APOSTOLI
Il termine, che indica colui che è mandato da un altro in nome suo, deriva dal gr. ἀποστέλλω 'invio', 'mando'; ἀπόστολοϚ ha valore di 'inviato con una missione' (Ghiberti, 1970, col. 536). Nel linguaggio cristiano gli a. sono i dodici seguaci di Cristo da lui inviati a proclamare il suo messaggio.La figura del discepolo è ignota all'Antico Testamento e compare solo nel giudaismo tardo, in cui il seguace è il talmid e il maestro il rabbi. Gesù introduce un elemento di novità in questo rapporto: gli a. infatti non scelgono il Maestro, ma vengono da lui chiamati (Ghiberti, 1970, col. 537).In Mt. 10, 2 e in Mc. 6, 30 i dodici vengono designati come μαθηταί 'discepoli' mentre sono presentati come ἀπόστολοι quando la loro missione è quella di diffondere, peregrinando, il messaggio evangelico. Luca (Lc. 9, 1-6; 10, 1-11) distingue un collegio di dodici a. e un gruppo di settanta discepoli.Esistono nei Vangeli divergenze riguardo all'elenco dei dodici; in Mt. 10, 2-4 e Mc. 3, 16-19 gli a. sono: Simone detto Pietro (o Cefa in aramaico); Giacomo di Zebedeo (detto il Maggiore) e suo fratello Giovanni, soprannominati da Gesù Boanerghes, cioè 'figli del tuono'; Andrea, fratello di Pietro; Filippo; Bartolomeo; Matteo (o Levi); Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo (detto il Minore); Taddeo; Simone il Cananeo, soprannominato Zelota; Giuda Iscariota. In Lc. 6, 14-15 e in At. 1, 13 Taddeo è sostituito da Giuda di Giacomo. Nel Vangelo di Giovanni non esiste un elenco completo degli a., ma oltre a un discepolo prediletto (identificato con l'autore dello stesso testo evangelico: Giovanni di Zebedeo) compaiono Pietro, Andrea, Natanaele, Filippo, Tommaso detto Didimo, Giuda Iscariota e un altro Giuda.Le differenze tra gli elenchi di nomi vengono superate identificando Giuda di Giacomo con Taddeo (Taddeo potrebbe essere un soprannome) e Natanaele con Bartolomeo (Bartolomeo è un patronimico, in aramaico significa 'figlio di Tolmai o Tolomeo'). I quattro cataloghi degli a. non presentano lo stesso ordine dei nomi, salvo che Pietro è sempre al primo posto, Giuda Iscariota all'ultimo, Filippo e Giacomo d'Alfeo al quinto e al nono.Negli Atti, dopo la morte di Giuda, il collegio dei dodici viene ricostituito con la designazione di Mattia (At. 1, 15-26) e dopo la narrazione della morte di Giacomo di Zebedeo e della prigionia e fuga di Pietro (At. 12, 1-19), il racconto si concentra sul nuovo a. extra numerum: Paolo. Il collegio, che risponde a una concezione gerarchica e chiusa, fa un'eccezione per il missionario scelto da Dio. Paolo è dunque l''ultimo' a. che, avendo portato la predicazione del Vangelo nel cuore del mondo greco-romano, diviene l'a. dei Gentili - in rimando a Pietro, a. dei Giudei - peraltro già ammessi nella Chiesa prima dell'iniziativa missionaria di Paolo (At. 10, 1-2; 11, 18). Paolo è incluso nell'elenco dei dodici a. in due liste che non comprendono Mattia: in Oriente in quella dello pseudo-Crisostomo (Hom. in XII Apostolos), in Occidente in quella, derivante da Matteo, contenuta nella Vulgata del Canone della messa del Sacramentario Gelasiano.I sepolcri degli a., o comunque ritenuti tali, costituirono oggetto di grande venerazione già dal sec. 2°, in particolar modo quelli di Pietro e Paolo a Roma e successivamente quello di Giacomo a Santiago de Compostela. L'imperatore Costantino fece erigere a Costantinopoli una basilica dedicata ai Ss. Apostoli, all'interno della quale pose la propria tomba circondata da dodici reliquiari (Bertelli, 1960, p. 689).Dalla prima metà del sec. 3° acquistarono rilevanza liturgica le celebrazioni del giorno del martirio, il dies natalis, che per ciascuno dei dodici (Pietro e Paolo nella tradizione romana, in relazione alle loro sepolture, sono ricordati nella Depositio martyrum, III Kal. Iul.) è in relazione con un mese dell'anno: Pietro con gennaio, Paolo con febbraio, Mattia con marzo, Filippo con aprile, Giacomo Minore con maggio, Giovanni con giugno, Giacomo Maggiore con luglio, Bartolomeo con agosto, Matteo con settembre, Simone e Giuda Taddeo con ottobre, Andrea con novembre e Tommaso con dicembre.Abbondante è la letteratura sorta intorno agli a. fin dal 2° secolo. Numerosi sono gli atti apocrifi e i testi che riguardano sia l'insediamento di ciascun a. sia quello dell'intero collegio (Omodeo, Pincherle, Santangelo, 1929, pp. 710-714). Alcune leggende hanno avuto grande importanza dal punto di vista iconografico: la redazione solenne del Simbolo apostolico, poco prima che gli a. si avviassero a tre a tre verso i punti cardinali, e il De dormitione Mariae Virginis, nel quale si narra come gli a. dispersi per il mondo, avvertiti miracolosamente dell'imminente morte della Vergine, si ritrovassero al suo capezzale e assistessero alla sua assunzione in cielo.
Le raffigurazioni di a. qui prese in considerazione sono quelle dove essi compaiono collettivamente e in maniera autonoma rispetto alle scene della vita di Cristo e della Vergine.Nelle opere in cui gli a. sono rappresentati simbolicamente acquista grande rilievo il numero dodici, cui viene attribuito un valore mistico (Daniélou, 1961, pp. 131-142), essenziale per la comprensione della raffigurazione. Numerosi furono nella prima arte cristiana i simboli che si riferivano agli apostoli. I discepoli di Cristo furono rappresentati come dodici colonne sormontate da urne d'argento nella basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, forse come dodici croci d'oro nel mosaico della cappella di S. Rufina nel battistero Lateranense (sec. 5°), come dodici volumi nella perduta abside del S. Giovanni Evangelista di Ravenna, mentre si può vederli 'sintetizzati' nei dodici nomi scolpiti sulla calotta del mausoleo di Teodorico a Ravenna (Dorigo, 1971, p. 235). Tuttavia le più frequenti raffigurazioni simboliche sono quelle degli a. come colombe o come agnelli, a partire da opere databili tra il sec. 4° e il 6°, provenienti da Roma o da un'area compresa tra l'Italia settentrionale e la Francia meridionale (Harvard Arnason, 1938, p. 201).Il parallelismo simbolico che accomuna gli a. in vesti umane, gli agnelli e le colombe è evidente nella decorazione di un'amula della fine del sec. 5° (Roma, BAV, Mus. Sacro; Garrucci, 1876-1881, VI, p. 88; Harvard Arnason, 1938, pp. 193-226), sul corpo della quale sono visibili tre registri: alla fascia centrale in cui compaiono Cristo e quattro a. in due gruppi corrispondono, in alto, una croce tra quattro colombe e, in basso, l'Agnus Dei tra quattro agnelli. Questa simbologia che lega in parallelo agnelli e colombe caratterizza anche la cassetta reliquiario di Samagher (Venezia, Mus. Archeologico, 440 ca.; Buddensieg, 1959) in cui, sui quattro lati del coperchio, dodici agnelli e sedici colombe si dispongono a uno a uno o a coppie ai lati del monogramma di Cristo o di croci. Colombe e agnelli ritornano anche in alcuni altari della Francia meridionale: sei colombe e quattro agnelli sono scolpiti su due lati dell'altare di Boux (Chaillan, 1910, pp. 17-18, tav. I, 1) e dodici colombe e dodici agnelli sono visibili sulla mensa dell'abbazia di Saint-Victor a Marsiglia (Marsiglia, Mus. Borély; Dassy, 1858, pp. 457-465) e su un altare frammentario già reimpiegato a Saint-Marcel-de-Crussol (Ardèche) e a Charmes, oggi a Saint-Germain-en-Laye (Mus. des Antiquités Nat.; De Mortillet, 1875).Quello degli a.-colombe è un motivo iconografico prettamente paleocristiano. La colomba, simbolo dell'anima, assunse nel cristianesimo lo specifico valore dell'anima del fedele che gode la pace celeste (Kirsch, 1914). Citata già nell'Antico Testamento in Is. 60, 8, nel Nuovo, in Mt. 10, 16, essa viene indicata da Cristo agli a. come modello di semplicità. È Matteo dunque con tutta probabilità la fonte di questa rappresentazione e tale simbologia ritorna in maniera esplicita nella descrizione che Paolino di Nola fa del mosaico dell'abside della basilica da lui eretta a Cimitile: "Crucem corona lucido cingit globo, cui coronae sunt corona apostoli, quorum figura est in columbarum choro" (Ep. 32, CSEL, XXIX, 1894, pp. 285-286; Goldschmidt, 1940, pp. 35-48). Numerose sono le opere in cui compaiono le colombe ma il riferimento al collegio apostolico è evidente solo in quelle in cui le colombe sono dodici mentre elementi vegetali collocano la rappresentazione nel giardino paradisiaco e gli uccelli si dispongono ai lati della divinità, che appare sotto forma di colomba nimbata, di Agnus Dei, di croce o di monogramma cristologico.Appartengono alla seconda metà del sec. 4° le due più antiche raffigurazioni di questo tipo: il mosaico pavimentale posto sotto l'altare della basilica paleocristiana greca di Acrini (Macedonia occidentale; Doux, 1960; Toubert, 1970, p. 125, n. 94), nel quale le colombe nimbate sono disposte in file orizzontali divise in due gruppi di sei, ai lati di un elemento vegetale centrale; l'affresco nel cubicolo di Leone presso la catacomba di Commodilla a Roma (Ferrua, 1958, pp. 7-15, 40) in cui dodici colombe sono disposte, sei per parte, sull'estradosso di un arco ai lati di un monte paradisiaco sormontato da una colomba nimbata.All'inizio del sec. 5° possono essere datati i mosaici dell'abside della basilica di Cimitile, descritti da Paolino: una croce era circondata da una corona sul cui cerchio esterno erano disposte le dodici colombe-a. (Pani Ermini, 1978, pp. 195-199). La presenza di questo motivo iconografico nell'Italia meridionale è spiegata con gli stretti rapporti che Paolino ebbe con la cultura nordica (Harvard Arnason, 1938, p. 201).Dodici colombe sono disposte in cerchio intorno a un triplice chrismon nel mosaico (metà del sec. 5°) dell'imbotte della nicchia di fronte all'ingresso del battistero di Albenga (Sciarretta, 1966, pp. 25-28, 83). Altre dodici colombe disposte in file orizzontali erano visibili nella lunetta, oggi perduta, della parete di fondo del sacello di S. Matrona in S. Prisco presso Santa Maria Capua Vetere (prima metà del sec. 5°). In questa immagine le colombe erano poste ai lati di una croce gemmata che si elevava sul monte paradisiaco (Olivieri Farioli, 1967, pp. 278-289; Pani Ermini, 1978, pp. 210-211). Infine, di poco anteriore alla metà del sec. 6° è il mosaico proveniente dalla chiesa ravennate di S. Michele in Africisco (oggi a Berlino, Staatl. Mus., Bode-Mus.), molto alterato dai restauri, nel quale la fascia che costituisce l'intradosso del catino absidale è decorata con una sequenza di dodici colombe in volo verso un Agnus Dei (Bovini, 1953, pp. 30-32).Le dodici colombe appaiono anche in una serie di tavole d'altare scolpite provenienti dalla Francia meridionale e databili tra il 5° e il 6° secolo. In due casi esse mostrano su due lati dodici colombe e dodici agnelli: nella già citata mensa, proveniente dall'abbazia di Saint-Victor a Marsiglia in cui le colombe si dirigono, in due gruppi di sei, verso il monogramma di Cristo, e nella frammentaria tavola d'altare di Saint-Germain-en-Laye. Sono stati scolpiti, invece, solo con dodici colombe convergenti verso un monogramma cristologico: l'altare proveniente dalla cappella di Saint-Pierre ad Auriol (Sabatier, 1872), la mensa di Vaugines (Avignone, Mus. Calvet; Deydier, 1911) e il frammento di tavola d'altare oggi murato sulla porta di una scuderia di Mourèze (Durliat, 1957, pp. 548-549).Questo motivo iconografico riappare nella prima metà del sec. 12°, epoca alla quale viene datato il rifacimento del mosaico absidale della chiesa di S. Clemente a Roma (Aggiornamento, 1987-1988, II, p. 267). In esso ritornano numerosi elementi tratti dalla tradizione iconografica paleocristiana, fra cui le dodici colombe, raffigurate sui bracci della croce ove Cristo è raffigurato post mortem. Si tratta forse di un motivo ispirato all'antico mosaico della chiesa inferiore di S. Clemente (Toubert, 1970, pp. 125-126).Più incerta è l'interpretazione del mosaico dell'arco trionfale della chiesa di S. Sabina a Roma, oggi perduto e noto solo attraverso una incisione e una descrizione seicentesche; esse indicano che nove colombe, che uscivano da Gerusalemme e Betlemme, si dirigevano in volo verso un clipeo con Cristo, un contesto iconografico che potrebbe far supporre che le colombe originariamente fossero dodici (Toubert, 1970, p. 125, n. 94). Incerta anche la datazione dell'opera, che viene posta nel sec. 5° (Krautheimer, 1980, trad. it., p. 229) o dubitativamente nel 9° (Matthiae, 1967, p. 79).Così pure solo ipotetico è il riconoscimento del motivo nel sarcofago di s. Abele conservato nella navata meridionale della chiesa di Lobbes (Belgio). Sul coperchio sono dodici elementi intorno a una croce (sec. 8°; Tollenaere, 1957, p. 266, tav. 66c) e la somiglianza di questi elementi con le due colombe stilizzate visibili sul sarcofago della basilica di S. Lorenzo a Milano (Garrucci, 1876-1881, V, tav. 387,6) può confermare l'ipotesi (Cloquet, 1890, p. 319) che si tratti di dodici colombe in volo intorno alla croce.Cristo paragona gli a. agli agnelli in due diversi momenti: quando annuncia che li invierà per il mondo come pecore in mezzo ai lupi (Mt. 10, 16) e quando sul monte degli Ulivi afferma che saranno disperse le pecore del suo gregge (Mt. 26, 31). È questa dunque la più diretta origine dell'allegoria, sorta in concomitanza con la diffusione nel sec. 4° di un gusto decorativo puramente simbolico, legato all'affermarsi dell'iconografia apocalittica (Testini, 1963, p. 280), che portò alla raffigurazione degli a. come agnelli, per analogia con l'Agnus Dei, simbolo di Cristo. Guglielmo Durando (Rationale divinorum officiorum, Venezia 1519, I, III, 10) ritenne che tale simbologia fosse legata al martirio degli a., immolati per la fede cristiana.L'effettiva identità a.-agnelli è provata dal rilievo della basilica di S. Marco a Venezia in cui, nel giardino del paradiso ai lati del trono con la croce e l'Agnus Dei, si dispongono dodici agnelli in due schiere, identificati da una scritta in greco come i santi a. (Bartoccini, 1930, pp. 5-6). Gerke (1934, p. 161) ritiene che l'allegoria a.-agnelli derivi direttamente dalle rappresentazioni del Buon Pastore (Gv. 1, 29) che ebbero grande fortuna nel periodo teodosiano. A testimoniare la stretta connessione fra i due temi lo studioso cita un sarcofago della fine del sec. 4° (Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano, nr. 31534, già Lat. 177; Repertorium, 1967, p. 27) nel quale ai lati del Buon Pastore si allineano i dodici a., ognuno accompagnato da un agnello. In ogni caso in seguito l'allegoria perse la connotazione strettamente pastorale e perdurò a lungo come motivo indipendente.L'identità a.-agnelli è stata messa in dubbio (Martigny, 1860, pp. 39-45) nelle rappresentazioni in cui i dodici agnelli escono da Gerusalemme, simbolo della Ecclesia ex circumcisione, e da Betlemme, simbolo della Ecclesia ex gentibus. Infatti tutti gli a. (tranne il tredicesimo, Paolo) provenivano dal mondo giudaico, il che dovrebbe indurre a interpretare piuttosto la teoria degli agnelli come la raffigurazione allegorica della Chiesa intera o come l'immagine ridotta dei 144.000 fedeli dell'Apocalisse (Ap. 14, 1; Durando, Rationale divinorum officiorum, I, III, 10). È stata anche sostenuta la necessità di operare una distinzione tra agnelli e pecore: i primi rappresenterebbero i fedeli, le seconde gli a. (Martigny, 1877, pp. 104-105). Esistono in realtà rappresentazioni inequivocabili degli a. in vesti umane che uscendo dalle città di Gerusalemme e Betlemme si dirigono in gruppi di sei verso un elemento cristologico centrale (per es. il sarcofago nr. 31521, già Lat. 169A a Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano, ultimo quarto del sec. 4°; Repertorium, 1967, p. 61).In taluni casi, probabilmente per motivi di spazio, il numero degli agnelli è dimezzato, pur conservando lo stesso significato. Lo attesta il coperchio di un sarcofago di Spalato (Spalato, Arheoloski muz., sec. 6°): su ognuno dei due acroteri laterali sono infatti raffigurate tre pecore, ma al di sopra di queste sono incisi i nomi di sei a., ricomponendo così per intero il collegio apostolico (De Rossi, 1891, tav. VIII).In altri casi compare un numero ridotto di agnelli che solo talvolta possono essere ritenuti con certezza simbolo degli apostoli. È il caso della capsella dell'inizio del sec. 5° proveniente dalla basilica di Henchir-Zirara (Roma, BAV, Mus. Sacro; De Rossi, 1887b) nella quale otto agnelli in gruppi di quattro muovono da Gerusalemme e da Betlemme verso un Agnus Dei.Le raffigurazioni databili tra il sec. 4° e il 6° sono tra loro simili (una sequenza di agnelli convergenti verso un elemento centrale simbolico) e hanno dunque indotto molti studiosi a ritenere che facciano riferimento a un unico prototipo monumentale, individuato dai più nell'antico mosaico absidale della basilica di S. Pietro a Roma (il successivo mosaico di Innocenzo III sarebbe da questo strettamente dipendente; Aggiornamento, 1987-1988, I, p. 226). Nel catino, al di sotto della rappresentazione di Cristo, tra s. Pietro e s. Paolo, correva una fascia con due gruppi di sei agnelli che uscivano da Gerusalemme e da Betlemme e convergevano verso l'Agnus Dei. Tale raffigurazione, che compare con formula molto ridotta anche nella lunetta dell'absidiola di sinistra del mausoleo di Costanza a Roma (Aggiornamento, 1987-1988, I, pp. 225-226), è ripetuta in un vetro dorato della fine del sec. 4° (Roma, BAV, Mus. Sacro; Zanchi Roppo, 1967, pp. 196-197) con una variante: gli agnelli sono sei invece di dodici. Una rappresentazione molto simile è incisa su una lastra marmorea proveniente dalle catacombe di Priscilla a Roma (Anagni, Ss. Cosma e Damiano, inizi del sec. 5°). La scena di medesimo soggetto è però qui concentrata su un unico registro cosicché i dodici agnelli si trovano allo stesso livello di Pietro e Paolo e l'Agnus Dei è posto ai piedi del monte sul quale si eleva Cristo (De Rossi, 1887a, pp. 28-29; Testini, 1973-1974).Sei pecore separate da un elemento vegetale, come nel mosaico vaticano, sono scolpite su due coperchi di sarcofagi della fine del 4° secolo. Si tratta di un frammento (Marsiglia, Saint-Victor) su cui sono visibili due gruppi di tre agnelli che escono da Gerusalemme e Betlemme e convergono verso il chrismon, nonché di una lastra (Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano, nr. 31557, già Lat. 194; Repertorium, 1967, p. 91) sulla quale due schiere di tre agnelli, che portano corone nella bocca, si dirigono verso due personaggi. La presenza della corona vitae conferma che si tratta di una allegoria apostolica analoga, fra le altre (Bettini, 1950, pp. 45-46), a quella di alcuni sarcofagi nei quali una processione di a. in vesti umane porta corone (per es. Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano, nr. 31529, già Lat. 174A, fine sec. 4°-inizi 5°; Gerke, 1934, p. 190; Repertorium, 1967, p. 59). L'elemento centrale verso il quale i dodici agnelli si dirigono può variare: un'edicola con quattro libri aperti, presumibilmente i Vangeli (Marsiglia, Saint-Victor; Le Blant, 1886, p. 37, nr. 51), una grande croce sormontata da un piccolo Agnus Dei (Ravenna, Mus. Arcivescovile, sec. 6°; Bartoccini, 1930) oppure uno spazio vuoto (Marsiglia, Saint-Victor; Garrucci, 1876-1881, V, p. 68, 1).La doppia rappresentazione di Cristo fra gli a. e dell'Agnus Dei tra le dodici pecore appare nel sarcofago teodosiano di S. Ambrogio a Milano (Sansoni, 1969, pp. 3-12) e in quello dell'altare della Madonna della colonna in S. Pietro a Roma (Repertorium, 1967, p. 272).Al sec. 5° spettano il perduto affresco dell'oratorio di S. Felicita alle terme di Tito (Garrucci, 1876-1881, III, p. 87,3) e il mosaico dell'arco trionfale della basilica romana di S. Maria Maggiore in cui gli agnelli sono raggruppati in schiere di sei all'ingresso delle due città (Matthiae, 1967, p. 96).Il grande mosaico absidale della chiesa romana dei Ss. Cosma e Damiano (526-530), con la processione dei dodici agnelli verso l'Agnus Dei, ripropone la complessa questione del riferimento a un autorevole tema iconografico: verosimilmente il perduto mosaico vaticano (Matthiae, 1967, p. 138; Krautheimer, 1980, trad. it. p. 122).Articolato e dibattuto è il problema dei mosaici di S. Apollinare in Classe a Ravenna (Pel'a, 1970, pp. 150-160) e dei suoi legami con Roma (Belting, 1976, pp. 175-176; Nordhagen, 1976, p. 166, n. 24) e con Milano e l'ambiente ambrosiano (Bettini, 1953, p. 173). In questa chiesa gli agnelli compaiono sia nell'abside sia nell'arco trionfale; nel catino absidale i dodici, che ora sono rivolti verso s. Apollinare orante, probabilmente in origine convergevano verso un elemento cristologico; per quanto riguarda l'arco trionfale è discussa sia la datazione degli agnelli sia quella del clipeo con Cristo verso il quale essi si dirigono. All'inizio del sec. 9° questi mosaici furono fatti restaurare da Leone III (795-816). L'intervento del papa, iniziatore del revival paleocristiano di quegli anni, sarebbe leggibile (Belting, 1976, p. 173) nella chiesa di Ravenna nella contaminatio romana del clipeo con il Cristo; d'altra parte, l'influsso del mosaico ravennate potrebbe essere scorto in un'opera voluta da Leone a Roma: il mosaico absidale dei Ss. Nereo e Achilleo distrutto alla fine del sec. 16° e documentato oggi solo da un dipinto tratto dall'originale prima della sua scomparsa (Roma, BAV, Prefettura). Infatti, sorprendentemente per la tradizione iconografica romana, sei agnelli apparivano al centro del catino absidale accanto alla croce.La nuova ondata iconoclasta successiva all'815 avrebbe acuito l'interesse per l'iconografia dell'agnello (Nordhagen, 1976, p. 166). Di fatto due chiese romane fatte decorare da Pasquale I (817-824), S. Prassede e S. Cecilia, ebbero un mosaico absidale limitato in basso dalla fascia con i dodici agnelli, vicinissimo a quello dei Ss. Cosma e Damiano, e così pure il mosaico dell'abside di S. Marco, eseguito al tempo di Gregorio IV (827-844), si rifà allo stesso schema.I dodici agnelli ritornano a testimoniare l'ininterrotta continuità del tema negli affreschi dell'abside della romana S. Maria in Pallara (od. S. Sebastianello al Palatino, seconda metà del sec. 10°; Aggiornamento, 1987-1988, I, p. 289); in quelli dell'abside della chiesa di Castel Sant'Elia presso Nepi (inizi del sec. 12°; Hoegger, 1975; Aggiornamento, 1987-1988, II, pp. 257-258, 307); nel mosaico absidale di S. Clemente (Aggiornamento, 1987-1988, II, p. 267); in quello di S. Maria in Trastevere (Aggiornamento, 1987-1988, II, pp. 264-265, 268); negli affreschi del catino di S. Silvestro a Tivoli (Lanz, 1983; Aggiornamento, 1987-1988, II, pp. 277-279), infine nella rivisitazione del mosaico di S. Pietro in Vaticano voluta da Innocenzo III (Aggiornamento, 1987-1988, I, p. 266).Le prime testimonianze figurative degli a. in forma di personaggi umani mostrano i discepoli e il Cristo in atto di partecipare a conviti familiari o a varie scene evangeliche (per es. sarcofago con Miracoli di Cristo e scene della vita di Pietro dei Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano e affresco della lunetta di un arcosolio della catacomba di Domitilla); solo in età postcostantiniana gli a. cominciarono a essere allineati (seduti o in piedi secondo ordini gerarchici) ai lati del Maestro - come nei soggetti di tema filosofico e come nelle scene di celebrazione imperiale - a formare un concilio celeste, simbolo della Chiesa docente e della perennità e immutabilità della Legge (Testini, 1963, pp. 240-241). In origine gli a. non sembrano presentare caratteri fisionomici che permettano di distinguerli l'uno dall'altro, come è evidente nelle prime raffigurazioni pervenute, databili alla fine del 3° o all'inizio del 4° secolo. Lo testimoniano, per es., un affresco della catacomba dei Ss. Marcellino e Pietro (Testini, 1963, p. 244) e una pittura del sottarco del sacellum quartum della catacomba dei Giordani (Josi, 1928, fig. 19).Sono stati notati i rapporti che legano strettamente l'iconografia cimiteriale a quella monumentale (Testini, 1963, p. 249) come dimostrano le decorazioni di due chiese della fine del sec. 4°: il mosaico della cappella di S. Aquilino in S. Lorenzo a Milano, in cui il tema del Christus magister fra i dodici a. appare nel suo schema più semplice, derivato da raffigurazioni catacombali, e il mosaico absidale di S. Pudenziana a Roma che influenzò numerose figurazioni cimiteriali (Testini, 1963, pp. 269, 271). Nel corso del secolo il tema di Gesù fra gli a. subì una evoluzione tendente a sottolineare in vario modo la regalità di Cristo e la dipendenza gerarchica dei dodici, in derivazione evidente dall'iconografia del rituale dell'acclamatio (Testini, 1963, pp. 261-262). Contemporaneamente cominciarono anche a delinearsi le fisionomie dei due 'principi degli a.' (Roma, catacomba di S. Ermete, ante 337) e nel secolo successivo quelle degli altri discepoli. Questi, che precedentemente avevano come attributi comuni il rotulo, il libro o la croce, cominciarono a venire distinti da iscrizioni con i nomi specifici (per es. secchia ovale in bronzo, 440 ca., Roma, BAV, Mus. Sacro; Testini, 1963, p. 283). A partire dalla seconda metà del sec. 4°, divennero molto frequenti temi iconografici come la Maiestas Domini, derivata dalla maestà degli imperatori o delle divinità pagane, e la Traditio legis in cui Pietro e Paolo sono i protagonisti e gli altri a. spettatori (Testini, 1973-1974).La volontà di caratterizzare iconograficamente ciascun a., e dunque la ricerca di una precisa individuazione fisionomica, sembrerebbero aver avuto grande importanza per la nascita della ritrattistica medievale. La prima, sia pur generica tipizzazione, fu raggiunta tra il sec. 5° e il 6° a Ravenna. Nella cupola del battistero degli Ortodossi (449-458) per la prima volta gli a., oltre a essere identificati dalle iscrizioni con i nomi, hanno una personalizzazione somatica (Dorigo, 1971, p. 255).In questo periodo, parellelamente all'accentuarsi dell'individualità fisionomica, compaiono raffigurazioni dei dodici in imagines clipeatae analoghe a quelle con le quali si rappresentavano vescovi e papi. Gli a. del coperchio della c.d. lipsanoteca di Brescia, un cofanetto-reliquiario (Brescia, Civ. Mus. Cristiano, secondo terzo del sec. 4°; Grabar, 1967, p. 274), sono il più antico esempio di questo tipo di raffigurazione, che torna in seguito con frequenza sia in opere monumentali (Roma, S. Sabina, perduti mosaici dell'arco trionfale, Matthiae, 1967, p. 79; Ravenna, cappella arcivescovile, 494-519 ca.; Ravenna, S. Vitale, sottarco presbiteriale, sec. 6°; Cipro, Panaghia Kanakaria di Lythrankomi, secondo quarto del sec. 6°; Sinai, convento di S. Caterina, abside, 600 ca.; Roma, S. Maria Antiqua, presbiterio, inizio del sec. 8°; Roma, S. Prassede, cappella di S. Zenone, sec. 9°), sia in piccoli reliquiari d'argento, come le ampolle della Terra Santa (Monza, Mus. del Duomo, ampolla nr. 3, 600 ca.), sia in oggetti d'uso comune come le lucerne fittili (Bari, Mus. Archeologico).È comunque in Oriente che venne fissato un vero e proprio canone iconografico. I caratteri fisionomici dei dodici sono stabiliti nel Manuale dei pittori del Monte Athos (Didron, 1845, pp. 299-300).Il tema della Maestà divenne l'iconografia per eccellenza di Cristo e degli apostoli. Il soggetto tramandato attraverso l'Alto Medioevo (sarcofago della chiesa di Saint-Guilhem-le-Désert, sec. 6°-7°; manoscritto irlandese oggi a San Gallo, Stiftsbibl., 51, c. 267, 750-760 ca.; placca d'avorio oggi a Cleveland, Mus. of Art, 962-973 ca.), trionfò sui portali delle chiese francesi del 12° secolo. La lunetta del portale di Carennac (Lot) mostra una visione apocalittica nella quale ai ventiquattro seniori dell'Apocalisse sono stati sostituiti i dodici apostoli. Dalla seconda metà del secolo anche il portale dei Re di Chartres e i portali delle cattedrali di Le Mans, di Bourges e di Saint-Trophime ad Arles ebbero sculture ispirate allo stesso tema. Questo soggetto fu in alcuni casi modificato dalla presenza della Vergine al centro delle due schiere di apostoli. La composizione ispiratrice di questa rappresentazione sarebbe stata la decorazione dell'abside del convento di S. Apollonio a Bāwīt in Egitto del sec. 6°-7° (Cairo, Coptic Mus.), ma alla Ascensione egiziana in Francia fu sostituito Cristo fra i quattro simboli degli evangelisti. Nel sec. 12° la Vergine fra gli a. fu rappresentata nella lunetta del portale di Charlieu (dip. Loire), negli affreschi dell'abbazia di Lavandieu (dip. Haute-Loire) e nel portale di Saint-Loup-de-Naud (Mâle, 1922, pp. 32-36, figg. 32, 33, 221), nel sec. 13° nel portale della Vergine dorata ad Amiens.Il tema della Maestà con Cristo e gli a. fu ripetuto frequentemente anche in Spagna sulle fronti di altari (per es. antependium da Santa Maria di Taüll, sec. 12°; Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya), su reliquiari (per es. 'urna' di san Domingo, 1170 ca.; Burgos, Mus. Arqueológico Prov.) e su lunette di portali (per es. Burgos, cattedrale, portale del Sarmental).Statue di a., qualificati come mediatori di grazia divina, "portae", "bases atquae columnae quibus stat ecclesia" (Katzenellenbogen, 1937, coll. 820-821), sono poste nelle strombature dei portali delle cattedrali (Chartres, portale centrale del transetto meridionale; Amiens, portale del Salvatore) e dal sec. 12° all'interno delle chiese, come nella Cómara Santa di Oviedo e, nel secolo seguente, nella Sainte-Chapelle di Parigi dove i dodici sono addossati ai pilastri.In alcuni casi infine gli a. furono raffigurati in rapporto a profeti per evidenziare il profondo legame che unisce il Vecchio e il Nuovo Testamento. Questo tema, presente già alla fine del sec. 4° nel perduto mosaico della cupola della chiesa di S. Prisco presso Santa Maria Capua Vetere, in cui otto a. apparivano accanto a otto profeti, venne ripreso nel sec. 10° a Roma, nella chiesa di S. Maria in Pallara dove profeti portavano sulle spalle a. (Aggiornamento, 1987-1988, I, p. 289). In seguito questo soggetto iconografico venne ripetuto in un affresco della chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Niederzell nella Reichenau, nello scrigno di s. Eriberto nella chiesa di Deutz (1170-1180ca.), in un capitello del duomo di Payerne (Svizzera, sec. 12°), sul fonte battesimale del duomo di Merseburg (1170-1190 ca.) e sul portale settentrionale del battistero di Parma. A. e profeti furono rappresentati nel sec. 13° in una vetrata della cattedrale di Chartres e nel portale dei Principi del duomo di Bamberga, mentre nel sec. 14° il tema, raffigurato nelle miniature del calendario del Breviario di Belleville e nelle sue numerose copie, fu messo in relazione con i dodici mesi dell'anno e con i dodici segni dello zodiaco (Parigi, BN, lat. 10483-10484, del 1323-1326).
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