SALVI, Antonio
SALVI, Antonio. – Nacque a Lucignano d’Arezzo in Valdichiana il 16 gennaio 1664 (il 17 fu battezzato), figlio di Giovanni e di Costanza Bruni.
La famiglia Salvi era tra le più ragguardevoli della comunità di Lucignano: alcuni suoi componenti, tra i quali spicca lo scultore Niccolò di Smeraldo vissuto nella prima metà del Seicento, vi ricoprirono cariche pubbliche o religiose. Giovanni, laureato a Pisa nel 1645, vi esercitava la professione di medico. Antonio seguì le orme del padre laureandosi in philosophia et medicina nella stessa università il 29 dicembre 1685; e così farà anche suo figlio, Giovanni Claudio, nel 1716 (era nato a Firenze il 13 luglio 1691).
Salvi dovette trasferirsi a Firenze poco prima del 1690; qui prese in moglie Marta Isabella Boissin (1671-1704). Originaria della Linguadoca, la famiglia di lei (Boissin, Boassini, Buassini) era giunta in Toscana nel 1638 al seguito di Carlo di Lorena duca di Guisa. Il padre della sposa, Claudio (1637-1690), era uomo di legge e tenne importanti uffici pubblici a Firenze, tra cui quello di cancelliere del Monte Comune; era inoltre in contatto con i letterati più in vista della città e autore egli stesso di opere poetiche e di erudizione. Non è improbabile che Salvi sia entrato a far parte dell’ambiente letterario fiorentino grazie alla posizione eminente del suocero.
Fonte primaria per la biografia di Salvi è il necrologio apparso nel Giornale de’ letterati d’Italia (1724), che dichiaratamente si fonda su informazioni fornite dal figlio. Vi si legge che «la sua profession principale fu la medicina, ch’esercitò con molto credito in Firenze finché visse» (p. 283), ma non si accenna al servizio che egli avrebbe prestato in qualità di medico presso la corte. Questa notizia sembra derivare da una biografia ottocentesca del granprincipe Ferdinando de’ Medici, dove il nome di Salvi è associato a quelli di Cosimo Villifranchi e di Giovanni Andrea Moniglia, anch’essi autori di testi drammatici per il teatro di Pratolino: «tutti e tre addetti al servizio medico della Corte granducale» (Puliti, 1874, p. 39, n. 16).
Il necrologio menziona altri interessi coltivati da Salvi al di fuori dell’arte medica: praticò con successo la pittura (fu accolto nell’Accademia del disegno) e soprattutto la poesia, per la quale fu annoverato tra i membri delle accademie fiorentina, degli Apatisti e dei Fisiocritici. Una delle sue prime opere note è l’epitalamio La speranza d’Italia per le reali nozze del sereniss. elettore palatino del Reno Guglielmo duca di Neiburgo e della sereniss. elettrice Anna Maria Luisa principessa di Toscana (Firenze 1691); molti altri componimenti poetici (cantate, serenate, sonetti ecc.) erano al momento della morte presso il figlio. Salvi fu anche traduttore: la sua versione italiana di due poemi latini del gesuita Ferdinando Zucconi fu stampata insieme agli originali (Ferdinandi Zucconii, e Societate Jesu, carmina ab Excellentiss. Domino D. Antonio Salvi mire illustrata, Firenze 1714, pp. 1-97).
Ma la fama di Salvi è legata soprattutto alla produzione di drammi per musica, svolta fino al 1710 al servizio del granprincipe Ferdinando de’ Medici, grande appassionato e intenditore di musica, che si valse della sua collaborazione per le opere allestite nella villa di Pratolino, oltre che nei teatri pubblici di Firenze e Livorno. A Ferdinando è dedicato il primo dramma di Salvi, La forza compassionevole, rappresentato nel teatro di S. Sebastiano in Livorno nel 1694: il dramma riprende attraverso un rifacimento tardosecentesco una comedia di Felix Lope de Vega e presenta, tanto per il contenuto romanzesco quanto per l’assetto formale, tratti piuttosto retrospettivi. Queste caratteristiche dovevano corrispondere alle aspettative del pubblico livornese, a giudicare dagli altri due drammi destinati al S. Sebastiano, il Publio Cornelio Scipione (1704) e Il pazzo per politica (1717).
Negli anni che precedono l’Astianatte (1701) l’attività del Salvi drammaturgo è documentata solo per una «commedia eroica» in prosa, oggi irreperibile, La fortunata disperazione del principe Celimauro, recitata nel 1696 a Firenze nel teatro della Compagnia di S. Giovanni Evangelista. Il titolo della commedia lascia supporre l’attaccamento a moduli romanzeschi barocchi, ma a partire dall’Astianatte, il primo dei sette drammi di Salvi per Pratolino, messi in musica tra il 1701 e il 1710 da compositori di fama quali Giacomo Antonio Perti e Alessandro Scarlatti, si manifestano i segni di un diverso orientamento poetico.
Nell’Astianatte Salvi prese a modello l’Andromaque di Jean Racine e, pur adattando in larga misura la tragedia francese alle convenzioni del melodramma (magari le stesse che richiesero l’intervento di un librettista più navigato come Pietro Antonio Bernardoni «nel cambiare molte arie»; cfr. la lettera di costui al gran principe, 13 giugno 1705, in Lora, 2016, p. 410), ne mantenne alcuni tratti essenziali, tra cui la tematica del conflitto psicologico interiore della protagonista e l’organizzazione equilibrata di scene e atti, alterando tuttavia la conclusione con un incongruo lieto fine. Il ricorso alle fonti tragiche francesi continuò anche nei drammi successivi: Arminio (1703, da Jean Galbert de Campistron), Il gran Tamerlano (1706, da Jacques Pradon), Stratonica (1707, da Thomas Corneille) e Rodelinda regina de’ Longobardi (1710, da Pierre Corneille), tutti rappresentati a Pratolino a eccezione di Stratonica, destinata al teatro pubblico fiorentino del Cocomero. L’influsso del teatro classico francese, che si affiancava alle istanze riformistiche dell’Arcadia, comportò una notevole semplificazione nello stile, oltre a una maggiore regolarità nella forma e a una particolare attenzione ai contenuti psicologici e patetici. La predilezione per l’elemento patetico, unitamente alla lunghezza dei testi, dovette addirittura apparire eccessiva all’ambiente di corte e allo stesso granprincipe Ferdinando, preoccupato di non annoiare gli spettatori: lo testimoniano le lettere scritte tra il 1708 e il 1710 da Salvi al compositore bolognese Perti (cfr. Lora, 2016), che documentano altresì una sorprendente consapevolezza dei principi della drammaturgia musicale per quanto riguarda la definizione dei caratteri, il contrasto delle passioni, il valore ‘affettivo’ della metrica, le strategie di diversificazione degli atti e, in qualche caso, perfino le scelte di agogica e di strumentazione.
La ricerca di una maggiore varietà d’azione e di affetti portò Salvi a rinunciare temporaneamente alle fonti teatrali francesi nei drammi scritti per Pratolino negli anni 1707 (Dionisio re di Portogallo), 1708 (Ginevra principessa di Scozia, da un episodio dell’Orlando furioso) e 1709 (Berenice regina d’Egitto). Ma nei due drammi Amor vince l’odio overo Timocrate e Amore e maestà andati in scena al Cocomero nel 1715, ed entrambi tratti da Thomas Corneille, Salvi riaffermò decisamente la propria inclinazione per i tragici francesi. In particolare, in Amore e maestà non solo mantenne eccezionalmente la fine tragica, ma giunse perfino ad amplificare l’aspetto compassionevole della fonte (Le comte d’Essex) rendendone addirittura più funesta la catastrofe.
Morto (1713) il granprincipe Ferdinando, Salvi accettò commissioni anche da fuori Toscana e confezionò drammi di fattura assai diversa secondo gli ambienti di destinazione. Così, se nel Lucio Papirio (Roma, teatro Capranica, 1714) poté esaltare le virtù eroiche di Roma ricorrendo alla tematica del contrasto tra affetti privati e pubblico interesse, per teatri di corte o vicini alla corte preferì soggetti militari più adatti a spettacoli sfarzosi e celebrativi (Il Tartaro nella Cina e Le amazoni vinte da Ercole, Reggio 1715 e 1718; Adelaide, Monaco di Baviera 1722). A questa tipologia appartiene anche l’unico dramma nuovo destinato a Firenze dopo il 1715, Scanderbeg (vi si rappresentano le nobili gesta dell’eroe albanese in guerra contro il tiranno turco), scritto per la riapertura della Pergola nel 1718. Per il teatro Carignano di Torino nel 1720 giunse perfino a riproporre un libretto di vecchio stampo, Il carceriero di sé stesso (rifacimento di un dramma per musica di Lodovico Adimari del 1681, che a sua volta attingeva da una comedia di Pedro Calderón de la Barca e dalla sua trasposizione francese per mano di Thomas Corneille), con una trama fondata su finzioni ed equivoci e farcita di elementi comici; della stessa commedia del minor Corneille aveva peraltro offerto nel 1699 una versione in prosa, Il carceriere di sé stesso, che Giovanni Battista Fagiuoli riprese nel 1733 con la sua compagnia fiorentina (Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 3471, cc. 91-124).
Salvi concluse la carriera di poeta teatrale con due drammi per il S. Giovanni Grisostomo di Venezia (dove alcuni suoi drammi precedenti erano stati ripresi con successo), Gli equivoci d’amore e d’innocenza (1723) e Ipermestra (1724); vi si ritrovano, adattati alle consuetudini del maggior teatro veneziano, i due schemi narrativi prediletti dell’autore, quello politico di ‘amore e maestà’ e quello militare della ‘città sotto assedio’.
Anche i drammi del secondo periodo, scritti al di fuori dell’orbita del granprincipe, furono musicati da compositori di prima sfera: Francesco Gasparini, Giuseppe Maria Orlandini, Antonio Vivaldi. Alcuni poi conobbero un durevole successo e furono ripresi numerose volte con intonazioni diverse: spiccano Astianatte (noto anche con il titolo alternativo Andromaca) e Amore e maestà (o Arsace). Da ricordare, inoltre, che per le sue opere londinesi Georg Friedrich Händel utilizzò spesso testi di Salvi, notevolmente accorciati e rielaborati.
Salvi compose anche fortunati intermezzi buffi, per lo più ispirati a Molière (L’artigiano gentiluomo, Il malato immaginario, L’avaro); ma frutto esclusivo della sua penna fu l’intermezzo forse più fortunato di tutto il Settecento, Il marito giocatore e la moglie bacchettona (Serpilla e Bacocco), con musica di Giuseppe Maria Orlandini (Verona, 1715).
Morì a Firenze il 21 maggio 1724 ed ebbe sepoltura nella chiesa di S. Jacopo tra i Fossi.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Arte dei medici e speziali, 34, c. 39; Firenze, Archivio del Duomo, Registri atti battesimali del fonte di S. Giovanni di Firenze, Maschi, 1691, Lettera G, c. 46r; Lucignano, Archivio della collegiata di S. Michele Arcangelo, Libro del battesimo di Lucignano principiato da 7 maggio 1653 fino al 3 gennaio 1667 a nativitate, c. 42v (cortese informazione del prof. Valeriano Spadini); [necrologio] in Giornale de’ letterati d’Italia, XXXVI (1724), pp. 283-288; L. Puliti, Cenni storici della vita del serenissimo Ferdinando dei Medici granprincipe di Toscana e della origine del pianoforte, Firenze 1874, p. 39; G. Palagi, Del sigillo e segno notarile di Claudio Boissin, in Giornale araldico-genealogico-diplomatico, II (1874-1875), pp. 87-92; M. Fabbri, Alessandro Scarlatti e il principe Ferdinando de’ Medici, Firenze 1961; R.L. Weaver - N.W. Weaver, A chronology of music in the Florentine theater, 1590-1750, Detroit 1978, ad ind.; Acta graduum Academiae Pisanae, II (1600-1699), a cura di G. Volpi, Pisa 1979, pp. 514 e 554; III (1700-1737), a cura di L. Ruta, Pisa 1980, p. 149; M. De Angelis, Il teatro di Pratolino tra Scarlatti e Perti. Il carteggio di Giacomo Antonio Perti con il principe Ferdinando de’ Medici (1705-1710), in Nuova rivista musicale italiana, XXI (1987), pp. 605-640; R. Strohm, “Tragédie” into “Dramma per musica”, in Informazioni e studi vivaldiani, XI (1990), pp. 11-25; I libretti italiani di Georg Friedrich Händel e le loro fonti, a cura di L. Bianconi, I** Note ai testi e fonti..., Firenze 1992; F. Giuntini, I drammi per musica di A. S. Aspetti della ‘riforma’ del libretto nel primo Settecento, Bologna 1994; M. Bucciarelli, Italian opera and European theater. Plots, performers, dramaturgies, 1680-1720, Turnhout 2000, pp. 119-140; Gli Accademici del disegno. Elenco alfabetico, a cura di L. Zangheri, Firenze 2000, p. 288; F. Lora, Nel teatro del Principe. I drammi per musica di Giacomo Antonio Perti per la Villa medicea di Pratolino, Bologna 2016; S. Vuelta García, “El alcaide de sí mismo” entre España, Francia e Italia, in Paradigmas teatrales en la Europa moderna: circulación e influencias (Italia, España, Francia, siglos XVI-XVIII), a cura di C. Couderc - M. Trambaioli, Toulouse 2017, pp. 215-231.