BISCIONI, Antonio Maria
Nacque a Firenze il 14 ag. 1674 da Lorenzo e da Margherita Meini. Studiò lettere latine e filosofia, quindi, abbracciata la carriera ecclesiastica, si diede all'insegnamento privato, contando fra i suoi allievi anche G. Bottari, che gli rimase affezionatissimo. Nel 1697 fu ordinato sacerdote e ottenne il dottorato in teologia, pur continuando nell'insegnamento. Divenuto quindi archivista e bibliotecario di Niccolò Panciatichi, ne riordinò le collezioni manoscritte e intraprese una serie di imponenti spogli nei maggiori archivi privati fiorentini, dei quali progettò anche un catalogo collettivo, poi non condotto a termine. Curato della basilica di S. Lorenzo dal 1698 al 1700, fu fatto temporaneamente custode della Biblioteca Laurenziana nel 1708, ed ebbe rinnovato tale incarico ancora nel 1713, 1725, 1729 e 1739. Ciò lo indusse ad approfondire le sue cognizioni bibliografiche, linguistiche ed erudite, con l'apprendimento in particolare della paleografia e dei primi rudimenti di ebraico. La Biblioteca Laurenziana rappresentò la più grande passione e il più grande cruccio della sua tranquilla vita di ecclesiastico e di erudito, poiché i canonici di S. Lorenzo, a onta di ogni suo sforzo, si rifiutarono sempre di nominarlo stabilmente bibliotecario e osteggiarono ogni provvedimento granducale in tal senso. Solamente il 5 dic. 1741 il B. ottenne dal Francesco I di Lorena l'ambitissima nomina; ma l'ancor tenace opposizione dei canonici non gli permise di prendere possesso della carica e della biblioteca prima del 31 genn. 1742.
Questa nomina, se non mutò il ritmo esteriore della vita del B., ne mutò notevolmente l'indirizzo culturale e l'attività di studio, costringendolo ad affrontare, con il catalogo dei manoscritti laurenziani, un compito immane, sì, ma ben delimitato.
Negli anni della sua vecchiezza, il B., ormai settantenne, lasciati da parte gli interessi giovanili e i lavori minori, profuse ogni sua energia in due vaste opere di bibliografia e di erudizione: il catalogo, appunto, dei manoscritti laurenziami, e un monumentale repertorio degli scrittori fiorentini; ma non riuscì a compiere né l'una, né l'altra, come presentiva già nel 1746, e neppure a veder stampato il primo volume del suo Catalogus. Il B. morì il 4 maggio del 1756, dopo una breve malattia, e fu seppellito in S. Lorenzo, di cui nel 1745 era divenuto anche canonico.
Ad una biografia esteriore così semplice e piana fa riscontro nel B. una attività intellettuale ricca e varia, mossa da molti interessi e da svariate e a volte contrastanti curiosità. La grande fama di cui godette in vita, e che continuò a circondarne il nome dopo la morte, si fondava appunto su questa eccezionale capacità di ricerca e di studio in campi diversi e lontani, oltre che sulla quasi patetica fedeltà alla più antica e nobile tradizione erudita fiorentina, di cui fu l'ultimo grande rappresentante.
L'esperienza culturale del B., ai nostri occhi troppo variegata per non apparire dispersiva, si rivela in realtà organicamente armoniosa se la si confronta con i principali filoni della erudizione fiorentina, che da V. Borghini scendevano fino ad A. M. Salvini, di cui il B. fu fedele discepolo ed amico. Tali filoni consistevano principalmente nello studio amoroso dei "testi di lingua", e cioè del patrimonio letterario trecentesco visto sotto un profilo quasi esclusivamente linguistico, nella campanilista conoscenza - ed esaltazione - della minuta storia cittadina, ricostruita, o piuttosto frantumata, attraverso accurati "prioristi" e sterminate genealogie, e infine in una buona familiarità con manoscritti più o meno antichi e con le tecniche della bibliografia storica e letteraria.
Quella ereditata dal B. era, insomma, una erudizione prevalentemente letteraria, accompagnata da una buona, e in alcuni casi ottima, conoscenza del latino e del greco, ma del tutto aliena dallo studio dei documenti, che era già divenuta sostanza e anima della nuova erudizione nella stessa Toscana "muratoriana" del Lami, del Benvoglienti e di tanti altri editori di cronache e di documenti.
Alla passione per le genealogie il B. si sacrificò soprattutto nei primi anni della sua attività di erudito, quando dall'archivio Panciatichi trasse la monumentale storia di quella famiglia, rimasta inedita in tre volumi, e da altri fondi privati le notizie relative agli Alberti, ai Guidi, ai Ricasoli, ai Gianfigliazzi, ai Nofri (Firenze, Bibl. Naz. Centrale,Magl. XXXVI, 112, 113, 151-52). Ma la sua principale attività, sino alla nomina di bibliotecario laurenziano, consistette nello studio e nell'edizione di "testi di lingua" dei maggiori e minori autori toscani del Trecento e dei secoli seguenti, in testa ai quali egli poneva, secondo una gerarchia meramente "fiorentina", Dante e Boccaccio, ma fra i quali (l'assenza è ben significativa) non figurò mai il Petrarca. Al Boccaccio il B. dedicò cure particolarissime, di cui rimane testimonianza in almeno due copie di sua mano del Decameron, l'una esemplata dal manoscritto Mannelli nel 1711 e contenente anche il Corbaccio (oggi Vat. Capp. 143), e l'altra esemplata nel 1748 da un codice Laurenziano (oggi New Orleans, Parson Library, cod. 1781); ambedue i manoscritti contengono anche annotazioni del Bottari. Di Dante il B. fu, in un secolo di ripresa della conoscenza critica del poeta, uno dei cultori più entusiasti, ma anche più ingenuamente esteriori. Ai nomi di Dante e di Boccaccio è anche legata una delle edizioni critiche di maggiore impegno avviate dal B., quella delle Prose di Dante Alighieri e di messer Giovanni Boccacci, uscita a Firenze nel 1723, recante l'enunciazione della sua teoria sulla inconsistenza storica del personaggio di Beatrice e una interpretazione meramente simbolica della Vita Nova (prefazione, pp. IV-XXXVIII). L'edizione, condotta con criteri "da grammatico" (come si espresse il Foscolo: cfr. Cosatti, p. 68), non andò esente da critiche neppure dal punto di vista filologico, in quanto il testo della Vita Nova e del Convito fu fondato su un unico e tardo codice. Resta inoltre testimonianza manoscritta di suoi lavori sul Tesoretto e sul Pataffio di Brunetto Latini, condotti in anni giovanili insieme con A. M. Salvini e di cui nel 1723 progettava l'edizione (Firenze, Bibl. Naz. Centrale, II, III, 293 e 294; per l'edizione, vedi Vat. Capp. 274, c. 185r), e sul Sacchetti (Firenze, Bibl. Laurenziana,Ashburnham. Libri n. 573). Ma le sue cure andarono anche ad autori fiorentini più recenti, esponenti di quella produzione giocosa e burlesca a lui, uomo faceto, assai congeniale: così nel 1726 curò l'edizione della Fiera e la Tancia di Michelangelo Buonarroti il Giovane (Firenze 1726; ma il suo nome non vi figura), nel 1731 quella del Malmantile racquistato di Lorenzo Lippi (Firenze 1731, con amplissimo commentario), nel 1729-1734 quella delle Rime di G. B. Fagiuoli, suo amico (Firenze 1729-34), nel 1741 quella delle Rime di Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca, con ampia biografia dell'autore (I, pp. XXI-LXII), infarcita di notizie erudite (Firenze 1741), infine quella delle Satire di B. Menzini, uscita postuma, sempre a Firenze, nel 1759. Non sembra sua, invece, anche se gli è da alcuni attribuita, l'edizione delle Istorie pistolesi ovvero delle cose avvenute in Toscana dall'anno MCCC al MCCCXLVIII..., Firenze 1733, di cui forse il B. si limitò a fornire l'esemplare manoscritto (Alamanni, p. XCVII).
Del tutto aliene da quelle tendenze di riforma etico-religiosa, pur vivissime allora nel Muratori e nel Lami e, in diversa misura, anche nel Bottari, sono due altre operette dedicate dal B. ad antichi testi di pietà religiosa, le Lettere di santi e beati fiorentini, edite e commentate al solo fine della edificazione morale (Firenze 1736), e la Prediche del beato f. Giordano da Rivalto, pubblicate insieme con D. M. Manni con un commento puramente linguistico ed esplicativo (Firenze 1739). In questo quadro si collocano anche le osservazioni fatte dal B. alla terza edizione del vocabolario della Crusca, utilizzate dagli accademici nella preparazione della quarta edizione (Alamanni, p. CI).
Nel 1836 F. Del Furia riconosceva nel B. il promotore della bibliografia in quanto scienza con un giudizio sostanzialmente giusto, poiché fu questo il campo nel quale il bibliotecario laurenziano colse i risultati più duraturi e mostrò gli aspetti più moderni della sua solida erudizione; egli che aveva una concezione così ampia della storia letteraria, da scrivere nel 1731: "È cosa utilissima nelle ristampe de' buoni libri il rendere informati coloro, che gli leggeranno, del fatto delle antecedenti edizioni, e di quanto appartenga alla sostanza dell'opera... perocché questa è parte della storia letteraria" (L. Lippi,Il Malmantile racquistato, Firenze 1731, p. VII).
Molti lavori bibliografici compì il B., ché tali possono essere considerati già gli indici analitici e ragionati aggiunti alle traduzioni omeriche di A. M. Salvini (Iliade d'Omero tradotta dall'original greco, Firenze 1721, pp. 693-755; Odissea d'Omero tradotta dall'original greco, Firenze 1723, pp. 617-664), nonché i cataloghi e gli spogli dei fondi manoscritti di molte biblioteche private fiorentine, come di quelle dei Riccardi, dei Rinuccini, dei Pandolfini, del Doni, dei Panciatichi (Firenze, Bibl. Naz. Centrale, Magl. X, 59). Ma il suo monumento in questo campo è rappresentato dal primo volume del Bibliothecae Mediceo-Laurentianae Catalogus, edito a Firenze con la data 1752, ma in realtà pubblicato subito dopo la sua morte nel 1757. Il volume comprende la descrizione dei codici orientali e costò al B., che orientalista non era e che vi aveva messo mano già nel 1742, moltissime fatiche. Ma il valore, e la novità, del Catalogus non stanno tanto nella descrizione dei manoscritti, pure condotta con molta cura ed ampiezza, quanto nella storia dei diversi fondi della biblioteca e nella descrizione della fabbrica michelangiolesca contenuta nella "praefatio" (pp. IX-LIV), lasciata dal B. incompiuta e dai suoi successori completata. In questa storia della Laurenziana raccontata attraverso i suoi fondi il B. seppe creare un modello, esemplare nel suo genere, che sarà ripetuto e superato soltanto dal Delisle più di un secolo dopo.
Il Catalogo degli scrittori toscani fu un'opera di più lunga lena, cui il B. attendeva intensamente già nel 1735; egli aveva ricevuto da mons. M. Maggi due repertori manoscritti abbozzati da G. Cinelli, l'uno di scrittori fiorentini, l'altro di scrittori toscani; su tale base, in decenni di ricerche e di studi intensi, costruì l'edificio, rimasto per sempre incompleto, del suo catalogo, oggi consistente in ben diciotto codici della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Magl. IX, 69-86; nella Bibl. dell'Accademia Naz. dei Lincei in Roma esiste una copia con aggiunte di G. Bottari in ventidue volumi: Cors. 1426-1448). Tale Catalogo contiene, sotto i nomi (non i cognomi) dei singoli autori disposti in ordine alfabetico, la descrizione delle loro opere sia manoscritte, sia a stampa; ma è privo di riferimenti bibliografici e povero di notizie biografiche. Ma la qualità della dottrina di un erudito settecentesco si misura soprattutto con gli strumenti della paleografia e della filologia; e un giudizio complessivo sul B. non può prescindere da un esame della sua esperienza paleografica e del suo metodo filologico. Quanto alla paleografia, il B. (che pure era del tutto estraneo alla diplomatica) aveva conoscenze vaste e sicure, molto più ampie di quelle, ad esempio, di un Bottari. E lo dimostrò fra il 1751 e il 1752, quando fu richiesto di un parere sull'età del Tacito mediceo (Laur. 68. 2), che i Maurini e il Bottari credevano potesse essere autografo del recensore Sallustio (e perciò del IV secolo), mentre il B. lo giudicò del X o al massimo del IX secolo (il codice in beneventana è dell'XI secolo). La filologia del B. si misura attraverso le sue edizioni, che sono tutte, come si è visto, di testi volgari e basate su codici scelti senza eccessivi scrupoli con un metodo ingenuamente casalingo; ma, se la sua "recensio" appare oggi frettolosa, accurata sembra essere stata quasi sempre l'opera di edizione, che egli voleva fondata su un religioso rispetto dell'"ortografia delle parole... in quella veneranda vecchiezza ch'ell'hanno" (Prediche del beato Giordano, p. XLV). Proprio un problema di metodo critico, oltre che un certo risentimento personale, spinse il B. nel 1750 ad entrare in polemica contro R. M. Bracci, autore di una edizione di Tutti i trionfi,carri,mascherate e canti carnascialeschi, Cosmopoli (Lucca) 1750, assai rinnovata rispetto a quella, con ugual titolo, promossa da A. F. Grazzini nel 1559 (di cui esiste nella Bibl. Naz. Centrale di Firenze un esemplare annotato dal B.: Pal. 12. 5. 366). Nella sua introduzione il Bracci criticava direttamente il B., che nella biografia del Lasca aveva difeso la bontà di un tardo codice Riccardiano del 548 (oggi Ricc. 2731); e il B. rispose con un acerbo Parere sopra la seconda edizione de' canti carnascialeschi e in difesa della prima..., Firenze 1750, prevalentemente impostato su criteri di carattere linguistico.
La personalità umana del B. non è però tutta nelle sue opere; egli, oltre che erudito e bibliotecario, era uomo cordialissimo e arguto, che non esitava a definirsi "goffo, chiapputo e patafiano", e a raccogliere in un codicetto Detti e fatti curiosi e faceti di suoi contemporanei, narrati con gusto sacchettiano (Firenze, Bibl. Naz. Centrale, VI, 99: Lodi, pp. 117 s.).
Ed anche in questi aspetti minori, quotidiani dell'uomo, era un riflesso di quella "fiorentinità" culturale che costituì la nota costante ed individuale dello studioso.
Bibl.: Per le opere del B., oltre le opere citate nel testo, v. G. M. Mazzuchelli,Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1760, pp. 1273-9, con ampia biografia; per le sue lettere a G. Bottari conservate nella Bibl. dell'Acc. Naz. dei Lincei in Roma, cfr. A. Silvagni,Catalogo dei carteggi di G. G. Bottari e P. F. Foggini, Roma 1963, p. 282; le sue lettere al marchese A. G. Capponi sono nel ms. Vat. Capp. 273 della Bibl. Apostolica Vaticana (cfr. G. Salvo Cozzo, I cod. Capponiani della Bibl. Vat., Roma 1897, p. 434 dell'Indice); per la questione del Tacito mediceo, cfr. una sua lettera in data 4 genn. 1752 tradotta in Nouveau Traité de Diplomatique. III, Paris 1757, p. 280. Cfr. inoltre su di lui: [A. Alamanni],Not. stor. della quarta ediz. del Vocabolario, in Atti dell'Acc. della Crusca, I (1819), pp. XCII, CI, CVIII; F. Del Furia, A. M. B., in E. De Tipaldo,Biografia degli Italiani illustri, III, Venezia 1836, pp. 448-56; A. Panella,Firenze e il secolo critico della fortuna di Dante, in Arch. stor. ital., LXXIX (1921), I, pp. 105-7; V. Branca,La prima diffusione del "Decameron", in Studi di filol. ital., VIII (1950), pp. 96, 112-3; T. Lodi,Un bibliotecario faceto. A. B., in Almanacco dei bibl. ital., 1956, Roma 1955, pp. 109-118; E. W. Cochrane,Tradition and enlightenment in the Tuscan Academies. 1690-1800, Roma 1961, pp. 74, 77, 172; A. Cosatti,La riscoperta di Dante da Vico al primo Risorg., Roma 1967, pp. 68, 92-3.