arabi
In senso stretto gli abitanti musulmani dell’Arabia, comunemente tutti gli individui di lingua araba, cioè gli abitanti dell’Arabia, della Siria, del Libano, della Giordania e dell’Iraq. A. sono detti anche gli abitanti dell’Africa settentrionale e di buona parte del Sudan settentrionale, sebbene in queste regioni siano parlate anche molte altre lingue. Sono incluse fra gli a. anche le minoranze cristiane (Siria, Libano, Palestina), ma non quelle ebraiche, anche se di lingua araba. Gli a. come nazione entrano nella storia nei primi decenni del 7° sec. con Maometto, fondatore di una religione universalistica, l’islamismo, le cui sorti in un primo tempo si identificano però con la nazione araba. Gli a. riescono in un primo momento a superare il particolarismo tribale e poco dopo la morte di Maometto (632) conquistano rapidamente la Persia e sottraggono ai bizantini Palestina, Siria, Egitto; dilagano quindi verso Occidente, per tutta la costa dell’Africa settentrionale e dopo il 711 in Spagna, fino a quando la loro avanzata viene fermata dai franchi di Carlo Martello a Poitiers (732). Contemporaneamente gli a. si affacciano a E in Asia centrale, a N oltre il Caucaso, e investono sia pur invano Costantinopoli. All’interno, sotto i primi successori di Maometto (califfi) e, superata una crisi politico-religiosa, sotto la dinastia califfale degli Omayyadi di Damasco (661-750), si forma uno Stato musulmano nel quale gli a. sono l’elemento dominante e forniscono i quadri militari, politici e amministrativi. Tuttavia, quando nel 750 gli Omayyadi sono travolti dall’insurrezione degli Abbasidi, sostenuta da elementi soprattutto iranici neoconvertiti all’islam, la supremazia politica araba volge rapidamente alla fine. Il nuovo califfato abbaside (750-1258) muta il carattere dello Stato islamico da impero nazionale a monarchia soprannazionale. Prima iranici, poi turchi si affiancano e soppiantano gli a. come classe dirigente. L’unità territoriale del califfato abbaside di Baghdad si sfalda dopo poche generazioni e con il 10° sec. la sua autorità si restringe al solo Iraq. Tra gli Stati arabi sorti dalla disgregazione dell’impero emergono quello degli Omayyadi di Spagna (755-1012) e quello africano dei Fatimidi (10°-12° sec.) prima nel Nordafrica, poi in Egitto. Nelle altre regioni dell’originaria diaspora araba l’elemento etnico arabo si mescola con il berbero nell’Africa del Nord, con il curdo e il turco in Siria e Iraq, e cede totalmente nella Persia alla rinascita politica e culturale iranica. Religione, lingua e cultura mantengono però un’impronta araba anche in Stati etnicamente o dinasticamente non arabi, quali i regni nordafricani degli Almoravidi e degli Almohadi (11°-13° sec.) e quello siro-egiziano degli Ayyubidi (12°-13° sec.). Il definitivo regresso politico e culturale dell’arabismo si ha dopo l’invasione mongola del 13° sec., che spazza via l’ultimo resto del califfato di Baghdad (1258) e sanziona l’avvento al potere di elementi non arabi, soprattutto turchi, negli Stati del Vicino Oriente (come i Mamelucchi d’Egitto). Questo processo culmina agli inizi del 16° sec., con la conquista ottomana di tutti i Paesi ancora abitati da a., a esclusione del Marocco. I secc. dal 16° al 18° segnano la massima decadenza materiale e spirituale del mondo arabo. La penetrazione europea, che scalza il dominio ottomano e mette gli a. a contatto con il pensiero e la tecnica occidentale, porta indirettamente alla rinascita del mondo arabo. La dissoluzione dell’impero ottomano dà luogo a una serie di Stati arabi, che sono però sottoposti a regime di mandato. Nel ventennio tra le due guerre mondiali si assiste al progressivo affrancamento dei territori arabi da questa autorità internazionale, con l’eccezione della Palestina, le cui prospettive di indipendenza sono complicate dall’immigrazione ebraica durante il trentennio di amministrazione britannica (1918-48). La vittoria degli Alleati (1945) porta agli Stati arabi la fine del regime di mandato e il riconoscimento della piena indipendenza; essi entrano a far parte dell’ONU e danno vita a una Lega araba. Si rendono indipendenti la Libia (1951), il Marocco (1956), la Tunisia (1956) e l’Algeria (1962), nell’Africa settentr.; l’Oman (1951), il Kuwait (1961), il Bahrein, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti (1971) nella penisola arabica, dove lo Yemen del Sud, indipendente dal 1967, si sarebbe unito nel 1990 allo Yemen del Nord dando vita alla Repubblica dello Yemen. Sul finire degli anni Sessanta, dunque, tutti gli Stati arabi hanno raggiunto l’indipendenza, con le rilevanti eccezioni rappresentate dalla Palestina e dal Sahara Occidentale (colonia spagnola prima, poi annessa dal Marocco). Esiste tra la popolazione dei vari Stati arabi un forte senso di appartenenza alla umma ‛arabiyya, ossia alla «nazione araba ideale», una nazione che unisce tutta la popolazione araba. Le spinte unificatrici, ispirate all’ideale panarabo, si scontrano tuttavia con l’emergere di notevoli differenze tra i diversi Stati: sul piano economico la concentrazione delle risorse petrolifere nei Paesi del Golfo Persico; su quello politico la coesistenza di monarchie assolute (nei paesi del Golfo), monarchie costituzionali (come in Giordania e in Marocco) e regimi repubblicani più o meno autoritari. Anche la politica nei confronti di Israele è motivo di tensioni e spaccature, mentre ulteriori fratture sono causate dal conflitto fra Iraq e Iran (1980-88). Nella seconda metà degli anni Novanta il mondo arabo sembra attraversare un periodo di maggiore intesa, ma l’irrisolta questione palestinese, che riesplode drammaticamente dal 2000 con la seconda intifada, continua a suscitare preoccupazioni fra gli Stati arabi, molti dei quali vedono crescere al loro interno movimenti e gruppi d’ispirazione fondamentalista, che agiscono come fattori di profonda instabilità politica e sociale, scegliendo la linea di operazioni militari e terroristiche sul piano sia locale sia internazionale.