Blado, Antonio
Nacque nel 1490 ad Asola, cittadina fortificata della Repubblica di Venezia. Dal medesimo centro provenivano anche altri editori, come Andrea Torresano e Teodoro Ragazzoni. B. scelse Roma come sede della sua stamperia: molti tipografi venuti dall’Italia settentrionale avevano cominciato a soppiantare gli stampatori tedeschi, giunti nella città papale nel corso del 15° secolo. Risalgono al 1516 le prime edizioni di B.: si tratta dei Mirabilia urbis Romae, edizione illustrata sottoscritta il 21 novembre, e del Decalogus di Paolo Tebano (stampato il 29 dello stesso mese). A queste due pubblicazioni fecero seguito il De fulminum significationibus di Pierio Valeriano (1517) e una nuova edizione dei Mirabilia (1524). Nel 1530 B. diede alle stampe la preziosa edizione dei Sonetti e canzoni di Iacopo Sannazaro, ma anche il De pulchro liber di Agostino Nifo.
Poco si sa dei primi anni della sua attività editoriale: unico dato certo è la sede della tipografia (e della abitazione), situata a Campo de’ Fiori, come attestano una testimonianza del 1534 (si tratta dell’indicazione di stampa tratta dal volume di G.A. Pantusa, Liber de cena Domini, per Antonium Bladum de Asula, in Campo Florae, in aedibus domini Joannis Baptistae de Maximis, 1534) e Gli Straccioni di Annibale Caro, commedia composta nel 1543, ove B. compare nella veste di Barbagrigia da Bengodi stampatore proprio sulla soglia della sua bottega.
La modesta produzione del primo quindicennio di attività comprende soprattutto libri latini a carattere religioso. A scorrere il Catalogo delle edizioni romane di Antonio Blado, allestito nel 1891 da Giuseppe Fumagalli e Giacomo Belli, l’attività di B. sembra interrompersi fra il 1527 e il 1530, certamente a causa del sacco di Roma. Le sorti della stamperia mutarono quando B. divenne tipografo della Camera apostolica:
pur avendo cominciato, fin dal 1530, a usufruire dei finanziamenti concessi dalla stessa Camera, ebbe la nomina ufficiale soltanto nel 1535. L’incarico, che dal 1539 gli fruttò uno stipendio mensile, fu poi mantenuto anche dai suoi eredi, come testimonia il breve siglato da Pio V il 13 aprile 1567 e confermato da Gregorio XIII il 19 settembre del 1572.
Nel 1531 la storia della stamperia bladiana s’intreccia con quella delle pubblicazioni machiavelliane, poiché, grazie al chierico della Camera apostolica Giovanni Gaddi, B. non soltanto ottenne il privilegio del pontefice Clemente VII per stampare le opere politiche e storiche del Segretario fiorentino (concesso il 23 agosto del 1531, come si evince dalla princeps dei Discorsi), ma poté utilizzare un discreto numero di manoscritti per dare alle stampe per la prima volta, oltre ai Discorsi, anche il Principe (1532) e le Istorie fiorentine (1532). La vicenda, che si lega strettamente a quella delle edizioni fiorentine dei Giunti (→), consentì a B. di acquisire un certo prestigio e di immettere sul mercato le opere principali di un fiorentino illustre, la cui fama era riconosciuta non solo dagli intellettuali provenienti dalla città toscana e trapiantati a Roma, ma anche dallo stesso pontefice. L’ambiente in cui nacquero le edizioni machiavelliane, infatti, è l’entourage tosco-romano dei Medici, verosimilmente interessato a promuovere gli scritti di M. come prestigioso documento di sapienza storiografica e prosa fiorentina ‘viva’.
Il 18 ottobre 1531 vennero pubblicati i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Nella lettera di dedica a Gaddi, B. riconosce, in prima istanza, la responsabilità che, nell’allestimento di quella edizione, ebbero da un lato l’illustre prelato, dall’altro i suoi più validi collaboratori, ovvero Annibale Caro, Ludovico Fabbri da Fano, Antonio Allegretti:
Vostra signoria tiene in quest’opera assai maggior parte di me, sendo ella stata tanto amica, quanto io intendo, dell’autore di essa, e tanto affezionata delle cose sue, e di più sendo tal libro uscito di casa sua, e dagli uomini suoi mandato in luce e con gran fatica corretto.
Nella dedicatoria B. ricorda anche Niccolò Ridolfi (→), dotto cardinale nipote del Magnifico, la cui biblioteca, ricca soprattutto di codici greci, vantava numerosi tesori; lo stampatore menziona un codice autografo che, proprio per merito di Ridolfi, sarebbe stato utilizzato nella stampa dell’opera: «Quanto alla scrittura, io mi terrò sempre giustificato con l’originale di propria mano dell’autore, donde per benefizio di monsignor reverendissimo de’ Ridolfi, padron mio, si sono fedelissimamente cavati». La pubblicazione presso B. fu un evento che vide coinvolti un buon numero di fiorentini, legati a M. in diverso modo. Il testo della princeps dei Discorsi presenta comunque un macroscopico intervento censorio sul cap. xii del I libro, per ridimensionarne le affermazioni aspramente negative nei confronti della Chiesa romana. Qualche mese dopo anche Bernardo Giunti proporrà al pubblico fiorentino la sua edizione dei Discorsi (la dedica a Ottaviano de’ Medici reca la data del 10 nov. 1531), la quale, pur tenendo conto della versione bladiana, vorrà fondarsi su un altro manoscritto (presentato dallo stampatore come «primo originale»).
Il 4 gennaio del 1532 B. offriva a Filippo Strozzi, cognato di quel Lorenzo de’ Medici che ne era stato destinatario, il Principe di M. (insieme all’opuscolo erano stampati anche la Vita di Castruccio e Il modo che tenne il duca Valentino...). Nella dedica, il tipografo riconosceva in Strozzi il piglio del «principe imaginativo, a chi non manca se non el Principato effettuale acciò si possa chiamare principe da vero». Filippo, membro di una delle famiglie più illustri di Firenze, educato alle lettere classiche e amico di M., era invocato da B. quale protettore di un’operazione che avrebbe portato grande prestigio all’editore:
Ho voluto – scriveva – sotto l’ombra d’un uomo valoroso e pregiato siano non solamente respettate [sott. le lettere del tipografo], ma anche per alcun degno suggetto onorate, e con l’occasione de l’altrui laude mascherare li miei infin qui impertinenti errori.
B. dichiara di aver scoperto il Principe percorrendo «le ampie et amenissime piagie della eloquenzia toscana»; e non manca di sottolineare l’importanza dell’operetta, «come quella che tratta delli affari de’ principi; in che [l’autore] si sforza fabricare talmente un nuovo principe che non meno per natura che per fortuna si abbi acquistato tal nome». Il testo del Principe fu sottoposto a un’intensa rielaborazione
linguistica, intesa a regolarizzare e appianare quelli che apparivano eccessi di una troppo vivace spontaneità. Cadevano [...] gli inserti latini dell’uso cancelleresco: in exemplis › per esempio, maxime › massimamente, tamen › nientedimeno, ecc.; certi latinismi troppo crudi: preterire › trapassare, compedi › chiavi, globo › massa, ecc.; certi nessi informali: colui che... si sono meglio visti e’ sua progressi › colui del quale... si sono meglio visti li suoi andamenti; certe sconcordanze: si acquista stati › si acquistano stati, ecc. [ ...]. All’opera non venne [però] inflitta una censura ideologica (G. Inglese, in N. Machiavelli, Il Principe, 2013, pp. XXX-XXXI).
Le Istorie fiorentine uscirono a Roma il 25 marzo del 1532. La dedica editoriale è nuovamente a Gaddi, la cui protezione è invocata contro i «calunniatori»: M. è celebrato quale «pittor sì degno de le memorie antiche, et de le attioni del Mondo, et de’ governi de’ stati tanto esperto» (Pincin 1961-1962, pp. 168-69).
Viene ribadita, in una prospettiva che sembra rifarsi alla tendenza normativa tipica di molte opere del periodo, l’importanza della storia quale magistra vitae: lo scrittore fiorentino descriveva, infatti, nelle sue storie, «le origini, gli accrescimenti, et le rovine di tanti stati, et il variar non pur di quelli, et de le altre cose de la fortuna, ma la inquietudine, e ’l travagliare quasi che del mondo istesso» (Pincin 1961-1962, p. 169). In ultimo, il richiamo è ai «laceratori» dello stampatore, i quali «ardiscono ancora di scorreggermi le correttioni»: sembra un ennesimo accenno polemico alle edizioni dei Giunti che, a distanza di giorni, pubblicarono l’opera storica di M. (la dedicatoria, rivolta ad Alessandro de’ Medici, reca infatti la data del 27 marzo 1532). Difficile documentare il lavoro dei correttori dell’edizione: probabilmente essi agirono seguendo le regole già in precedenza utilizzate per l’edizione dei Discorsi e del Principe. Ancora all’intervento dei collaboratori di B. si può ascrivere la scelta di dedicare coerentemente tutti gli otto libri delle Istorie a Clemente VII.
Se le tre edizioni machiavelliane costituiscono un risultato di indubbio rilievo per la stamperia romana, meno significativa risultò essere la successiva pubblicazione di testi in lingua volgare: nel 1533 B. pubblicò l’edizione contraffatta dell’Orlando furioso stampata a Ferrara da Francesco Rosso l’anno precedente (un’ulteriore edizione del Furioso è datata invece 1543); mentre, nello stesso anno, uscirono le Rime volgari di Lodovico Martelli, postumo omaggio al poeta fiorentino morto in giovane età e autore della tragedia ellenizzante Tullia (compresa nell’edizione delle rime stesse). Nel 1531 B. stampava il Commentario de le Cose de’ Turchi di Paolo Giovio, edizione dedicata a Carlo V e poi replicata nel 1535; rivolgeva poi la sua attenzione a un esperimento letterario del cardinale Ippolito de’ Medici (morto nel 1535), e nel 1538 dava alla luce la sua traduzione volgare del secondo libro dell’Eneide di Virgilio (edizione che tuttavia non compare negli annali bladiani).
Sul fronte della letteratura burlesca romana, B. fu l’editore di riferimento di Annibale Caro (si ricordi il presunto coinvolgimento del poeta marchigiano nell’impresa machiavelliana): nel 1539 viene dato alle stampe il Comento di Ser Agresto da Ficaruolo sopra la Prima Ficata del Padre Siceo, testo parodico volto a irridere l’eccessiva produzione contemporanea di commenti a Francesco Petrarca. Ancora legata al contesto dei sodali di Gaddi è la pubblicazione dei Versi, et regole de la nuova poesia toscana, avvenuta nell’ottobre del 1539. Curata dal senese Claudio Tolomei, la raccolta riunisce una serie di composizioni ispirate al recupero della metrica antica; fra gli autori figurano, ancora una volta, Caro, poi Paolo Del Rosso, Dionigi Atanagi e lo stesso Tolomei. A B. è affidata una lettera faceta indirizzata a Michele Tramezzino che chiude il volume.
D’altro canto, grazie al suo ruolo di editore camerale, B. riuscì a realizzare più di tremila stampe, cui vanno senz’altro aggiunte pubblicazioni minori, come bandi, opuscoli e bolle. Complessivamente, dal 1530 circa, l’attività della tipografia seguì orientamenti precisi, come si evince, per esempio, dall’iniziativa patrocinata dai cardinali Marcello Cervini e Alessandro Farnese che affidarono a B. il compito di stampare i manoscritti greci, classici e patristici, provenienti dalla Biblioteca Vaticana: videro così la luce la tragedia Christus Patiens attribuita a Gregorio Nazianzeno (1542), i quindici libri degli Elementi di Euclide, l’Elettra di Euripide (entrambi del 1545) e il commento di Eustazio all’Iliade di Omero (1542-1550).
In anni più tardi, il tipografo d’Asola pubblicò il primo libro dei Secreti del Reverendo Donno Alessio Piemontese di Girolamo Ruscelli (1557), e quindi le Rime di Cino da Pistoia, edite insieme a quelle di Bonaccorso di Montemagno e curate dal giurista pistoiese Niccolò Pilli (1559). Un altro filone è quello delle pubblicazioni realizzate per le autorità religiose e per i comuni dei dintorni di Roma; mentre, più significative alla luce della politica culturale condotta dalla Chiesa dopo il Concilio di Trento, sono le cinque stampe degli Indici dei libri proibiti, datate 1557, 1558, 1559, 1590, 1593.
Rimasto vedovo (ma chi fosse la donna non è dato sapere: si conosce, invece, il figlio avuto da lei, Bartolomeo, che morirà nel 1584), nel 1540 B. sposò Paola, nata a Foligno nel 1520, che, dopo la sua morte (nel febbraio del 1567) e fino al 1588, fu responsabile dell’attività tipografica. Numerosi i figli di questo secondo matrimonio, fra cui: la primogenita Agnese, moglie di quel Giovanni Gigliotti che sarebbe stato associato all’impresa di famiglia dopo la morte di Antonio; Paolo, nato nel 1550, che avrebbe ereditato il ruolo di stampatore camerale e che tuttavia non fu all’altezza della fama del padre; Stefano, ultimogenito, che invece avrebbe sposato l’erede di un’importante famiglia di tipografi, i Dorico. Fra le imprese significative degli eredi si devono annoverare gli Opera omnia di san Tommaso, avviati nel 1570 per impulso di papa Pio V e affidati alle cure del tipografo Gigliotti. Negli ultimi anni, soprattutto a partire dal 1593, la stamperia si ridusse a pubblicare soltanto materiale legislativo.
B. fu sepolto nella chiesa romana di S. Lorenzo in Damaso.
Bibliografia: C. Tolomei, Sette libri delle lettere, Venezia 1565; G.B. Niccolini, Filippo Strozzi. Tragedia corredata di documenti inediti, Firenze 1847; D. Bernoni, Antonio Blado e la sua stamperia in Roma (nel secolo XVI). Con notizie sulla edizione principe delle opere di Niccolò Machiavelli, Ascoli Piceno 1883; D. Bernoni, Dei Torresani, Blado e Ragazzoni, Milano 1890; G. Fumagalli, Antonio Blado, tipografo romano del secolo 16: memoria storico-bibliografica, Milano 1893; G. Fumagalli, G. Belli, Catalogo delle edizioni romane di Antonio Blado Asolano ed eredi (1515-1593), Roma 1891; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, 3 voll., Firenze 1957; E. Vaccaro Sofia, Catalogo delle edizioni romane di Antonio Blado Asolano ed eredi (1515-1593), Roma 1961; C. Pincin, Sul testo del Machiavelli. I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, «Atti della Accademia delle scienze di Torino», Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, 1961-1962, 96, pp. 71-178; F. Barberi, Blado Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 10° vol., Roma 1968, ad vocem; G.L. Masetti Zannini, Stampatori e librai a Roma nella seconda metà del Cinquecento, Roma 1980, pp. 61-84; S. Franchi, Le impressioni sceniche. Dizionario biobibliografico degli editori e stampatori romani e laziali di testi drammatici e libretti per musica dal 1579 al 1800, Roma 1994, pp. 68-72; N. Machiavelli, De Principatibus, testo critico a cura di G. Inglese, Roma 1994; Dizionario dei tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento, diretto da M. Menato, E. Sandal, G. Zappella, Milano 1997, pp. 147-49; N. Machiavelli, Opere, a cura di R. Rinaldi, Torino 1999; N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, a cura di F. Bausi, Roma 2001; D. Muratore, La biblioteca del cardinale Niccolò Ridolfi, 2 voll., Alessandria 2009; N. Machiavelli, Opere storiche, a cura di A. Montevecchi, C. Varotti, Roma 2010; N. Machiavelli, Il Principe, a cura di G. Inglese, Torino 2013.