BOSCOLI, Antonio
Nacque a Firenze, da Francesco di Giachinotto, nella seconda metà del 1427 o, al massimo, all'inizio dell'anno successivo (giacché il padre nella sua portata consegnata agli ufficiali del catasto il 12 luglio di quell'anno denunziava quali figli solo Giachinotto, nato nel 1420-21, e Margherita, nata nel 1423-24, ma informava che sua moglie, madonna Angela Davanzati, era gravida).
I Boscoli erano una famiglia piuttosto cospicua del quartiere di Santa Croce. Il nonno del B., Giachinotto di Francesco lanaiolo, doveva aver lasciato al figlio una discreta agiatezza, che questi si era curato di mantenere. Francesco appare legato ben presto al banco mediceo: a Napoli nel 1404, poi a Roma (sicuramente fino al 1411, quando appare come consigliere nelle decisioni relative al finanziamento di Giovanni. XXIII. Fu in stretto rapporto di collaborazione, successivamente, con ambedue le banche dei due rami dei Medici - quello di Giovanni di Bicci (di cui fu anche fattore) e quello di Averardo di Francesco -, e dal 1422 in poi il banco di Averardo in Roma appare gestito sotto il nome di "Francesco di Giachinotto e compagni": assistevano Francesco nella direzione Andrea di Guglielmino de' Pazzi e Giuliano di Averardo de' Medici. Nel 1432 egli appare creditore di papa Eugenio IV per cinquecento fiorini. Le sue proprietà in città e contado, quali risultano dal catasto, erano abbastanza ragguardevoli (già almeno dalla fine del secolo precedente, del resto, la famiglia dei Boscoli avevano in città una certa posizione e avanzavano perfino pretese di nobiltà).
Nel 1457 il B. figura già sposato con l'allora diciottenne Caterina di Orlando de' Medici, che doveva dargli parecchi tra figli e figlie: difatti nel catasto del 1480 egli ne denunziava dieci, cinque maschi (di cui il primogenito, Francesco, aveva dieci anni) e cinque femmine fino all'ultima nata di tre anni.
Le proprietà del B. a quella data sono discrete: una casa d'abitazione nel popolo di S. Procolo, cinque poderi (corredati ciascuno di casa colonica e di una coppia di buoi stimati da 16 a 22 fiorini), due pezzi di terra a pastura, un bosco di castagni, un casolare e un piccolo mulino; il tutto, distribuito nel territorio che è oggi parte dei Comuni di Pontassieve e di Rufina. Fuori Porta alla Croce il B. tiene inoltre a pigione dai capitani del Bigallo una casetta.
Senonché la sua agiatezza presenta qua e là qualche crepa: deve una piccola somma annua a certi frati di Fiesole per l'ufficio in memoria di suo suocero Orlando de' Medici, che a tal uopo aveva lasciato, morendo, trecento fiorini, dal B. viceversa impiegati per far fronte a bisogni d'altro genere; e la necessità di riparare a questo debito gli mangiava le rendite di uno dei suoi poderi. Inoltre delle sue figliole solo la maggiore, la Nanna, denunziata al catasto del 1480 come di sedici anni (ma in realtà doveva averne ventitré), e la seconda, l'Agnola, di dodici o quattordici, avevano di che farsi la dote.
Tutte queste piccole e grosse preoccupazioni familiari affioravano puntualmente anche nella vita pubblica del B., che la Signoria fiorentina (cioè in pratica Lorenzo il Magnifico) impiegò più volte in varie mansioni fra il 1473 e il 1488.
I rapporti di amichevole clientela con Lorenzo sono anteriori: già nel 1467 un affettuoso biglietto del B. e di Bernardo del Palagio, spedito dal Piano di Mugnone, accompagnava il dono a Lorenzo di una coppia di fagiani. E in una lettera del 30 ott. 1471 il B., allora a Roma, scriveva al Magnifico - tornato da poco in Firenze da quella stessa città, dove aveva fatto parte dell'ambasceria fiorentina inviata ad ossequiare il nuovo papa Sisto IV - per raccomandargli un suo certo affare economico pendente con la Curia. I buoni uffici di Lorenzo non furono immediati ma si rivelarono efficaci, perché l'11 apr. 1473 il B. scriveva da Volterra di aver ricevuto da parte del papa duecentoquaranta ducati di camera, che gli avrebbero permesso di far la dote almeno a una delle figliole.
Dalle lettere rimaste sembra che il B. abbia dimorato a Volterra tra il 1473 e il 1477 (non sappiamo se continuativamente o meno). Le sue funzioni politiche, non chiaramente identificabili, dovevano comunque contribuire al rafforzamento dell'egemonia fiorentina sulla città, dopo la sfortunata ribellione del 1472. A Volterra il B. doveva guadagnare bene: non tanto però da conquistare una piena tranquillità economica, perché le sue missive alternano la preghiera di essere lasciato ancora in quell'ufficio - di fatto più volte prorogatogli, non senza qualche difficoltà - alle lamentele per il fatto che le sue spettanze non venivano mai liquidate in tempo.
Nell'anno di crisi per Lorenzo e per Firenze, il 1478, il B. era commissario a Sarzana, e come tale impegnato negli affari della guerra; ed è ancora nel quadro della crisi fiorentina e italiana di quegli anni che egli venne trasferito a Faenza donde, nel giugno 1479, lo vediamo tenere contatti tra Lorenzo e gli ambasciatori dei duchi di Milano e di Ferrara.
A Faenza il B. rimase, come commissario della Repubblica fiorentina, per circa un decennio, se pure con qualche interruzione. Là dovette guadagnarsi la stima del signore, Galeotto Manfredi, alleato e capitano di guerra di Firenze (o più esattamente della Lega), e salvaguardare gli interessi fiorentini in quel difficile scacchiere romagnolo insidiato dai contrastanti interessi papali, veneziani, e anche milanesi. Ebbe parte di rilievo nelle trattative per il matrimonio (1482) di Galeotto con Francesca, figlia del signore di Bologna Giovanni Bentivoglio: matrimonio caldeggiato da Lorenzo perché avrebbe cementato l'alleanza delle piccole signorie dell'Emilia-Romagna tra loro e con Firenze contro il papa. Fu al B. che Galeotto consegnò, nell'agosto 1482, la fortezza di Saturano da lui conquistata dopo un fallito attacco a Forlì.
Verso la fine del 1484 il B. si trovava a fianco del Manfredi e delle sue milizie alle operazioni militari fiorentine contro Genova nel territorio di Pietrasanta, per il possesso della solita Sarzana; più o meno nello stesso periodo - dal 1º nov. 1484 al 1º genn. 1485 - lo troviamo priore per il quartiere di S. Croce.
In quel medesimo 1484, con la morte di Sisto IV e l'ascesa al soglio pontificio di Innocenzo VIII, la pericolosità dello scacchiere romagnolo per Firenze poteva apparire diminuita, ma, in realtà, ai tentativi egemonici del signore di Forlì Gerolamo Riario, privo ormai dell'appoggio papale, venivano a sostituirsi altri interessi. L'intervento di Milano e del Bentivoglio, nell'aprile 1488, aveva impedito che Forlì - dopo che una congiura aveva soppresso il Riario - cadesse nelle mani della Chiesa, ed aveva conservato la città al figlioletto di Gerolamo, Ottaviano, sotto la reggenza della madre Caterina Sforza. Firenze era stata almeno in teoria lieta di questa soluzione, che sembrava favorire ancora una volta la sua politica di mantenere piccoli Stati ai suoi confini romagnoli anziché vedervi instaurati grossi potentati territoriali: ma non aveva esitato a rafforzare comunque il suo confine occupando la fortezza di Piancaldoli (che il Riario le aveva strappato nel 1478) e ciò con dispetto di Ludovico il Moro. Si delineava dunque un nuovo contrasto egemonico per la Romagna centromeridionale, questa volta tra Firenze e Milano: e per Milano parteggiava il signore di Bologna.
Tutto ciò era reso più grave dal fallimento del matrimonio fra Galeotto Manfredi e Francesca Bentivoglio, la quale dal gennaio all'agosto del 1487 si era rifugiata da Faenza a Bologna con il figlioletto Astorre; e i tentativi del Magnifico tramite il B. per ricucire il pencolante vincolo familiare (v. la relazione del B. al Medici, del 30 maggio, edita in Messeri, pp. 122 s.) fallirono per lungo tempo. E quando alfine Francesca si decise a tornare, le cose non migliorarono: alla sua gelosia di donna per i tradimenti di Galeotto si erano sovrapposte le brame politiche del Bentivoglio che mirava, con l'appoggio milanese, d'impadronirsi di Faenza per governarla magari dietro lo schermo della reggenza della figlia per il piccolo Astorre. Il 31 maggio 1488 Galeotto cadeva assassinato sotto il pugnale di quattro congiurati, sicari di Francesca.
In quel periodo commissari a Faenza erano G. B. Ridolfi e il Boscoli. L'appoggio fiorentino permise ai Faentini (soprattutto la borghesia e il popolo minuto: i nobili avrebbero forse accettato la tutela bentivogliesca) e agli abitanti della Val di Lamone di sollevarsi, imprigionare il Bentivoglio precipitosamente accorso in città e salvare i diritti di Astorre sotto la protezione fiorentina.
Al B. toccò l'incarico di persuadere gli abitanti di Val di Lamone ad accettare il nuovo stato di cose. Essi appoggiavano infatti le rivendicazioni su Faenza di Ottaviano, l'adolescente figlio di Carlo II Manfredi, che Galeotto aveva cacciato da Faenza (1477) usurpandone la signoria: dietro Ottaviano agiva la volontà del Bentivoglio che vi vedeva un'ultima carta da giocare per Faenza. Il B. riuscì, dopo molti sforzi, ad abboccarsi il 20 luglio con Ottaviano e a convincerlo a ritirarsi in territorio fiorentino con la promessa di un buon appannaggio. La cosa era dunque finita bene per Firenze, e l'unico a rimetterci fu il Ridolfi, che la Signoria fiorentina dovette richiamare e sostituire con Dionigi Pucci, in quanto si era reso sospetto agli Anziani di Faenza troppo insistendo sulla necessità che a Ottaviano fosse concesso uno stipendio.
Un ulteriore tentativo compì Ottaviano appoggiato dagli abitanti di Val di Lamone e certo in combutta con il Bentivoglio, verso la fine di agosto, di riprendere i suoi vecchi disegni; e ancora una volta fu il B. - inviato dalla Signoria a Brisighella con la solennità che si addiceva a un funzionario di una grande potenza (nel secondo registro dei Ricordi di lettere scritte per Lorenzo de' Medici edito dal Del Piazzo, p. 447, è registrato il prestito di dodici coppe d'argento al B. per l'occasione) - a persuaderlo a riconsegnarsi a Firenze.
Da allora l'attività politica documentata del B., a quanto ne sappiamo, si arresta; probabilmente si ritirò a vita privata nella sua Firenze, e si ha notizia di un certo debito da lui contratto con casa Medici nell'ultimo decennio del secolo. La sua vita non dovette prolungarsi molto dopo l'inizio del secolo seguente, se anche non morì prima dello spirar del Quattrocento.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Catasto:73 (S. Croce-Ruote), anno 1427, c. 63r; 810 (S. Croce-Ruote), anno 1457, cc. 911r-913r; 915 (S. Croce-Ruote), anno 1470, cc. 37r-38r; 1006 (S. Croce-Ruote), anno 1480, cc. 36r-37v; Ibid., Consigli Maggiori, Provvisioni-Registri, 207, pp. 29r, 31r; Ibid., Manoscritti, Prioristi, 226, c. 693; Ibid., Mediceo avanti il Principato, XIV, 54; XXIII, 381; XXVI, 118; XXIX, 59, 701; XXX, 877; XXXV, 428; XXXVI, 888; XXXVII, 444; XXXVIII, 238, 459, 492, 495, 498; XL, 56, 266, 311, 317, 318, 319; XLI, 89; Ibid., Otto di Pratica, V, 324, 347; Ibid., Tratte, 94 (Priorista 1455-1531), c. 17v; M. Del Piazzo, Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico per gli anni 1473-74, 1477-92, Firenze 1956, ad Indicem; B.Azzurrini, Chronica breviora, in Rer. Italic. Script., 2 ed., XXVIII, 3, a cura di A. Messeri, pp. 271 s.; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di F. Gaeta, Milano 1962, p. 573; S. Ammirato, Istorie fiorentine, Firenze 1637-41, III, pp. 141, 163, 183; L. Cantini, Saggi istor. d'antichità toscane, Firenze 1796, ss., VIII, p. 213; A. Messeri, Galeotto Manfredi signore di Faenza, Faenza 1904, passim;M. Missiroli, Faenza e il pretendente Ottaviano Manfredi nell'anno 1488, in La Romagna, V (1908), pp. 250-261, 299-311 e passim; R. De Roover, The Rise and Decline of the Medici Bank (1397-1494), Cambridge, Mass. 1963, pp. 38, 138, 255 (per Francesco di Giachinotto).