Pasquale III, antipapa
Discendente da una famiglia dell'alta aristocrazia padana, che vantava parentele con le stirpi dei re di Francia e di Inghilterra, Guido di Crema ascese al soglio pontificio nel 1164 alla morte di Vittore IV: una successione che coronò una carriera ecclesiastica spesso intrecciata con quella del pontefice defunto. Cardinale diacono di S. Maria in Portico nel 1145, nel 1146, a Verona, Guido quale legato pontificio compose una vertenza tra il vescovo Tebaldo e l'arciprete della cattedrale, e tre anni dopo intraprese un viaggio nel mondo germanico. Qui intervenne nella lotta tra il duca di Polonia Vladislao e il fratello di questo, un conflitto concernente gli equilibri più generali della Germania, e si occupò di questioni riguardanti l'organizzazione ecclesiastica del territorio. Tra il dicembre e il gennaio 1152, con altri prelati - tra i quali Ottaviano di Monticelli, cardinale prete di S. Cecilia -, rappresentò il pontefice Eugenio III nelle trattative che si svolsero in Roma tra la parte imperiale e quella papale: i patti allora raggiunti furono confermati da Federico a Costanza il 23 marzo 1153. Nel 1155 Guido operò nuovamente da tramite nei rapporti tra le due massime autorità della cristianità. Il pontefice Adriano IV incaricò lui e altri due cardinali - Giovanni dei SS. Giovanni e Paolo e Guido di S. Pudenziana - di andare incontro al Barbarossa: questi, espugnata Tortona, si dirigeva verso Roma ed era già in Toscana. Compito dei legati papali era quello di instaurare con il sovrano relazioni favorevoli alla Chiesa e di ottenere la consegna di Arnaldo da Brescia, il quale, fuggito da Roma e rifugiatosi presso i visconti di Campagnatico, sembrava aver trovato appoggi in una parte della curia imperiale. Gli ambasciatori portarono a termine la missione con successo, ed ottennero la consegna del dissidente al papa. Negli anni del pontificato di Adriano IV, Guido appartenne al gruppo di cardinali che guardava con preoccupazione al progressivo avvicinamento del papa a Guglielmo, re di Sicilia: egli era convinto della necessità che la Sede apostolica conservasse buoni rapporti con il Barbarossa, anche quando costui avviò una politica di rivendicazione dei diritti imperiali nell'Italia centro-settentrionale. Tale posizione si espresse nei limiti della normale dialettica all'interno della Curia romana. Adriano IV si avvalse della fiducia di cui il prelato godeva presso la corte imperiale per cercare di mantenere aperto il dialogo con Federico I: con ogni probabilità proprio in riconoscimento di tale funzione, nel 1158, il pontefice nominò il cremasco cardinale prete di S. Maria in Trastevere. Nel novembre dello stesso anno Guido fu legato del pontefice alla Dieta di Roncaglia. Nella primavera dell'anno seguente, insieme ad altri tre cardinali - tra i quali Ottaviano di Monticelli -, si recò presso Federico che, deciso a superare la resistenza di Milano all'autorità imperiale, soggiornava nel territorio dell'arcidiocesi di Ravenna. A nome del papa, egli negoziò nuovamente il rinnovo dei patti tra la Chiesa di Roma e il sovrano.
Morto il 1° settembre 1159 Adriano IV, il 7 settembre Guido fu tra i principali artefici dell'elezione di Ottaviano - Vittore IV - in opposizione a quella del cardinale Rolando Bandinelli - Alessandro III. Subito dopo, in alcune lettere, egli prese le difese di Vittore IV: la politica perseguita dal pontefice defunto e da una parte dei cardinali per un'alleanza con Guglielmo, re di Sicilia, a danno dell'Impero, sarebbe stata la ragione di fondo dello scisma. Invano Guido, insieme al cardinale Giovanni di Morrone, sostenne le ragioni di Ottaviano contro i rappresentanti di Alessandro III nel concilio tenutosi a Beauvais alla fine del luglio 1160: durante l'assemblea i re di Francia e di Inghilterra - con i prelati delle rispettive Chiese - riconobbero quale legittimo pontefice il Bandinelli. Alla morte di Vittore IV, avvenuta il 20 aprile 1164 a Lucca, i cardinali presenti nella città toscana si riunirono immediatamente ed elessero, due giorni dopo, pontefice Guido, che assunse il nome di Pasquale III. La scelta fu compiuta alla presenza di numerosi vescovi e "religiosi" della Lombardia e della Tuscia, nonché del prefetto di Roma e di molti nobili romani. Promotore dell'elezione fu Rainaldo di Dassel, cancelliere imperiale e arcivescovo di Colonia, che forse agì senza consultare il Barbarossa, ma verosimilmente non contro le sue direttive. Il consenso del sovrano si manifestò in modo chiaro tra la fine di maggio e gli inizi di giugno dell'anno seguente, nella Dieta di Würzburg. In quell'occasione lo svevo riunì nel giuramento di fedeltà al nuovo pontefice un ampio schieramento di forze. Accanto ai principi dell'Impero erano anche i legati del re d'Inghilterra, Enrico II: i rapporti di questo con Alessandro III erano in quel momento pessimi a causa della fuga dall'isola di Tommaso Becket, arcive-scovo di Canterbury - riparato presso Luigi VII -, che si era rifiutato di riconoscere le costituzioni regie di Clarendon che limitavano drasticamente le "libertates" della Chiesa d'Inghilterra. La cooperazione del Barbarossa con il nuovo pontefice si espresse nuovamente di lì a pochi mesi in quello che può essere considerato l'atto di natura ecclesiastica più importante e di maggiore risonanza del pontificato di P.: la canonizzazione di Carlomagno. Il 29 dicembre 1165, ad Aquisgrana, in una solenne cerimonia officiata da Rainaldo e alla presenza di Federico I, furono "elevati" ed "esaltati" i resti mortali del primo imperatore carolingio. Il nuovo culto fu istituito su richiesta del re d'Inghilterra, su consiglio dei principi ecclesiastici e secolari e con "l'assenso e l'autorità" di Pasquale III. L'affermazione della santità dell'antico sovrano corroborava la legittimità del suo successore (che si presentava anche come suo discendente) nella lotta contro Alessandro III e, nel contempo, ampliava e consolidava la fama del pontefice "romano" nelle terre dell'Impero. L'imperatore e il papa apparivano uniti nel celebrare un personaggio che si era distinto per la salvaguardia del "diritto delle Chiese" e del bene pubblico. Carlomagno era presentato come un martire del tutto particolare, che non aveva pagato con la vita la sua testimonianza, ma aveva vissuto ogni giorno nella disponibilità a morire "per convertire gli increduli": un campione armato della fede, la cui combattività poteva, in un momento di forti tensioni ecclesiastiche, essere modello e scudo per Federico. Dell'attività di P. negli anni del suo pontificato sono conservate esigue testimonianze. Di certo, nel 1165, egli fu accompagnato dal cancelliere imperiale Cristiano a Pisa, dove fu accolto con onore dalla popolazione della città, dalla quale si era allontanato l'arcivescovo. In seguito il cancelliere condusse il papa a Viterbo: per lo più qui, come risulta da alcune sue lettere, P. sembra soggiornare durante l'assenza di Federico I dall'Italia, non potendo recarsi a Roma, la cui popolazione dal novembre del 1165 aveva accolto Alessandro III. L'influenza di P. nelle vicende dell'Italia centro-settentrionale si fece sentire di nuovo in concomitanza con il ritorno nella penisola del Barbarossa, alla fine del 1166. Nella primavera del 1167, mentre l'imperatore si stava avvicinando all'Italia centrale, alla presenza del cancelliere Rainaldo i consoli pisani giurarono di riconoscere Guido quale unico papa cattolico e di obbedire soltanto a lui. A luglio P. riuscì finalmente a portare Federico, dopo averlo più volte sollecitato, a Roma. Al termine di uno scontro armato, lo svevo conquistò la basilica di S. Pietro, mentre Alessandro III, sostenuto dalla famiglia dei Frangipane, si rinserrò nella parte della città al di qua del Tevere. In S. Pietro, il 30 luglio, P. celebrò la messa e due giorni dopo, il 1° agosto, incoronò Federico imperatore. Proprio mentre i Romani avviavano trattative con il vincitore, nei primi giorni di agosto la peste fece strage dell'esercito del Barbarossa, che decise di abbandonare la città. L'allontanamento di Federico, deciso a tornare nella pianura padana, fu accompagnato da quello di P., che si ritirò a Viterbo portando con sé alcuni romani quali garanti del compromesso raggiunto con la città. Il ritorno del papa in Roma all'inizio del 1168 avvenne in un contesto di grande instabilità. Esso fu reso possibile dalle armi dell'arcivescovo Cristiano di Magonza e dal fatto che ostaggi romani continuavano ad essere trattenuti dalle forze imperiali. Giovanni di Salisbury, in una lettera scritta nell'estate, rappresenta P. confinato in S. Pietro e nella vicina "torre di Stefano Teobaldi": è l'immagine di un papa che attendeva con ansia il rinnovo del Senato, timoroso di perdere l'appoggio della città a vantaggio di Alessandro III. In tale situazione il 20 settembre egli morì in S. Pietro, dove fu sepolto.
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