ANSELMO da Besate
Nacque probabilmente a Besate (località sulla riva sinistra del Ticino, fra Milano e Pavia), che gli diede la denominazione, mentre l'appellativo di "peripatetico", con cui anche è noto, gli venne per riferimento sia alla scuola aristotelica sia ai numerosi viaggi compiuti.
Per la nobiltà della famiglia,come per le sue relazioni di parentela e d'amicizia con diversi chierici di Milano, A. appartenne al cardine della Chiesa milanese, ma non sappiamo in quale ordine.
Certo la famiglia paterna,originaria di Besate, era di grande rilievo, possedeva estese proprietà e aveva importanti relazioni sociali. Lo stesso si può dire della famiglia matema, che proveniva da Arzago (non si sa se si trattasse di Arzago a sud di Treviglio, o di Arzago presso Gallarate: la seconda ipotesi appare più probabile). Entrambe le famiglie si professavano di legge longobarda ed erano tradizionalmente filoimperiali. La famiglia da Besate aveva avuto qualche legame di parentela diretto con i marchesi di Canossa e indiretto con i marchesi di Torino (il bisnonno patemo di A. aveva sposato la cugina di Tedaldo marchese di Canossa e di Prangarda sposa del marchese Manfredi I di Torino). Alla famiglia da Besate appartennero papa Giovanni XIII (già arcivescovo di Piacenza), i vescovi Sigifredo di Piacenza,Giovanni II di Lucca, Cuniberto di Torino e distinti chierici delle Chiese di Milano, Pavia e Parma. Alla famiglia di Arzago appartennero Amolfa II arcivescovo di Milano e Landolfo II vescovo di Brescia.
Al tempo dell'arcivescovo Ariberto, A. si formò nella scuola presso la cattedrale milanese, dove ricevé istruzione nelle "arti" del trivio, oltre che nella teologia. Al clero milanese A. rimase sempre legato, difendendolo appassionatamente dalle accuserivoltegli e lodandolo altamente; secondo la tradizione ambrosiana prepatarinica, egli sostenne la liceità del matrimonio dei preti.
Per completare la sua formazione A. lasció poi Milano, e si può ritenere che per prima si recasse a Parma per acquisirvi una solida preparazione nella dialettica presso il filosofo Drogone, che era molto stimato dai contemporanei e aveva una sua fiorente scuola, nella quale A. fu così avviato allo studio della filosofia peripatetica sui testi di Porfirio e di Boezio. Fra il maestro Drogone e il suo discepolo rimasero sempre forti i vincoli di reciproca stima e amicizia.
Altro maestro di A., e da questo ricordato con grande ammirazione, fu un alunno di Drogone; Sichelmo, prevosto e poi arcidiacono della cattedrale di Reggio, il quale insegnava le "arti" e soprattutto la retorica. Sichelmo, ottimo conoscitore di Cicerone e di testi giuridici, avviò A. anche agli studi del diritto romano, particolarmente giustinianeo. Non si sa nulla del terzo maestro, il quale èrammentato da A. semplicemente come "Aldeprandus facundissimus".
A suo stesso dire, A. viaggiò moltissimo per motivo di studio in Italia, in Francia e in Germania. Possiamo seguire con una certa sicurezza almeno una parte dei suoi itinerari da quando C. Erdmann è riuscito a identificare con A. un notaio della cancelleria di Enrico III.
A. fu - nel 1045 - in Germania a Bamberga, dove lavorava nella cancelleria episcopale (ci è conservato un documento per il vescovo di Bamberga redatto e scritto da lui in quell'anno). Non è escluso che A. venisse da Bamberga a Roma accompagnando il vescovo Suidgero che, il giorno di Natale 1046, veniva consacrato papa Clemente II; e forse A. aveva anche preso parte all'intenso e concitato traffico diplomatico che - nell'imminenza di quell'avvenimento - si svolse fra la diocesi tedesca e la Santa Sede, oppure mantenne i contatti del papa con la sua antica diocesi, di cui aveva conservato il governo. Durante la sosta dell'imperatore Enrico III in Italia, nella prima metà del 1047, A. entrò nella cancelleria del Regno d'Italia alle dipendenze del cancelliere Enrico: ci restano dieci diplomi imperiali redatti da A. fra il 31marzo e l'11 maggio. A., dunque, accompagnò il sovrano nel suo viaggio di ritorno m Germama, almeno da Fano sino a Trento.
In Parma, probabilmente durante un suo secondo soggiorno (e dopo aver ascoltato le lezioni di Sichelmo in Reggio), A. scrisse la sua opera di maggior rilievo, la Rhetorimachia.
I termini cronologici estremi per la composizione dell'opera sono: maggio 1046-maggio 1048. Se si accetta come valida l'ipotesi che A. rimanesse in Bamberga dal 1045 fino al dicembre dell'anno seguente venendo a Roma insieme con il pontefice eletto e che dopo passasse subito nella cancelleria regia, il periodo in cui poté essere scritta in Parma la Rhetorimachia va ristretto allora ad un anno: maggio 1047-maggio 1048.
Già nella primavera dei 1048 A. fu chiamato come cappellano alla corte imperiale: la Rhetorimachia fu interrotta alla fine del terzo libro con la promessa di un quarto conclusivo. Partendo verso la Germania, A. portava con sé la sua opera incompiuta da mostrare all'ammirazione della corte e una lettera di presentazione del suo antico maestro in Parma, Drogone. Nel viaggio A. sostò nel monastero riformato di Fruttuaria e quindi, per l'alta Borgogna, raggiunse la corte imperiale in Basilea (poco avanti il 28 maggio 1048). Oltre a quella di cappermo, A. iniziò subito una intensa attività di notaio alle dipendenze del cancelliere del regno di Germania Winintero; seguendo il sovrano nei suoi spostamenti: ad A. si deve probabilmente l'introduzione dell'uso di lettere greche nella scrittura del nome del cancelliere nelle ricognizioni dei diplomi, uso introdotto in quel periodo.
Molto probabilmente A. era con la corte imperiale in Magonza la seconda metà di ottobre, quando Enrico III partecipò al grande sinodo riformatore indetto e presieduto dal papa Leone IX: in quella circostanza dové realmente avvenire la disputa fra A. e i dotti moguntini che critìcavano la sua opera, episodio al quale l'autore accenna in una lettera al vecchio maestro Drogone.
La Rhetorimachia,prima dedicata a Drogone, venne allora dedicata all'imperatore con una lettera panegirica tutta permeata da motivi dell'ideologia della "Renovatio Imperii", in cui A. prometteva di comporre un'opera per celebrare le imprese guerresche di Enrico III.
La Rhetorimachia è scritta nella forma di lettera indirizzata al cugino Rotilando e ritorce contro di questo accuse morali e polemiche circa la retorica e la dialettica,accuse e polemiche che l'autore immagina già rivolte a lui stesso dal suo antagonista. P, al tempo stesso un testo didascalico e un pamphlet, ma soprattutto un'esercitazione retorica con la quale A. intende esemplificare le teorie che a lui erano state precedentemente esposte in una sua opera teorica (ora perduta), intitolata De materia artis.
A. appartiene a quel gruppo di studiosi di filosofia che furono chiamati spregiativamente "sofisti" dagli antidialettici, che contro di loro polemizzarono fieramente. Nella Rhetorimachia egli sostiene infatti, rifacendosi a Cicerone, l'importanza della retorica nel provare non tanto la verità, quanto la verosimiglianza. A. negò il valore del principio di contraddizione anche nella sua applicazione entro l'ambito della teologia, posizione che gli fruttò aspre critiche da parte di Pier Damian. Tra le fonti di A. vanno annoverate le Categorie di Aristotele, Porfirio (Isagoge), Boezio, Fulberto di Chartres, Gerberto di Aurillac.
Dopo un diploma del 16 sett. 1050, emanato in Goslar, non si hanno più tracce dell'attività di A. nella cancelleria regia. Se ne ritrova lo stile e la scrittura in un documento del vescovo di Hildesheim, databile fra il 1054 e il 1067. Questo dato di fatto desta minore sorpresa se si pensa che probabilmente A. era stato conosciuto dal vescovo hildesheimense Hozelino quando questi - nel 1053-1054 - era stato cancelliere regio.
Non si conoscono di A. altre notizie posteriori a questa ultima, che pur si riferisce a un momento in cui egli doveva avere un'età non molto superiore ai quarant'anni.
Fonti e Bibl.: La fonte principale per la vita di A. è rappresentata dalla Rhetorimachia; E.Dümmler, Anselm der Peripatetiker nebst anderen Beiträgen zur Literaturgeschichte Italiens im elften Jahrhundert, Halle 1872; Anselm von Besate, Rhetorimachia,a cura di K. Manitius, in Monumenta Germ. Hist., Quellen zur Geistesgeschichte des Mittelalters,II,Weimar 1918; M. Hertz, Zu A. Peripateticus,in Hermes,IX(1875), pp. 383 s. ; H. Bresslau, Zu A. dem Peripatetiker,in Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde,III(1877-78), pp. 419 s.; H. Fitting, Die Anfänge der Rechtsschule zu Bologna,Berlin-Leipzig 1888, pp. 20, 23, 43; G. Mariotti, Memorie e documenti per la storia della università di Parma nel medioevo,I, Parma 1888, pp. 34-42; U. Ronca, Cultura medioevale e poesia latina d'Italia nei secc. XI e XII, I-II, Roma 1892; G. Manacorda, Storia della scuola in Italia,I,2, Milano 1913, pp. 129, 137, 165, 179, 227; J. A. Endres, Die Dialektiker u. ihre Gegner im 11. Jahrhundert,in Philosophisches Jahrbuch, XIX (1906), pp. 20-33; Id., Studien zur Geschichte der Frühscholastik, ibid..XXVI(1913), pp. 85-93; Id., Forschungen zur Geschichte der frühmittelalterl. Philosophie. Beiträge zur Geschichte der Philos. des Mittelalters,XVII (1915), Heft. 2-3, pp. 32-37, 53, 56; M. Manitius, Geschichte der lateinische Literatur des Mittelalters,II,München 1923, pp. 708-715; P. E. Schramm, Kaiser, Rom und Renovatio,I-II,Leipzig 1929, pp. 255, 258, 271 ss., 281, 286; G. Ladner, Theologie u. Politik vor dem Investiturstreit,Wien 1936, pp. 29-31, 111-113; S. Görlitz, Beiträge zur Geschichte der Königlichen Hofkapelle im Zeitalter der Ottonen und Salier bis zum Beginn des Investiturstreites, Weimar 1936, pp. 153 s.; U. Gualazzini, Ricerche sulle scuole preuniversitarie del Medioevo,Milano 1943, pp. 223, 230 s. , 241 s. , 247 s. , 250; C. Erdmann, Forschungen zur politischen Ideenwelt des Frühmittelalters, Berlin 1951, pp. 119-124; E. Curtius, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter,Bern 1954, pp. 113 n. 2, 163, 214 n. 4, 495; G. Misch, Geschichte der Autobiographie,II,1, Frankfurt a. M. 1955, pp. 24 ss.; C. Violante, La pataria milanese e la riforma ecclesiastica.I,Roma 1955, pp. 58-63, e v. Indice;K. Manitius, Rhetorik und Magie bei Anselm von Besate,in Deutsches Archiv,XII(1956), pp. 52-72.