ARABI
(II, p. 820; App. II, I, p. 225; III, I, p. 117; IV, I, p. 143).
Storia. − L'ultimo decennio ha visto i paesi arabi complessivamente impegnati in un grande processo di sviluppo. Sia pure con notevoli differenze date dalla disparità delle condizioni di partenza e delle risorse disponibili, evidenti sono stati i progressi nell'industrializzazione, nelle infrastrutture (strade, porti, elettrificazione, reti postali, telefoniche e radiotelevisive), nella creazione di scuole, università, ospedali, case di abitazione, nell'attività culturale (per esempio con la produzione di film e l'istituzione di laboratori e centri di ricerca scientifica). Tuttavia, nonostante i passi avanti nella modernizzazione, oltre al mancato superamento di tutte le arretratezze ereditate, sono state le stesse innovazioni a determinare inattesi e gravi squilibri: dall'esodo dalle campagne a causa del calo dei redditi all'urbanizzazione tumultuosa, dal rapido incremento demografico all'aumento della disoccupazione e dell'emigrazione, all'evidenziarsi di modelli di benessere irraggiungibili.
Specie gli stati meno dotati di materie prime remunerative hanno di conseguenza conosciuto drammatici moti di protesta, quando i tentativi dei governi di recuperare mezzi finanziari hanno troppo inciso su livelli di vita già bassi: Egitto (settembre 1985, febbraio 1986), Marocco (giugno 1981, gennaio 1984), Sudan (agosto 1979, dicembre 1988), Tunisia (gennaio 1984, ottobre 1985), Giordania (aprile 1989). Difficoltà non sono mancate anche laddove agli errori nella gestione economica si sono aggiunti i riflessi negativi dell'andamento del mercato mondiale, per es. il calo del prezzo del petrolio (Algeria, ottobre 1988).
A questo ordine di questioni, che hanno svariati riscontri nell'ambito dei rapporti tra sponda Sud e sponda Nord del Mediterraneo, va affiancato, nell'evoluzione dell'insieme degli stati arabi, l'acutizzarsi delle divergenze intorno ai principali conflitti regionali, con le relative ripercussioni su scala mondiale anche per il coinvolgimento delle due superpotenze.
In particolare dalla fine degli anni Settanta un profondo dissenso si apriva nella lega araba a causa della decisione del presidente egiziano A. Sādāt di avviare trattative dirette con lo stato di Israele. Grazie alla mediazione statunitense, l'Egitto arrivava infatti a stipulare, nel marzo 1979, un trattato di pace con Israele: da ciò la condanna pressocché unanime del Cairo da parte del campo arabo e la decisione di sospendere l'Egitto dalla lega stessa la cui sede veniva trasferita a Tunisi. Anche in questa circostanza non mancarono di riproporsi i due fondamentali schieramenti dei paesi arabi: mentre a fianco di Sādāt rimasero soltanto il presidente sudanese Ǧ. Numayrī e il sultano dell'῾Omān, S. Qābūs, si distinguevano, pur convergendo, un raggruppamento moderato facente capo ad Arabia Saudita, Giordania e Marocco, e un ''Fronte della fermezza'' composto da Algeria, Libia, OLP, Siria e Repubblica Democratica Popolare dello Yemen. L'῾Irāq, infine, pur polemizzando con l'Egitto, manteneva una posizione autonoma.
In tale condizione carica di tensioni e incertezze, a rendere ancora più ardue le possibilità d'intesa si aggiunse, nel 1980, il conflitto tra Iran e ῾Irāq che vedrà gli stati arabi più radicali, quali la Siria e la Libia, muoversi sostanzialmente in appoggio della rivoluzione khomeinista, mentre l'Arabia Saudita e i paesi del Golfo (Baḥrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar) si opporranno al tentativo di esportare lo sciismo iraniano, prestando consistenti aiuti economici e finanziari a Baghdād.
L'assassinio di Sādāt (6 ottobre 1981) rappresentò un tornante nella storia araba di assai maggiore rilievo di quanto si potesse sul momento valutare: il suo successore, H. Mubārak, non solo diede subito inizio a una cauta correzione dell'impegno in favore del dialogo con Israele, ma non mancò di offrire il suo appoggio agli Iraqeni, anche con l'invio di contingenti militari, non appena la controffensiva iraniana li trovò in crescenti difficoltà. Ciò permise l'inizio di un riavvicinamento dell'Egitto ai paesi arabi più disponibili.
L'improvvisa offensiva israeliana in Libano, nel giugno 1982, nel tentativo d'imporvi un regime di proprio gradimento e di distruggere l'OLP, determinò un congelamento nei rapporti da poco ristabiliti con l'Egitto; congelamento protrattosi anche in seguito, a causa del cosiddetto ''affare Irangate'' (1986), sorto con le rivelazioni sull'impegno diretto di Israele nell'invio, sulla base di una transazione dagli oscuri risvolti, di forniture militari agli Iraniani contro l'῾Irāq. Le travagliate vicende del Libano, tuttavia, provocarono un ripensamento dei paesi arabi sui danni derivanti dalla mancanza di un impegno comune; tale mancanza aveva fra l'altro favorito gli interventi militari diretti dell'Occidente, in primo luogo degli Stati Uniti, quali l'invio delle due Forze multinazionali in Libano nel 1982-84, l'operazione di sminamento del Mar Rosso nell'agosto del 1984 e il pattugliamento navale del Golfo nel 1985-88. Altro episodio sintomatico della debolezza dei paesi arabi era stato, inoltre, il bombardamento israeliano (1° ottobre 1985) della sede della direzione dell'OLP a Tunisi, dove si era spostata e dove continua a risiedere la Lega araba.
È con la ripresa del dialogo tra Stati Uniti e Unione Sovietica a partire dal 1986, che nei paesi arabi prese consistenza la spinta verso una maggiore collaborazione e verso il ristabilimento della pace nell'area. Se il ''vertice'' di Amman (novembre 1987), dedicato al conflitto Iran-῾Irāq, contribuì, dopo ulteriori sanguinosi scontri, a favorire la sospensione dei combattimenti a partire dal 20 agosto 1988, il ''vertice'' di Algeri (giugno 1988), interamente dedicato alla questione palestinese, vide una rinnovata unità intorno alle sorti della popolazione della Palestina in appoggio dell'OLP. Convocato sotto l'emozione dell'intifāḍa (la tenace rivolta non violenta della gente dei territori occupati da Israele nel 1967), il vertice vide il concreto sostegno di Algeria, Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Libia e Siria, pur nella diversità degli interventi e delle finalità che li muovevano a favore della dichiarazione d'indipendenza palestinese. L'aspirazione araba per un rilancio di una collaborazione che, non potendo annullare le differenze, riesca a valersi, nel dibattito internazionale, tanto delle attitudini mediatrici dei ''moderati'', quanto della pressione dei ''radicali'', ha trovato riscontro nella solidarietà manifestata dal raggruppamento arabo verso la Libia in occasione dei contrasti con gli Stati Uniti (culminati nel bombardamento di Tripoli e Bengasi nell'aprile 1986) e specialmente nell'unità d'intenti espressa durante la conferenza mondiale di Parigi contro le armi chimiche (gennaio 1989). Tale indirizzo si è sviluppato nel corso dello stesso anno con l'appoggio alla convocazione della Conferenza sul Medio Oriente, sotto l'egida delle Nazioni Unite, cui è demandato il compito di avviare a soluzione la vertenza israelo-palestinese.
Tragico riflesso di tale irrisolta vertenza è la condizione del Libano, in parte occupato da Israele lungo il confine meridionale e nel quale la presenza del contingente militare siriano non è valsa a riportare l'ordine tra le fazioni in lotta. Nondimeno il miglioramento dei rapporti tra gli stati ha iniziato a riflettersi positivamente su alcune delle vertenze che hanno turbato a lungo le varie capitali arabe. Così, dopo le crisi con il Cairo e con Tunisi, Tripoli ha gradualmente corretto l'atteggiamento verso entrambi questi governi. Anche la vertenza tra Marocco e Repubblica Araba Democratica Saharawi (RADS), che rivendica l'indipendenza del Sahara Occidentale, dopo tredici anni di guerriglia e di scontri, che hanno determinato una tensione anche tra Rabat e Algeri, è sembrata avviarsi a una più costruttiva fase di trattative con la ripresa delle relazioni tra le due capitali (maggio 1988) e con gli incontri tra re Ḥasan ii e una delegazione del Fronte Polisario tenutisi a Marrakech agli inizi del 1989. Con il 'pensionamento' (novembre 1989) del vecchio leader tunisino H. Bourguiba, sostituito dal più efficiente Zayn Ben ῾Alī, sembrano dischiudersi per il Maghreb rinnovate ipotesi di cooperazione.
Significativo in proposito l'incontro del 1989, ancora a Marrakech, tra i capi di stato di Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia e Libia che ha dato vita all'Unione del Maghreb arabo, particolarmente impegnata nella collaborazione economica. Del pari da segnalare la contemporanea proclamazione a Baghdād del meno organico Consiglio arabo di cooperazione tra Egitto, Giordania, ῾Irāq e Yemen del Nord..
Va però sottolineato che la complessa crisi determinatasi nel Golfo dall'agosto 1990 (occupazione iraqena del Kuwait) al febbraio 1991 (vittoria della coalizione anti-iraqena guidata dagli USA) ha messo a dura prova l'assetto sin qui conseguito modificando profondamente le posizioni dei singoli stati. Falliti il vertice di Baghdād del 15 maggio 1990 e quello successivo del Cairo in agosto, solo dopo la conclusione della prova armata, che ha visto schierati con Washington Arabia Saudita, Egitto e Siria, mentre il Maghreb con la Giordania è in sostanza restato neutrale, s'è riavviata una trattativa tra le varie parti in causa con l'incontro della Lega araba al Cairo del marzo 1991.
Bibl.: G. Valabrega, Medio Oriente. Aspetti e problemi, Milano 1980; B. Scarcia, Il mondo dell'Islam, Roma 1981; J. A. Bill, C. Leiden, Politics in the Middle East, Londra 1983; L.C. Brown, International politics and the Middle East. Old rules dangerous game, Princeton 1984; M. Brondino, Il grande Maghreb. Mito e realtà, Milano 1988.