GRAZIADEI, Antonio
Nacque a Imola il 5 genn. 1873, da Ercole e Giulia Trotti, in una famiglia benestante e di antica nobiltà. A venti anni entrò nel Partito socialista, partecipando alle lotte dei contadini e dei braccianti della Romagna; collaborava, inoltre, a Critica sociale, la rivista di F. Turati.
Nel 1910, alla morte di Andrea Costa, ne raccolse l'eredità politica come deputato eletto nel collegio di Imola e restò in Parlamento fino al 1926, quando fu dichiarato decaduto dal regime fascista.
Nell'ambito del Partito socialista, il G. passò gradualmente da posizioni moderate, vicine a Turati, a posizioni radicali, fino a che, dopo la guerra mondiale e dopo la rivoluzione sovietica, aderì alle posizioni della frazione comunista partecipando, nel 1921, alla fondazione del Partito comunista d'Italia.
Era opinione del G. che le condizioni di miseria in cui la guerra aveva gettato operai e contadini non lasciassero più margini al gradualismo turatiano; inoltre, la rivoluzione bolscevica aveva segnato una svolta favorevole alle correnti rivoluzionarie del movimento operaio internazionale. Il suo passaggio dal riformismo al comunismo non fu, dunque, frutto di ripensamento, di revisioni critiche e di crisi personali, ma venne da lui spiegato e vissuto come uno svolgimento lineare delle sue posizioni e delle sue analisi. Egli era, infatti, convinto che il conflitto di classe dovesse attraversare fasi e strategie alterne: vi erano situazioni di latenza quando le condizioni della classe operaia potevano migliorare senza sconvolgere i meccanismi fondamentali dell'economia capitalistica; in tal caso il riformismo turatiano era la politica appropriata. Ma nel caso in cui nessun avanzamento dei lavoratori fosse possibile senza mettere in discussione i fondamenti dell'economia capitalistica, il conflitto era destinato a esplodere ed era quindi necessaria una strategia politica rivoluzionaria.
Duttile e pragmatico in materia di strategia politica, il G. era anche convinto che non vi fossero ragioni profonde di divergenza fra socialisti e comunisti, e per molti anni lottò affinché i due partiti si unificassero, adottando una strategia appropriata alla crisi della società italiana.
La sua attività di studioso, iniziata nel 1894 con una tesi di laurea su Marx ("Il capitale tecnico e la teoria classico-socialista del valore"), non conobbe mai soste. Nel 1899 pubblicò La produzione capitalistica (Torino), in cui svolge una critica radicale della teoria marxiana del valore e dello sfruttamento, iniziando un ciclo del suo pensiero che si può considerare concluso nel 1923 con Prezzo e sovrapprezzo nella economia capitalistica: critica della teoria del valore di Carlo Marx (ibid.), dove la critica a Marx è compiutamente sistematizzata; tale critica venne poi perfezionata e precisata in varie altre pubblicazioni da Le capital et la valeur. Critiques des théories de Marx (Lausanne-Paris 1936; poi in italiano, Firenze 1947), a Studi sul marxismo (Milano 1945), fino a Compendio di economia politica (ibid. 1951) e a Pluslavoro e plusvalore. Economia marxista e realtà capitalistica (Genova 1952), il suo ultimo scritto di teoria economica pubblicato pochi mesi prima della morte. Critiche specifiche alla concezione della rendita di Marx, oltreché di D. Ricardo, sono in La rente et la propriété de la terre (Paris 1931) e furono riprese in Elementi di economia agraria (Roma 1946).
Il testo del 1923 già contiene pressoché tutti gli aspetti del pensiero del G. successivamente sviluppati: dalla critica di Marx alla teoria del profitto, alla spiegazione della formazione dei prezzi. Tali posizioni teoriche furono oggetto di scandalo fra i marxisti ortodossi e il G. venne aspramente attaccato da G.E. Zinov´ev dalla tribuna del V congresso dell'Internazionale comunista; in generale si temeva che le critiche a Marx mettessero in discussione le basi teoriche della politica dei partiti comunisti, finché, nell'ottobre 1928, in piena epoca staliniana, si giunse all'espulsione del G. dal partito (Roma, Fondazione Istituto Gramsci, Archivio del Partito comunista italiano, 653/310-311, documento del comitato centrale, ottobre 1928).
Dopo avere insegnato economia politica negli istituti tecnici a Bari, Viterbo e Milano, nel 1903 il G. diventò professore di questa materia nell'Università di Cagliari; nel 1910 fu trasferito a Parma presso la cattedra di scienza delle finanze. Nel 1926, in concomitanza con la decaduta carica da deputato, perse la cattedra universitaria; processato dal Tribunale speciale, fu condannato al confino di polizia, pena poi commutata in ammonizione.
Nel 1945 riottenne la cattedra di scienza delle finanze a Parma e successivamente quella di economia agraria a Roma. Contestualmente fu reintegrato nel Partito comunista italiano e, dal 1945 al 1946, fece parte della Consulta. Trasferitosi a Nervi, dopo la guerra collaborò a Il Corriere del popolo di Genova, con articoli di economia politica, in particolare sugli accordi di Bretton Woods, sull'occupazione delle terre nel Mezzogiorno, sul piano Marshall.
Il G. morì a Nervi il 10 febbr. 1953.
Un punto di vista interessante per cogliere il senso della prospettiva teorica del G. è quello relativo alla sua concezione del mercato: per lui il mercato è il luogo in cui le decisioni delle imprese si formano e si realizzano come risposte agli stimoli derivanti dall'andamento delle variabili fondamentali; la produzione, pur essendo all'origine dell'attività economica, appare in un certo senso subordinata alle condizioni del mercato, perché è l'esistenza dello scambio che influenza le decisioni delle imprese sulla produzione delle merci e sull'utilizzazione dei fattori produttivi. Questa impostazione del G. è, di fatto, alla base della profonda diversità esistente fra la sua teoria, il marxismo e il marginalismo: infatti, a suo giudizio, queste due teorie assegnano al mercato un ruolo passivo, nel senso che in esso si registrano e si realizzano processi che hanno luogo altrove (per Marx nella sfera della produzione, per i marginalisti in quella del consumo).
Il G., invece, intende assegnare un ruolo attivo al mercato, non solo in termini generali, ma anche in relazione alla spiegazione dello sfruttamento nell'economia capitalistica, facendolo dipendere anche dal rapporto che si instaura fra le imprese sul mercato, attraverso la mediazione dei valori di scambio. Dopo aver criticato la teoria marxiana del valore-lavoro e la teoria dello sfruttamento che su di essa si fonda, il G. critica con pari vigore la teoria marginalista del valore-utilità, proponendosi di costruire una propria teoria che assuma sia la problematica dello sfruttamento (pur rifiutando la spiegazione che ne fornisce Marx), sia la problematica del mercato (pur rifiutando la teoria marginalista del valore). Secondo il G., nel marxismo come nel marginalismo la prospettiva ideologica condiziona pesantemente l'analisi scientifica, in particolare per quanto riguarda la distribuzione del reddito. L'errore comune deriva dall'idea che la giustificazione dei redditi sia legata alle cause del valore delle merci.
Sul versante marxiano il pensiero del G. va inquadrato nel dibattito sulla crisi del marxismo che si sviluppò in Italia e in Germania tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. L'opera del G., tuttavia, va al di là dei temi di quel dibattito e può essere considerata nell'ambito di un filone di pensiero che intende recuperare le motivazioni fondamentali della prospettiva classico-marxiana e che, contemporaneamente, intende considerarne criticamente e riformularne le categorie analitiche.
Sul versante del pensiero marginalista (o neoclassico), egli analizza i dissensi interni al marginalismo sulle teorie dell'utilità e della produttività marginale, e trova nelle concezioni di V. Pareto "ultima maniera", quello del Manuale di economia politica, il terreno più consono al suo modo di pensare e alla sua operazione analitica di ridefinizione del ruolo del mercato, in quanto in quell'opera Pareto critica la teoria del valore fondata sull'utilità marginale.
Ma è soprattutto la teoria di A. Marshall che rappresenta il punto di riferimento fondamentale per questa componente del suo pensiero. In particolare, il rifiuto della ricerca di una "causa" del valore e la considerazione del mercato come il luogo in cui le decisioni degli operatori maturano e producono conseguenze è l'orizzonte lungo il quale egli si muove per costruire una teoria dello sfruttamento che incorpori la funzione del mercato.
Di conseguenza, per portare avanti questa operazione teorica, il G. sviluppa alcuni passaggi fondamentali: la critica della teoria del valore-lavoro; la critica della teoria del valore-utilità; l'assunzione dell'analisi marshalliana del mercato per la spiegazione della formazione dei prezzi; la dimostrazione che lo sfruttamento è perfettamente spiegabile senza ricorrere alla teoria del valore-lavoro.
La critica della teoria marxiana del valore e dello sfruttamento fu una costante degli scritti del G.: egli fa una netta distinzione fra la concezione materialistica della storia e la teoria del valore e del plusvalore. Considera la prima come "l'elemento più importante" del marxismo e sostiene che le altre teorie possono essere abbandonate senza intaccare il nucleo forte del pensiero di Marx. Ciò che impone una revisione radicale delle teorie economiche di Marx è la necessità di spiegare una circostanza storica che quelle teorie non riescono a spiegare, e cioè l'aumento dei salari e il miglioramento del livello di vita dei lavoratori nei paesi a più intenso sviluppo capitalistico. Marx, sostiene il G., concepisce il profitto in termini di sopralavoro, cioè come differenza fra lavoro totale e lavoro necessario; di conseguenza ogni aumento del salario comporta una riduzione del profitto ed è quindi incompatibile - se si tratta di una tendenza stabile - con l'economia capitalistica. Per questa ragione Marx considera il salario tendenzialmente stabile a livello di sussistenza. Viceversa, secondo il G., un aumento stabile dei salari senza corrispondenti riduzioni del profitto può essere spiegato se si adotta una concezione del profitto in termini di sovraprodotto, cioè come differenza fra prodotto totale e prodotto necessario. In tal caso, infatti, se aumenta la produttività del lavoro è possibile che il salario aumenti e che contemporaneamente aumenti il profitto; poiché i sistemi capitalistici più avanzati sono proprio quelli dove si realizzano i maggiori aumenti di produttività, si spiega così la circostanza che i salari aumentano proprio dove più radicata e più solida è l'economia capitalistica.
Si tratta dunque di spiegare l'aumento dei salari mantenendo contemporaneamente l'antagonismo fra le classi: la chiave della soluzione del problema sta, per il G., nella critica della teoria del valore di Marx e nella spiegazione dello sfruttamento senza ricorrere a quella teoria. L'errore fondamentale di Marx, secondo il G., sta nella confusione tra problemi della produzione e problemi del valore: poiché per Marx il valore deriva dal lavoro anche il sopravalore viene fatto derivare direttamente dal sopralavoro, senza alcuna considerazione per il fatto che i valori di scambio si formano sul mercato, indipendentemente dal modo in cui lavoro e capitale vengono utilizzati nella produzione. Solo nelle società prive di scambio, afferma il G., il problema del valore non è distinto dalla produzione. Ma con lo scambio il valore si separa dalla produzione e diventa un fenomeno della circolazione.
Per quanto riguarda la teoria dello sfruttamento, il G. opera una distinzione fondamentale fra la concezione "per totalità di imprese" e la concezione "per singole imprese". Nel primo caso lo sfruttamento sta nel fatto che i lavoratori ricevono una parte del prodotto, il "prodotto necessario collettivo", mentre la parte residua, il "sovraprodotto collettivo", va ai capitalisti. Nel secondo caso, dopo aver definito margine la differenza fra prezzo di vendita e prezzo di costo, il G. sostiene che il margine rappresenta una quota del "sovraprodotto collettivo" che va al singolo capitalista, così come il salario rappresenta una quota del "prodotto necessario collettivo" che va ai lavoratori della singola impresa. Poiché l'entità di tali quote dipende dal valore di scambio delle merci vendute e acquistate dalle singole imprese, sono i fenomeni che avvengono sul mercato che determinano il livello effettivo dello sfruttamento. I processi che avvengono sul mercato non modificano la natura conflittuale del rapporto fra capitalisti e lavoratori, ma provocano una distribuzione del "sovraprodotto collettivo" fra i capitalisti e del "prodotto necessario" fra i lavoratori, in funzione del peso che l'impresa ha sul mercato e del prezzo delle merci che entrano nella sua attività come input o come output.
Per quanto riguarda il marginalismo, la critica del G. è contenuta essenzialmente in due opere: Le teorie dell'utilità marginale e la lotta contro il marxismo (Milano 1943) e Le teorie sulla produttività marginale e la lotta contro il marxismo (ibid. 1946), ma già nel 1901 aveva pubblicato un saggio Intorno alla legge del godimento decrescente ed al principio del grado finale di utilità (Valparaiso).
Egli opera una distinzione fondamentale fra le teorie marginaliste (quella inglese e quella austriaca) e le teorie dell'equilibrio, e sostiene che queste ultime, proprio per poter condurre un'analisi adeguata del mercato, cercano di liberarsi delle categorie tipiche del marginalismo. Negli scritti citati, il G. conduce un'analisi dettagliata dei diversi aspetti del pensiero marginalista, rilevandone insufficienze teoriche e contraddizioni interne. Egli sostiene che il marginalismo è inadeguato a spiegare i fenomeni di mercato. Si tratta di una critica sorprendente, perché è rivolta a una teoria che considera il mercato il luogo in cui le scelte degli operatori acquistano razionalità ed efficienza; ma il G. era convinto vi fosse un'insanabile contraddizione tra l'individualismo su cui si fonda il marginalismo e il carattere collettivo dei fenomeni che avvengono sul mercato.
Il tema del mercato, che come si è visto è al centro del pensiero del G., fu affrontato per la prima volta nel 1909, nel Saggio di una indagine sui prezzi in regime di concorrenza e di sindacato fra imprenditori (Imola), in cui si analizzavano le vicende del mercato del nitrato sodico del Cile, dove si alternavano fasi di concorrenza fra le imprese produttrici e fasi di monopolio, derivanti dalla costituzione di sindacati fra imprese. In quest'opera il G. utilizza l'apparato teorico di A. Marshall per analizzare le relazioni fra variazioni dell'offerta, della domanda e dei prezzi. Ma nel 1918, in Quantità e prezzi di equilibrio tra domanda e offerta in condizioni di concorrenza, di monopolio e di sindacato fra imprenditori (Roma), il G. aveva esposto una concezione dell'equilibrio che si allontana sensibilmente da quella di Marshall; il tema riceverà poi una sistemazione teorica matura in Le crisi del capitalismo e le variazioni del profitto (Milano 1940).
In questi scritti la teoria del mercato viene esposta in chiave polemica nei confronti del pensiero classico e marxiano, come un terreno di analisi che quel pensiero si preclude a causa della teoria del valore-lavoro. Nelle due opere citate sul marginalismo, invece, la teoria del mercato viene esposta in chiave critica nei confronti delle teorie marginaliste, nella convinzione che anche la concezione dell'utilità marginale - come causa del valore - impedisca un'analisi adeguata del ruolo del mercato.
All'interno dell'orizzonte marshalliano, dunque, il G. introduce importanti innovazioni. Per coglierne interamente la portata, conviene partire dalla sua concezione della strategia delle imprese, in termini di lotta per conquistare quote di mercato. La strategia può conoscere fasi diverse, ma vi è sempre fra le imprese un irriducibile antagonismo, che le induce a combattersi temporaneamente nelle fasi della concorrenza, e temporaneamente a coalizzarsi nella fase di monopolio e di oligopolio. L'obiettivo dell'impresa è la massimizzazione del margine, cioè della differenza fra prezzo e costo, ma la presenza di numerose imprese provoca un'espansione dell'offerta globale, che riduce eccessivamente il prezzo di vendita e il saggio del margine. Se quest'ultimo viene ritenuto sufficientemente elevato, il mercato di concorrenza è in equilibrio. La concorrenza evita che il saggio del margine cada al di sotto di un certo livello, ed esercita un'azione stabilizzatrice sui prezzi, con l'uscita dal mercato delle imprese marginali in fase di declino dei prezzi e l'ingresso di nuove imprese in fase di prezzi crescenti. Inoltre, il comportamento di quelli che il G. chiama "grandi commercianti" rafforza la tendenza alla stabilizzazione dei prezzi e dei margini, poiché essi regolano l'afflusso di merci sul mercato, con rilevanti immissioni quando i prezzi salgono e con scarse immissioni quando diminuiscono. In tal modo si evitano sia brusche cadute, sia bruschi aumenti di prezzo.
Tuttavia, afferma il G., le fasi di espansione della produzione che provocano la caduta dei margini, sono più ampie e più intense delle fasi di contrazione, che provocano l'aumento dei margini. Ciò accade in parte perché le imprese devono comunque recuperare investimenti e costi fissi, in parte perché i "grandi commercianti" nelle fasi di espansione cercano di disfarsi delle rimanenze che hanno accumulato nelle fasi di contrazione. Per cui l'effetto tendenziale è la riduzione dei saggi dei margini.
Dunque i meccanismi propri del mercato di concorrenza non sono sufficienti a impedire la caduta dei margini; per questa ragione emergono da parte delle imprese comportamenti che devono essere necessariamente reperiti al di fuori dei meccanismi che caratterizzano il mercato di concorrenza. Da questa situazione nascono fra le imprese gli accordi di sindacato, che stabiliscono il livello complessivo dell'offerta, assegnano a ciascuna impresa una quota di produzione, lasciando al mercato la determinazione del prezzo. Sindacati particolarmente forti, osserva il G., possono anche fissare direttamente il prezzo e lasciare che il mercato determini la quantità scambiata.
Una innovazione autentica introdotta dal G. nell'analisi del funzionamento del mercato è poi rappresentata dal comportamento dei sindacati fra imprese. Essi costituiscono un vero e proprio terzo operatore di mercato, oltre a quelli tradizionali dei consumatori e dei produttori, in quanto si tratta di accordi fra imprese che restano giuridicamente ed economicamente distinte.
I passaggi che si sono delineati fanno del pensiero del G. un connubio del tutto particolare di alcuni aspetti del marxismo e di alcuni aspetti del marginalismo. Il risultato è una teoria economica composta da un marxismo privo della teoria del valore-lavoro - e quindi di tutta la carica ideologica e morale relativa e anche di tutti i problemi analitici che da essa derivano - e da un meccanismo di mercato che interviene in modo determinante nelle condizioni di sfruttamento dell'economia capitalistica.
Di fronte alla sua critica della teoria del valore-lavoro e al suo rifiuto della problematica del valore nella determinazione della distribuzione del reddito è forte la tentazione di collocare il G. in una linea di pensiero che va da A. Loria a P. Sraffa, caratterizzata appunto dal considerare inessenziale il problema del valore; del resto, è bene ricordare che fu B. Croce a mettere in evidenza questo aspetto del pensiero del G., parlando, con ironica ambiguità, di "economia senza valore". Tuttavia, è la considerazione delle due componenti del pensiero del G., quella marxiana e quella neoclassica, che può consentire di dipanare la questione; finché si resta sul versante marxiano, è vero che il G. respinge la problematica del valore: dal punto di vista della "totalità di imprese", il valore è del tutto ininfluente nella determinazione della distribuzione del reddito, poiché quest'ultima non deriva dalla formazione del valore-lavoro e del plusvalore, ma dipende dai rapporti di forza sociale fra le classi. Ma se ci si colloca sul versante neoclassico del G., la distinzione fra "prodotto necessario" e "sovraprodotto" non si fonda su una definizione preventiva del contenuto del "prodotto necessario", ma è legata alle condizioni di mercato. Poiché l'unico valore ammesso dal G. è il prezzo, egli sostiene che quando si adotta la concezione "per singole imprese" il prezzo delle merci prodotte da ciascuna impresa determina le quote di "prodotto necessario" e di "sovraprodotto" che affluiscono rispettivamente ai lavoratori e ai capitalisti delle diverse imprese. E il "prodotto necessario" collettivo non è altro che la massa delle merci che in tal modo affluisce ai singoli lavoratori, per cui il suo livello è determinato dall'insieme delle condizioni di mercato che influenzano i prezzi delle merci. Da queste posizioni del G. deriva l'importanza che egli attribuisce all'analisi del mercato e della formazione dei prezzi. Ora se l'inessenzialità del problema del valore per la determinazione della distribuzione del reddito può considerarsi un connotato tipicamente sraffiano, del tutto estraneo alla prospettiva di Sraffa è il ruolo che il G. assegna al funzionamento del mercato.
Si deve quindi concludere che la presenza di due componenti, quella marxiana e quella neoclassica, nel pensiero del G., dà luogo a una dimensione teorica originale, non riconducibile semplicemente al filone del rifiuto della problematica del valore. In essa gli aspetti di entrambe le componenti appaiono essenziali per costruire una teoria in cui la problematica marxiana del conflitto di classe e dello sfruttamento viene integrata con la problematica neoclassica del mercato.
Oltre a quanto già citato nel testo si ricordano ancora, fra le opere del G.: Il movimento operaio, Milano 1904; Note intorno ai sindacati industriali, in Studi economico-giuridici pubblicati a cura della Facoltà di giurisprudenza di Cagliari, I (1909); Socialismo e sindacalismo, Roma 1909; Corso di contabilità di Stato alla Università commerciale Bocconi a.a. 1911-12, Pavia 1912; La questione agraria in Romagna, mezzadria e bracciantato, Milano 1913; Idealità socialiste e interessi nazionali nel conflitto europeo, Roma 1915; Idealità socialiste e interessi nazionali nel conflitto mondiale, ibid. 1915; L'imposta di famiglia e le sue riforme, ibid. 1916; Prezzo e sovrapprezzo in rapporto ai consumatori ed ai lavoratori, ibid. 1925; La concezione del sopralavoro e la teoria del valore, ibid. 1925; La teoria del valore e il problema del capitale (costante), ibid. 1926; Capitale e colonie, Milano 1927; Capitale e salari, ibid. 1927; Sindacati e salari, ibid. 1929; La rendita e la proprietà della terra, Paris 1931; La variazione della rendita e la proprietà della terra, ibid. 1933; La rendita della terra, ibid. 1933; Il capitale e l'interesse, ibid. 1935; La teoria del valore, ibid. 1935; La teoria del valore. L'impostazione del problema, i suoi rapporti col sovraprodotto, gli errori di Marx, Milano 1935; Il risparmio e l'interesse nella grande industria bancaria, Milano 1939; Il risparmio, lo sconto bancario e il debito pubblico, ibid. 1941; Relazioni tra economia politica generale ed economia agraria, Roma 1946; Cosa è il marxismo, ibid. 1947; Il salario e l'interesse nell'equilibrio economico, ibid. 1949; Memorie di trent'anni, ibid. 1950.
Fonti e Bibl.: Sulla figura e sull'attività politica del G.: Imola, Biblioteca comunale, Carte Graziadei; Roma, Fondazione Istituto Gramsci, Biografie, testimonianze, memorie: f. Antonio Graziadei; E. Santarelli, La revisione del marxismo in Italia, Milano 1964, ad ind.; G. Arfè, Storia del socialismo italiano (1892-1926), Torino 1965, ad ind.; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, I, Da Bordiga a Gramsci, Torino 1967; II, Gli anni della clandestinità, ibid. 1969, ad indices; L. Cortesi, Il socialismo italiano tra riforme e rivoluzione. Dibattiti congressuali del PSI 1892-1921, Bari 1969, ad ind.; A. Ciotti, A. G. Pensiero ed azione socialista, Roma 1981; R. Faucci, Einaudi, Torino 1986, ad ind.; N. Galassi, Figure e vicende di una città, II, Imola 1986, ad ind.; P. Maurandi, Il caso G.: vita politica e teoria economica di un intellettuale scomodo, Roma 1999 (anche per quanto riguarda le teorie economiche del G.); Storia del Parlamento italiano, X, Palermo 1973; XI, ibid. 1980; XII, ibid. 1987, ad indices; Il movimento operaio. Diz. biografico 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, III, Roma 1977, sub voce.
Sulla critica del G. al pensiero di Marx: F. Duchini, La teoria del valore economico secondo Carlo Marx e il suo riflesso sugli economisti italiani, in Riv. internazionale di scienze sociali, LV (1946), 1, pp. 27-43; B. Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, Bari 1961; G. Gattei, L'economia senza valore di A. G., in Studi storici, XII (1971), 1, pp. 36-63; E. Zagari, Marxismo e revisionismo (Bernstein, Sorel, G., Leone), Napoli 1975, ad ind.; N. Bellanca, Economia politica e marxismo in Italia, Milano 1977, ad ind.; L. Dal Pane, Il pensiero economico di A. G., in M. Finoia, Il pensiero economico italiano 1850-1950, Bologna 1980, pp. 651-673; P. Favilli, Il socialismo italiano e la teoria economica di Marx (1892-1902), Napoli 1980, passim; M. Gallegati, Formazione e distribuzione del sovrappiù nell'economia senza valore di A. G. (1894-1909), in R. Faucci, Gli Italiani e Bentham, II, Milano 1982, pp. 209-229; M. Gallegati, Capitale tecnico e teoria del valore. La tesi di laurea di A. G., in Quaderni di storia dell'economia politica, 1983, n. 2, pp. 151-162; G. Gattei, G. uno o bino (la teoria del profitto), ibid., n. 3, pp. 149-167; P. Maurandi, La critica della teoria del valore-lavoro in A. G., in Quaderni di storia dell'economia politica, 1986, nn. 1-2, pp. 107-143; A. Macchioro, Marxismo ed economia politica nell'Italia di fine Ottocento, in Storia del pensiero economico, 1989, n. 17, pp. 3-20.
Sulla critica del G. al marginalismo e sulla sua concezione del mercato: M. Ridolfi, Prefazione ad A. Graziadei, Scritti scelti di economia, Torino 1969; Id., G. e la scuola della concorrenza monopolistica, in Mondoperaio, 1984, n. 6-7, pp. 80-89; P. Maurandi, Sfruttamento e mercato nella teoria economica di A. G., in Il Pensiero economico italiano, II (1994), 1, pp. 55-77. In particolare su un possibile rapporto tra Sraffa e il G.: G. Gattei, In merito ad un possibile rapporto tra Sraffa e G.; L. Occhionero, A. G. nello sviluppo del pensiero economico italiano; E. Zagari, La teoria del valore lavoro nei primi scritti di A. G., pubblicati in Neoricardiana: Sraffa e G., a cura di R. Finzi, Bologna 1977, ad indicem.