Filippo, antipapa
Presbitero del monastero di S. Vito, probabilmente addetto al servizio del culto nella diaconia annessa a tale chiesa, F. venne acclamato pontefice il 31 luglio del 768, ma fu deposto nello stesso giorno per mano dei seguaci del primicerio Cristoforo. La sua singolare vicenda costituisce uno dei tanti episodi di quella crisi interna che caratterizzò la nascente Respublica sancti Petri, "contenuta in germe [come indicato dal Duchesne] nella rivalità dei due grandi corpi, il clero e l'esercito, e nel trasferimento al clero della supremazia politica di cui l'esercito era stato fino a quel momento l'organo" (L. Duchesne, I primi tempi, p. 51).
Il latente conflitto fra clero e aristocrazia militare prese corpo nel momento stesso in cui, nell'estate del 767, la malattia di papa Paolo I cominciò a rendere incombente il problema della sua successione. Infatti, ancor prima del decesso di Paolo, il duca Totone, uno dei più rilevanti esponenti dell'aristocrazia militare della Tuscia romana, sostenuto dai suoi tre fratelli, Costantino, Passivo e Pasquale, e dalle truppe radunate "tam ex eadem Nepesina quamque ex aliis Tusciae civitatibus" (Le Liber pontificalis, p. 468), si presentò sotto le mura di Roma, presumibilmente al fine di condizionare l'imminente elezione del nuovo pontefice, o addirittura, come poi sostenuto dal primicerio Cristoforo nella deposizione resa durante il concilio lateranense del 769, per eliminare il papa. Secondo questa testimonianza, l'abilità diplomatica di Cristoforo sarebbe riuscita sia a vanificare le intenzioni dei congiurati, sia ad evitare l'ingresso delle truppe in città, ottenendo anche che Totone si impegnasse a rispettare i tempi e le procedure previste per l'elezione del nuovo pontefice. Tuttavia, il giorno stesso della morte di Paolo I, il duca nepesino, venendo meno agli impegni presi, penetrò in Roma da Porta S. Pancrazio, riuscendo ben presto ad assumere il controllo della città, e ad imporre l'elezione di un laico nella persona di suo fratello Costantino, al quale il vescovo di Preneste fu frettolosamente costretto a conferire gli ordini religiosi. Pochi giorni dopo (5 luglio 767) Costantino venne consacrato papa in S. Pietro dai vescovi di Preneste, Albano e Porto. Domate le residue resistenze degli avversari, Totone e Costantino tentarono di eliminare anche Cristoforo, che si rifiutava di riconoscere il nuovo pontefice. Costui, consapevole del pericolo, si ritirò con suo figlio Sergio in S. Pietro, dove rimase rifugiato fino a che Costantino, prestando solenne giuramento dinanzi la Confessione di S. Pietro, non offrì concrete garanzie per la sua incolumità. Impetrando il perdono del nuovo pontefice e manifestando l'intenzione di ritirarsi definitivamente presso il cenobio sabino di S. Salvatore, sorgente a breve distanza da Rieti, Cristoforo e Sergio ottennero l'autorizzazione a lasciare Roma una volta passate le festività pasquali.
Non appena usciti dal territorio romano, Cristoforo e Sergio si diressero a Spoleto, e, presentatisi al duca Teodicio, lo pregarono di condurli presso il re Desiderio. Il sovrano longobardo, intravedendo la possibilità di estendere la propria influenza su Roma mediante l'imposizione di un pontefice a lui favorevole, autorizzò il duca spoletino a fornire ai due fuoriusciti gli aiuti e gli uomini necessari all'estromissione di Costantino, affiancando a Cristoforo e a Sergio un proprio inviato, il presbitero longobardo Waldiperto. Radunatosi a Rieti, il corpo di spedizione, guidato da Sergio e Waldiperto, mosse ben presto alla volta di Roma, giungendo presso il ponte Salario la sera del 29 luglio 768. Le truppe longobarde si diressero quindi verso Porta S. Pancrazio, che nella notte fra il 30 ed il 31 luglio, venne aperta a tradimento da due partigiani di Cristoforo, il "secundicerius" Demetrio ed il "chartularius" Grazioso. Nonostante l'efficace reazione dei difensori, favoriti dall'esitazione iniziale delle truppe longobarde, la morte di Totone, ucciso a tradimento da Demetrio e Grazioso, volse lo scontro in favore degli uomini di Sergio che riuscirono a raggiungere il Laterano, a catturare Costantino, e quindi a porre la città sotto il proprio controllo. Il giorno successivo, all'insaputa di Sergio, il presbitero longobardo Waldiperto, in ossequio alle segrete istruzioni ricevute da re Desiderio (cfr. O. Bertolini, Roma e i Longobardi, p. 90), si preoccupò della scelta del nuovo pontefice, sperando forse di mettere Cristoforo, che non aveva ancora raggiunto Roma, dinanzi al fatto compiuto. Radunato, infatti, un folto gruppo di romani, Waldiperto si recò sull'Esquilino presso il monastero della diaconia di S. Vito, facendo acclamare papa il presbitero Filippo, sebbene costui non fosse un presbitero cardinale e quindi non appartenesse "à la hiérarchie proprement dite, dans laquelle il était de règle que l'on choisît les papes" (L. Duchesne, Le Liber pontificalis, p. 481 n. 17). Al grido di "Philippum papa sanctus Petrus elegit!", il religioso venne condotto nel Palazzo del Laterano e, dopo le benedizioni di rito impartitegli da un vescovo, fu posto sulla "sella pontificalis", gesto che, come sottolineato dal Maccarrone, doveva contrassegnare l'inizio del pontificato (cfr. p. 1292). Assiso su tale seggio, F. dispensò la sua benedizione ai presenti; poi gli fu fatto presiedere il banchetto tradizionalmente offerto dai nuovi pontefici ai capi delle milizie e ai più alti esponenti del clero. Giunto nel frattempo in vista di Roma ed avuta notizia dell'accaduto, Cristoforo, comprendendo i pericoli connessi a tale elezione, fece annunciare ai Romani che non avrebbe messo piede in città fintanto che F. non fosse stato espulso dal patriarchio. Guidato da Grazioso, un gruppo di seguaci di Cristoforo si diresse allora al Laterano per scacciare F., che lo stesso Grazioso, facendolo uscire per una scala secondaria, si incaricò di ricondurre "cum magna reverentia" al proprio monastero. Il giorno dopo, nel corso di un'affollata assemblea aperta al clero, alla popolazione romana e all'aristocrazia militare, e presieduta dal primicerio Cristoforo, venne eletto papa Stefano, presbitero cardinale del titolo di S. Cecilia.
Le scarne notizie su F., riferite nella biografia di Stefano III, unica fonte a menzionare la sua vicenda, oltre a non consentire una migliore definizione della figura del presbitero di S. Vito, del quale si ignora tutto ciò che precede e segue la sua avventura durata un solo giorno, non permettono neanche di determinare con certezza quali siano state le ragioni che spinsero Waldiperto ad individuare proprio in questo religioso il candidato al pontificato più funzionale agli interessi politici del re longobardo. Ad ogni modo, al di là di eventuali rapporti precedentemente intrattenuti da F. con ambienti longobardi, il clemente e rispettoso atteggiamento assunto nei suoi confronti dai seguaci di Cristoforo induce ad ipotizzare che costoro lo ritenessero un ignaro strumento nelle mani di Waldiperto piuttosto che un sostenitore della fazione filolongobarda.
Ben diversa fu invece la sorte riservata all'emissario di Desiderio, che, subito dopo l'elezione di Stefano III, venne accusato insieme ad alcuni romani di un complotto mirante, in accordo con il duca spoletino Teodicio, ad uccidere Cristoforo e a consegnare Roma ai Longobardi. Sfuggito alla cattura e rifugiatosi in S. Maria ad Martyres, il presbitero venne ugualmente raggiunto dai suoi inseguitori, che, sebbene egli cercasse scampo abbracciando un'immagine della Madonna, lo trascinarono fuori della chiesa e lo rinchiusero in una segreta del Laterano, denominata "Ferrata". Alcuni giorni dopo Waldiperto venne condotto nel campo lateranense, dove subì il taglio della lingua e l'accecamento. Così mutilato fu quindi portato "in xenodochio Valerii", dove morì qualche giorno più tardi. Il suo corpo fu successivamente trasportato in territorio longobardo e sepolto a "Forum Novum" (l'attuale Vescovio), dove ancora oggi la lapide sepolcrale, conservata nell'atrio della chiesa di S. Maria, ricorda la sua triste sorte.
fonti e bibliografia
I.D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XII, Florentiae 1766 (ed. anast. Graz 1960), coll. 713-18.
Pauli Diaconi Continuatio Lombarda, a cura di G. Waitz-L. Bethmann, in M.G.H., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, a cura di G. Waitz, 1878, p. 218.
Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. Wattenbach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. Ewald, I, Lipsiae 1885, p. 284.
Concilium Romanum a. 769, in M.G.H., Leges, Legum sectio III: Concilia, II, 1, a cura di A. Werminghoff, 1906, pp. 84-5.
Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1955², pp. 468-71, 481.
J. Langen, Geschichte der Römischen Kirche von Leo I. bis Nikolaus I., Bonn 1885, p. 689.
O. Rössler, Grundriss einer Geschichte Roms im Mittelalter, Berlin 1909, p. 175.
F. Hayward, Histoire des Papes, Paris 1929, p. 141.
F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medioevo, IV, Città di Castello 1939, p. 24.
O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna 1941, pp. 629-31.
L. Duchesne, I primi tempi dello Stato pontificio, Torino 1947, pp. 54-6.
J. Haller, Das Papsttum. Idee und Wirklichkeit, I, Stuttgart 1950, pp. 442-43.
C. Marcora, Storia dei papi, I, Da S. Pietro a Leone III, Milano 1951, pp. 405-11.
F.X. Seppelt, Geschichte der Päpste, I, München 1954², pp. 147-50.
G. Ferrari, Early Roman Monasteries. Notes for the History of the Monasteries and Convents at Rome from the V Through the X Century, Città del Vaticano 1957, pp. 348, 350.
P. Paschini - V. Monachino, I papi nella storia, I, Roma 1961, pp. 245-47.
M.G. Mara, Una pagina di storia longobarda da una epigrafe di Santa Maria in Vescovio, "Studi Romani", 9, 1961, pp. 550-51.
C. Falconi, Storia dei papi e del papato, II, I papi dei secoli di ferro scelgono l'Occidente (Il grande scisma con Bisanzio), Roma-Milano 1968, pp. 343-46.
O. Bertolini, Per la storia delle diaconie romane nell'alto medioevo sino alla fine del secolo VIII, in Id., Scritti scelti di storia medioevale, I, Livorno 1968, pp. 350 n. 115 e 355-56.
Id., Roma e i Longobardi, Roma 1972, pp. 90-1.
J.T. Hallenbeck, Pope Stephen III: Why Was He Elected?, "Archivum Historiae Pontificiae", 12, 1974, p. 287.
P. Llewellyn, Roma nei secoli oscuri, Roma-Bari 1975, pp. 178-80.
P. Delogu, Il regno Longobardo, in Id.-A. Guillou-G. Ortalli, Longobardi e Bizantini, Torino 1980 (Storia d'Italia, diretta da G. Galasso, 1), pp. 184-85.
E. Amann, in Storia della Chiesa, a cura di A. Fliche-V. Martin, VI, Torino 1983², p. 27;.
M. Maccarrone, La "Cathedra Sancti Petri" nel Medioevo: da simbolo a reliquia, in Id., Romana Ecclesia Cathedra Petri, II, a cura di P. Zerbi-R. Volpini-A. Galluzzi, Roma 1991, pp. 1291-92.
Histoire du Christianisme des origines à nos jours, IV, a cura di J. Mayeur et al., Paris 1993, p. 702.
Th.F.X. Noble, La Repubblica di San Pietro. Nascita dello Stato pontificio (680-825), Genova 1998, pp. 120-24.
E.C., I, s.v. Antipapa. Antipapi impropriamente detti (5. - Filippo, prete del monastero di San Vito), col. 1489.
G. Bardy, Constantin II, in D.H.G.E., XIII, coll. 591-93.
A. Dumas, Étienne III, ibid., XV, col. 1190.
Lexikon für Theologie und Kirche, VIII, Freiburg 1963, s.v., col. 465.
A Dictionary of Christian Biography, IV, New York-Millwood 1974, col 357.
O. Bertolini, Costantino II, papa, in D.B.I., XXX, pp. 314-20.
Catholicisme, XI, Paris 1988, s.v., coll. 183-84.
J.N.D. Kelly, Dictionnaire des Papes, Brepols 1994, s.v.
Biographisch-bibliographisches Kirchenlexikon, VII, Herzberg 1994, s.v., col. 503.
Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, I, Milano 1996, s.v., pp. 595-96.