Bonifacio VII, antipapa
Romano di nascita, figlio di un Ferruccio, fu noto anche col secondo nome, o soprannome, di Franco, non infrequente nella Roma del sec. X. Dei suoi primi anni si ignora tutto, data l'assenza della sua biografia nel Liber pontificalis; faceva comunque parte del clero cardinale della città, giacché quando, nel 974, compare in primo piano nella storia di Roma, porta già il titolo di diacono.
In quell'anno vi fu in Roma un pronunciamento di un gruppo dell'aristocrazia contro Benedetto VI. Questi era stato eletto un anno e mezzo prima, con l'appoggio dichiarato dell'imperatore Ottone I, ma, sembra, senza alcun seguito a Roma. Nel maggio 973, pochi mesi dopo la sua elezione, il suo protettore imperiale era morto, e il successore Ottone II, assorbito nella difficile situazione interna di Germania, dovette trascurare le questioni romane. Di questa crisi del potere imperiale profittò uno dei membri più potenti dell'aristocrazia romana, Crescenzio di Teodora, che alla fine del giugno 974 si impadronì del papa facendolo rinchiudere prigioniero in Castel S. Angelo (v. Benedetto VI). Dalla testimonianza di Ermanno Augiense (a. 974, p. 116) non risulta chiaramente la natura delle accuse rivolte al papa a giustificare la sua deposizione. È molto probabile, in realtà, che egli patisse le conseguenze dell'essere stato imposto in Roma senza l'accordo dell'aristocrazia, la quale forse già alla morte del predecessore di Benedetto VI aveva presentato un proprio candidato al papato, rifiutato da Ottone I. Infatti non appena Benedetto VI fu rinchiuso in carcere, fidando forse anche nelle giustificazioni canoniche che potevano scaturire dalle accuse a lui rivolte (H. Zimmermann, Parteiungen und Papstwahlen, p. 100), venne elevato al soglio papale B., che dunque appare legato, o almeno ben accetto, a Crescenzio di Teodora capo del pronunciamento. Questi era stato sostenitore del predecessore di Benedetto VI, Giovanni XIII, che insieme con i suoi figli aveva difeso in occasione di una rivolta di altre fazioni dell'aristocrazia romana. Si è anzi supposto, con attendibilità, che egli fosse fratello di Giovanni XIII: questi, comunque, doveva la cattedra ad un compromesso tra Ottone I e il gruppo di Crescenzio, la cui ostilità a Benedetto VI potrebbe dunque spiegarsi con un atteggiamento meno favorevole verso la sua famiglia - e forse con una propensione verso l'altro gruppo aristocratico dei Tuscolani (C.G. Mor, p. 361) - da parte del nuovo pontefice.
Perché B. condividesse l'ostilità di Crescenzio verso Benedetto VI è ignoto, così come è ignoto se egli facesse parte della fazione di Crescenzio, e addirittura ne fosse parente, o se rappresentasse invece un altro gruppo, eventualmente curiale, i cui interessi si trovarono a coincidere con quelli dell'aristocratico. Consacrato in fretta, mentre Benedetto VI era ancora in vita, dovette subito far fronte alla controffensiva imperiale. I rappresentanti dell'imperatore in Italia, infatti, intervennero subito in Roma. Il conte Siccone, forse inviato dal fiduciario ottoniano Pandolfo Capodiferro, entrò in Roma chiedendo la liberazione del papa prigioniero. Il gruppo degli insorti rifiutò di obbedire, ma B., temendo che l'intervento imperiale riconducesse Benedetto VI sul soglio papale, pensò bene di eliminarlo facendolo strangolare da un prete di nome Stefano. L'azione cruenta fece però precipitare la sua posizione. Non solo il "missus" Siccone, ma anche la popolazione romana restarono impressionati dalla notizia. B. dovette rifugiarsi in Castel S. Angelo, dove fu assediato da Siccone, finché, appena un mese dopo l'elezione, riuscì a fuggire portando con sé parte del tesoro papale. Anche i Crescenzi sembra che rinunciassero a sostenerlo, giacché si accordarono con Siccone per eleggere un altro papa, gradito a loro e al "missus", nella persona di Benedetto VII, che fu ordinato nell'ottobre. Fra le prime preoccupazioni del nuovo pontefice fu quella di convocare un sinodo dal quale B. fu solennemente condannato (ne danno notizia una lettera di Adalberone di Reims, in J. Havet, Lettres de Gerbert, Paris 1889, p. 235; e Gerberto d'Aurillac, in Acta Concilii Remensis 28, in M.G.H., Scriptores, III, a cura di G.H. Pertz, 1839, p. 672). Sebbene le fonti siano esplicite nell'attestare che nel 974 B. era stato ordinato pontefice, esse però presentano Benedetto VII come successore immediato di Benedetto VI, considerando il mese di pontificato di B. niente altro che una temporanea invasione della Sede apostolica. Le stesse fonti gli riservano invece un posto nella serie dei papi dopo il suo ritorno nel 984, e calcolano da allora la durata del suo pontificato. B. dovette invece considerarsi pontefice ininterrottamente dal 974, nonostante il suo allontanamento da Roma: documenti romani del 984-985, posteriori cioè al suo ritorno, sono infatti datati dal decimo, undicesimo e dodicesimo anno di pontificato (Il regesto sublacense, nrr. 152, p. 199; 81, p. 124; 138, p. 189).
In effetti, se B. non rinunciò a considerarsi pontefice, egli non dovette neanche perdere tutti i sostenitori. Una fonte informa infatti che anche dopo la fuga da Roma egli creò problemi per il nuovo papa, non permettendogli di regnare pacificamente (Frammento di Ivrea). Si è supposto che egli si rifugiasse in Sabina, area di influenza dei Crescenzi, e che di là perseguisse la sua azione di disturbo contro Roma. Probabilmente è più esatto, vista anche la conciliazione di Crescenzio di Teodora con Benedetto VII, pensare che egli trovasse rifugio e aiuti nell'Italia meridionale bizantina (H. Zimmermann, Parteiungen und Papstwahlen, p. 102). Si sa infatti che, nella sua fuga, B. cercò riparo a Bisanzio. Ciò mette in luce un'altra componente della rivolta romana contro Benedetto VI e delle forze che poterono sostenere Bonifacio VII. I Bizantini avevano visto assai di malocchio la restaurazione dell'Impero occidentale con Ottone I: all'irrigidimento diplomatico erano seguiti conflitti nell'area dove i due Imperi venivano a contatto, l'Italia meridionale, e solo per una necessità politica l'imperatore Giovanni Zimisce, che nel 969 aveva usurpato il trono a Bisanzio, aveva acconsentito al matrimonio di una principessa della sua casa con Ottone II, per riportare provvisoriamente la calma nei territori italiani e potersi dedicare più liberamente alla lotta in Oriente contro Bulgari e Arabi. È possibile che alla morte di Ottone I Bisanzio avesse stabilito intese con i partiti romani per cercare di sottrarre Roma all'influsso tedesco riportandola nell'area di influenza bizantina e togliere così ai successori di Ottone I la possibilità di intitolarsi imperatori romani (P.E. Schramm, Kaiser, Basileus und Papst in der Zeit der Ottonen, "Historische Zeitschrift", 129, 1924, pp. 436-41; G. Ostrogorsky, Storia dell'Impero bizantino, Torino 1968, pp. 256 ss.). Si è supposto che B. fosse l'uomo di fiducia in Roma dell'imperatore bizantino, alleato con Crescenzio ma rappresentante di una istanza politica diversa (A. Michel, Humbert und Kerullarios, I, Paderborn 1924, p. 12 e n. 2). Che la sua invasione fosse nota e favorevolmente considerata a Bisanzio, è provato dalla circostanza che il suo nome figurò nei dittici bizantini già all'epoca dell'uccisione di Benedetto VI (ibid.). Si ignora per quanto tempo dopo la fuga da Roma B. si sia trattenuto in Italia, quando sia andato a Bisanzio e quando ne sia tornato. Mentre le fonti sembrano indicare una sua immediata partenza, per un ritardo di essa testimonierebbero invece le già menzionate azioni di disturbo contro Benedetto VII. Così nel 980 il papa regnante dovette abbandonare Roma in seguito a una nuova "infestatio" dell'"invasor [...] Apostolicae sedis" (bolla di Benedetto VII per Memleben, in H. Weirich, Urkundenbuch der Reichsabtei Hersfeld, Marburg 1936, p. 126), per tornarvi solo l'anno dopo, accompagnato dall'imperatore Ottone II (P. Delogu, Benedetto VII, in D.B.I., VIII, pp. 346-50). La notizia può alludere alla circostanza che il gruppo dei Crescenzi cominciava a staccarsi da Benedetto VII (W. Kölmel, p. 525) e forse prendeva nuovamente le parti del suo antico candidato; ma essa potrebbe anche indicare che solo dopo il 981 B. si recò a Bisanzio, nel qual caso il suo viaggio potrebbe mettersi in relazione con la spedizione che in quell'anno Ottone II intraprese nel meridione d'Italia contro Saraceni e Bizantini e che lo avrebbe costretto alla fuga. Meno probabile è l'ipotesi che nel 980 egli fosse già tornato da Bisanzio, perché le fonti sono concordi nel riferire la sua comparsa a Roma nel 984 come immediatamente successiva al ritorno da Bisanzio (Le Liber pontificalis, p. 259; Ermanno Augiense, a. 984, p. 117).
In Bisanzio egli dovette rafforzare i legami con gli ambienti politici imperiali che, sebbene non fossero materialmente in grado di intervenire in Italia, per le difficoltà interne suscitate dalla successione di Basilio II, seguivano con ostilità le imprese di Ottone II in Puglia e in Calabria. Fu dunque con l'appoggio bizantino, concretato in ingenti quantità di denaro dategli per facilitargli l'impresa, che nel 984 B. ritornò in Italia per sfruttare un favorevole momento di crisi dell'autorità imperiale in Roma. Alla morte di Benedetto VII Ottone II aveva tentato di risolvere i problemi che ad ogni nuova elezione papale nascevano dallo scontro dei partiti romani, imponendo al soglio pontificio una personalità estranea a Roma, il suo cancelliere Pietro, vescovo di Pavia. Il calcolo si rivelò completamente sbagliato: Pietro, che assunse il nome di Giovanni XIV, sembra non trovasse nessun appoggio nell'aristocrazia romana, e poté sostenersi solo grazie alla presenza di Ottone II. Quando però questi venne a morte, il 7 dicembre 983, si ripeté la situazione del tempo di Benedetto VI, e B. cercò di approfittarne. Nell'aprile 984 egli era nuovamente a Roma, dove trovò consensi e appoggi. Grazie ad essi, riuscì a impadronirsi di Giovanni XIV, che rinchiuse in Castel S. Angelo, dove rimase per quattro mesi finché morì di fame e - fu detto - di veleno, il 20 agosto 984 (la data risulta dall'epitaffio del papa riprodotto nel Liber pontificalis, p. 259 n. 2, e da essa si ricava quella del ritorno di B. a Roma). A una precisa lettura delle fonti sembra che solo dopo la sua morte B. ritornasse sul soglio papale (ibid. [p. 259]: "[...] qui ipse Bonifatius post mortem eius sedit mens. XI"), forse per evitare che nuovamente lo si accusasse di invasione. In effetti, solo dopo la morte di Giovanni XIV, Ermanno di Reichenau inserisce B. nella serie regolare dei papi, dandogli il centoquarantesimo posto dopo s. Pietro (a. 984, p. 117). Egli si mantenne sul soglio papale per undici mesi.
Si ignora ogni dettaglio di questo pontificato. Ne sono rimaste soltanto due bolle, dalle quali si può forse dedurre una politica limitata al gioco dei partiti romani, volta a consolidare aderenze politiche. La prima (del 31 dicembre 984: regesto in Regesta Pontificum Romanorum, nr. 3824: cfr. Italia pontificia, p. 45; edizione in Il regesto sublacense, nr. 202, p. 244) è una conferma di una donazione fatta ad abitanti del castello di Gallicano dai due fratelli "nobiles viri" Giovanni e Crescenzio (cfr. Il regesto sublacense, nr. 144, p. 195, la cui data è da riportare, secondo il Kehr, al 984). Se si pensa che Crescenzio di Teodora, antico sostenitore di B., morto nel 984, aveva appunto due figli chiamati Giovanni e Crescenzio, si può ravvisare nella disposizione del papa la testimonianza di rinnovati legami con i suoi antichi sostenitori. A una politica di interessi di fazione si può anche ricondurre il secondo documento (regesto in Regesta Pontificum Romanorum, nr. 3825: cfr. Italia pontificia, p. 29; edito in P. Fabre-L. Duchesne, Le "Liber censuum" de l'Église romaine, I, Paris 1910, p. 348) relativo alla locazione ad uno sconosciuto del castello di Pietrapertusa, in diocesi di Silvacandida, per il suo contenuto militare e per il censo cospicuo - 10 solidi aurei l'anno - che il papa doveva ritrarne. Tuttavia non dovettero mancare oppositori a Bonifacio VII. La sua precedente impresa, con l'assassinio di un papa, aveva avuto vasta eco in Europa; Gerberto d'Aurillac, per esempio, parla di lui definendolo "horrendum monstrum" (Acta Concilii Remensis, p. 672). Come si è visto, circolavano voci che egli avesse provocato la morte anche di Giovanni XIV. Fonti tardomedievali asseriscono che alcuni cardinali rifiutarono di riconoscerlo (Amalricus Augerius, Chronicon Pontificum Romanorum, in R.I.S., III, 2, 1734, col. 333; Martino Polono, Chronicon, a cura di L. Weiland, in M.G.H., Scriptores, XXII, a cura di G.H. Pertz, 1872, p. 431). Forse a questa resistenza è da collegare la notizia di una tarda recensione del Liber pontificalis (p. 257), secondo cui egli avrebbe fatto accecare il cardinale diacono Giovanni. Con ogni probabilità i suoi stessi sostenitori dovettero distaccarsi da lui. È stato infatti dimostrato che subito dopo la sua morte il potere in Roma venne assunto, nella sedevacanza, dal vestiario Giovanni d'accordo con Benedetto conte di Sabina, membro del gruppo dei Crescenzi (W. Kölmel, pp. 527 ss.). Non è impossibile che quest'alleanza si fosse stretta già durante la vita di B. e che avesse unito nell'ostilità a lui il gruppo della Curia con il gruppo dei Crescenzi.
Il 20 luglio 985 B. venne repentinamente a morte. Si è supposto (J. Haller, p. 555), sulla base di una notizia isolata degli Annales Einsidlenses (ad a. 983, in M.G.H., Scriptores, III, p. 143), che fosse stato assassinato in una congiura. La testimonianza non trova però conferma nelle altre fonti e neanche nelle varianti degli stessi Annali. Si sa soltanto che quelli stessi che erano stati suoi sostenitori, dopo la sua morte, si accanirono contro il cadavere, colpendolo con lance, trascinandolo poi per i piedi fino al cavallo di Costantino, dove lo abbandonarono nudo. Colà lo raccolsero alcuni chierici e lo seppellirono, si ignora dove. Nella memoria popolare il suo nome fu cambiato in "Malefatius"; tuttavia solo dal 1903 egli viene considerato, nelle liste ufficiali della Chiesa, antipapa.
fonti e bibliografia
Herimanni Augiensis Chronicon, in M.G.H., Scriptores, V, a cura di G.H. Pertz, 1844, pp. 116 s.
Frammento di Ivrea, in L. Weiland, Zur Papstgeschichte des 10. Jahrhunderts, "Nachrichten von der Königl. Gesellschaft der Wissenschaften und der Georg-August-Universität zu Göttingen", Phil.-hist. Klasse, 1885, pp. 69-72 (riprodotto anche in Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892, p. 257 n. 1).
Il regesto sublacense del secolo XI, a cura di L. Allodi-G. Levi, Roma 1885, pp. 124, 189, 199.
Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. Wattenbach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. Ewald, I, Lipsiae 1885, p. 485.
Le Liber pontificalis, II, pp. 255, 257, 259 (p. 258: epitaffio di Benedetto VII).
Il Chronicon Farfense di Gregorio di Catino, a cura di U. Balzani, II, Roma 1903 (Fonti per la Storia d'Italia, 34), p. 244.
Italia pontificia, II, a cura di P.F. Kehr, Berolini 1907, pp. 29, 45.
L.C. Ferrucci, Investigazioni storico-critiche su la persona e il pontificato di Bonifazio VII, Lugo 1851 (è un tentativo di scagionare il papa del tutto superato, interessante come curiosità).
G. Bossi, I Crescenzi. Contributo alla storia di Roma e dintorni dal 900 al 1012, Roma 1915, passim.
W. Kölmel, Beiträge zur Verfassungsgeschichte Roms im 10. Jahrhundert, "Historisches Jahrbuch im Auftrag der Görresgesellschaft", 55, 1935, pp. 525, 527 ss.
F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medio Evo, V, Roma 1940, pp. 250, 260 ss.
C.G. Mor, L'età feudale, I, Milano 1952, p. 361.
J. Haller, Das Papsttum. Idee und Wirklichkeit, II, Esslingen 1962, p. 555.
L. Santifaller, Zur Geschichte des ottonisch-salischen Reichskirchensystems, Wien 1964, pp. 180 s.
H. Zimmermann, Parteiungen und Papstwahlen in Rom zur Zeit Kaiser Ottos des Grossen, "Römische Historische Mitteilungen", 8-9, 1964-65 e 1965-66, pp. 82 s.
Id., Papstabsetzungen des Mittelalters, Graz-Wien-Köln 1968, pp. 99-103.
F. Baix, Boniface VII, in D.H.G.E., IX, coll. 900-04.
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