APELLA (ἀπέλλα)
Si chiamava così l'assemblea popolare spartana. Da una glossa del lessicografo Esichio, secondo la quale il verbo ἀπέλλω significava "chiudere" e il plurale ἀπέλλαι equivaleva a "steccati" e "adunanze popolari" (ἐκκλεσίαι), si dovrebbe dedurre che la denominazione riguardasse in origine solo il luogo dell'adunanza, e poi si fosse estesa anche a questa. Gli Spartani avevano la loro assemblea popolare, come l'avevano tutti i Greci e anche molti popoli barbari; ma, mentre in altri paesi, come ad Atene e Cartagine, qualunque cittadino che vi partecipava aveva libertà di parola e d'iniziativa, nell'apella spartana non si poteva che approvare o respingere. Ciò è testimoniato per il sec. IV, forse anche per il V, ma poiché, secondo un documento abbastanza antico, si poteva fare a meno dell'approvazione dell'apella quando le supreme autorità lo giudicassero opportuno, bisogna pur dire che una certa iniziativa, un tempo, l'avesse avuta. Secondo la tradizione seguita da Erodoto, essa sarebbe una delle istituzioni di Licurgo; ma una tradizione attestata da alcuni versi più antichi ne fa addirittura, insieme con gli altri organi della costituzione spartana, un'istituzione diretta di Apollo Delfico:
Apollo udito, a noi recar del Pizio
Nume i responsi e le parole certe:
Sian presidi al consiglio i venerandi
Re ch'hanno Sparta la leggiadra in core;
Ed i geronti antichi: indi i plebei
Pieghino di lor leggi al giusto impero.
(Plutarco, Licurgo, trad. Cavallotti).
Questi versi vanno sotto il nome di Tirteo, e anche se non sono suoi sono certo di un poeta antico, cui sembra ancora ignota l'azione del mitico Licurgo. Quindi non si possono ritenere una parafrasi della cosiddetta aggiunta fatta dai re Polidoro e Teopompo: "Se il popolo prende una deliberazione inconsulta, i senatori insieme con i re disciolgano l'adunanza". Ad ogni modo i versi attribuiti a Tirteo stanno a provare che l'apella una volta aveva diritto d'iniziativa.
Dell'apella sembra che facessero parte solo i cittadini che potessero contribuire ai sissitî, poiché, secondo la testimonianza di Aristotele, quelli che non ne potevano più sostenere le spese perdevano ogni diritto di cittadino. Sicché all'assemblea popolare avrebbero potuto prender parte solo gli ὅμοιοι (i "pari": cioè i cittadini di pieno diritto) rimanendone esclusi gli ὑπομείονες (gl'"inferiori": cioè quelli che avevano perduto l'esercizio dei diritti di cittadino). Stando al sistema d'elezione dei geronti e degli efori, sembra che l'assemblea potesse votare per acclamazione; ma anche - questo è attestato - per alzata e seduta, e forse per discessione.
Gli scrittori ateniesi conoscono un'assemblea piccola (μικρὰ ἐκκλεσία), che è stata ritenuta una riunione dei re, dei geronti e degli efori; sembra più probabile invece che questa fosse un'assemblea straordinaria, bandita d'urgenza, in cui non potevano convenire dalla campagna tutti gli Spartiati. Poteva l'apella essere convocata dai re, ma, siccome i re si trovavano per lo più fuori a capo dell'esercito, anche gli efori avevano il potere di convocarla. Si richiedeva come limite inferiore d'età per la partecipazione all'apella trent'anni, e le competenze di essa erano la decisione della pace o della guerra, la destinazione di uno dei re a capo dell'esercito, la scelta dei geronti, le decisioni sulle controversie dei diritti al trono e sull'affrancamento degl'iloti.
Fonti: Erodoto, I, 65; Aristotele, Politica, II, p. 1273 a; Plutarco, Licurgo, 6. Per le competenze dell'apella, Erodoto, V, 63; VI, 65; VII, 206; Tucidide, V, 17, 67; Plutarco, Lisandro, 14; Senofonte, Elleniche, III, 3, 4. Pei limiti di età, Plutarco, Licurgo, 25. Pel sistema di votazione, Tucidide, I, 87; cfr. anche Aristotele, Politica, p. 1270 b; Plutarco, Licurgo, 26. Per la piccola apella (μικρὰ ἐκκλεσία), Senofonte, Elleniche, III, 3, 8; II, 4, 3; IV, 3, 1. In questi ultimi due luoghi gli ἐκκλητοί sono evidentemente i membri della μικρὰ ἐκκλεσία.
Bibl.: Hermann Thumser, Lehrbuch der griechischen Antiquitäten, I, i, Friburgo 1884, p. 166; U. Kahrstedt, Griechisches Staatsrecht, I, Gottinga 1922, pp. 255-271; V. Costanzi, Le costituzioni di Atene e di Sparta, Bari 1927, pp. 111-115.