BONFINI (Bonfinius, de Bonfinis), Antonio
Nacque a Patrignone (Ascoli Piceno) nel dicembre 1427 o nel 1434, da Francesco (o Pierfrancesco) di Achille, appartenente a una famiglia, locale, che nel 1425 era stato accolto nel patriziato di Ascoli Piceno; della madre non si hanno notizie.
Compiuti i suoi studi con Enoc d'Ascoli, il B. svolse attività di precettore presso ricche famiglie di Patrignone, Firenze, Padova, Ferrara e Roma (ma la successione cronologica di questi soggiorni non è nota). Nel 1465 sposò Spina di Marino della Rocca, un patrizio e gonfaloniere di Ascoli: da questo matrimonio nacquero Francesco (noto medico, che seguì il padre in Ungheria), Achille, Muzio, Giulio e Francesca Ventidia (che fu monaca a Sant'Egidio in Ascoli).
Nel 1473 il B., che nel frattempo era divenuto cittadino di Ascoli e "magister", fu eletto professore (o forse rettore) dell'accademia di Recanati, ma non accettò questa designazione. I suoi primi contatti con la casa reale d'Ungheria risalgono probabilmente all'ottobre del 1476, quando nel corso di una visita di Beatrice d'Aragona, sposa di Mattia Corvino, a Loreto, pare che il B. partecipasse alle cerimonie ufficiali in onore dell'ospite. Nel 1478 accettò una seconda chiamata a Recanati, dove insegnò latino, greco, grammatica, poetica e retorica fino al 1486. E in Recanati acquistava, nel 1481, un terreno.
In questo periodo il B. compì diverse opere poetiche e traduzioni che, ottenuta una vacanza di due mesi (settembre 1486), presentò nel dicembre di quell'anno alla famiglia reale ungherese a Retz (Austria Inferiore), e precisamente al re Mattia Corvino le traduzioni dell'Arsrhetorica diErmogene, dei Praeexercitamenta di Aphtonius e le Historiae di Erodiano (dal greco in latino) insieme ad un Libellus de Corvinae domus origine, non conservato, ma citato tuttavia nella dec. III, lib. IV e IX delle Decadi; alla regina Beatrice il Symposion sive de virginitate et pudicitia coniugali e una Historia Asculana, perduta; al principe Giovanni, infine, un Epigrammaton libellus del quale si conserva un solo epigramma. Il re accolse il B. alla sua corte, lo nominò, dopo che aveva tenuto nel gennaio 1487 un brillante discorso, lettore della regina e gli affidò vari incarichi: la traduzione di Filostrato (Heroica,Icones,Vitae sophistarum,Epistolae)dal greco in latino conclusa dal B. in tre mesi, e del Trattato di Architettura di Antonio Averulino (Filarete) dall'italiano in latino, insieme alla redazione di una storia degli Ungari, della quale erano stati incaricati prima del B. Giano Pannonio e Galeotto Marzio; con ciò il B. diventava storiografo di corte del re.
Per mancanza di libri a ciò necessari, il B. tornò di nuovo in Italia, e sembra abbia insegnato a Recanati dal gennaio al maggio 1488; ma fu ben presto richiamato in Ungheria dal re. Negli anni seguenti soggiornò ora in Ungheria ora in Italia (dal dicembre del 1488 al luglio del 1489 a Loreto) e raccolse materiale per l'opera progettata. Alla morte di Mattia Corvino (avvenuta il 6 apr. 1490) pare che il B. fosse a Recanati; aveva allora completato, per lo meno in abbozzo, le prime quattro decadi.
Dopo essere stato riconfermato storiografo di corte dal nuovo re, Ladislao II, il B. rinunciò alla sua carica in Recanati e si trasferì definitivamente insieme al figlio Francesco a Buda (inizio del 1491). Nella tarda estate o nell'autunno del 1492 il B. presentò al re le prime quattro decadi, e il 10 ottobre ne fu ricompensato con l'elevazione (insieme con il figlio Francesco) alla nobiltà e con la corona di poeta. Poco dopo si recò a Ferrara, probabilmente con un incarico del re, e vi restò fino all'agosto o al settembre del 1493, impartendo anche lezioni di greco al figlio di Marco Antonio Sabellico.
In questo periodo fu iniziata la copiatura delle decadi in codici pergamenacei miniati, mentre il B. da parte sua rimaneggiava ancora una volta le prime quattro decadi e cominciava a lavorare alla quinta, che intendeva condurre fino ai suoi tempi. Alla metà del 1496, mentre attendeva a questo lavoro, fu colpito da un colpo apoplettico, dal quale non riuscì più a rimettersi, cosicché dubitava di riuscire a completare la sua opera.
Di fatto le sue Rerum Ungaricarum decades (divise secondo il modello liviano) non oltrepassano questo periodo se non di poco: la prima deca tratta delle origini degli Ungari, Ungaro-Goti-Unni, del territorio occupato attualmente dagli Ungheresi; la seconda, della cristianizzazione e della storia dal 1001-11 1382;la terza giunge sino al 1463, la quarta fino al 1490 e la quinta (libri 1-5) sino alla fine del 1496.L'opera costituisce nel suo insieme uno dei più splendidi e tipici prodotti della storiografia umanistica, ma in confronto al pregio dello stile e alla padronanza della letteratura allora disponibile resta scarso il valore di fonte storica. Con ardite ricostruzioni il B. ricerca il collegamento con l'antichità per quel che riguarda la popolazione (così ad esempio i Romeni dell'Ungheria vengono definiti come discendenti dei legionari di Traiano) e la famiglia regnante (la famiglia Hunyadi viene ricondotta ad un antico capostipite, Valerio Corvino). Come sue fonti, il B. adduce per l'antichità settanta nomi, e utilizza in particolare Erodoto, Strabone, Plinio; per il Medioevo, Jordanes, Paolo Diacono, Eginardo, gli Annales Laurissenses, Ottone di Frisinga, Veit Arnpeck; di autori italiani, cita Andrea Dandolo, Andrea Navagero, Marino Sanuto, e in particolare Flavio Biondo ed Enea Silvio Piccolomini. La fonte principale per la storia ungherese è la Chronica Hungarorum di Giovanni Thuróczy stampata nel 1488.
Valore proprio di fonte rivestono i cinque libri della quinta deca, che il B. scrisse quale contemporaneo, e alcune notizie precedenti, riguardanti il 1468e il periodo a partire dal 1471 sulleguerre contro i Turchi, le lotte con l'imperatore Federico III, ecc.
Già durante la vita del B., la sua opera ebbe i più alti riconoscimenti; fu più volte adoperata, sovente copiata e costituì, fino al secolo XVII, la base della storiografia ungherese. Del manoscritto in pergamena, approntato per volere del re e completato già nel 1498, si conservano solo quattro fogli (Budapest, Bibl. Szechenyi, cod. Lat.med. aevi 434).Le prime tre decadi furono stampate per la prima volta a Basilea, da Martin Brenner, nel 1543;la prima edizione completa apparve, ancora a Basilea, nel 1568presso Giovanni Sanibucus. L'edizione più recente delle Rerum Ungaricum decades è a cura di I. Fógel-B. Iványi-L. Juhász, 4voll., Lipsia-Budapest 1936-1941: nel primovolume si troval'elenco delle opereperdute del B., delle operea stampa e ricca bibliografia.
Negli ultimi anni di vita il B. si adoperò invano perottenere dal re il permesso di ritornare in Italia. Nel 1502, quando aveva infine deciso di mettersi in viaggio anche senza il consenso del sovrano, gli sopravvenne un nuovo colpo apoplettico che lo portò poco dopo alla morte (nel 1502, o all'inizio del 1503; secondo altri, nel 1505) a Buda, dove fu sepolto nella chiesa di S. Margherita. Nel 1927 gli fu eretta una statua nel castello di Budapest.
Nella letteratura erudita sono talvolta attribuite al B. alcune opere del fratello, Matteo, nato attorno al 1441, umanista e grammatico che esercitò un'attività di insegnamento ad Ascoli e ad Ancona, e soggiornò pure lungamente a Roma, dove insegnò eloquenza nello Studio, e dove fu per parecchi anni alla corte del cardinale Raffaele Riario in qualità di segretario. Della sua attività letteraria rimangono diversi compendi grammaticali redatti a fini didattici. Rimangono inoltre le In horatianis operibus centum et quindecim annotationes, Romae s. d. (ma probabilmente 1514), precedute da una lettera al cardinal Riario e da una all'amico Angelo Colocci illustrante alcuni versi dell'Eneide di Virgilio. Al cardinal Riario sono pureindirizzate le Epistolae sex lepidissimae ac paucis diebus exaratae, datate fra il dicembre 1510 ed il gennaio 1511 e stampate a Roma nel 1514. L'edizione curata da Matteo dei Auli Gellii Noctium Atticarum commentaria fu stampataa Venezia nel 1517. Non si conoscono le note su Livio delle quali il B. fa cenno nella lettera al Colocci, e neppure l'opera De Romana Curia libri sex, alla quale allude in una lettera al Riario. Si ignora la data di morte di Matteo.
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