Gregorio, antipapa
Non si conoscono le sue origini familiari, né il luogo e la data di nascita. Non è del resto neppure chiaro se G. fosse il suo nome di battesimo o quello che egli si scelse come successore di Sergio IV, da poco defunto (12 maggio 1012).
Nel decennio successivo alla morte dell'imperatore Ottone III (1002), la scena politica romana era stata dominata dal patrizio Giovanni II, appartenente alla famiglia oggi comunemente detta dei Crescenzi, che aveva controllato anche la Sede apostolica favorendo l'elezione dei papi Giovanni XVII, Giovanni XVIII e Sergio IV. Egli morì tuttavia qualche giorno dopo Sergio IV, e la sua scomparsa determinò un vuoto di potere da cui derivò un rivolgimento degli equilibri delle forze in campo. La famiglia rivale dei conti di Tuscolo prese infatti il sopravvento in città e impose come nuovo pontefice il secondogenito del conte Gregorio, Teofilatto, che assunse il nome di Benedetto VIII.
Pur nella scarsità delle informazioni disponibili, appare chiaro che G. dovette ben presto essere costretto ad abbandonare la città. È possibile, anche se non esplicitamente documentato, che egli trovasse rifugio in Sabina, regione di origine e di massima concentrazione patrimoniale dei Crescenzi. La situazione volgeva però sempre più in favore del partito di Benedetto VIII che, nel corso dell'estate di quell'anno, giunse a minacciare direttamente anche le roccaforti sabine dei rivali, ponendo direttamente l'assedio al loro "castrum" familiare di Bocchignano. G. dovette quindi risolversi a chiedere l'aiuto di Enrico II. Stando a quanto riporta la cronaca di Tietmaro, vescovo di Merseburgo, nel Natale del medesimo anno egli si sarebbe infatti recato a Pöhlde, in Sassonia, per incontrare il sovrano. Vestito dei paludamenti papali, G. avrebbe tentato di fare riconoscere la legittimità della propria elezione, protestando per le violenze subite e negando qualunque consistenza alle pretese dei Tuscolani. Sempre secondo il cronista, Enrico II tenne nei confronti di G. un atteggiamento di cortese ospitalità, assicurandogli di avere in animo di recarsi a Roma per porre termine alla disputa. Nello stesso tempo egli avrebbe tuttavia requisito la croce pastorale che G. aveva portato con sé, ordinandogli di astenersi da qualunque atto connesso all'esercizio dell'autorità apostolica. È noto inoltre che, nel volgere di qualche settimana, Enrico II, verso il quale i Crescenzi avevano del resto sempre manifestato ostilità, diede la propria conferma all'elezione di Benedetto VIII. Da questo momento della vita di G. non si ha più alcuna notizia, e non si conoscono il luogo e la data della sua morte.
Non è chiaro se G. abbia effettivamente esercitato, per qualche tempo almeno, un potere dotato dei crismi della legittimità. Le poche informazioni che di lui si hanno sono talmente vaghe da non consentire, al riguardo, più che congetture. Non sopravvive infatti alcuna testimonianza che lo mostri impegnato in atti di governo o in azioni pastorali ed è persino dubbio che egli sia stato effettivamente intronizzato. A ciò si aggiunga il fatto che Tietmaro, nel rendere conto del contrasto che lo vide opposto a Teofilatto, da un lato lo definisce, con noncuranza alquanto sdegnosa, "un tal Gregorio"; dall'altro sembra sottolineare che la disputa tra i due non si era conclusa con una doppia elezione, ma con l'ascesa al soglio pontificio del solo Benedetto VIII ("Namque papa Benedictus Gregorio quodam in electione prevaluit").
Occorre però tenere presente che, se l'elezione di G. fosse stata priva di una pur minima legittimità, sarebbe difficile spiegare con quali speranze di riuscita egli si recasse "cum omni paratu apostolico" dinanzi a un sovrano come Enrico II, la cui avversione per il partito che lo sosteneva era ben nota. È inoltre vero che alcune fonti tarde paiono riconoscere un iniziale successo alla resistenza opposta da G. e dai suoi alleati. Pur senza fare esplicitamente il nome di G., la redazione quattrocentesca del Liber pontificalis sostiene infatti che papa Benedetto sarebbe stato costretto ad abbandonare Roma in conseguenza dell'acuirsi degli scontri e del "maximum scisma" verificatosi all'interno della Sede apostolica. Tale notizia compare già con analoga formulazione almeno a partire dal Chronicon pontificum et imperatorum Romanorum compo-sto da Gilberto, forse un romano attivo nel primo quarto del XIII secolo (edito a cura di O. Holder-Egger, in M.G.H., Scriptores, XXIV, 1879, p. 132). Essa tuttavia non risulta altrimenti confermata, ed è certamente il frutto di un equivoco testuale occorso a un livello non agevolmente precisabile della tradizione manoscritta di alcuni cataloghi dei pontefici romani. Il pontefice obbligato a fuggire dalla città fu infatti Benedetto IX, cosa che le fonti sono concordi nel riferire descrivendo l'episodio con le medesime parole. Gilberto sbagliò l'ordinale accanto al nome del papa e fu forse il primo a cadere in questo errore, dato che il testo da cui egli traeva la maggior parte delle proprie informazioni al riguardo riportava invece gli avvenimenti in maniera corretta (cfr. Gotifredi Viterbiensis Pantheon, ibid., XXII, a cura di G. Waitz, 1872, p. 295, opera verosimilmente ultimata tra il 1185 e il 1190). La sua indicazione trasse in inganno alcuni cronisti attivi nel corso del XIII secolo, tra cui ad esempio Alberto, autore intorno al 1240 degli Annales Stadenses (a cura di J.M. Lappenberg, ibid., XVI, a cura di G.H. Pertz, 1869, p. 298), Martino di Troppau, che nel 1268-1269 ultimò il suo Chronicon (p. 433), e l'anonimo autore, attivo intorno al 1270, della Chronica universalis Mettensis (a cura di G. Waitz, in M.G.H., Scriptores, XXIV, 1879, p. 511). Essi, e pochi altri, contribuirono quindi a dare qualche consistenza a una notizia altrimenti priva di alcun fondamento.
In sostanza appare molto problematico decidere se G. sia stato realmente, anche se per un tempo brevissimo, alla guida della Chiesa di Roma. È probabile che la sua elezione fosse avvenuta nel rispetto delle procedure canoniche, altrimenti un cronista a lui ostile come Tietmaro non avrebbe mancato di sottolineare negativamente il fatto che egli si fosse presentato a Enrico II munito delle insegne papali. Tuttavia in quel momento la superiorità del partito dei Tuscolani doveva essere tanto evidente da soffocare qualunque opposizione, anche se provvista di legittimità formale.
fonti e bibliografia
Thietmari Merseburgensis episcopi Chronicon, in M.G.H., Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, LIV, a cura di Fr. Kurze, 1889, p. 191.
Martino di Troppau, Chronicon pontificum et imperatorum, a cura di L. Weiland, ibid., Scriptores, XXII, a cura di G.H. Pertz, 1872, p. 433.
Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. Wattenbach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. Ewald, I, Lipsiae 1885, nr. 514.
Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892, p. 268 n. 4.
J.F. Böhmer, Regesta Imperii, II, 5, Papstregesten 911-1024, a cura di H. Zimmermann, Wien-Köln-Graz 1969, nrr. 1075, 1078, 1108.
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K.-J. Herrmann, Das Tuskulanerpapsttum (1012-1046), Stuttgart 1973, pp. 5, 7, 25-7.
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