SALVOTTI, Antonio
– Nacque a Mori, borgo allora compreso nel Principato vescovile di Trento, il 10 dicembre 1789, da Giovanni, possidente, e da Cattarina Zanella.
Studiò filosofia, quindi legge, presso le Università di Innsbruck (dal 1806) e di Landshut (dal 1808), dove fu uno degli allievi prediletti di Friedrich Carl von Savigny, il celebre fondatore della scuola storica del diritto, con il quale rimase in contatto per tutta la vita.
Sarebbe stato proprio Salvotti, molti anni dopo gli studi universitari, a promuovere la conoscenza fra il pubblico italiano del System des heutigen römischen Rechts di Savigny, convincendo Paride Zajotti jr. (figlio del suo intimo amico e collega Paride sr.) a cimentarsi nella traduzione della prima parte dell’opera.
Conseguita nel dicembre del 1810 la laurea in diritto a Pavia, Salvotti si perfezionò nella Milano napoleonica e qui nel giugno del 1813 sostenne con successo l’esame di avvocato; in questo periodo sembra fosse affiliato alla massoneria. Tornò quindi a Trento, dove esercitò l’avvocatura fino a quando, con il definitivo ritorno della città sotto la sovranità austriaca (novembre 1813), venne scelto quale giudice della corte di giustizia civile e criminale. Nel periodo in cui quest’ultima, l’anno seguente, fu eretta a provvisoria corte d’appello, ebbe l’incarico di presiederne le sedute correzionali. Dal 1815, dopo aver brevemente lavorato come procuratore generale, fu consigliere del nuovo tribunale locale.
Gli anni tra il 1819 e il 1824 lo videro impegnato nel ruolo che lo rese famoso e famigerato, ossia quello di giudice istruttore – dapprima come assessore del tribunale d’appello di Venezia (ottobre 1819), quindi come consigliere di quello di Milano (aprile 1822) – di una serie di processi per alto tradimento contro gli aderenti alla carboneria e alla Federazione italiana, nonché contro coloro i quali erano fuoriusciti dal Lombardo-Veneto per partecipare alle insurrezioni piemontesi del 1821. I processi, estesissimi e tra loro concatenati, coinvolsero molte decine di imputati, diversi dei quali condannati a morte (ma tutti graziati con pene detentive), tra i quali Felice Foresti, Antonio Solera, Silvio Pellico, Pietro Maroncelli, Federico Confalonieri, Alexandre Philippe Andryane.
Salvotti può quindi essere collocato all’interno di quel relativamente nutrito gruppo di giudici e di alti funzionari tirolesi di lingua italiana, fedeli al governo, politicamente conservatori, formatisi in un ambiente culturale austro-germanico e conoscitori della lingua tedesca e dei codici austriaci, che in virtù di ciò fecero carriera nel Lombardo-Veneto asburgico: scontando un generale sospetto, se non un’aperta ostilità, da parte sia della popolazione, sia dei colleghi lombardi e veneti. Tale ostilità si radicalizzò proprio in seguito ai processi politici, che hanno a lungo rappresentato il principale – se non esclusivo – interesse storiografico attorno alla figura di Salvotti. D’altra parte, la sua attività di inquisitore nei procedimenti per alto tradimento venne resa fin dagli inizi celebre dalle memorie di alcuni dei suoi condannati, a cominciare da Le mie prigioni di Silvio Pellico che, pubblicate per la prima volta a Torino nel 1832, godettero di una straordinaria fortuna in tutta Europa.
Nel 1820 sposò Anna Fratnich (Trieste 1789-Milano 1837), figlia del presidente del tribunale d’appello veneto Giovanni Francesco, pittrice dilettante di un certo livello, con la quale ebbe tre figli: Antonio, morto in tenera età, Scipione (Verona 1830-Bologna 1883) e Giovanni (Verona 1832-Trento 1898).
A conclusione dei processi politici, nell’aprile del 1824 venne promosso consigliere del Senato lombardo-veneto di Verona (una sorta di sezione distaccata del Supremo tribunale di giustizia viennese), prendendo il posto di quello che allora, prima di una lite che non si sarebbe mai pacificata, era suo amico e mentore, Antonio Mazzetti: proprio Mazzetti ne suggerì la promozione.
Nei vent’anni di attività in Senato, Salvotti si occupò di centinaia di processi, civili e penali, e di innumerevoli questioni relative all’amministrazione giudiziaria nel Lombardo-Veneto: i verbali e le relazioni senatorie permettono di rilevare la sua vastissima preparazione giuridica, che pur non si tradusse mai in pubblicazioni.
Nel giugno del 1846, probabilmente in conseguenza di alcuni disordini avvenuti nel gennaio dello stesso anno al Teatro filarmonico di Verona che sfociarono in un’aperta tensione fra lui e i dimostranti, Salvotti venne allontanato dal Lombardo-Veneto (dove non sarebbe più tornato) con la nomina a vicepresidente del tribunale d’appello di Innsbruck, trasferimento che egli visse come un vero e proprio esilio. Nel 1847 l’imperatore lo elevò al rango di consigliere intimo; in previsione – secondo quanto ebbe a raccontare qualche anno dopo lo stesso Salvotti all’amico e collega Zaccaria Sartori – di una promozione a presidente del Senato lombardo-veneto: ma tale promozione non si verificò e alla fine del 1849 Salvotti tornò a Trento con il più modesto incarico di presidente del neoistituito Senato della corte superiore di giustizia. In queste vesti ebbe modo di esprimere il suo sostegno nei confronti della nuova procedura penale, basata sui principi di pubblicità e oralità (in contrapposizione a quella in vigore nei decenni precedenti, improntata sulla segretezza e la scrittura del processo), come dichiarò nei suoi discorsi inaugurali (Discorso di Sua Eccellenza [...] alla pubblica inaugurazione di questo dicastero..., Trento 1850; Allocuzione recitata da Sua Eccellenza [...] in occasione della inaugurazione della Camera degli Avvocati in Trento, Trento 1851).
Nell’aprile del 1851 fu creato il Reichsrat (Consiglio dell’Impero) e Salvotti fu scelto da Francesco Giuseppe per farne parte in qualità di rappresentante dei territori asburgici di nazionalità italiana. Durante il decennio viennese (il Reichsrat fu sciolto nel 1861), si occupò di varie questioni di diritto, tra cui il concordato con la Chiesa cattolica, la patente matrimoniale, la legge mineraria e l’ordinamento notarile.
Messo a riposo, tornò a Trento, dove morì il 17 agosto 1866.
Il figlio Scipione fu un liberale antiaustriaco e per le sue idee politiche ebbe con il padre un rapporto spesso conflittuale, ma affettuoso e di reciproca stima. Studiò presso le Università di Monaco, Graz e Vienna: qui venne arrestato per aver costituito, assieme ad altri studenti, una società segreta di orientamento mazziniano. Dopo aver scontato meno di due anni nella fortezza di Theresienstadt, fu graziato dall’imperatore: si trasferì a Berlino (dove si addottorò in giurisprudenza e in medicina), quindi a Parigi e poi a Torino. Nel 1863 fu applicato consolare per il Regno d’Italia a Costantinopoli, ma rinunciò presto all’incarico. Tornato a Torino, si spostò in seguito nel Tirolo meridionale. Negli anni Settanta partecipò al dibattito sulla questione politica allora di maggior rilievo in Austria, ossia il contrasto tra federalismo e centralismo, dapprima propendendo per il federalismo, ma approdando poi a un più acceso irredentismo antiaustriaco. Nel 1877 fu implicato, assieme ad altri membri del gruppo gravitante attorno al giornale liberale Il Trentino fondato da Giovanni Battista a Prato, in un secondo processo per alto tradimento, e condannato a 15 mesi nell’ergastolo di Suben (Boemia). Scontata la pena, che gli compromise la salute, si ritirò a Verona e poi a Bologna, dove morì nel 1883.
Fonti e Bibl.: Ciò che rimane dell’archivio di Antonio Salvotti è conservato in varie sedi, in seguito a donazioni effettuate dagli eredi o dallo storico Alessandro Luzio. Il nucleo più consistente è in Archivio di Stato di Mantova, Legato Luzio (bb. 9-14), dove si trova un vasto carteggio, oltre a documenti personali e relativi alla carriera giudiziaria. La Biblioteca comunale teresiana di Mantova conserva il Fondo Salvotti (Carteggio 10) con ulteriori lettere, quasi esclusivamente di Paride Zajotti e dei suoi familiari. Presso l’Archivio di Stato di Milano vi sono un Dono Luzio (con lettere di Pietro Maroncelli) e un Dono Salvotti (con minute e lettere, anche di alcuni inquisiti nei processi politici). Infine, all’Accademia Roveretana degli Agiati si trova un’ulteriore piccola porzione di archivio salvottiano (1385.1), con lettere del fratello Giovanni e del figlio Scipione. Alcune lettere di Salvotti sono conservate presso gli archivi dei suoi corrispondenti, di cui si segnalano qui solo i nuclei più consistenti: Trieste, Biblioteca civica Attilio Hortis, Archivio diplomatico e fondi archivistici, Fondo Paride Zajotti; Trento, Biblioteca comunale, Fondo miscellaneo (BCT1), 1370, 1376/I, 1416, 1546/II (ad Antonio Mazzetti) e 2243/7 (a Tommaso Gar); Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio miscellaneo (AE), f. Salvotti Antonio (a Zaccaria Sartori); Universitätsbibliothek Marburg, Nachlass Friedrich Carl von Savigny, 725.
Rispetto al ruolo svolto da Salvotti nei processi per alto tradimento, a una chiave di lettura ‘risorgimentale’ e quindi estremamente critica nei suoi confronti (ad esempio A. D’Ancona, Federico Confalonieri, Milano 1898) si contrappose presto un’interpretazione di segno opposto, in direzione riabilitante, avanzata per la prima volta da A. Luzio (A. S. e i processi del Ventuno, Roma 1901; Il Processo Pellico-Maroncelli secondo gli atti officiali segreti, Milano 1903; Nuovi documenti sul processo Confalonieri, Roma 1908). Al di là degli studi sui processi politici (di cui vanno ricordati ancora almeno A. Sandonà, Contributo alla storia dei processi del Ventuno e dello Spielberg, Torino 1911; I costituti di Federico Confalonieri, a cura di F. Salata - A. Giussani, I-IV, Bologna 1940-1956), relativamente numerose e frammentate sono, in generale, le pubblicazioni su altri aspetti della biografia salvottiana: dai profili generali (a cominciare da quelli ben documentati di C. von Wurzbach nel Biographisches Lexikon des Kaiserthums Oesterreich, XXVIII-XIX, Wien 1874, pp. 159-162, e di K. Hugelmann nell’Allgemeine deutsche Biographie, XXXI, Leipzig 1890, pp. 772-779) alle edizioni di documenti e carteggi (cui si sono dedicati soprattutto, tra gli altri, Pietro Pedrotti ed Enrico Brol). Tra i lavori più recenti si menzionano quelli di Fausta Garavini che, oltre a una parte consistente del carteggio Salvotti-Zajotti («Amico dell’anima mia». Il carteggio ritrovato Zaiotti-Salvotti, in Carteggi ritrovati, a cura di F. Garavini, Bologna 2007), ha pubblicato un romanzo storico (In nome dell’imperatore, Sommacampagna 2008) molto documentato e accostabile, per l’approccio ‘filosalvottiano’, all’interpretazione di Luzio; M. Garbari, Il Risorgimento come scontro generazionale. Antonio e Scipione Salvotti, in Atti dell’Accademia Roveretana degli Agiati, s. 9, CCLXIII (2013), vol. 3 (A), pp. 33-54 (con bibliografia aggiornata); sull’attività nel Senato lombardo-veneto: F. Brunet, «Per atto di grazia». Pena di morte e perdono sovrano nel Regno Lombardo-Veneto (1816-1848), Roma 2016, passim.