ANTEMIO da Tralle
Architetto bizantino attivo nella prima metà del sec. 6° a Costantinopoli. Figlio del medico Stefano, A. nacque a Tralle in Asia Minore (od. Aydın in Turchia). Di qui - racconta Agazia Scolastico (Hist., V, 6) - la sua fama di professionista e scienziato si sarebbe diffusa a tal punto che Giustiniano lo chiamò nella capitale assieme al fratello Metrodoro, altrettanto celebre come grammatico.Le fonti storiche del sec. 6° (Procopio di Cesarea, De Aed., I, 1, 24-70; Paolo Silenziario, Descriptio, vv. 267-278, 552-553; Agazia, Hist., V, 9) menzionano concordemente A., assieme a Isidoro da Mileto il Vecchio, come l'architetto della Santa Sofia a Costantinopoli, integralmente ricostruita (532-537) per volere di Giustiniano dopo l'incendio che, durante la c.d. rivolta di Nika (gennaio 532), aveva distrutto la preesistente basilica teodosiana. Del nuovo edificio A. avrebbe elaborato gli ἰνδάλματα, ovvero i disegni progettuali (Procopio, De Aed., I, 1, 24), e, sempre in stretta collaborazione con Isidoro, avrebbe sovrinteso alla costruzione. Le informazioni di cui si dispone non permettono però di distinguere con maggior precisione il ruolo svolto da ciascuno dei due architetti, anche se si è ipotizzato che ad A. spettasse una posizione preminente dal momento che Procopio lo nomina sempre prima del suo collega (Fabre, 1923). A. (come Isidoro) viene professionalmente qualificato con l'appellativo di μηχανιϰόϚ o μηχανοποιόϚ (in Paolo Silenziario è impiegata l'amplificazione poetica πολυμήχανοϚ). Come ha chiarito Downey (1948a; 1948b), questo titolo nel cursus studiorum di epoca tardoantica era ben distinto da ἀϱχιτέϰτων e da altre qualifiche di carattere banausico e denotava il raggiungimento del più alto grado di preparazione, anche teorica, nel campo dell'architettura, con una netta distinzione dalla pratica costruttiva di cantiere.Accanto ai lavori della Santa Sofia, proseguiti dal solo Isidoro dopo la morte di A. nel 534 ca., Procopio (De Aed., II, 3, 7 ss.) ricorda una sola altra impresa per la quale i due architetti furono interpellati da Giustiniano: la progettazione di opere idrauliche (ancora in parte esistenti) per Dara in Mesopotamia, dopo la rovinosa inondazione che aveva investito la città. Ma restano incerte sia la cronologia (forse prima del 530) sia la paternità effettiva dell'intervento, al quale contribuì anche Crise d'Alessandria, se non altro in veste di materiale esecutore (Furlan, 1984).Tra gli autori di epoca giustinianea, Agazia è l'unico a ricordare che A. "costruì nella città [Costantinopoli] e in molti altri luoghi opere degne di grande ammirazione" (Hist., V, 6), ma non fornisce purtroppo ulteriori riferimenti: dunque resta preclusa anche la possibilità di stabilire se la Santa Sofia fu preceduta da altre esperienze in campo architettonico o se fu piuttosto l'opera prima, frutto di un'intensa speculazione teorica, dei due scienziati-architetti. Un poeta del sec. 10°, Costantino Rodio (Legrand, 1896, p. 52), riconduce ad A. e a Isidoro il Giovane (evidentemente confuso con il Vecchio) la perduta chiesa costantinopolitana dei Ss. Apostoli, ma la notizia va accolta con cautela. Infatti l'attribuzione non è confermata da Procopio, la cronologia dei Ss. Apostoli (536 ca.-550) risulta successiva alla morte di A. e infine la descrizione del monumento di Procopio (De Aed., I, 4, 9-24) e la struttura del S. Giovanni di Efeso, sua fedele derivazione, attestano un'articolazione architettonica per giustapposizione di unità spaziali autonome, che sembra contrastare con i principi ispiratori della Santa Sofia (Krautheimer, 1965, p. 176). Tra gli studiosi moderni non è mancato comunque chi ha tentato qualche ipotesi sugli inizi dell'attività di A. nella capitale dell'Impero d'Oriente. Sedlmayr (1933) indica con sicurezza come opera sua la chiesa dei Ss. Sergio e Bacco - con naós ottagonale coperto da cupola a ombrello entro un perimetro quadrato -, il più significativo precedente della Santa Sofia nella tipologia a doppio involucro spaziale interferente. Come per i Ss. Apostoli, tuttavia, due elementi inducono a dubitare di questa proposta attributiva: il silenzio di Procopio sull'architetto nel brano dedicato all'edificio (De Aed., I, 4, 3-8), nonché il procedimento adottato per l'imposta della cupola, del tutto in linea con la tradizione rispetto alla soluzione sperimentale della Santa Sofia, in cui viene applicato per la prima volta su scala monumentale il pennacchio sferico per una calotta su vano quadrato. Una seconda attribuzione (seducente, ma priva di supporto documentario) è stata avanzata da Strzygowski (Forchheimer, Strzygowski, 1893), che ha suggerito di vedere l'esordio di A. nella cisterna di Binbirdirek, genialmente sviluppata in altezza per mezzo di colonne incastrate l'una sull'altra entro un tessuto planimetrico modulare.I vivaci interessi scientifici e la curiosità sperimentale di A. emergono soprattutto dalle pagine di Agazia (Hist., V, 7-8), che racconta come egli avesse fatto ricorso alla sua abilità tecnica per scoraggiare le provocazioni di un vicino molesto. Sotto l'appartamento di quest'ultimo avrebbe infatti realizzato una macchina a vapore che, collegata per mezzo di tubi alle travature, riusciva a produrre l'illusione di un terremoto. Avrebbe infine terrorizzato il malcapitato simulando un fulmine accecante attraverso l'uso di un riflettore con uno specchio concavo (Darmstädter, 1933). Gli specchi concavi sono anche l'argomento dell'unico brano rimasto del Πεϱί παϱαδόξων μηχανημάτων (pubblicato da Dupuy nel 1777), un trattato di A. il cui contenuto, a giudicare dal titolo, non doveva essere di argomento esclusivamente ottico (Ver Eecke, 1940; Huxley, 1959). La notorietà di quest'opera nell'Europa medievale e la sua conoscenza forse diretta (senza la mediazione dei matematici arabi) sono provate dalla Perspectiva di Witelo (1270 ca.), i cui libri, dal quinto al nono, sono dedicati appunto agli specchi. Delle medesime questioni si occupa un secondo excerptum che, nonostante i dubbi espressi da Ver Eecke (1940), Huxley (1959) ha ritenuto di poter ascrivere all'architetto. Si tratta del Fragmentum Mathematicum Bobiense, sopraggiunto in forma di palinsesto all'interno di un codice delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia del sec. 8° (Milano, Bibl. Ambrosiana, L. 99, cc. 113-114). Questi scritti, quasi completamente perduti, non sono significativi solo per l'ambito scientifico, come l'ultima importante tappa nella storia della scienza greca (va ricordato, fra l'altro, che il matematico Eutocio dedica proprio ad A. il suo commentario alle Coniche di Apollonio di Perga). Essi costituiscono anche un indizio tutt'altro che marginale per intendere uno degli aspetti centrali della poetica architettonica espressa nella Santa Sofia: il tema della luce. La rarefatta e quasi metafisica spazialità di cui Procopio e Paolo Silenziario hanno ricercato, nelle loro ἐϰϕϱάσειϚ, l'equivalente verbale è infatti il risultato di un percorso creativo che ha indubbiamente una radice squisitamente sperimentale negli studi di A. sugli specchi. Non può sfuggire infatti che la struttura interna della chiesa, totalmente rivestita di distese aniconiche di mosaici d'oro, in certo modo reagisce al variabile incidere e riflettersi dei fasci luminosi come un gigantesco dispositivo catottrico.
Bibl.:
Fonti. - Antemio da Tralle, Πεϱὶ παϱαδόξων μηχανημάτων e Fragmentum Mathematicum Bobiense, in G.L. Huxley, Anthemius of Tralles. A Study in Later Greek Geometry, Cambridge (MA) 1959; Procopio di Cesarea, Buildings (De Aedificiis), a cura di H.B. Dewing, G. Downey (The Loeb Classical Library, 343), London-Cambridge (MA) 1940; Paolo Silenziario, Descriptio Ecclesiae Sanctae Sophiae, in P. Friedländer, Johannes von Gaza und Paulus Silentiarius, Leipzig-Berlin 1912, pp. 227-265; Agazia Scolastico, Historiarum libri quinque, a cura di R. Keydell, in CFHB, II, 1967; Costantino Rodio, in E. Legrand, Description des oeuvres d'art et de l'Eglise des Saint Apôtres de Constantinople par Constantin le Rhodien, Revue des Etudes Greques 9, 1896, pp. 32-65.
Letteratura critica. - P. Forchheimer, J. Strzygowski, Die byzantinische Wasserbehälter von Konstantinopel, Wien 1893; F. Hultsch, s.v. Anthemius aus Tralleis, in Pauly-Wissowa, I, 2, 1894, coll. 2368-2369; A. Muñoz, s.v. Anthemios, in Thieme-Becker, I, 1907, pp. 549-551; A. Fabre, Autour des deux architectes du Parthénon et de Sainte-Sophie, Echos d'Orient 22, 1923, pp. 59-65; L. Bréhier, s.v. Anthemius, in DHGE, III, 1924, col. 528; E. Darmstädter, Anthemios und sein "künstliches Erdbeben" in Byzanz, Philologus 88, 1933, pp. 477-482; H. Sedlmayr, Das erste mittelalterliche Architektursystem, Kunstwissenschaftliche Forschungen 2, 1933, pp. 25-62; P. Ver Eecke, Les opuscules mathématiques de Dydime, Diophane et Anthemius suivis du Fragment mathématique de Bobbio, Paris-Bruges 1940; G. Downey, Byzantine Architects. Their Training and Methods, Byzantion 18, 1948a, pp. 99-118; id., Pappus of Alexandria on Architectural Studies, Isis 38, 1948b, pp. 197-200; G.L. Huxley, Anthemius of Tralles (cit.), 1959; R. Krautheimer, Early Christian and Byzantine Architecture (The Pelican History of Art, 24), Harmondsworth 1965 (1986⁴; trad. it. Architettura paleocristiana e bizantina, Torino 1986; M. Restle, s.v. Anthemios von Tralles, in RbK, I, 1966, coll. 177-178; J. Baltrušaitis, Le miroir: révélations, science-fiction et fallacies, Paris 1979 (trad. it. Lo specchio: rivelazioni, inganni, science-fiction, Milano 1981, pp. 132-133); I. Furlan, Accertamenti a Dara, I, Padova 1984; R.J. Mainstone, Haghia Sophia. Architecture, Structure and Liturgy of Justinian's Great Church, London 1988.A. Iacobini