SERRA, Antonio
– Nacque a Cosenza o in un suo casale (forse Dipignano), in una data imprecisata della seconda metà del XVI secolo. È stato supposto che suo padre fosse un giurista di nome Luigi o Ludovico o Aloisio (Andreotti, 1869, p. 363), ma nessun documento è stato addotto a sostegno della tesi, tuttora circolante. Sebbene Serra sia una personalità di indubbio rilievo, la sua biografia resta assai lacunosa. Le uniche notizie certe su di lui sono state a lungo desumibili dall’opera che pubblicò a Napoli, nel 1613, per Lazzaro Scorriggio: il Breve trattato delle cause che possono far abbondare li Regni d’oro e argento. Qui apparve sul frontespizio come il «dottor Antonio Serra della città di Cosenza», mentre dalla lettera dedicatoria, indirizzata al viceré di Napoli Pedro Fernández de Castro, conte di Lemos, si apprendeva che «à 10 di luglio 1613» era rinchiuso nelle «carceri» napoletane della «Vicaria» (p. § [4r]).
Potrebbe quindi essere nativo di Cosenza e così è spesso indicato, ma poiché in età moderna i nativi dei casali beneficiavano di una doppia cittadinanza (nel proprio villaggio e nel capoluogo), Serra potrebbe essere nato in uno delle decine di casali che circondano la città dei Bruzi. Davide Andreotti nella Storia dei cosentini (1869, p. 284) annoverò la famiglia «Serra d’Aloisio» tra quelle «onorate», che condividevano con le casate patrizie il governo cittadino. Tuttavia, nell’affidabile elenco delle famiglie onorate riportato da una cronaca locale del primo Seicento (E. Galli, Cosenza seicentesca nella cronaca del Frugali, Roma 1934, pp. 61 s.), mancano alcuni cognomi riportati da Andreotti, fra cui quello dei Serra, la cui inclusione potrebbe essere un’invenzione dello studioso cosentino. Del pari inventate, del resto, erano altre notizie da lui fornite sull’economista. Andreotti, infatti, parlò di una «vecchia cronichetta manoscritta» secondo cui Serra «nacque in Cosenza il 15 aprile 1501 da Lodovico Serra» (1869, p. 363). Se così fosse stato, come notò Luigi Accattatis (1870, p. 187), all’atto di pubblicare il suo libro, nel 1613, avrebbe avuto 112 anni! Un’altra ipotesi sul luogo di nascita di Serra, fondata su fragili basi da studiosi locali, fu trasmessa proprio dalle Biografie degli uomini illustri delle Calabrie di Accattatis, secondo cui era probabile che fosse nato a Celico, casale di Cosenza (ibid.). Notizia priva di fondamento documentale, ma variamente riproposta, anche di recente (Grilli, 2006, p. 26). A ogni modo, nel Novecento si sono consolidate le due ipotesi che Serra fosse nativo di Cosenza o di Celico, senza che alcun documento in cui risultasse un Antonio Serra, vissuto fra Cinque e Seicento, fosse addotto a sostegno dell’una o l’altra tesi. A causa di un errore materiale (il che mi consta per comunicazione dell’autore), poi, nella sua Storia della Calabria (1993, 1999) Augusto Placanica scrisse che Serra era «nato a Saracena», presso Castrovillari (p. 233).
Di recente, però, sono emersi alcuni documenti notarili, dei primi anni del Seicento, relativi a un Antonio Serra di Dipignano, altro casale di Cosenza (per es. Archivio di Stato di Cosenza, Notaio Manilio De Luca, 1602, c. 106r). Ciò permette, per la prima volta, di fondare sul piano documentale un’ipotesi sul luogo di nascita dell’economista, rafforzata da un atto pubblicato nel 1964 da Luigi De Rosa, che pure legava Serra alla stessa Dipignano. Da un rogito notarile del 1591 vergato a Napoli, infatti, era emerso che il «magnificus Antonius Serra de civitate Cusentie, utriusque iuris doctor», verosimilmente dimorante nella città partenopea, deteneva un fondo e case in «territorio Dipignani, casalis dicte civitatis Cusentie» (De Rosa, 1964, p. 575). Anche qui, come nel caso del frontespizio del Breve trattato, la dizione «de civitate Cusentie» è da legare a quanto già detto sulla doppia cittadinanza e sul fatto che al di fuori di Cosenza i casaleni usavano dichiararsi nativi del più noto capoluogo. Quanto al titolo di «utriusque iuris doctor», anch’esso corrisponde a quello dichiarato da Serra nel suo libro, dal quale peraltro risulta piuttosto evidente che avesse una formazione di tipo giuridico. È plausibile, quindi, che si trattasse di lui, il che permette di rendere meno vaga anche la definizione della sua data di nascita, poiché se nel 1591 era già laureato, doveva avere all’incirca almeno 20 anni, sicché si può dire che non nacque oltre i primi anni Settanta del Cinquecento.
Fosse nativo di Dipignano o di Cosenza, è stato anche ipotizzato che Serra discendesse da una famiglia di genovesi. In particolare, Rodolfo Benini (1892, pp. 222 s.) notò come un Antonio Serra di Genova comparisse in un’assemblea dei maggiori mercanti e banchieri attivi a Napoli, convocata nel 1562 nella città partenopea dai consoli di Genova e Firenze (Pragmaticae, edicta, decreta, interdicta, regiaeque sanctiones Regni Neapolitani..., II, Neapoli 1772, p. 432). Data la conoscenza in materia di negozi che Serra dimostra nel Breve trattato, Benini suppose che potesse trattarsi del nonno o di uno zio dell’economista. L’ipotesi, pur rigettata da Raffaele Colapietra (1973, p. 28), non appare da scartare se consideriamo come un familiare di quell’Antonio Serra, Giambattista Serra, nel 1568 risultasse impegnato in importanti commerci di seta con Cosenza (Patalano, in Antonio Serra and the economics..., 2016, pp. 73, 84 s.). Né manca un legame con la città bruzia dello stesso mercante Antonio Serra che nel 1567 fu tra i garanti per il tesoriere di Cosenza (Colapietra, 1981, p. 70). Non è da escludere, pertanto, che l’economista discendesse da famiglia di genovesi, dato peraltro che, tra Cinque e Seicento, l’immigrazione regnicola (e in particolare calabrese) di genovesi fu fenomeno di una certa portata. Per quanto sia anche da osservare come nel Breve trattato, pur richiamando varie volte Genova, Serra tacesse una sua eventuale origine in quella città.
Alcuni storici hanno supposto che l’economista cosentino a Napoli fosse in contatto con il portoghese Miguel Vaaz, importante uomo d’affari divenuto poi conte di Mola, molto legato al viceré conte di Lemos (Colapietra, 1973, p. 30; Sabatini, in Antonio Serra and the economics..., 2016, pp. 104 s.). In effetti, l’ipotesi è stata suffragata da Rosario Patalano che ha documentato un incontro: il 18 giugno 1613, poco prima di licenziare il Breve trattato, Serra fu ricevuto dal viceré con il conte di Mola (R. Patalano - S. Reinert, Introduction, in Antonio Serra and the economics..., 2016, pp. 2, 11). È questa una traccia preziosa, che merita ulteriori approfondimenti.
Neppure è accertato per quale motivo fosse stato imprigionato. Nel 1802 il patriota cosentino Francesco Salfi ipotizzò che Serra fosse coinvolto nel tentativo rivoluzionario del 1599 guidato da Tommaso Campanella, che mirava a proclamare la repubblica in Calabria (Salfi, 1802, 2009, pp. 206 s.). La notizia, ampiamente circolante per tutto l’Ottocento, fu smentita da Luigi Amabile (1882, pp. 646 s.), che notò l’assenza del nome di Serra dalla copiosa documentazione sul tentativo campanelliano da lui pubblicata. Tuttavia, Amabile ritrovò gli atti dei procedimenti inquisitoriali subiti dal filosofo mentre, oltre cent’anni prima, Pietro Giannone aveva potuto disporre di una copia del perduto processo per reità di Stato, scrivendo del coinvolgimento di «molti cittadini» di «Cosenza co’ suoi casali» (Dell’Istoria civile del Regno di Napoli, IV, Napoli 1723, p. 304), decidendo però di tacerne i nomi.
Il fatto che siano emersi dei documenti verosimilmente riferiti a Serra risalenti al 1601-02 non chiude il discorso sull’eventuale partecipazione al moto campanelliano, poiché la causa per reità di Stato fu sospesa nel 1600 – per l’avvio del processo inquisitoriale in cui Campanella fu condannato al carcere a vita – e non fu mai più ripresa, sicché nessuno dei nomi (pure altisonanti) tra quelli coinvolti solo nell’iniziativa politica subì conseguenza alcuna. Nessun nesso con il problema, invece, ha l’ipotesi avanzata da Clemente S. Rije (1986), secondo cui un documento del 1600 edito da Amabile farebbe «chiarezza sull’estensione e la ramificazione dei legami [del movimento campanelliano] con Cosenza ed i suoi casali» (p. XVI). In realtà, il documento riguarda l’omicidio di un «fra Mauritio Barracca» (Amabile, 1882, p. 120), senza alcun riferimento espresso al tentativo rivoluzionario. La documentazione a oggi disponibile, insomma, non permette di negare o affermare con certezza l’ipotesi del coinvolgimento di Serra nel moto campanelliano, seppure essa appaia poco probabile per ora, in mancanza di prove documentali.
Come che sia, l’imprigionamento nella Vicaria da cui Serra licenziò il Breve trattato non sembra da legarsi alla vicenda di Campanella, mentre due documenti scoperti da Amabile paiono fornire una traccia in tutt’altra direzione. Dal primo, nel quale risulta menzionato il «Doctor Ant[onio] Sierra [sic]» (p. 648), apprendiamo che l’11 novembre 1612 era già prigioniero nella Vicaria, e che ebbe un ennesimo incontro con il conte di Lemos. Il secondo, invece (sempre che si tratti di lui, parlandosi qui semplicemente di un «Ant[onio] Serra» senza il titolo dottorale), risale al 27 maggio 1614 e lo dice «inquisido de falsa moneda», poiché gli avrebbero trovato un pezzetto «de oro o alquimia» (ibid.). Nondimeno, considerando quanto al tempo l’accusa fosse grave, Amabile sottolineò come dovesse essere stata sollevata ad arte, poiché altrimenti sarebbe stato condannato a morte.
Al di là dell’alone di mistero che permane sulla sua biografia, Serra resta un autore di rilievo nella cultura europea. Il Breve trattato è, infatti, il primo scritto che pose in termini teorici un quadro generale delle cause dei fenomeni economici. A Serra, quindi, va «il merito di avere composto per primo un trattato scientifico, seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica» (Schumpeter, 1959, p. 236).
Adoperando un metodo comparato che fondava l’indagine razionale su basi empiriche, nutrito dal realismo di Niccolò Machiavelli e dal naturalismo meridionale (da Bernardino Telesio a Campanella), Serra riteneva che la ricchezza degli Stati dipendesse da due tipi di fattori generali. Erano quelle che definiva le «cause naturali» e «accidentali», queste ultime a loro volta suddivise nei due tipi degli «accidenti propri» e «accidenti communi» (Breve trattato..., 1613, pp. 8 s.). Fra le cause naturali l’autore elencava solo la presenza o meno di miniere, mentre gli accidenti propri erano il sito geografico dello Stato e la feracità del terreno, tale da produrre una «superabondantia delle robbe» (p. 9), un surplus di produzione di derrate che permettesse le esportazioni. Tali «accidenti» erano specifici di ciascuno Stato, mentre il nerbo del ragionamento, ciò che consentiva quella «reforma grandissima» che Serra auspicava (p. 133), era nei quattro «accidenti communi»: la diffusione di manifatture («quantità d’artificij»), il volume dei commerci («traffico grande de negotij»), lo spirito d’intraprendenza e le attitudini della popolazione («qualità de genti»), la politica («provisione di quel che governa»; pp. 10 s.).
Quest’ultima, in particolare, era considerata il fattore primario per garantire la ricchezza d’uno Stato, «poiché si può dire come causa efficiente et agente superiore di tutti gl’altri accidenti», visto che «il tutto ha da dependere dall’ultimo accidente commune», la politica appunto, «che ha da movere, disponere et conservare gl’altri accidenti» (pp. 21, 130 s.). Infatti, seppure scrivesse un libro d’economia, diversi interpreti hanno evidenziato la natura politica del Breve trattato (Salfi, 1802, 2009, pp. 162 s. e passim; Ferrara, 1852, pp. LV s.; Croce, 1925, 1967, p. 140; Einaudi, 1953; Colapietra, 1973, pp. 29 s.; Roncaglia, 1999, pp. 425 s.; Addante, 2001; Villari, 2010, p. 6; Addante, 2015 e in Antonio Serra and the economics..., 2016, passim). Una politica che auspicava, con Machiavelli e Campanella (pur ovviamente non citati essendo entrambi all’Indice), il primato del bene comune e la supremazia della legge in tempi di dilagante assolutismo, e che, mossa da un vigoroso anelito di libertà, rivelava una netta preferenza per i regimi repubblicani, la Repubblica di Venezia in particolare.
In ogni modo, a quanto pare dopo la sua uscita il Breve trattato restò lettera morta, visto che la prima menzione espressa a noi nota che lo riguardi risale ai primi del Settecento (Paolo Mattia Doria); solo nel 1780 lo ritroviamo richiamato in un’opera a stampa: il Della moneta di Ferdinando Galiani, che segnò la nascita dell’attenzione verso il cosentino, poi alimentata a inizio Ottocento dall’Elogio di Salfi e dalla connessa ristampa del testo da parte di Pietro Custodi.
Non si sa praticamente più nulla sul destino dell’autore dopo l’uscita del Breve trattato. Dal secondo documento edito da Amabile, prima richiamato, risulta che nel 1614 in cella pativa la fame, mentre un’altra fonte coeva ci rivela che il 6 settembre 1617 fu ricevuto dal nuovo viceré, Pedro Téllez-Girón, duca d’Osuna: «Un dottore Antonio Serra, carcerato in Vicaria da molto tempo, si ha fatto chiamare da S[ua] E[ccellenza] per volere fare grande utile alla corte: onde, venuto in palazzo presente la Camera, con le ciarle, non ave altro concluso che chiacchiere, e se n’è ritornato alle [sic] carcere» (Narrazioni..., 1846).
È questa l’ultima traccia che lo riguardi, e restano sconosciuti luogo e data della morte.
Opere. Breve trattato delle cause che possono far abbondare li Regni d’oro e argento dove non sono miniere. Con applicatione al Regno di Napoli, Napoli 1613.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Cosenza, Notaio Manilio De Luca. Atti 1600-1602, c. 106r.
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Andreotti, Storia dei cosentini, II, Napoli 1869, pp. 284, 363 s.; L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza 1870, pp. 186-191; T. Fornari, Studii sopra A. S. e Marc’Antonio De Santis, Pavia 1879; L. Amabile, Fra Tommaso Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, III, Napoli 1882, pp. 646 s.; A. De Viti de Marco, Le teorie economiche di A. S., in Memorie del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, classe di lettere e scienze storiche e morali, XVIII (1891), pp. 103-130; R. Benini, Sulle dottrine economiche di A. S. Appunti critici, in Giornale degli economisti, s. 2, III (1892), pp. 222-248; Economisti del Cinque e Seicento, a cura di A. Graziani, Bari 1913, pp. 388 s.; G. Arias, Il pensiero economico di A. S., in Politica, XVI (1923), pp. 129-146; B. Croce, Storia del Regno di Napoli (1925), Bari 1967, pp. 127, 139 s., 149; Economisti napoletani dei sec. XVII e XVIII, a cura di G. 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