Arabia Saudita
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(v. arabia, III, p. 886; arabo saūdiano, regno, App. I, p. 141; II, i, p. 226; III, i, p. 119; arabia saudita, App. IV, i, p. 144; V, i, p. 189)
Geografia umana ed economica
di Anna Bordoni
Popolazione
La popolazione saudita, che nel 1998, secondo una stima, ammontava a 20.181.000 ab., è cresciuta con un ritmo molto elevato fino all'inizio del decennio Novanta, risultando più che raddoppiata in meno di vent'anni (dai 7.012.600 ab. del censimento del 1974 ai 16.929.300 di quello del 1992). Successivamente l'incremento è diminuito, ma si è mantenuto su valori alti (34‰ nel periodo 1990-97) a causa del forte saldo naturale (natalità del 35,1‰ a fronte di una mortalità scesa al 4,7‰) e di un cospicuo flusso immigratorio. Quest'ultimo è formato essenzialmente da manodopera straniera qualificata, la cui presenza è necessaria per il basso livello d'istruzione (ancora nel 1995 gli analfabeti in A. S. superavano il 37%); tale manodopera, sebbene non abbia alterato il tessuto etnico del paese, rimanendo ai margini della vita locale, ha rappresentato pur sempre un elemento di squilibrio per le strutture sociali tradizionali. Al censimento del 1992 gli stranieri rappresentavano il 27% della popolazione complessiva, ma il loro numero è destinato a contrarsi in quanto il governo, per limitare le rimesse dei lavoratori stranieri verso i loro paesi di origine e per fornire occupazione ai giovani sauditi (il 60% degli abitanti ha meno di 20 anni), ha lanciato un piano di sviluppo che prevede un aumento dell'occupazione locale pari al 5% annuo e la creazione di 600.000 posti di lavoro in quattro anni, destinati ad accogliere 300.000 giovani entro breve termine. Nel 1996 la popolazione stanziata nell'agglomerazione della capitale era di circa 2,8 milioni di abitanti.
Uno dei maggiori problemi dell'A. S., dal punto di vista sia antropico che economico, è quello dell'approvvigionamento di acqua, particolarmente necessario per la città di Mecca nei periodi di maggiore affluenza (attualmente è in funzione un nuovo acquedotto che ha in parte ridotto i disagi) ed essenziale per l'agricoltura, che non è possibile praticare senza irrigazione, tranne sull'orlo rilevato dell'altopiano, a O, dove la quantità di precipitazioni è maggiore. Si calcola che le attività primarie assorbano il 95% dell'acqua consumata dal paese: nel 1995 le terre irrigate coprivano 1.478.000 ha contro 435.000 ha nel 1976. Dagli antichi metodi di utilizzazione della falda freatica nelle oasi, si è arrivati oggi, nelle regioni costiere del Golfo Arabico, agli impianti di dissalazione dell'acqua marina e, nell'interno, anche allo sfruttamento di acque fossili.
Condizioni economiche
L'A. S. ha un elevatissimo livello di reddito medio pro capite (6.790 dollari nel 1997). L'economia si regge interamente sul petrolio, le cui riserve accertate (circa un quarto delle riserve mondiali) garantiscono al paese ancora moltissimi anni di produzione ai ritmi di estrazione correnti (oltre 400 milioni di t annue). (V. .)
Tuttavia le oscillazioni del prezzo del greggio sui mercati internazionali verificatesi nell'ultimo decennio hanno determinato un progressivo calo delle entrate e hanno imposto una revisione dei programmi governativi, rendendo ancora più necessaria quella diversificazione dell'economia già da tempo perseguita dalla politica dello Stato. La situazione potrebbe subire, inoltre, un ulteriore peggioramento con il ritorno dell'Iraq sul mercato petrolifero: infatti l'A. S. ha beneficiato dell'embargo applicato al governo di Baghdād dalle Nazioni Unite dal 1990 e, con qualche attenuazione, ancora in atto (v. irāq: Storia, in questa Appendice). Notevole è anche la produzione di gas naturale (37.718 milioni di m³ nel 1995), utilizzato per aumentare la pressione nei pozzi e largamente esportato allo stato liquido.
Tra il 1980 e il 1992 il settore secondario nel suo insieme (comprendendo quindi anche il comparto estrattivo) ha registrato un decremento nella partecipazione al PIL del 2,9% annuo, mentre, nello stesso periodo, grazie ai più recenti interventi relativi al potenziamento del comparto petrolchimico, della metallurgia e della meccanica, e all'incoraggiamento dello sviluppo del settore privato nella produzione dei beni di consumo, le attività industriali hanno avuto una crescita annua dell'8,1%.
L'agricoltura ha visto crescere il suo peso nella composizione del PIL, cui a metà degli anni Novanta contribuiva per il 7% occupando circa il 14% della forza lavoro (le stime ufficiali sulla ripartizione della popolazione attiva risalgono al 1990). Principali prodotti sono i cereali, che nel 1995 hanno complessivamente superato i 47 milioni di q (erano 21 milioni nel 1985), con una resa media di 4407 kg/ha contro una media mondiale di 2811; si segnala poi la produzione di modeste quantità di caffè e ortofrutticoli. Discreto è l'allevamento, con prevalenza di ovini, e in sviluppo la pesca.
Nel 1995 il re, al fine di rilanciare l'economia saudita, in fase di recessione, ha operato un consistente rimpasto governativo per raggiungere gli obiettivi del sesto piano economico (1995-2000): accelerazione delle privatizzazioni, aumento degli introiti non petroliferi e del tasso di crescita mediante nuovi investimenti. Inoltre, grazie alle misure di austerità adottate in quello stesso anno, già a partire dal 1996 l'economia saudita ha mostrato segnali di ripresa: la drastica riduzione delle sovvenzioni e delle spese pubbliche (sanità, educazione, amministrazione, infrastrutture ecc.) e l'aumento di un certo numero di tariffe (trasporti aerei, permessi di lavoro ecc.) hanno consentito di ridurre il deficit di bilancio, e anche il debito estero è sceso di un terzo del totale.
Nel 1996 la bilancia degli scambi con l'estero ha registrato un attivo di oltre 30 miliardi di dollari: gli USA sono stati il principale fornitore delle importazioni e il maggiore mercato delle esportazioni.
bibliografia
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Storia
di Luisa Azzolini
La politica interna e le relazioni internazionali dello Stato saudita negli anni Novanta furono condizionate in modo sostanziale dagli effetti della guerra del Golfo, dalla quale l'A. S. uscì economicamente impoverita, sfiduciata nelle capacità della propria classe dirigente e attraversata da fermenti sociali e religiosi che ne mettevano in discussione il ruolo di guida dell'arabismo moderato e tradizionalista.
In seguito all'invasione irachena del Kuwait (agosto 1990) e allo spiegamento di truppe irachene sul confine saudita, re Fahd richiese la presenza in A. S. di una forza multinazionale sotto il comando statunitense, che diede l'avvio all'operazione 'scudo del deserto' per la difesa del paese in linea con l'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. Nel gennaio e febbraio 1991 l'A. S. prese quindi parte con un esercito di 67.500 uomini alle operazioni belliche, che si conclusero con la liberazione del Kuwait e la proclamazione del 'cessate il fuoco' tra l'Iraq e la forza multinazionale. Terminate le ostilità, il governo di al-Riyāḍ accolse, insieme agli altri paesi del Consiglio per la cooperazione del Golfo, la proposta statunitense di incrementare la presenza militare occidentale nella regione.
Il conflitto del 1990-91, oltre a mettere in evidenza gravi contrasti in seno alla Lega Araba, rappresentò un elemento di crisi profonda nella politica e nella società saudite. Anzitutto, il governo assoluto wahhabita, la cui legittimazione è strettamente connessa con il ruolo di protettore del popolo saudita, dimostrò apertamente la propria impotenza militare e la sua totale dipendenza dagli Stati Uniti. In secondo luogo, l'insediamento sul suolo saudita di eserciti appartenenti alla dār al-ḥarb (locuzione che indica i "paesi della guerra", cioè della ribellione ad Allah, in contrapposizione a dār al-Islām, "paesi della sottomissione a Dio") deteriorò fortemente l'immagine che la dinastia regnante si era attribuita di difensore dell'Islam, suscitando lo scontento di una parte consistente della popolazione. In terzo luogo l'A. S., già economicamente provata dal sostegno offerto all'Iraq nel lungo conflitto che aveva opposto quest'ultimo all'Iran (1980-88) e finanziariamente in crisi a causa della diminuzione del prezzo del petrolio nel corso degli anni Ottanta, dovette sostenere per la guerra del Golfo una spesa di circa 70 miliardi di dollari. Infine, la presenza di stranieri, e in particolar modo dei media internazionali, contribuì a un'inedita apertura della società saudita che, pur limitata nel tempo, si rivelò sufficiente a generare aspettative di radicali cambiamenti sia nei settori più liberali e secolarizzati dell'opinione pubblica sia in quelli religiosi. Tali aspettative sfociarono in due petizioni al sovrano saudita, del dicembre 1990 e del maggio 1991, l'una a firma di uomini d'affari, scrittori e giornalisti, e l'altra sottoscritta dal capo degli ulama, portavoce dell'Islam ufficiale, da religiosi e da docenti universitari. Entrambe auspicavano la creazione di un Consiglio consultivo, la revisione del sistema giudiziario e una maggiore giustizia sociale, ma mentre nella prima prevaleva un indirizzo liberale (l'accento era posto sull'eguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla legge, sul miglioramento della condizione femminile e sulla libertà d'espressione), la seconda, precisatasi in un memorandum nel settembre 1992, ambiva a cancellare ogni traccia di secolarizzazione del regime.
Fra i movimenti di opposizione di cui i due documenti erano espressione, il più insidioso per il governo si rivelava quello di matrice religiosa, radicato soprattutto nel Naǧd (regione d'origine della dinastia wahhabita) e nelle aree urbane, e diffuso nei ceti medi con un'istruzione superiore, le cui aspirazioni di promozione sociale erano state frustrate dalla crisi economica e dall'aumento della disoccupazione. Il nuovo fondamentalismo decretava l'illegittimità dello Stato islamico saudita sulla base dell'islamismo medesimo: esso denunciava una divisione de facto tra sfera privata, regolata dalla legge islamica, e sfera pubblica, informata a principi di governo occidentali: una divisione che andava colmata conformando l'azione politica, interna ed estera, alla šarī‚a sotto il controllo delle autorità religiose, e troncando le relazioni con i paesi non appartenenti alla dār al-Islām.
In risposta, re Fahd adottò una politica ambivalente. Da una parte, annunciò la formazione di un Consiglio consultivo composto da 60 membri di nomina regia (effettivamente introdotto nel dicembre 1993 e portato, nel luglio 1997, a 90 membri) e il riordino delle amministrazioni provinciali allo scopo di limitarne la corruzione. Dall'altra, frenò le aspirazioni liberali ripristinando una rigida censura e bloccando sul nascere i timidi tentativi di emancipazione femminile; intraprese inoltre una serie di misure atte a controllare la diffusione del fondamentalismo: nel novembre 1992 impose per decreto un ampio rimpasto del Consiglio supremo degli ulama; nel maggio 1993 sciolse il neonato Comitato per la difesa dei diritti legittimi, un movimento che coniugava in una sintesi alquanto originale Islam e diritti civili (il cui leader Muḥammad al-Masarī, dopo essere stato arrestato e quindi rilasciato, trovò rifugio a Londra da dove continuò la sua battaglia contro il regime); nell'ottobre 1994 approvò la creazione di un Ministero per gli Affari islamici per ridurre l'influenza del Consiglio supremo degli ulama.
Contemporaneamente il governo attuò una politica vieppiù repressiva: l'aumento delle esecuzioni capitali (122 nel 1997, in prevalenza stranieri coinvolti nel traffico di sostanze stupefacenti), l'uso sempre più frequente della fustigazione e dell'amputazione, la detenzione di religiosi e accademici colpevoli di aver criticato il regime sollevarono le critiche dell'opinione pubblica internazionale e delle organizzazioni umanitarie, nonché quelle del Comitato per la difesa dei diritti legittimi ricostituito in esilio, ma non servirono a sradicare l'opposizione islamica che continuò anzi a crescere ramificandosi in movimenti diversi di ispirazione sunnita e sciita, e talora dando vita a organizzazioni terroristiche. A queste ultime si dovettero due attentati, nel novembre 1995 e nel giugno 1996, che provocarono la morte rispettivamente di sette civili (di cui cinque statunitensi) e 19 militari statunitensi.
La guerra del Golfo comportò anche significativi mutamenti negli orientamenti tradizionali della politica estera saudita. Rapporti diplomatici formali vennero ripristinati nel settembre 1990 con l'URSS, dopo cinquant'anni di interruzione, in seguito alla condanna da parte di Mosca della politica di Ṣaddām Ḥusayn e all'avallo all'azione dell'ONU; ugualmente vennero ristabilite, nel marzo 1991, le relazioni con l'Iran interrotte a causa del conflitto contro l'Iraq e in seguito per le controversie relative alla regolamentazione dell'afflusso dei pellegrini alla Mecca. Viceversa le relazioni con l'OLP, la Giordania e in generale i paesi della Lega Araba che non avevano sostenuto la guerra contro l'Iraq subirono un raffreddamento momentaneo, ma significativi miglioramenti si verificarono già a partire dal 1992. Re Fahd appoggiò il processo di pacificazione tra Israele e OLP avviatosi con l'accordo su Gaza e Gerico del settembre 1993 e, nel gennaio 1994, incontrò 'Arafāt a Riyāḍ. A questo incontro fece seguito un altro meeting alla Mecca nel gennaio 1995 e, nell'aprile dello stesso anno, l'A. S. fu il primo paese arabo a riconoscere i passaporti emessi dalle autorità palestinesi nei territori occupati. Le relazioni con gli altri paesi della penisola arabica, sui quali l'A. S. tendeva a esercitare la propria egemonia, furono contrassegnate da dispute confinarie. Nel caso dello Yemen, con il quale l'A. S. continuava ad avere rapporti conflittuali a causa dell'ambiguo atteggiamento yemenita di fronte alla guerra del Golfo e alla politica delle sanzioni, tali dispute sfociarono in scontri armati nel gennaio 1995. Nel luglio dell'anno successivo si arrivò a un accordo diplomatico sui confini terrestri e sulle acque territoriali, ma il governo saudita continuò a tenere chiuse le frontiere ai lavoratori yemeniti. Il riavvicinamento ai paesi arabi fu confermato in occasione delle crisi che nel febbraio e nel novembre 1998 opposero l'Iraq alla commissione dell'ONU incaricata di sovrintendere al disarmo iracheno: in entrambe le circostanze l'A. S. negò la disponibilità delle proprie basi per eventuali azioni militari statunitensi contro Baghdād.
bibliografia
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