antropologia
La scienza che studia l'uomo
L'antropologo studia l'uomo, che fa parte del regno animale, con lo stesso metodo scientifico utilizzato dallo zoologo per studiare gli altri animali: osservarli, descriverli, misurarli e confrontarli l'uno rispetto all'altro. L'antropologia, che si è sviluppata nella seconda metà dell'Ottocento, si propone infatti di capire quale posto occupa l'uomo nella natura, di scoprire dove e quando l'uomo è comparso sulla Terra e di studiare la variabilità fisica degli esseri umani così da spiegarne la diversità
L'uomo fa parte del regno animale e infatti la struttura di base del corpo umano è formata dalle stesse grosse molecole ‒ le proteine ‒ che compongono il corpo di tutti gli altri animali. La straordinaria varietà di animali e di piante che ammiriamo oggi (biodiversità) è il risultato di modificazioni del DNA, la molecola fondamentale della vita, avvenute in specie vissute tanto tempo fa. Da queste specie per una serie di modificazioni della forma del corpo (morfologia) e delle sue funzioni sono discese le specie odierne.
Attraverso il DNA tutti gli animali sono più o meno imparentati tra loro perché discendono da antenati comuni, che col passare del tempo si sono modificati e differenziati. In precedenza si pensava che nel mondo della natura l'uomo fosse separato nettamente da tutti gli animali. Fu il naturalista inglese Charles Darwin ‒ con la sua teoria dell'evoluzione ‒ a chiarire che l'uomo era invece imparentato con gli altri animali attraverso antenati comuni. Da allora i principi dell'evoluzione sono stati applicati anche allo studio dell'uomo.
Anche l'uomo discende da specie che si sono modificate. Prodotto dell'evoluzione, l'uomo è imparentato più o meno strettamente con una data specie animale a seconda di quando è avvenuta la separazione delle diverse specie da antenati comuni. Se tra due specie la separazione è avvenuta tanto tempo fa vuol dire che esse si sono diversificate molto tempo fa. La mosca, il ragno, la rana, la lumaca, il pesce hanno antenati che si sono separati dagli antenati da cui discende l'uomo moltissimo tempo fa: sono nostri lontani parenti.
Il topo, il delfino, la pecora ‒ tutti mammiferi ‒ hanno antenati vicini a quelli dell'uomo, che è anch'esso un mammifero. Tra i mammiferi i parenti più stretti dell'uomo sono però le scimmie: nel regno animale l'uomo e le scimmie sono inclusi in un unico gruppo, l'ordine dei Primati. Tra le scimmie, lo scimpanzé e l'uomo si sono separati per ultimi (intorno a 6 milioni di anni fa): dunque lo scimpanzé è il nostro parente più stretto.
Osservando le modificazioni morfologiche nei resti fossilizzati delle specie antenate possiamo ricostruire il nostro 'ritratto di famiglia'. Per esempio, se si trovano i resti di un osso della coscia (femore) lungo e molto robusto per mantenere il corpo in posizione eretta, come nell'uomo, vuol dire che i resti appartenevano a una specie che si era già separata dall'antenato comune allo scimpanzé per 'trasformarsi' in uomo. Queste modificazioni morfologiche e funzionali che hanno condotto allo scimpanzé e poi all'uomo sono avvenute perché ciascuna specie ha sviluppato caratteri più utili (adatti) per vivere in un dato ambiente.
Lo scimpanzé ha sempre vissuto nelle foreste dell'Africa, e quindi la struttura del suo corpo si è specializzata per vivere sugli alberi. Per esempio, nel piede l'alluce funziona come il pollice della mano per afferrare saldamente i rami, le braccia sono molto lunghe e agili per volteggiare tra i rami stessi, mentre le gambe sono corte. Nella bocca i denti della masticazione ‒ premolari e molari ‒ sono molto grandi e robusti, adatti a sgranocchiare bacche, semi e foglie di cui si ciba lo scimpanzé.
L'uomo ha perduto l'abilità ad arrampicarsi sugli alberi, ma è diventato bravissimo a mantenere la posizione verticale, cioè la postura eretta, e a camminare su due piedi (bipedalismo). Nel piede l'alluce è allineato con le altre dita per aderire al terreno e la mano non serve più per fungere da appoggio sul terreno. I denti della masticazione si sono ridotti e tutta la faccia si è rimpicciolita a spese della scatola cranica, che si è ingrandita per contenere un cervello molto più grosso di quello dello scimpanzé. La vera specializzazione dell'uomo è proprio il suo cervello.
Nel nostro 'ritratto di famiglia' ci sono oggi molti posti vuoti; un tempo erano occupati da specie che non hanno avuto successo e perciò si sono estinte. La ragione principale è che non avevano ancora un cervello sviluppato: non erano 'intelligenti' e quindi non avevano imparato a sfruttare l'ambiente per migliorare le proprie condizioni di vita.
Il primo rappresentante della nostra specie è comparso in Africa circa 200.000 anni fa. Il suo corpo era 'moderno', cioè simile al nostro, e il suo cervello era sufficientemente sviluppato da consentirgli di trovare il modo di sopravvivere anche in condizioni ambientali e climatiche sfavorevoli. Allo sviluppo del cervello si è accompagnato quello del linguaggio, il mezzo più veloce ed efficiente per comunicare esperienze e idee. Gli scimpanzé comunicano tra loro attraverso i gesti e le espressioni della faccia (mimica facciale).
Solo l'uomo, oltre alla capacità di comunicare attraverso la mimica, è in grado di esprimersi verbalmente, cioè attraverso il linguaggio articolato. Inoltre il cervello coordina i movimenti della mano in modo perfetto. Il segreto del successo evolutivo della nostra specie sta nella coordinazione cervello-parola-mano. Grazie a questa caratteristica l'uomo ha potuto diffondersi sulla Terra raggiungendo anche le regioni più inospitali, ed è stato in grado di inventare i mezzi per sopravvivere ovunque imparando a sfruttare al meglio le risorse dell'ambiente.
Intorno a 70.000 anni fa i nostri antenati sono migrati dall'Africa. Prima hanno esplorato e occupato l'Asia e l'Australia (v. fig.), poi l'Europa, stanziandosi dove hanno trovato un buon clima e assenza di ostacoli come catene montuose o grandi masse d'acqua (oceani). Molto più tardi (10.000 anni fa), grazie a condizioni ambientali favorevoli, in alcune regioni hanno cominciato a sfruttare il terreno (agricoltura) e ad allevare gli animali da latte e da carne. Queste attività hanno favorito lo scambio e il mescolamento tra gruppi umani diversi. Viceversa, dove le condizioni erano sfavorevoli lo sviluppo e i contatti tra gruppi umani sono stati ostacolati. Per esempio, i Pigmei che vivono in Africa, nella foresta equatoriale, conservano da migliaia di anni le stesse abitudini di vita: non coltivano il terreno, non lavorano i metalli e praticano il nomadismo in piccoli gruppi isolati. Sono però abilissimi cacciatori, e la raccolta di bacche, funghi e radici integra la loro alimentazione.
La diversità degli ambienti geografici è la principale causa di diversificazione fisica tra le popolazioni umane, come vengono solitamente indicati i gruppi all'interno della nostra specie. Per esempio, nelle regioni dove l'irradiazione solare è molto intensa e perdura per gran parte dell'anno ‒ l'Africa, l'Oceania, parte dell'India ‒ le popolazioni hanno la pelle scura per la presenza nel tessuto cutaneo di una notevole quantità di melanina, una sostanza che protegge da radiazioni solari troppo intense.
Avere la pelle scura nelle regioni molto assolate è perciò vantaggioso e così si spiega come questa varietà di colore si è fissata nelle popolazioni nere africane, dell'India meridionale e dell'Oceania. Gli Europei, che non sono sottoposti a intensa radiazione solare, hanno invece la pelle chiara. La diversa morfologia del corpo è un altro esempio di adattamento delle popolazioni umane all'ambiente. Gli Inuit (Eschimesi) che vivono in Alasca e nel Canada, dove fa molto freddo per gran parte dell'anno, hanno un corpo tozzo e le gambe corte. Questa morfologia 'compatta' è funzionale in quanto evita un'eccessiva dispersione di calore attraverso la pelle. I Masai e i Watussi che vivono nella savana dell'Africa orientale, dove il calore è intenso, sono invece alti e slanciati e hanno gambe molto lunghe; il grande sviluppo della superficie corporea in questo caso facilita la dispersione del calore. L'antropologia ci aiuta a capire come le diversità tra le varie razze non sono affatto segno di una presunta superiorità o inferiorità delle une rispetto alle altre, ma la conseguenza di un riuscito adattamento a un particolare ambiente.