Venafro, Antonio da
Nato nel 1459 a Venafro (nei pressi di Isernia) con il nome di Antonio Giordano (o Giordani), nel 1482 avviò una brillante carriera di giureconsulto nello Studio di Siena, fino a divenire, verso la fine degli anni Novanta, il principale consigliere di Pandolfo Petrucci (→), tanto in politica interna quanto nell’ambito di diverse e delicate missioni diplomatiche. Alla morte di Pandolfo, nel maggio del 1512, V. rimase accanto al figlio e successore Borghese, ma nel 1515 abbandonò Siena per rientrare nel Regno di Napoli, dove riprese a insegnare diritto civile nello Studio partenopeo. A Napoli morì nel 1530.
Nel verbale di interrogatorio (per mano di M.) di un prigioniero pisano, datato 7 giugno 1501, V. è citato come istigatore, per conto di Pandolfo, della resistenza pisana (cfr. LCSG, 2° t., p. 112). Dell’episodio e, con lieve ma significativa distorsione mnemonica, della battuta stessa con cui V. aveva esortato i pisani a resistere («Voi avete beuto il mare e ora avete paura della pozzanghera»), M. si sarebbe ricordato dopo oltre un quarto di secolo: in una drammatica lettera da Imola in cui a sua volta esortava Firenze a non abbandonarsi di fronte all’avanzata delle truppe imperiali e a spendere per difendersi piuttosto che per pagare taglie, scriveva:
E mi ricorda nella guerra di Pisa che, stracchi i Pisani per la lunghezza di quella, cominciorno a ragionare fra loro di accordarsi con voi; il che presentendo Pandolfo Petrucci, mandò messer Antonio da Venafro a confortagli al contrario. Parlò messer Antonio loro publicamente, e dopo molte cose disse ch’eglino avieno passato un mare pieno di tempesta e ora volevono affogare in una pozzanghera. Non dico questo perché io pensi che cotesta città sia per abbandonarsi, ma per darvi certa speranza di salute, quando e’ si voglia più tosto spendere dieci fiorini per liberarvi securamente, che 40 che vi legassino e distruggessino (M. agli Otto, 2 apr. 1527, LCSG, 7° t., p. 222).
M. ebbe a che fare con V., forse non personalmente, durante la seconda legazione presso Cesare Borgia («venne ieri sera qui messer Antonio di Venafro, uomo di Pandolfo Petrucci [...]», scriveva ai Dieci il 21 ott. 1502, LCSG, 2° t., p. 381; e delle sue trame antifiorentine dava quindi conto in una lettera successiva: cfr. LCSG, 2° t., p. 391). Si intrattenne con lui sicuramente, e a lungo, durante la legazione a Siena nel luglio 1505 («Messer Antonio da Venafro, che è el cuore suo [di Pandolfo Petrucci] e è el caffo [= ‘dispari’, vale dunque ‘il primo’, ‘che non ha pari’, ‘il più valente’] delli altri uomini, con el quale io parlai ieri tutto dì [...]», lett. ai Dieci, 19 luglio 1505, LCSG, 4° t., p. 559), sperimentandone le eccezionali capacità suasorie e dialettiche (cfr. soprattutto il lungo resoconto di un loro incontro nella lettera del 23 luglio 1505, LCSG, 4° t., pp. 572-74). Ricordato nel Modo che tenne il duca Valentino (§ 3, in SPM, p. 598) tra gli intervenuti nella dieta di Magione (sett.-ott. 1502) per mettere a punto una strategia antiborgesca, V. è quindi portato a esempio nel Principe di come si possa dedurre la valentia di un signore dalle qualità dei consiglieri di cui sa circondarsi: «Non era alcuno che conoscessi messer Antonio da Venafro per ministro di Pandolfo Petrucci, principe di Siena, che non iudicassi Pandolfo essere valentissimo uomo, avendo quello per suo ministro» (Principe xxii 3).
Bibliografia: M. De Gregorio, Giordano Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 55° vol., Roma 2001, ad vocem.