ROCCO, Antonio
– Nacque nel 1586 a Scurcola, nella Marsica, da Fabio, medico. Ignoto resta il nome della madre.
Trasferitosi a Roma, frequentò il Collegio romano, per passare poi allo Studio di Perugia, dove fu allievo di Giovan Tommaso Giglioli per la filosofia e Girolamo Roberti per la teologia. Concluse gli studi all’Università di Padova, discepolo di Cesare Cremonini (Glorie degli incogniti, 1647, p. 59; Favaro, 1892, pp. 632 s., 636).
Pietro Antonio Corsignani, nella sua Reggia Marsicana (Napoli 1738), lo definì «frate» e «minore conventuale» (II, p. 486). La notizia fu ripresa da Giorgio Spini (1950, 1983), che non indicò l’Ordine ma cristallizzò l’immagine di Rocco «fratacchione» (p. 164), poi costantemente ripresa e variamente specificata in ‘minore’, ‘cappuccino’, ‘minimo’ e ‘benedettino’. In realtà, nelle fonti note non risulta mai la qualifica di frate. Nei frontespizi delle sue opere e in altri documenti coevi appare come dottore in filosofia e teologia. Nel testamento si disse «filosofo e teologo, lettor publico di filosofia» (Favaro, 1892, p. 631). E come «philosophiae ac theologiae doctor» fu presentato nella sua biografia inclusa nelle Glorie degli Incogniti (1647, p. 58), dove peraltro un ritratto lo mostra in abiti che non sono da frate. Né lo sono quelli con cui è abbigliato in un’altra incisione (in A. Rocco, In logicam atque universam naturalem philosophiam Aristotelis paraphrasis [...], Venezia 1654), che piuttosto potrebbero essere da prete. In effetti, una traccia in tal senso è in una denuncia all’Inquisizione del 1635, dove è detto «pre’ Antonio Rocco» (Spini, 1950, 1983, p. 163). Si può quindi supporre che fosse stato ordinato sacerdote e poi non avesse esercitato. Ciò lascerebbe in piedi l’ipotesi di sciogliere le iniziali D.P.A., che celano l’autore dell’Alcibiade fanciullo a scola, in Di Padre Antonio (Coci, 1985, p. 303).
Trasferitosi a Venezia, intorno al 1615 s’avviò all’insegnamento (nel 1650 scrisse d’essere stato docente «lo spatio […] di 35 anni continui compiti», in Favaro, 1892, p. 631). «Per lungo corso d’anni» si era «adoperato nell’istruire la gioventù ne’ […] studi […] di humanità et rettorica», in particolare «molti della nobiltà» (Neri, 1888, pp. 223 s.); e oltre «trecento soggetti» erano «usciti dalla sua accademia con la laurea del dottorato» (Glorie degli Incogniti, 1647, pp. 59 s.). Godendo di tal fama, il 12 luglio 1636 fu nominato dal Senato di Venezia pubblico professore di retorica (Neri, 1888, p. 224).
Aristotelico fervente (pur di quell’aristotelismo eterodosso appreso da Cremonini), negli anni Venti pubblicò tre tomi di parafrasi e commenti alla logica, alla filosofia naturale e al De anima dello Stagirita. Tale fu la fedeltà a quest’ultimo – «crede tutto vero il detto di Aristotile più del Vangelo», scrisse Fulgenzio Micanzio (Favaro, 1892, p. 628) –, che proprio in sua difesa nel 1633 si schierò contro Galileo Galilei (a pochi mesi dall’abiura) nelle Esercitationi filosofiche, dedicate a Urbano VIII.
Lo scienziato pisano commentò: «Ecci anco Antonio Rocco, che pur con termini poco civili mi scrive contro […] in risposta alle cose da me impugnate contra Aristotile; il quale da se stesso si confessa ignudo dell’intelligenza di matematica e astronomia. Questo è cervello stupido e nulla intelligente di quello che scrivo, ma bene arrogante e temerario» (p. 626). Galilei replicò anche con delle puntute Postille e in altre sedi, pubbliche e private, qualificando Rocco da «ignorantissimo», «balordone», «animalaccio», «elefantissimo», «pezzo di bue» (Spini, 1950, 1983, p. 390).
Quello stesso aristotelismo eterodosso fu per Rocco lievito del suo libertinismo. Non a caso, in una denuncia al S. Uffizio del 1652 era evocata l’ombra del maestro dietro al suo ‘ateismo’: «Il Stato veneto è infestato dalla dottrina di quel maledetto Cremonini, che in sentenzia di Aristotele insegnava in Padova la mortalità dell’anima, l’eternità del mondo, che Dio non è causa efficiente […] ed altri errori», causa per «molti» di «ateismo ed empietà. […] È morto già quello, però il dottor Rocco continua per tant’anni a insegnare l’istessa dottrina […], avendo inestato l’anima de’ nobili e d’altri, e quel che più importa d’ecclesiastici, questi pestiferi inserti» (p. 167).
Conclamato ‘ateista’, tale aura libertina ne fece un membro naturale di quell’accolita di esprits forts che fu l’Accademia degli Incogniti, di fronte ai quali sosteneva che la «grazia del Signore era la delettazion carnale che l’uomo riceve nell’atto venereo» (p. 163), e che l’Amore è un puro interesse, come recitava il titolo di una sua opera. A chi frequentava la sua casa, «anco il signor Rocco ci domandava quanto tempo era che avevamo usato carnalmente, o naturalmente o contro natura, e noi gli dicevamo alle volte sì; ed egli soggiungeva: “Avete fatto bene, perché quello instrumento è stato fatto dalla natura, perché noi ne abbiamo i nostri gusti e diletti”» (p. 164).
Tale attitudine edonistica, conseguenza del suo naturalismo estremo e irreligioso, è dispiegata soprattutto nell’Alcibiade fanciullo a scola, risalente agli anni Trenta e circolato manoscritto prima d’uscire intorno al 1650, con note di stampa false. «Forse […] lo scritto più osceno della letteratura italiana del Seicento» (Coci, 1985, p. 301), è un elogio della pedofilia più che dell’omosessualità, poiché «l’età da godersi i fanciulli» è espressamente limitata «dal nono sino al dieciottesimo anno, seben non vi è legge determinata, perché alcuni pargoleggiano per più tempo, altri presto sfioriscono, sì come alcuni bamboletti ripieni e tondetti vi incitano sin dalla culla» (L’Alcibiade, 1650 ca., poi a cura di L. Coci, 2003, pp. 85 s.).
Ma è il nesso con l’arditezza filosofica che ne costituisce la cifra più profonda, con il suo naturalismo che alla ricerca di un piacere già di per sé inaudito lega temi libertini, come la negazione dell’immortalità dell’anima («l’eternità non [è] concessa ad alcuno de’ mortali», p. 59) e l’impostura politica delle religioni («sopra questa maledetta ragione di Stato gran parte delle umane leggi e le religiose stesse si fondano», p. 63); e con il suo anticipare testi quali Thérèse philosophe e autori come il marchese de Sade (Cavaillé, 2006, 2011, p. 206 e passim).
Denunciato più volte all’Inquisizione, visto che «pluribus ab hinc annis Antonius Rocchus, lector philosophiae, erat solitus multa effutire contra fidem ac religionem catholicam» (Barbierato, 2006, p. 175), godette della protezione della Repubblica non subendo conseguenze, salvo la messa all’Indice nel 1645 dell’Animae rationalis, uscito nel 1644, in cui ribadì le tesi di Pietro Pomponazzi sull’impossibilità di dimostrare razionalmente l’immortalità dell’anima, il cui unico puntello era la fede.
Il 23 novembre 1650 dettò le sue ultime volontà, «sano […] et imperturbato di mente, quantunque […] con la mia solita indispositione di corpo che da alquanti anni in qua patisco». Fra le sue disposizioni, quella di ristampare i suoi commenti ad Aristotele, e non l’Animae rationalis.
Morì tra il 19 e il 20 marzo 1653 (Favaro, 1892, pp. 622, 631, 633 s., 636).
Opere. J. Duns Scoto, In universam Aristotelis logicam exactissimae quaestiones [...] Nuper in hac ultima impressione a R.D. Antonio Rocco [...] ab innumeris erroribus [...] expurgatae..., Venezia 1619; In universam philosoph. naturalem Arist. paraphrasis textualis..., I-II, Venezia 1623-1624; In Aristot. Logicam paraphrasis textualis..., Venezia 1627; Esercitationi filosofiche [...] Le quali versano in considerare le positioni et obiettioni che si contengono nel Dialogo del signor Galileo Galilei [...] contro la dottrina d’Aristotile, Venezia 1633; Della bruttezza. Amore è un puro interesse (1635), a cura di F.W. Lupi, Pisa 1990; Pensieri sopra il Narciso..., in Veglia seconda de’ signori Accademici Unisoni..., Venezia 1638, pp. 64-77; Animae rationalis immortalitatis..., Francoforte 1644; L’Alcibiade fanciullo a scola (1650 ca.), a cura di L. Coci, Roma 2003.
Fonti e Bibl.: Lo Studio di Perugia. Lista degli scolari, http://www3.unisi.it/docentes/perugia/ studenti-a.html, 8 febbraio 2017 (vi risulta immatricolato nel 1596 come Antonius Roccius della Provincia romana); Le Glorie degli Incogniti. O vero gli huomini illustri dell’Accademia de’ signori Incogniti di Venetia, Venezia 1647, pp. 59-61.
A. Neri, Intorno a due libri curiosi del secolo XVII, I, Il vero autore dell’«Alcibiade fanciullo a scola», in Giornale storico della letteratura italiana, XIII (1888), pp. 219-227; A. Favaro, Gli oppositori di Galileo, I, A. R., in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s. 7, 1892, t. 3, pp. 618-636; G. Spini, Ricerca dei libertini. La teoria dell’impostura delle religioni nel Seicento italiano, Roma 1950, nuova ed. Firenze 1983, pp. 148, 151 s., 155, 159, 161 s., 175, 207 s., 210, 213, 246, 258, 311, 390; L. Coci, L’Alcibiade fanciullo a scola. Nota bibliografica, in Studi secenteschi, XXVI (1985), pp. 301 ss.; F. Barbierato, Politici e ateisti. Percorsi della miscredenza a Venezia fra Sei e Settecento, Milano 2006, pp. 46, 174 s., 186, 223, 272, 283 s., 287; J.-P. Cavaillé, A. R.: clandestinité, irréligion et sodomie (2006), in Id., Postures libertines. La culture des esprits forts, Toulouse 2011, pp. 205-234.