ANTIVARI (A. T., 77-78; gr. biz. 'Αντίβαρις; mlat. Antibaris Antivaris, Antibarum; sl. e turco Bar; alb. Tìvari e Tivári)
Il nome ufficiale Bar è preromano, ma non è documentato nell'antichità, mentre è documentato invece quello della Bari italiana (Barium): Antìvari sta come a dire di fronte a Bari. Sorge, bagnata dalla sorgente carsica del Bunar che scorre per una pianura fertile e si getta nel mare col nome di Ricianaz (Ričanac), a circa km. 4,500 di strada camionabile dal suo scalo (Pristan), in regione pittoresca di riviera, ricca di giardini e di orti, tra folti oliveti; è dominata dall'anfiteatro dei monti quasi a picco, culminanti nel Rumija (1595 m.) e per i quali passano, al valico del Sutorman (844 m.), la carrozzabile e, sotto il Sutorman, per una galleria, la ferrovia (42 km.), che mettono in comunicazione il mare col bacino del lago di Scutari e l'interno del Montenegro. Capoluogo del Primorije montenegrino, la provincia più meridionale e marittima del Montenegro che questo ottenne in seguito al trattato di Berlino (1878), risente ancora oggi, nei diversi costumi religiosi ed etnici degli abitanti, così della città come del circondario, dell'antica dominazione ottomana: Antivari era la sede di un caimacàm (sottoprefetto), dipendente dal valì (governatore generale) di Scutari, ed era lo scalo di questa città, alla quale conduceva la carovaniera del Catercol (Katrkol). Passata Antivari sotto il Montenegro, i Turchi, per rifornire Scutari, sostituirono quel porto con S. Giovanni di Medua.
Nei secoli XI-XVI Antivari fu città fra le più importanti della Dalmazia per i suoi edifici, la nobiltà dei suoi cittadini, i suoi commerci e le sue ricchezze. Allora essa aveva tre chiese, la cattedrale e trenta monasteri. Al tempo dei Turchi decadde alquanto, ma rimase sempre un borgo di notevole importanza, con strade strette e case addossate. L'abitato venne poi chiuso dalla potente muraglia che vi costruirono i Veneziani. Smantellata dal lungo bombardamento del 1877, oggi l'antica città è quasi un mucchio di rovine, intorno alle quali s'è formata la nuova città che, uscendo dall'aggregato principale, si è estesa nelle campagne circostanti con molte case isolate o piccoli gruppi di abitati.
Secondo una statistica montenegrina del 1910 la città aveva circa 2000 ab., di cui 500 musulmani, 850 cattolici, 650 ortodossi. La statistica iugoslava del 1921 dà per il comune di Antivari: 426 case, 1639 abitanti, di cui 763 maschi e 876 femmine, divisi in 853 ortodossi, 234 cattolici, 552 musulmani. Notevole è la lotta secolare fra i diversi linguaggi di Antivari e del suo territorio: tra il latino ed il greco, poi tra il dalmatico (italiano preveneto) e l'albanese, e infine tra il veneto e lo slavo (montenegrino), che oggi vi domina quasi senza contrasto alcuno, tanto che le statistiche iugoslave portano a 1500 i serbofoni e a soli 68 gli albanofoni, mentre poi le stesse statistiche dànno 28.519 abitanti per l'intero circondario con 11.215 la cui lingua materna è l'albanese.
La gente albanese occupa l'alto Primorije dove si è conservata purissima come nella Craina (Krajina), che è la regione la quale diede il contingente maggiore e più fedele alla guardia imperiale degli ultimi sultani e specialmente di Abdul Hamīd.
I principali villaggi che fanno corona ad Antivari nel versante adriatico sono quelli di Dobravoda, dei Mercoievici o Mercovici (Mrkojevići), Tugemile (Tugjemile), Miculici (Mikulići), costituiti in gran parte da popolazioni già cristiane passate all'islamismo (probabilmente trattasi di antichi fuorusciti montenegrini), che hanno conservato molte delle antiche tradizioni e celebrano anche oggi le feste del Natale e di S. Nicola e pregano Cristo, la Vergine e S. Nicola. Nel Medioevo, gli abitanti di questi villaggi sopra la città parlavano slavo come oggi.
Storia. - Soltanto sotto Costantino Porfirogenito i geografi e gli storici cominciano a fare menzione di Antivari. La piccola città bizantina è sorta in seguito alla distruzione della romana Doclea (chiamata poi Dioclea), probabilmente all'inizio del sec. VII. Essa è perciò l'erede di Doclea, come Spalato è l'erede di Salona e Ragusa di Epidauro. K. Jireček, studiando la romanità delle città dalmatiche, riconobbe che le città dell'Albania settentrionale, e dell'arcivescovado di Antivari non si possono staccare da quelle della Dalmazia. Tutti i documenti che ci sono rimasti e che provengono dagli archivî delle città di Antivari, Dulcigno, Scutari e Drivasto sono scritti in latino o in italiano (veneto); nessuno in lingua slava. Dai nomi degli abitanti e delle località dei dintorni si riconosce l'antica dominazione romanica (dell'Albania settentrionale e della Dalmazia) che nel corso dei tempi è stata albanizzata e in parte slavizzata (v. M. G. Bartoli, Dalmatiches, I, 192, dove si trovano pure diverse testimonianze medievali di crociati, geografi ecc. sui linguaggi latini o romanici delle città dell'Albania settentrionale). I linguaggi romanici delle città dalmatiche hanno lasciato una traccia notevolissima nell'albanese moderno e nello slavo. Dalla dominazione bizantina, che ebbe una lunga agonia e spirò alla fine del sec. XII, Antivari passò a quella dei principi montenegrini, ai quali fu contesa da Venezia. Furono questi principi della Dioklitiia, i fondatori (al principio del sec. XII) di quello stato che prese a poco a poco il nome di Zeta o Zenta (Zedda dei Veneziani) e fu la culla del Montenegro (mentre il nome Zeta rimase solo ad indicare il fiume che attraversa il Montenegro da Nikšič a Podgorizza). La regione di Antivari era conosciuta nel sec. IX col nome di Tzernicum, ed aveva un vescovado residente in Antivari, che figura tra le diocesi dell'atchidiocesi greca, prima che fosse, all'inizio del secolo seguente (1022), aggregato all'arcivescovado latino di Ragusa. In quel tempo Antivari ebbe un'importanza particolare come antemurale contro la chiesa greca e più tardi contro l'Islām. Tuttavia, poco dopo, Antivari si ribellò a Ragusa, dandosi il titolo di archidiocesi, e riuscì a mantenere fino ai giorni nostri il diritto acquisito, dopo una lotta durata più di due secoli. La diocesi comprendeva molta parte dell'Albania settentrionale e più tardi anche i distretti cattolici dell'interno del paese labeatico. L'archidiocesi permane ancora oggi e l'arcivescovo continua a portare il titolo di Primas Serbiae, riconosciuto col concordato tra il Vaticano e il governo montenegrino del 1886.
La reggenza della città si trovava, come a Ragusa, Cattaro e anche a Dulcigno, in mano di nobili di varie famiglie. Judices, consiliarii et commune civitatis Antibaris sono citati nel sec. XIV: essi fondavano il loro potere sui privilegi dei Serbi, dai quali veniva concessa agli Antibarini (come ai cittadini delle altre città costiere: Cattaro, Dulcigno, ecc.) una completa autonomia, così che formavano delle repubbliche quasi autonome. Il sovrano era rappresentato da un "comes", che era quasi sempre un latino del luogo. Dal 1427, Antivari ebbe uno statuto proprio; tuttavia, nei casi più difficili, gli appelli andavano ai tribunali della repubblica di Ragusa.
Venezia occupò definitivamente Antivari alla metà del sec. XV (1442) e la tenne fino al 1571. Sotto questo dominio, la città, arricchita di numerosi previlegi, poté godere una pace profonda, durante la quale, grazie al suo commercio fiorente, cercò di mantenere il suo splendore antico. Alla metà del secolo XVI contava, però, appena 2500 abitanti e delle 64 famiglie nobiliari originarie, ne restavano ancora soltanto 12. Il leone di S. Marco si trova frequentemente fra le rovine della città di quel tempo, specialmente nelle mura che ne proteggevano i fossati; fino a qualche anno fa alcune vecchie case portavano ancora le armi di patrizî veneziani. Seguirono tre secoli di dominazione turca, fino al 1878, e 40 anni di occupazione da parte del Montenegro.
Gli archivî medievali di Antivari sono stati distrutti dai Turchi, ma forse potrebbero essere fruttuose, per colmare le lacune della storia di questa città, le ricerche nelle numerose chiese bizantine, le cui rovine sono frequenti in tutto il territorio. Secondo una tradizione, pare che una città "antica" sorgesse a poca distanza dal mare e venisse distrutta dalla pirateria. Ciò fa pensare che la rada di Antivari costituisse anche in antico un ancoraggio per le navi. Il porto moderno (Pristan) non è ancora finito. Il suo avvenire è collegato al traffico di transito con l'Europa occidentale e sarà relativamente importante, perché tutta la regione è agiata e il retroterra non ha altro sbocco che da quella parte.
Dinanzi ad Antivari ebbe luogo, nel 1913, una dimostrazione navale. Accingendosi nella guerra balcanica il Montenegro, aiutato dai Serbi, ad espugnare Scutari, che le grandi potenze avevano assegnato al nascituro stato di Albania, le potenze gl'imposero il veto e per dare maggior espressione alla loro volontà organizzarono nel 1913 una dimostrazione navale dinanzi ad Antivari, l'Inghilterra con 5 navi, l'Italia con 4, l'Austria con 4, la Francia e la Germania rispettivamente con una nave.
Bibl.: G. v. Haher, Albanesische Studien, Jena 1856; Hecquard, Histoire et description de la Haute Albanie ou Guégarie, 1858; C. A. Levi, Venezia e il Montenegro, Giorgio Czernovich e Antivari, Venezia 1896; G. Gelcich, La Zedda e la Dinastia dei balsidi, studî storici documentati, Spalato 1899; M. Bartoli, Die Dalmatischen Altromanischen Reste von Veglia bis Ragusa und ihre Stellung in der appennino-balcan. Romania, Vienna 1906; L. De Thallóczy, C. Jireček et E. de Šufflay, Acta et diplomata res Albaniae mediae aetatis illustrantia, Vienna 1913; S. Gopčevič, Geschichte von Montenegro und Albanien, Gotha 1914; M. de Šufflay, Die Kirchenzustände im vortürkischen Albanien... nel volume Illyrisch-Albanische Forschungen, di L. v. Thallóczy, Monaco 1916, I, p. 188; A. Baldacci, Itinerari albanesi, Roma 1917; M. Šufflay, Städte und Burgen Albaniens hauptsäschlich während des Mittelalters, Vienna 1924.