitiva della pace. Morì forse poco dopo, essendo allora molto vecchio.
Fonti: Polibio, I, 67, 71, 73, 74, 81, 82, 87-88; Diodoro, XXIV, 10; Livio, XXI, 3-4; Appiano, Iberica, 4, 6, Zonara, VIII, 22; IX, 2; Livio, XXIII, 12.
Bibl.: O. Meltzer, Geschichte der Karthager, I, Berlino 1879, p. 357 segg., II, p. 336 e passim; S. Gsell, Histoire de l'Afrique du Nord, III, Parigi 1918, p. 92 seg. e passim.
4. Detto il Navigatore fu autore di un famosissimo periplo intorno a parte delle coste occidentali dell'Africa. La sua identificazione con qualcuno dei tanti Cartaginesi che portarono quel nome non è molto sicura: considerando tuttavia che Plinio (Nat. Hist., II, 169) dice che il viaggio di lui avvenne Carthaginis potentia florente e nello stesso tempo del viaggio d'Imilcone nell'Atlantico settentrionale, e che esistettero un Annone e un Imilcone fratelli, figli di Amilcare morto ad Imera, e che anzi essi furono ai loro tempi, insieme col fratello Gisgone e tre loro cugini, a capo (secondo Giustino, XIX, 2,1) della cosa pubblica in Cartagine, sembra abbastanza probabile l'ipotesi che precisamente quell'Annone fosse il grande navigatore. Tanto più che il periplo d'Annone è sconosciuto ad Erodoto, mentre appare noto a Promato di Samo (citato da Aristotele), ad Eforo, ecc.
A. partì adunque da Cartagine con una flotta di sessanta navi a cinquanta remi e trentamila fra uomini e donne (numero probabilmente assai esagerato) per navigare al di là delle colonne d'Ercole e fondare colonie nei paesi che avrebbe esplorato. La prima di queste colonie fu Timiaterio (attuale Mehdia alla foce del Sebu). Di là il viaggio proseguì sino al promontorio Soloente (Capo Ghir o Capo Cantin?), dove si costruì un tempietto a Posidone; da capo Soloente in mezza giornata di viaggio i navigatori giunsero ad uno stagno vicino al mare, pieno d'elefanti e d'altre belve. Un giorno di navigazione più oltre si fondarono presso il mare Carico Tico, Gitte, Acra, Melitta ed Arambi, tutte a nord del fiume Lisso (Draa). Di qui si spinsero poi i Cartaginesi sino all'isola di Cerne (Herne o Arguin?) dove stabilirono l'ultima colonia: distava Cerne dalle colonne d'Ercole quanto le colonne da Cartagine. Dopo Cerne il viaggio divenne di sola esplorazione. Pel fiume Crete o Cremete (Senegal?) si giunse ad un gran lago, con tre isole maggiori di Cerne e colle rive più lontane dominate da alti monti, popolati da uomini vestiti di pelli ferine che lanciando sassi impedirono ai Cartaginesi l'approdo. Oltre Cerne, in direzione di mezzodì, approdarono i Cartaginesi dopo dodici giorni ad una regione di grandi e selvosi monti (Capo Bianco o Capo Verde o Sierra Leone?), donde in altri sette giomi di navigazione arrivarono a un vasto seno, detto Corno d'Espero (oltre Capo Palmas, Golfo di Guinea?), in cui era una grande isola con un lago marino, contenente a sua volta un'altra isola, nella quale non si trovavano che selve, da cui, però, la notte si levavano in mezzo a splendore di fuochi alti suoni di timpani e schiamazzi di voci. Partiti di là, i naviganti costeggiarono una terra infiammata, donde torrenti di fuoco si riversavano in mare, e procedendo poi altri quattro giorni vedevano un'altra terra pure infiammata con in mezzo un fiammeggiante picco che sembrava toccare il cielo: questo picco aveva nome Carro degli Dei (M. Camerun? ancora oggi esso è vulcanico). Di là in tre giorni di navigazione arrivarono al Corno di Noto (Gabon?) dove in una isola conformata come la precedente trovarono uomini selvaggi: nessuno d'essi poterono prendere, bensì tre loro donne, che gl'interpreti chiamarono Gorille; le uccisero e scuoiarono, portandone le pelli a Cartagine. Il viaggio non proseguì oltre per mancanza di viveri.
La relazione di quel viaggio fu da A. scritta naturalmente in punico; probabilmente sul principio del sec. IV a. C. venne tradotta in greco. Il testo greco ci giunse nel famoso codice paradossografico 398 di Heidelberg e venne pubblicato per la prima volta l'anno 1533 a Basilea.
La migliore edizione è ancora quella di C. Müller, in Geographi Graeci Minores, I, Parigi 1853, pp. XVIII-XXXIII e 1-14; veggasi pure in Fischer, De Hannonis Carthag. periplo, Lipsia 1893.
Bibl.: Un buon articolo riassuntivo è quello del Daebritz, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der classischen Altertumswiss., VII, coll. 2360-63; cfr. anche G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, i, Torino 1916, p. 32, n. 86; O. Meltzer e U. Kahrstedt, Geschischte der Karthager, I, Berlino 1879, pp. 229 segg.